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Autore: bitchplease    15/07/2014    1 recensioni
ci eravamo promessi che prima o poi ci saremmo incontrati ad un concerto,non sapevamo quale, ne come. Ma lo avremmo fatto. E io sapevo che sarebbe stato quello, ma dopotutto era passato tanto tempo dall’ultima volta che avevo visto mio fratello, chissà se era cambiato, o l’avrei rincontrato, questo non lo sapevo.
(è un miglioramento della mia prima pubblicazione)
Genere: Drammatico, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Behind the backstage of a life
Era una di quelle giornate che non dovrebbero mai essere vissute, quelle definite come: giornate di merda.
Ma partiamo dall’inizio.

La sveglia suonò:
“I've been waiting a long time
for this moment to come
I'm destined
for anything ...at all..”
La fermai, mi stiracchiaiai con uno sbadiglio e gli occhi ancora chiusi.
Poi realizzai che giorno fosse, sgranai gli occhi, e con un’eccitazione tale in corpo, che scattai in bagno a tempo record.
Mi spogliai ed entrai in doccia, l’acqua scorreva sul mio corpo molto calda e fluente, il bagno era diventato un’enorme sauna, il vapore era ovunque.
Mi avvicinai allo specchio, e vi passai una mano sopra, il mio riflesso apparve nitido: capelli neri completamente disordinati, la matita nera colata sotto gli occhi, l’espressione assonnata.
Mi struccai e mi legai i capelli ancora bagnati in una coda alta,indossai shorts con le borchie, calze nere strappate, anfibi neri opachi e una canotta nera, trasparente sulla schiena, e un giubbotto di pelle nero.
Presi con me anche una maglia azzurra, con la quale solitamente dormivo, la misi in borsa e corsi fuori casa, prendendo al volo sigarette e cuffie.
Montai sulla corriera appena in tempo, le porte mi si chiusero dietro, trovai un posto libero vicino al finestrino, misi le cuffie e chiusi gli occhi.
È andata, partenza: Oakland (California), destinazione: la fantastica San Francisco.
Mi misi il rossetto rosso. E pensai che forse questa era la volta buona che lo avrei incontrato, ci eravamo promessi che prima o poi ci saremmo incontrati ad un concerto,non sapevamo quale, ne come. Ma lo avremmo fatto. E io sapevo che sarebbe stato quello, ma dopotutto era passato tanto tempo dall’ultima volta che avevo visto mio fratello, chissà se era cambiato, o l’avrei rincontrato, questo non lo sapevo.
Passò appena mezz’ora che arrivai, scesi dalla corriera, la luce del sole negli occhi, gli schiamazzi, le risa, le persone, era molto più affollata del solito, forse proprio perché c’era il concerto, o magari perché era l’ora di punta,il motivo effettivo non lo sapevo.
Mi guardai intorno, mi misi i miei Ray-Ban, e mi accesi una sigaretta il sapore forte delle mie lucky strike rosse si insinuò aggressivo nella mia bocca e come una boccata d’aria mi riempì i polmoni, facendomi sentire piena, guardai in alto e vidi un cartellone:
 
“Green Day in concerto, San Francisco
AT&T PARK,
19 Novembre 2013, 7.00 P.M.”

 
Camminai qualche minuto, e mi ritrovai in coda, una coda immensa, dovetti aspettare 5 ore per poter entrare, e se non fosse stato per le due adorabili ragazze dietro di me, attrezzate per quando sarebbero state in preda alla chimica, sarei anche potuta svenire, non mettevo nulla sotto i denti dal pranzo del giorno prima, abbiamo parlato per tutto il tempo, già sapevo che tra qualche ora li avrei visti in condizioni ben diverse, così fatti e distrutti da tutte le sostanze che volevano assumere, che sarebbero sembrate persone assolutamente diverse da quelle gentili che mi avevano offerto da mangiare e probabilmente non si sarebbero nemmeno ricordati di me.
Quando entrai, rimasi così shockata che dovetti togliermi gli occhiali, non avrei mai creduto di poter vedere così tante persone radunate tutte insieme in un unico posto, senza contare che non era ancora arrivato “nessuno” rispetto a quanti ancora dovevamo essere.
Il mio primo concerto, avevo sempre immaginato che lo avrei passato serena e spensierata, magari con qualcuno di fidato, un’amica, un fidanzato,o magari… mio fratello.
