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Autore: Darik    05/08/2003    1 recensioni
Mentre Shinji è in coma, Misato, Rei e soprattutto Asuka cercano di riportarlo da loro.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Don't leave us

Misato correva trafelata lungo un corridoio del reparto ospedaliero della Nerv.

Raggiunse un ascensore e vi entrò, salì fino al terzo piano, dove risiedeva la zona di rianimazione.

Non appena le porte dell’ascensore si aprirono, la donna scattò in avanti e per poco non travolse un infermiera che stava per entrare.

Mettendosi a correre lungo il corridoio, arrivò infine alla stanza 313. Aprì la porta e vi trovò Ritsuko seduta affianco ad un letto con sopra una persona. Quella persona era Shinji. Il ragazzo indossava la divisa scolastica, ma era sporca, come se fosse caduto per terra. La testa del ragazzo era avvolta da una benda che copriva tutta la parte superiore del capo, ed era sporcata da una grossa macchia di sangue. Shinji aveva anche un grosso livido che copriva la spalla destra.

Misato lo fissò allibita: “C-come è successo?” chiese.

Ritsuko, che si era alzata dalla sedia e le aveva messo le braccia sulle spalla per consolarla, rispose: “Asuka lo sta spiegando in questo momento agli uomini del servizio di sicurezza”.

“Allora signorina, ripeti quello che è successo e cerca di essere più chiara possibile”.

Asuka sbuffò alla richiesta dell’agente della Nerv. Era già la terza volta che le chiedeva di ripetere la stessa cosa, andando alla ricerca di maggiori dettagli. Mentre lei voleva andare subito da Shinji.

“Ve l’ho già detto quello che è successo” disse seccata Asuka “finite le lezioni a scuola, io, Shinji e Ayanami stavamo andando alla base per fare altri stupidi test di sincronia. Mentre camminavamo sul marciapiede a fianco della strada e parlavamo tra di noi, d’un tratto sentiamo una donna gridare: Hiro, torna subito qui!

Un bambino era sfuggito alla presa della madre ed era corso in mezzo alla strada, proprio in quel momento spunta fuori da una curva una fuoriserie nera a tutta velocità.

Questione di pochi attimi: Shinji vede che il bambino è sulla traiettoria della macchina, velocissimo corre anche lui sulla strada, prende il bambino tra le braccia e lo solleva, la macchina piomba su di loro, l’autista non ha neanche tentato di evitarli, Shinji si sposta, riesce ad evitare di essere preso in pieno. Ma la macchina lo tocca comunque e lo fa finire per aria. Se avesse usato le braccia per atterrare se la sarebbe cavata con qualche livido, invece ha voluto atterrare di schiena per fare da scudo al bambino che reggeva imbraccio, e ha sbattuto violentemente la testa sull’asfalto. Mentre la macchina nera si defila senza aver neanche rallentato, intorno a Shinji si forma una piccola folla. La madre corre a riprendersi il figlio, io e Ayanami ci precipitiamo da Shinji, mi chino su di lui, cerco di rianimarlo. Niente. Allora dico alla First di chiamare col cellulare l’ambulanza, ma quella è cosi agitata che non riesce a digitare il numero. Le gridò: dammi questo coso, faccio io!

Poi arriva l’ambulanza, e gli infermieri, saputo che siamo membri della Nerv, ci portano di corsa qui. Fine della storia. Contento?”

“La macchina” domandò l’uomo “hai visto in faccia il guidatore o la targa?” “No! Ma insomma, eravamo tutti concentrati su Shinji. Chi se ne fregava della macchina?! Certo che quel bastardo alla guida non si è neanche fermato. Se lo avessi tra le mani…”

Asuka fremeva dalla rabbia, e anche per l’impazienza.

L’agente della Nerv disse qualcosa all’orecchio di un suo collega, poi, rivolto verso Asuka: “Va bene, puoi andare”.

“Alla buon ora” sbottò Asuka, che corse verso il reparto ospedaliero.

Mentre Asuka correva verso il reparto ospedaliero, d’un tratto vide Rei Ayanami che si aggirava tra i corridoi con una strana espressione. Ayanami non era stata interrogata dagli agenti della Nerv perché il comandante Ikari, saputo dell’incidente, l’aveva convocata subito nel suo ufficio.

“Ehi allieva modello” disse Asuka fermandosi “che ci fai qui? Vuoi andare da Shinji?”

Rei sembrava perplessa: “S-si, cioè… non lo so…”

Asuka la fissò con aria interrogativa: “Come non lo sai?”

“Ecco io… io sono stata convocata dal comandante Ikari nel suo ufficio, ma lui mi ha detto che probabilmente Ikari non ce l’avrebbe fatta, e io sarei diventata il pilota designato dell’unità 01. Quando ho sentito questo, ho provato una strana sensazione, mi sono girata e me ne sono andata mentre lui ancora mi parlava, mi ha chiamato con uno strano tono di voce, però non l’ho ascoltato, e ora…” “Fammi indovinare. Quando hai provato quella strana sensazione, per caso ti sentivi come se dicessi: cosa ci sto facendo qui?”

“S-si”.

“Allora è chiaro: quando hai sentito che al comandante non importava niente di Shinji e si preoccupava solo dell’Eva-01, sei rimasta disgustata dal suo disinteresse per il figlio e l’hai mollato. Ah, avrei voluto vedere la sua faccia, quando ha visto la sua fedelissima Rei dargli le spalle e andarsene mentre lui non aveva ancora finito di parlare. Sicuramente lo strano tono di voce che hai sentito era dovuto al suo stupore. Ma perché sei cosi dubbiosa adesso?” “F-forse ho fatto male ad agire cosi…”

“Hai fatto benissimo invece”.

“Ma…”

“Senti, guardami negli occhi: il tuo cuore dove ti dice di andare?”

“Da… da Ikari”.

“E allora andiamo. Il comandante può anche andare a farsi impiccare. Forza!”

Le due ragazze si avviarono verso il reparto ospedaliero.

Nella stanza 313 gli infermieri avevano tolto a Shinji la divisa scolastica e messo un camice da ospedale. Aveva una flebo inserita nel braccio sinistro.

Misato stava seduta affianco al suo letto, senza togliere lo sguardo dal ragazzo.

“Incredibile” pensava la donna “oggi pomeriggio avevamo deciso di andare alle terme vicine al monte Asama, Shinji era d’accordo perché quel luogo gli era piaciuto molto l’altra volta, e invece…”

Misato era nel suo ufficio quando ricevette una telefonata da Ritsuko che la informò dell’incidente a Shinji.

Subito la donna era corsa da lui.

“Bevi questo” disse Ritsuko alle sue spalle con in mano una tazza di caffè.

“No grazie. Non ho sete adesso”.

“Non devi abbatterti. Può farcela”.

“Ritsuko, si sincera. Quali sono le sue condizioni?”

Dopo qualche attimo di silenzio la dottoressa le rispose: “Shinji è in coma. Oscilla tra quello reversibile e irreversibile”.

Misato chiuse gli occhi: “Non possiamo fare niente?”

“La sostanza che gli stiamo iniettando adesso con la flebo è uno speciale farmaco derivato dalle sostanze rigenerative degli Eva. Sta tranquilla, non siamo cosi disperati da usare Shinji come cavia. E’ sicuro, funziona. Dissolverà il grumo di sangue che si è formato nel cervello di Shinji a causa dell’urto e riparerà i tessuti cerebrali danneggiati. Cosi Shinji non avrà problemi a muovere il suo corpo dopo il coma”.

Ritsuko non usava il condizionale per rassicurare la sua amica Misato.

“Ma nonostante questo…” disse seria Misato.

“Si. È comunque in coma anche se il suo cervello non ha danni. Ma dipenderà da Shinji riuscire ad uscirne. Alla fine è sempre cosi, dipende dalla forza di volontà del malato”.

“E noi che possiamo fare?”

“Pregare per lui e parlargli, per fargli capire che non è solo, che qui ci sono persone che gli vogliono bene e lo aspettano”.

“Che cosa?!” esclamò Misato adirata e alzandosi dalla sedia “Shinji è in coma e l’unica cosa che possiamo fare per aiutarlo è parlargli?! Ma questo è assurdo. Mi rifiuto di credere che con tutte la attrezzature tecnologiche che abbiamo a disposizione, l’unica cosa che possiamo fare è parlargli! No, non ci credo! Secondo me alla Nerv non importa niente di Shinji, tiene soltanto agli Eva, e non ha intenzione di impegnarsi al massimo per salvare un pilota! Maledetti! Io…”

Ritsuko capì che Misato era sul orlo di una crisi di nervi, causata dal dolore per la condizione di Shinji, e le diede un violento schiaffo sulla guancia.

Misato rimase in silenzio, Ritsuko la rimproverò: “Ora basta Misato! Capisco il tuo dolore, ma sappi che parlare ad una persona in coma non è inutile. Shinji in questo momento ci sente, anche se non può sembrare, e noi con il nostro affetto possiamo aiutarlo ad uscire dall’oscurità in cui si trova adesso”.

Misato non disse niente, uscì dalla stanza.

Dopo qualche attimo Ritsuko uscì anch’essa, per cercarla.

La trovò in un corridoio in quel momento deserto, seduta per terra, la schiena appoggiata alla parete. Piangeva in silenzio.

Ritsuko si inginocchiò davanti a lei e l’abbracciò per consolarla.

“Si forte Misato. Se cedi anche tu, allora rischio di mettermi a piangere anch’io” tentò di scherzare la dottoressa.