Piccola come ero riuscii ad arrivare piuttosto vicino al palco,gattonando, strappando ancora di più le mie calze, mi alzai, mi pulii le ginocchia con le mani,quando alzai lo sguardo vidi un ombra scura muoversi dietro “le quinte” del palco, non sapevo se era lui, ma me lo sentivo, e cominciai a ripetermi che era lui finché non me ne convinsi, e mi convinsi di averlo visto, sperando che una volta salito sul palco anche lui avrebbe notato me.
Dovetti aspettare ancora qualche ora, il crepuscolo, ed ecco i fari illuminavano a giorno il palco, facendo sembrare il cielo nero, un po’ meno nero.
Mi sentivo così in ansia all’idea di vederli in concerto, dal vivo, tutti loro. Che quasi avevo paura,e quasi volevo scappare via.
Ma proprio mentre stavo per fare un passo indietro, ecco le urla, e capii, stavano entrando sul palco, era troppo tardi ora per tirarmi indietro, mi voltai ed eccoli.
E di lì smisi di capire cosa succedeva intorno a me, i cori, le voci, ragazzi intorno a me che buttavano giù pasticche e si bucavano le braccia, e mi venne un po’ il terrore di poter essere aggredita con una di quelle siringhe, ma smisi di farci caso, e cominciai a fissare i tre ragazzi sul palco, belli, bravi, loro erano i miei idoli. E non li avrei scambiati con nulla al mondo.
Guardandoli, i loro caratteri emergevano anche sul palco, quel bassista così controllato e genuino, quel cantante così esuberante, estroverso e fuori di testa, e quel batterista che nonostante tutta la pazzia che dimostrava, non ne mostrava nemmeno un quarto di tutta quella che aveva.
Il cuore, ogni battito. Andava a ritmo della musica ora, forte, veloce e frenetica.
Le loro grida, quelle dei fan, che gridavano di distinguersi dalla massa, di staccarsi dal sistema che ti vuole controllare e cominciare a gridare a squarciagola. E così fu fatto, si sentì un urlo così fragoroso che fece tremare il terreno, la forza di tante persone convinte era mostruosa.
Rimasi incantata senza cantare fino alla fine del concerto, quando loro sparirono dietro il sipario, la folla cominciò a svanire, i ragazzi che si stavano facendo erano accasciati a terra, collassati, mi domandai persino se qualcuno di loro non fosse morto, per come erano accasciati scomposti.
La gente se ne andava dicendo che forse li avrebbero visti all’uscita dello stadio,e stavo per uscire anche io, poi però ascoltai ciò sentivo,e io sentivo nel profondo che loro non sarebbero usciti e che erano lì dietro, proprio dietro al palco.
Cominciai ad avvicinarmi al palco, e in quel momento un bodyguard si avvicinò e mettendomi un braccio davanti al petto mi disse che non potevo andare oltre.
Poi lo vidi, con quei capelli biondi, stava tornando a recuperare dei cavi, lo fissai, finché sentendosi osservato, mi notò.
«Ehi hai bisogno di qualcosa?» mi guardò con i suoi enormi occhioni da cerbiatto, mi sentivo così emozionata, così leggera e sopra ogni confine, mi aveva rivolto la parola, il mio idolo era lì e mi stava parando.
Buttai giù il nodo alla gola e gli risposi:
«Beh, io sto cercando mio fratello dovevamo incontrarci oggi, mi puoi aiutare?» glielo chiesi con così tanta dolcezza da farmi venire da sola il diabete. Mi feci ribrezzo da sola!
«Ragazzina, mi dispiace deluderti, ma  io non conosco tutti i fan che vengono ai nostri concerti, mi piacerebbe ma siete un po’ troppi!» fece una risata sinceramente rattristata dal non potermi offrire aiuto, ma io sapevo che poteva.
«So che non dovrei insistere, ma so che puoi aiutarmi, dovresti conoscerlo. Ha capelli neri, occhi così brillanti che potrebbero essere fari nella notte, decisamente non molto altro, il suo nome è: Billie»
Mike sembrò poter soffocare, non credo si aspettasse una cosa del genere. Guardandolo credo che pensasse che fossi solo una fan impazzita disposta a tutto per incontrarlo, ma per qualche assurdo motivo decise di aiutarmi, e mi assecondò.
Chiamò Joe, e in qualche modo a me sconosciuto lo convinse a tornare sul palco, si lamentava, ma ci mise ben poco a smettere, gli bastò vedermi.
Mi guardò meglio come per essere sicuro che non fossi un’allucinazione, sgranò gli occhi e urlò il mio nome, ancora sembrava non crederci.