Fuori dalla base della Nerv, in città, passeggiavano Toji e Kensuke, erano da soli. Sui loro volti si leggeva una grande tristezza e preoccupazione.

“Dobbiamo assolutamente sapere come sta Shinji” disse il primo.

“Infatti. Mentre tornavo da scuola avevo sentito alcune persone parlare di un ragazzo investito da un auto nera mentre cercava di difendere un bambino finito sulla strada, ma in quel caso non ci avevo pensato più di tanto. Ma quando hanno chiamato mio padre al telefono per richiamarlo subito alla base perché il Third Children aveva avuto un incidente, ho collegato subito le due cose” rispose l’altro.

“Dobbiamo andare a trovarlo”.

“E come? L’Hanno ricoverato alla base della Nerv, li i civili non possono andarci”.

“Si, ma entrambi i nostri genitori lavorano alla Nerv, quindi se parliamo con loro credo che riusciremo ad ottenere un permesso”.

Detto questo, Toji si fermò un attimo: aveva sentito una strana risata provenire da dietro l’angolo davanti a loro.

“Cosa c’è?” chiese Kensuke.

Toji fece un cenno a Kensuke di fare silenzio: quella risata strana lo aveva incuriosito. Lentamente e silenziosamente si avvicinarono per ascoltare: seduto davanti al tavolo di un bar, c’era un ragazzo di venti anni circa, vestito elegantemente con i capelli lunghi molto curati. Il classico “figlio di papà”. Davanti a lui, parcheggiata, c’era una macchina sportiva nera.

Stava parlando ad un cellulare: “Si, si. Non preoccuparti ti ho detto. Nessuno mi ha visto in faccia, ne sono sicuro. Ma smettila, solo perché ho rischiato di mettere sotto a due stupidi, fai tutta questa lagna mamma?”

Quando Toji sentì queste parole si irrigidì, fece un cenno a Kensuke che era già pronto e subito mise in funzione la sua fedele videocamera per filmare la discussione del ragazzo.

“Cosa? Ti hanno detto che il conducente, cioè io, non ha neanche tentato di evitarli, ne si è fermato dopo l’incidente? E che mi frega? Andavo di fretta, c’era la cerimonia di benvenuto che mi avevano riservato quelli del club. Non potevo tardare. E poi scusa, la colpa era di quel bambino, cosi imparava a correre in mezzo alla strada. E quell’altro idiota? Un ragazzo delle scuole medie direi, un moccioso dei quartieri bassi, che rischia di farsi ammazzare per salvare uno sconosciuto. Assurdo!”

Toji e Kensuke ascoltavano, e si sentivano sul punto di esplodere: avevano collegato il discorso del giovane con quello che era successo a Shinji. Era lui che l’aveva investito! E adesso, non solo sembrava non provare per nulla rimorso, ma addirittura aveva la faccia tosta di dare la colpa al bambino e all’altruismo di Shinji.

“Piantala mamma” proseguì il ragazzo “Potevo pure fermarmi dopo il fatto? Ma te lo detto che ero in ritardo per la cerimonia. Sai quanto ho dovuto attendere per entrare in quel club? D’altronde mica li ho presi in pieno. Mi possono accusare? Lo facciano pure, gli avvocati di papà mi faranno uscire subito. Contro pezzenti di quel tipo, figurati.” Il ragazzo si mise a ridere di nuovo, quella strana risata e spense il telefonino.

Certo, se avesse saputo che il ragazzo che aveva investito era un importantissimo membro dell’Agenzia speciale Nerv, non avrebbe riso tanto.

Toji fremeva dalla rabbia, anche Kensuke, che sottovoce gli disse: “Ho filmato tutto. Anche il numero della targa. Questo grandissimo bastardo lo incrimineranno di sicuro per omicidio colposo e omissione di soccorso”.

Rispose Toji, sempre sottovoce: “Già, è visto che ha investito uno dei piloti della Nerv, dubito che gli avvocati del suo paparino lo potranno aiutare. Però non basta…”

“Cosa vuoi dire?”

“Che merita comunque una lezione” rispose Toji facendo rumore con le nocche.

Prima che Kensuke potesse dire qualcosa, Toji si avvicinò di spalle al ragazzo, e lo toccò sulla spalla battendoci sopra più volte con un dito.

Il ragazzo, seccato, pensò: “Se è un altro di quei luridi mendicanti che chiedono l’elemosina adesso mi sente”.

Ma non appena si voltò si vide arrivare in piena faccia il pugno destro di Toji, cosi violento che gli ruppe il naso e lo fece cadere rovinosamente per terra.

Il ragazzo si agitò contorcendosi, urlava come un bambino, alla vista del suo sangue.

Toji se ne andò dicendogli: “Questo è per il mio amico. E se dovesse morire, ti darò il resto, carogna!”

Insieme a Kensuke, il giovane si avviò verso casa sua per parlare con suo padre e ottenere il permesso di andare da Shinji. Kensuke avrebbe fatto lo stesso.

Nell’ospedale della Nerv intanto Misato vegliava su Shinji in continuazione. Ritsuko aveva dovuto andarsene perché chiamata d’urgenza sul ponte. Comunque la dottoressa aveva detto a Misato di non esagerare, quando sarebbe arrivato il momento poteva andare a casa, ci avrebbe pensato lei a vegliare sul ragazzo e a parlarci. Già, parlarci. Misato, pur non essendo molto convinta, aveva deciso di provare il metodo consigliato da Ritsuko.

Prese Shinji per mano, il ragazzo era monitorato da molti strumenti: “Shinji, ti prego, non lasciarmi sola. Io ti voglio bene, come a un figlio. I miei sentimenti sono cosi confusi, ma di una cosa sono sicura: tengo moltissimo a te. E se tu dovessi andartene, io…”

Misato sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Provare a parlargli aveva detto Ritsuko. Ma di cosa? Misato, vedendolo cosi, non riusciva a parlare. Shinji era cosi immobile, oscillante tra la vita e la morte.

Alla fine si chinò su di lui e disse: “Ti scongiuro Shinji. Torna da me. Prima mio padre, poi mia madre. E dopo anche Kaji, anche se lui l’ho poi ritrovato. Pensavo di esserci abituata, ma sbagliavo. Perdere qualcuno è troppo doloroso. Non ne posso più di restare sola. Ti prego. Non lasciarmi”.

Le lacrime di Misato cadevano sul petto di Shinji, che continuava a restare immobile.

“Maggiore Katsuragi” disse una voce femminile alle sue spalle. Misato si voltò e vide Rei davanti alla porta della stanza.

Velocemente la donna si asciugò le lacrime con una mano: “Entra Rei. Vieni pure”.

“Maggiore Katsuragi, come sta…”

Rei si bloccò e guardò Shinji immobile su quel letto: vederlo cosi ridotto le fece una strana sensazione.

“Rei, non restare li in piedi, siediti qui” disse Misato con tono gentile, alzandosi e porgendogli la sedia.

“Ma… ma lei… non…”

“Oh, non preoccuparti. Sono stata seduta anche troppo”.

Rei si sedette e domandò: “Quali sono le condizioni di Ikari?”

“Rei, Shinji è in coma. Non disperarti, non è ancora spacciato. Può farcela. Ma ha bisogno di qualcuno che gli stia accanto. Perciò noi…”

Il telefonino di Misato squillò, lei rispose: “Pronto? Ah, Ritsuko, cosa c’è? Come?! Ma gli hai detto che sono qui? Mmm, capisco. D’accordo, vengo subito” chiuse la comunicazione.

“Cosa succede?” chiese Rei.

“Il comandante Ikari vuole vedere me e Ritsuko. Subito. Sono costretta ad andare. Il comandante è capace di mandare i suoi uomini a prendermi se non vado”.

Rei si fece pensierosa: “Ma se il comandante Ikari è capace di questo, allora perché mi ha lasciata andare via dal suo ufficio prima?”

“Rei” riprese Misato “io vado. Cercherò di tornare il prima possibile. Veglia tu su Shinji. Va bene?”

“Si” rispose Rei.

Misato accarezzò il viso di Shinji e se ne andò.

Rei rimase in silenzio affianco a Shinji. Non era la prima volta che vegliava su di lui. Era già successo con l’attacco del 5· Angelo. Ma in quell’occasione le era stato ordinato. Adesso invece era stata lei a voler venire. Prima con lei c’era Asuka, ma quando la tedesca vide che nella stanza c’era già Misato non volle entrare. Rei non capì il perché, Asuka si era messa a parlare di cose strane tipo che si vergognava a farsi vedere da Misato mentre piangeva, che aveva una reputazione da proteggere. Sarebbe passata più tardi.

“Tu va avanti” aveva detto a Rei “io ti raggiungerò”. La voce di Asuka sembrava arrabbiata, ma arrabbiata con se stessa.

Rei fissò Shinji in volto: non lo aveva mai visto cosi vulnerabile.

La ragazza sperò che Shinji si muovesse, invece non successe nulla.

Sussurrò: “Ikari”.

Lo chiamava come se Shinji fosse semplicemente addormentato.

“Ikari, perché ti è successo questo?”

Rei ricordò cosa era successo circa tre ore prima, al momento dell’incidente.