«ciao fratellone!» lo vidi avvicinarsi quasi meccanicamente, mi abbracciò come potrebbe fare un robot, ma quando anche io lo abbraccia, l’abbraccio si sciolse, divenne più umano, più… caldo e fraterno.
Quanto mi mancavano i suoi abbracci da fratellone protettivo, da piccoli mi abbracciava dicendomi che nessuno mi avrebbe ferito, che mi avrebbe protetto da tutto e tutti, nessun male mi sarebbe stato fatto, ma il primo male me lo procurò lui andandosene, e poi gli errori, gli orrori e la sofferenza non mi hanno più abbandonata.
Annusai a pieni polmoni il suo odore, sapeva di sudore, tabacco, erba, mentolo e lacca per capelli.
Sentii la mia guancia inumidirsi, ma io non stavo piangendo era lui, slacciò quel nostro abbraccio così perfetto e senza guardarmi mi prese la mano e mi tirò fino al suo camerino.
Chiuse la porta, ma ancora non mi rivolse parola, mi spinse una sedia sotto il sedere,poi guardandomi si inginocchiò, con occhi lucidi e l’imbarazzo di una vita mancata:
«scusa, scusa per tutto! Scusa se non sono il più grande esempio per te, scusa se non sono il fratello ideale, scusami per l’assenza, scusami per non esserci stato quando piangevi, quando ridevi, scusami se non ci sono stato per picchiare i ragazzi che ti facevano soffrire, scusami per tutto! Non ho potuto esserci, ma giuro col pensiero ti sono sempre stato vicino, non ti ho mai lasciato, e non ho mai avuto il coraggio di chiamarti, l’unica volta che l’ho fatto, mi avevano detto che ti eri trasferita, avevi cambiato nome e non sapevo come rintracciarti, io ci ho provato, e…»
Gli tappai la bocca e gli saltai in braccio riempiendolo di baci, sulla guancia, il naso, la fronte, aveva il viso pieno di segni rossi.
«Non importa se e perché non ci sei stato, non mi interessa perché ti voglio bene, e ora siamo insieme, qui, e abbiamo del tempo da goderci insieme e lo faremo, ohh se lo faremo!» gli sorridetti, lo presi per mano e lo trascinai fuori, seguii le voci fino al camerino di Frank (Tré), entrai senza bussare e trovai lui e Mike a brindare con due bottiglie di rum e tequila.
«Fantastico concerto!» glielo urlai così forte che strizzarono gli occhi per il fastidio, sentivo ancora la musica nelle orecchie, e non riuscivo a regolare bene il volume della mia stessa voce.
Ma i movimenti, quelli li controllavo bene, altro che mi sedetti sulla moquette vicino a Mike, presi una sigaretta e portandola alla bocca:
«Si può?», i ragazzi ancora confusi e perplessi dalla mia scioltezza, mi diedero “il permesso” di fumare in quel camerino, qualche tiro, il sapore forte di tabacco bruciato, sulla lingua, nella gola, il catrame che riempiva i polmoni, mi sentivo meglio quando fumavo, mi sentivo più forte, quasi indistruttibile!
Il fumo dopo che mio fratello mi aveva abbandonato beh, era diventato il mio punto di appoggio maggiore, mi dava quell’aria spavalda che mi mancava, mi teneva lontana dai guai come uno scudo, o almeno da i guai che non mi procuravo io!
Insieme alle sigarette venne anche un’altra cosa, l’alcool, ahhh che bevande meravigliose sono i superalcolici, amici inseparabili delle mie serate, e anche quella sera volevo i miei amichetti, così strappai di mano a Frank la bottiglia di tequila e mi attaccai alla bottiglia come, dopo l’apnea una persona si attacca all’aria, o come un malato terminale si attacca alla vita, mi ero sempre vista un po’ come i malati terminali, triste, senza speranze, solo che loro si attaccavo alla vita, io alle bottiglie di tequila e rum!
Mi sentii uno sguardo pesante addosso, e voltandomi notai mio fratello che mi fissava sconvolto, insomma non ero più una bambina, ma credo che ai suoi occhi, quegli occhi verdi, sempre più devastati, lo sarei sempre stata, sarei sempre stata la sua piccola!
«Goccetto? Ho 22 anni è legale, non puoi vietarmi di bere, quindi ti conviene farlo con me!» la mia reazione provocò una risata così assurda che neanche io avrei creduto che fosse vera.