Si stavano recando alla base dopo la scuola. Camminavano Shinji e Asuka mano nella mano e stavano parlando di qualcosa. Rei non sentiva le loro parole, ma neanche voleva farlo: “saranno cose che si dicono tra fidanzati. Quindi cose private. Non voglio disturbarli”. Ma nel pensare questo Rei si intristì un po’: aveva detto che erano cose che si dicevano tra fidanzati, ma lei non riusciva a immaginarle. Cose che per gli altri ragazzi erano normalissime, per lei erano invece sconosciute. “Perché devo essere diversa?” pensò mestamente.

D’un tratto Shinji si affiancò a Rei: “Ayanami, voglio chiederti due cose”.

“Che cosa?”

“Oggi io, la signorina Misato e Asuka andremo alle terme, vuoi venire con noi?” “Ma io… io non sono mai stata alle terme. Cosa dovrei fare?”

“Assolutamente niente. Mettiti in acqua e rilassati” si inserì Asuka, che le disse sottovoce con tono malizioso: “Non preoccuparti, i bagni sono divisi in due sezioni per i maschi e le femmine, non ti spierà nessuno”.

“V-va bene. E l’altra?”

Shinji e Asuka si guardarono, poi il ragazzo disse: “Ecco… a me piacerebbe molto se tu venissi ad abitare in casa nostra”.

“C-come?”

“Si, Asuka e la signorina Misato sono d’accordo, potremmo chiedere che tu sia affidata alla signorina Misato. Cosi non saresti più sola”.

“Davvero? Ma… ma perché lo volete?”

“Perché ti vogliamo bene” rispose il ragazzo sorridendo.

Rei rimase sorpresa da questa affermazione: era la prima volta che qualcuno le diceva di volerle bene.

Sorrise e disse, balbettando per l’emozione: “S-si… mi… piacerebbe molto…”

“Benissimo. Allora dopo essere tornati dalle terme, ci occuperemo delle formalità burocratiche” disse Asuka.

I tre continuarono a camminare in silenzio. Ma erano felici tutti e tre.

Poi quella donna che gridò: “ Hiro, torna subito qui!”

Il bambino che corre sulla strada, Shinji lo raggiunge, l’arrivo di quella macchina nera.

E in pochi secondi Shinji giace immobile sulla strada, il bambino tra le su braccia piange, Asuka grida: “SHINJI!” e si precipita da lui. Rei osserva il tutto con gli occhi sbarrati, poi lo raggiunge anche lei.

E infine eccola li, seduta affianco al letto del ragazzo.

Rei lo osserva: “Ikari, perché non mi sorridi più? Perché non mi parli più? Perché non dici più che mi vuoi bene?”

Shinji rimaneva immobile, nella stanza c’era un silenzio quasi totale, si sentiva solo il rumore dello strumento che segnalava il battito cardiaco del ragazzo.

Poi si sentì un rumore sul lenzuolo sopra Shinji, come se qualcosa l’avesse bagnato.

Era una lacrima. Una piccola lacrima scesa dall’occhio destro di Rei.

Rei guardò quella lacrima: lei piangeva. Di solito si piange quando si sta male. Ma il corpo di Rei era intatto. E allora quella lacrima? Dov’era la ferita che aveva causato quella lacrima?

Nel cuore, si disse Rei.

Io sono stata ferita nel cuore, nei miei sentimenti.

Perché?

Perché a Shinji Ikari, il ragazzo che aveva detto di volerle bene, che si era preoccupato per lei, era successa una cosa molto brutta, e ora rischiava di non farcela.

E se fosse morto? Chi le avrebbe voluto ancora bene?

Il maggiore Katsuragi, la dottoressa Akagi, anche Asuka.

Ma Shinji era stato il primo a farlo, e senza di lui non sarebbe stata la stessa cosa.

Rei mise una mano su quella di Shinji, parlò: “Ikari, non lasciarmi”. Improvvisamente una voce maschile risuonò alle sue spalle: “Rei Ayanami!”

Rei si voltò un po’ spaventata da tono brusco: ad aver parlato era stato un uomo vestito con un completo nero, un agente del reparto servizi di sicurezza della Nerv.

“C-cosa c’è?” chiese Rei un po’ turbata.

“Il comandante Ikari non ha gradito molto il modo in cui te ne sei andata. Vuole parlarti”.

“N-no. Io voglio restare con Ikari” disse la ragazza.

“Quello del comandate Ikari è un ordine” disse l’uomo, che le si avvicinò e mise una mano sulla sua spalla come per spingerla ad alzarsi.

Rei si alzò si, ma di scatto andò a mettersi dall’altro lato del letto di Shinji, come se fosse una protezione.

“Io voglio restare con Ikari” ripeté la ragazza con una strana determinazione che sorprese lei per prima.

“Senti ragazzina, il comandante Ikari ha detto di non usare le maniere forti con te. Ma vuole parlarti subito. E io devo portarti da lui. Se non vuoi collaborare, allora ti sollevo e ti ci porto come si fa coi sacchi”.

Rei tremava leggermente per la tensione, ma non voleva abbandonare Shinji, il suo primo, autentico amico.

Cercando di farsi coraggio, disse le stesse parole che Asuka aveva detto prima: “ Il comandante può anche andare a farsi impiccare”.

“Ora esageri. Vieni con me” disse l’uomo, che andò dall’altra parte del letto per prendere la ragazza.

“Giù le mani da lei bello!” esclamò una voce femminile alla porta. Era arrivata Asuka.

“Stanne fuori ragazzina. Io sto eseguendo gli ordini del comandante supremo” e le diede le spalle.

Asuka, seccata, corse dietro l’uomo e gli diede un violento calcio in mezzo alle gambe.

L’uomo cadde in ginocchio, mormorò: “Brutta carogna”, si rialzò, anche se a fatica, e stava per alzare la mani contro Asuka.

Ma proprio in quel momento arrivò Ritsuko, che era stata avvisata da un infermiera allarmata dai rumori provenienti dalla stanza di Shinji: “Non tocchi quella ragazza agente!” tuonò Ritsuko.

“Dottoressa Akagi, io devo solo eseguire gli ordini del comandante Ikari, e lui vuole subito Rei Ayanami nel suo ufficio”.

“Rei Ayanami sta vegliando su una persona per la Nerv importantissima. E’ un modo per aiutarla. Dica pure al comandante che Rei resterà in questa stanza per tutto il tempo che vorrà. La responsabilità me l’assumo io. E se ha qualcosa da obbiettare, parli con me e il maggiore Katsuragi, anziché mandare i suoi uomini a prelevare una ragazzina come se fosse un detenuto!”.

Ritsuko aveva parlato con un tono che non ammetteva repliche.

L’uomo in nero rimase in silenzio e se ne andò.

Ritsuko si avvicinò alle due ragazze: “Tutto bene?”

“Si, grazie dottoressa” risposero Rei e Asuka.

“Figuratevi. Sospettavo che Gendo facesse una cosa simile. La notizia del tuo gesto Rei si è diffusa molto velocemente: nessuno aveva mai fatto una cosa simile al comandante Ikari. E quando l’ho saputo, ho chiamato subito l’infermeria e le ho detto di avvertirmi se succedeva qualcosa. Ma per essere sicuri che Gendo non ci riprovi, sarà meglio che vada a parlare con lui. E porterò anche Misato. Non si sa mai”.

“Fa bene a non voler entrare da sola nella tana del lupo” commentò sarcastica Asuka.

Ritsuko si chinò sulle due ragazze: “Mi raccomando ragazze, state vicine a Shinji, parlategli, vi assicuro che in questo modo potete aiutarlo. Misato purtroppo non può venire, è sommersa dal lavoro, ma con la mente e il cuore è sempre vicina a Shinji. Fatelo anche voi”.

Ritsuko sorrise e uscì dalla stanza.

Asuka e Rei rimasero da sole.

Rei: “Alla fine sei venuta Asuka”.

“Certo. Per tutto questo tempo ho cercato di convincermi che andare a trovarlo, anche se c’era già qualcun altro con lui, non era motivo di vergogna”.

“Ti vergogni a vegliare su di lui in presenza di altri?” chiese un po’ stupita Rei.

“Beh,.. ecco,… lo sai com’è, no?”

“No, non lo so” rispose Rei, ma senza ironia o provocazione.

Lei davvero non capiva il motivo per cui Asuka doveva provare vergogna a farsi vedere dagli altri mentre vegliava su Shinji.

“Lasciamo perdere” concluse Asuka, che andò a prendere una sedia dal corridoio e si mise affianco al letto di Shinji, dall’altro lato. Anche Rei tornò a sedersi.

Le due ragazze fissavano in silenzio il ragazzo.

Asuka nel guardare Shinji, sentì gli occhi riempirsi di lacrime, ma cercò di trattenersi.

“Shinji” iniziò Asuka, che però si interruppe subito e guardò furtivamente Rei. Sembrava volerle dire qualcosa, ma temeva di dire qualcosa di sbagliato.

Rei lo intuì: “Cosa c’è?”

“Ecco… vedi… io”.

Asuka voleva chiedere a Rei se poteva uscire per qualche minuto dalla stanza. Voleva parlare con Shinji, ma si trovava in difficoltà in quella situazione: già aveva dovuto fare un enorme sforzo di volontà per accettare di farsi vedere dagli altri mentre stava affianco a Shinji, ma era troppo per lei dover rivelare i propri sentimenti davanti ad una persona che non fosse Shinji.

“Come faccio a farle capire che vorrei stare un po’ da sola con lui, senza offenderla?” pensava Asuka.