Fu in quel momento che anche mio fratello cominciò a bere, bevemmo e ridemmo fino a tarda notte!
Poi Mike e Frank andarono via, rimanemmo io e mio fratello, e continuammo a bere e ridere, poi lui tirò fuori dalla sua giacca di pelle due buste una con una decina di grammi d’erba, l’altra piena di polvere bianca, simile a gessetti sbriciolati, o farina.
Arrotolò una banconota da cento dollari, e dopo aver fatto una strisciata di polverina bianca su un tavolo, tirò su, e guardandomi con un sorriso di quelli che io non ero mai riuscita a fare.
«Prova, è da dio dopo!»
Ero restia, e dissi di no, ma lui insisteva e insisteva, e cedetti, nonostante la paura mi dissi che dovevo provare prima o poi, e con mio fratello era meglio, e poi cosa mi poteva fare una tirata, no?
Provai, non fu così male come pensavo, giusto un po’ di solletico alla base del naso, ma niente di più, poi la gola cominciò a seccarmisi mi cominciò a girare la testa, forte, sempre più forte e senza accorgermene ero a terra, volevo respirare ma l’aria non entrava, e quando provavo a buttare fuori tossivo e rantolavo mentre la mia bocca col rossetto ormai stinto, cominciò a inumidirsi, stavo sbavando, mi sentivo così strana, non avevo il controllo di me, soffocavo lentamente senza riuscire a trarre l’aria ai polmoni, la lingua si era ritratta stava tappando la gola, stavo diventando cianotica, la vista era sbiadita, lacrime calde rigavano il mio visto, su di me, mio fratello in preda a una crisi, urlava il mio nome, poi i ragazzi che corsero subito mi videro, a terra in preda a una crisi, le loro mani corsero alla bocca in preda allo shock, poi uno di loro, non riuscivo a riconoscere più i volti, prese il telefono dalla tasca e chiamò il 911, cosa mi stava succedendo, non riuscivo a capire e quando la mia vista cominciò a oscurarsi e le palpebre a calare stanche sugli occhi, la voce di mio fratello mi arrivò lontana alle orecchie.
«Non te ne andare!» e capii, ma era troppo tardi, nero intorno a me e una luce.
Era tardi ormai, mi ero spenta come una candela, un lieve soffio di vento mi aveva portato via, e non sarei potuta tornare!
Ma dopotutto ero felice, me ne andai col sorriso, nel caldo abbraccio di mio fratello. Non poteva esserci morte migliore per me! Ero felice finalmente, ero in pace. Ora.
 
È una bella giornata, sono contenta che il funerale avvenga in un giorno soleggiato, non mi sono mai piaciuti quei funerali con la pioggia, bastano già i vestiti a lutto a rendere tutto molto tetro, mio fratello invece è vestito di bianco, sembra un cherubino, il mio angelo, guarda verso la bara argentata, io sono lì dentro, ben vestita, mai avrei pensato di stare tanto bene con un vestito a fiori, eppure ero sfavillante in chiesa, col mio colorito cadaverico e gli occhi chiusi, viola, penso sia stato un effetto per l’overdose, i giornali avevano già dato lo scandalo, “sorella del cantate dei Green Day, morta sotto i suoi occhi!”.
La mia bara cala, sette metri sotto terra, poi per ogni mio caro, una palata di terra, una, due tre.. poi il becchino che comincia a coprirmi, finche non fu ripristinata la tomba, ormai mi aspetta solo il riposo eterno.
Durante il funerale mio fratello ha detto delle parole, ha chiesto come doveva sentirsi per l’accaduto, cos’era lui ora senza me, esiste la parola orfano, vedovo, ma per chi perde una sorella non c’è un termine, e lui si sentiva vuoto, fuori luogo, senza un nome, e si sarebbe sempre sentito così, senza poterci fare nulla, senza poter far nulla per prendere il mio posto. Parole toccanti, se fossi stata viva mi avrebbero trafitto il cuore come lance.
Il funerale è finito, e tutti stanno andando via, tutti, tranne un ragazzo, vestito di bianco con una cosa in mano, si avvicina alla mia lapide, poi, parole soffocate, percepite a stento.
«Scusami sorellina, non avrei dovuto farti questo, dovrei esserci io qui, non tu! Spero potrai perdonarmi quando anche io arriverò lassù, TI AMO!»
Un singhiozzo, una lacrima, e una rosa a rendere omaggio a una ragazza.
Tutto ricorda la solitudine, ma presto sarebbe finita, presto, sarebbero stati in due!
   
 
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