“Vuoi stare un po’ da sola con lui?” chiese Rei, facendo restare a bocca aperta Asuka per la sorpresa. Siccome la ragazza sembrava cosi poco esperta di cose per gli altri molto comuni, non credeva ci potesse arrivare da sola.

Rei aveva dimostrato di possedere un certo intuito, e mentre Asuka si interrogava su come spiegarglielo, aveva già capito tutto.

Con calma Rei si alzò e si avviò verso l’uscita della camera.

“Aspetta” disse Asuka “non sei costretta”.

“Vuoi parlare con lui dei tuoi sentimenti. I sentimenti sono importanti, ma sono anche molto personali, e vanno confidati solo alle persone cui vuoi bene. Ti capisco, non preoccuparti”.

“Ma tu, resta nel corridoio, cioè, non andartene, mi servono solo cinque minuti”.

“Fai con calma” disse Rei, che uscì dalla stanza e si mise a gironzolare nel corridoio.

Asuka cominciò a parlare con Shinji: “Sai Shinji, nonostante noi due stiamo insieme, ci sono alcune cose che non ti ho mai detto di me: quando mia madre morì, decisi che non avrei mai più contato sugli altri, solo su me stessa. Ma in realtà ero una vigliacca che stava fuggendo dalla realtà. Cercai di mascherare a me stessa questa paura dicendomi che lo facevo per dimostrare a tutti quanto ero forte, invece il motivo era che avevo paura ad affidare il mio cuore a qualcuno. L’avevo dato a mia madre, io le volevo un mondo di bene, come è naturale che sia, ma poi le successe quell’incidente, e la vidi ignorarmi per una bambola. Teneva in braccio una bambola e la cullava come se fossi io, la chiamava come me. E mi sentì tradita. Certo, le persone che avevo affianco me lo dicevano, tua madre sta male, devi darle un po’ di tempo, vedrai che si riprenderà e tutto tornerà come prima. Io volli credere a loro, e cosi cercai di comportarmi come se la mamma stesse bene. Ma un giorno tornai a casa, mi avevano detto che ero stata scelta come Second Children, e… e quando aprì la porta…”

Asuka iniziò a piangere lentamente, era un ricordo difficilissimo da rievocare: “Lei… lei si era impiccata. Era morta. E io mori con lei. Dentro intendo. Mia madre si era portata via il mio cuore. E allora ho cominciato a odiare tutti, e ho deciso che mai più avrei affidato i miei sentimenti ad altri. Tutti ti tradiscono, troppo dolore per coloro che coltivano i sentimenti mi dicevo.

Eppure, più degli altri, odiavo me stessa, perché da qualche parte dentro di me, sentivo che questo metodo non mi dava la felicità, teneva i miei sentimenti al sicuro dai pericoli esterni, ma i sentimenti non sono fatti per essere bloccati dentro. Soffrivo per la mia solitudine, ma non riuscivo a trovare un altro modo per proteggermi. E allora mi sono odiata. Sarei ancora in quella condizione se non ti avessi incontrato: all’inizio ti giudicai insignificante. Ma subito mi accorsi della tua forza. Ti lamentavi sempre, ma non mollavi mai. E capì che in fondo eri come me, ti avevano portato via i tuoi sentimenti e ti eri chiuso agli altri.

Dopo però hai avuto la forza di aprirti. Che ironia eh? Io, la forte e coraggiosa Asuka, non osavo più aprire il mio cuore per paura, mentre tu, il piccolo e fragile Shinji, hai avuto il coraggio di sfidare i possibili rischi.

Il tuo esempio mi ha aiutato Shinji, mi ha dato la forza, ha fatto aprire il mio cuore, e quando l’ho aperto ho visto che il mio amore era indirizzato a te. Mi hai ridato la vita Shinji.

Ma ora non puoi lasciarmi, non so cosa farei senza di te.

Forse non sarò l’unica ad avertelo detto, comunque: non lasciarmi sola, Shinji”.

Detto questo Asuka si alzò, aveva gli occhi pieni di lacrime, andò a chiamare Rei, che stava leggendo un foglio attaccato alla bacheca del corridoio.

La ragazza la chiamò, Rei entrò.

“Cosa facciamo adesso Asuka?” chiese.

“Aspettiamo e preghiamo” rispose.

“Tu stai piangendo”.

“Si, e non me ne pento. Non me ne pentirò più”.

Le due ragazze tornarono a sedersi affianco al letto di Shinji.

IL GIORNO DOPO

Erano le otto del mattino circa.

Misato e Ritsuko erano sedute vicino a Shinji, avevano preso il posto di Asuka e Rei.

Le due ragazze erano rimaste fino alla sera tardi insieme a lui. Misato ovviamente non era tornata a casa, non appena finito il turno di lavoro, era andata subito da loro. Ritsuko si era aggregata a lei. Il giorno prima avevano anche dovuto affrontare una lunga discussione con il comandante Ikari, per convincerlo a non infastidire più Rei che voleva restare con Shinji. Gendo masticò un po’ male, ma alla fine dovette arrendersi. Avrebbe potuto portare Rei lontano da quella stanza solo ricorrendo alle maniere forti. Però Rei era l’unica persona con la quale lui non si sarebbe mai azzardato a farlo.

Congedò tuttavia le due donne dicendo che sarebbe stata la prima e ultima volta che permetteva una cosa simile.

Misato e Ritsuko se ne andarono sdegnate per il totale disinteresse di Gendo nei confronti del figlio.

Avevano trovato Asuka e Rei addormentate sulle sedie. La prima era chinata sul ragazzo, la seconda teneva le braccia incrociate e la testa china sul petto.

“Non sono abituate a fare cosi tardi. Probabilmente hanno passato tutta la notte in bianco” aveva commentato Ritsuko sorridendo. Le due donne avevano preso in braccio le ragazze e le avevano messe su una poltrona posta nel corridoio, subito fuori la porta. Ciascuna da un lato. Poi chiamarono un infermiera perché portasse per loro una coperta.

Adesso le due donne stavano sulle stesse sedie di Asuka e Rei, e guardavano Shinji.

“Cosa ne dici Ritsuko?”

“Se vuoi chiedermi se ce la farà o no, è ancora troppo presto per saperlo. E’ passato solo un giorno. Comunque speriamo che non passi troppo tempo. Perché più tempo passa, più diminuiscono le possibilità che ce la faccia”.

“Capisco. Sai, ieri ho provato a parlargli. Pensavo che sarebbe venuto fuori chissà quale lunga confessione, e invece…”

“Non ti devi preoccupare di questo. L’amore è fatto cosi, ci sono tanti modi per far capire ad una persona che le vuoi bene, a parole. Alcuni sono brevi, altri lunghi, ma entrambi validi. E sono sicura che anche Asuka e Rei gli hanno parlato”.

“Noto che possiedi una certa esperienza in fatto di sentimenti, Ritsuko”.

“Magari…” rispose la dottoressa.

Squillò il cellulare di Ritsuko, la dottoressa seccata si alzò e andò a rispondere vicino alla porta.

Misato si voltò in direzione di Ritsuko per cercare di capire dal tono di voce della donna di cosa si trattasse.

D’un tratto senti un leggerissimo lamento alle sue spalle.

Sorpresa si voltò: Shinji aveva aperto gli occhi.

“S-Shinji…” sussurrò allibita Misato.

Il ragazzo, aperti gli occhi, cominciò a guardarsi intorno con aria interrogativa.

“Shinji!” stavolta Misato gridò, cominciò a piangere dalla gioia.

Il suo grido svegliò Asuka e Rei che stavano dormendo sul divano nel corridoio e fece voltare di scatto la dottoressa.

Misato ebbe la fortissima tentazione di abbracciare Shinji, ma si trattenne all’idea che il ragazzo era troppo debole.

Tuttavia lo prese per mano: “Shinji! Ce l’hai fatta!”

Asuka e Rei si affacciarono spaventate dalla porta: dopo aver sentito quel grido, temevano fosse successo qualcosa a Shinji.

E invece il ragazzo si era risvegliato.

Asuka si precipitò affianco al suo letto, piangeva a dirotto per la gioia.

Rei invece, pur avendo anche lei un espressione molto felice, non si mosse.

Ritsuko le andò incontro e disse: “Rei, non preoccuparti. Vai da lui. Non sei un di più. E’ anche merito tuo se ce la fatta”.

Rei come incoraggiata da quelle parole, si avvicinò anche lei al letto.

“Ikari” disse con la voce rotta dall’emozione e con le lacrime che scendevano dagli occhi.

Ritsuko osservò la scena: “Meglio che vada a dare la notizia agli operatori sul ponte di comando. Maya, Hyuga e Aoba erano cosi in apprensione per Shinji”.

La dottoressa avvisò anche le infermiere che il paziente si era risvegliato, ma che sarebbe stato meglio concedere cinque minuti di privacy alle persone nella stanza.

Il suggerimento di Ritsuko era stato giusto: “Sicuramente anche Asuka e Rei avevano parlato a Shinji. Tante o poche che fossero, le loro parole l’hanno guidato. Gli hanno trasmesso la forza per farcela.

Shinji si riprenderà presto, il coma è durato solo un giorno. E quel composto derivato dalle sostanze rigenerative degli Eva, ha guarito, o evitato, ogni possibile danno al suo corpo. E per quanto riguarda il resto, beh, a quello ci penserà l’affetto delle persone che gli vogliono bene. E sono tante”.

Mentre si avviava verso l’ascensore anche lei si asciugò una piccola lacrime di commozione: “Grazie per non averci lasciato, Shinji”.

FINE

  
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