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Autore: King_Peter    16/07/2014    1 recensioni
Sta per tornare.
La sua storia sta per essere riscritta: paure misteriose rinasceranno, oscure forze.
Dolori dimenticati.
Qualcosa che gli Dei dell'Olimpo avevano persino dimenticato, qualcosa che ha covato rancore tra le fiamme del Tartaro e che adesso risorge per cercare vendetta, quella stessa vendetta che le č stata impedita anni prima e che ora brucia nelle sue vene del mondo come un fuoco.
Quel fuoco che brucerŕ il mondo.
Quel fuoco che dieci semidei dovranno spegnere.
Quel fuoco da cui deriverŕ la cenere della vita, il sapore di ruggine della vittoria.
♣♣♣
Sul volto di lei si dipinge un'espressione di terrore, mentre la sua mano corre al pugnale che porta al fianco, legato ad una cintura di pelle.
Cerca di trattenerlo, gli strappa persino la camicia di dosso pur di fermarlo, ma lui continua a camminare verso il mare aperto, non riuscendo piů a sentire la sua voce, come se fosse atona, senza suono."

♣♣♣
""Potete solo rispondere alla chiamata."
Fissň ognuno con i suoi occhi millenari, come se stesse cercando di capire il legame che li univa, inutilmente.
"Potete solo giurarlo sul fiume Stige."
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Gli Dči, Nuova generazione di Semidei, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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13.  You misunderstand, I'm never changing who I am
 

 
Jake,
"A monster, I'm turning to a Monster"
 
 
Jake aveva seriamente avuto paura di perdere il controllo.
Se solo avesse potuto avrebbe prima incendiato, poi ibernato ed infine tagliato quella faccia da schiaffi di Ulisse: Jake lo aveva sempre ammirato per il suo coraggio e la sua astuzia, ma adesso sentiva con tutto se stesso di odiarlo, soprattutto per quello che aveva fatto a Warren.
In un primo momento Jake aveva pensato che stesse bleffando, ma dovette ricredersi quando le ragazze corsero verso un punto imprecisato della battaglia, mentre l'esercito di Ulisse si disperdeva in nome delle tregua di tre ore che lui e Luke avevano stretto.
Jake era troppo attonito per parlare: lasciò cadere le sue due spade gemelle, soffocando le lacrime che salivano ai suoi occhi, rossi sia per la voglia di piangere che per la sua condizione di albino. Luke era accanto a lui e stringeva così forte il manico della sua ascia che gli si sbiancarono le nocche, mentre tirava su con il naso, strofinandolo con il braccio: i suoi capelli erano un unico groviglio biondo, i suoi occhi un unico cumulo di rabbia e dolore.
Selene era appoggiata a Lia che la cingeva con un braccio e la lasciava sfogare, mentre anche il trucco intorno ai suoi occhi andava via via disfacendosi a causa del pianto.
Daphne si mordeva le labbra, cercando di non lasciarsi andare, convinta che presto sarebbe diventata una fontana come Selene, mentre Bashir le stava vicino, sussurrandogli qualcosa che a Jake non fu concesso di conoscere, direttamente sotto lo sguardo duro e determinato di Luke che puntava con i suoi occhi grigi proprio loro due.
Jake tirò su col naso, mentre la sua mano libera trovava quella di Liz pronta a riceverlo e tutti si univano al dolore di Selene per la sua perdita: non aveva mai capito bene il comportamento di Warren, ma Jake sapeva che era un valido combattente oltre che un buon amico, un po' eccentrico, ma anche molto altruista verso tutti i membri di quella missione.
Il cielo tuonò per l'ultima volta, trasportando lontano il rumore metallico dell'esercito di Ulisse e lavando con le sue lacrime il campo di battaglia, mentre Luke, sottovoce, giurava sullo Stige di vendicarlo, di vendicare quel figlio di Ares con cui non erano mai andati d'accordo.
Luke si mosse verso il corpo di Warren, prendolo per la testa e facendo segno agli altri ragazzi di aiutarlo.
"Portiamolo via da qui." disse, tetro, mentre la pioggia scendeva sul suo viso e, come notò Arkos, lasciava scivolare via tranquillamente le sue lacrime.
Jake si staccò da Liz e aiutò Luke nell'impresa e,con il supporto di Archie e Bashir, trasportarono assieme il corpo di Warren nell'atrio dell'Empire State Building dove erano spariti tutti, incluso il portiere.
"Le difese stanno cedendo." commentò Luke e Jake si stupì di come facesse a rimanere così razionale in una situazione del genere: se fosse stato per lui, avrebbe già perso il controllo e massacrato qualunque nemico gli capitasse davanti.
Per fortuna Jake non era Luke.
Abbassò la voce in modo che solo noi ragazzi potessimo sentire, in modo da non turbare ulteriormente il fragile equilibrio che si era creato dentro Selene che, appoggiata alla spalla di Lia, aveva completamente perso la voglia di vivere.
"Dobbiamo escogitare un piano." sussurrò, piano, chiudendo gli occhi come per immaginare le linee di un campo di battaglia, "Gli dei non possono venirci in aiuto in quanto non combattono in prima persona nelle guerre mortali e non possiamo aspettarci nessun altro, esterno o interno che sia. Dobbiamo contare solo sulle nostre forze."
Sospirò.
"Siamo solo noi." concluse Archie, con una nota tetra nella voce, come se si rendesse solo adesso di quanto fossero effettivamente nella merda.
"La tregua scade alle nove, ovvero ..." ricordò Luke, guardando l'orologio digitale dell'atrio, " Tra due ore e mezza esatte."
Bashir ingoiò un magone, spazzolandosi per bene la giacca di pelle macchiata di zolfo dei  mostri disintegrati e di polvere.
"Faccio io il primo turno." propose, stringendo la sua falce.
Jake trasalì quando la vide così vicina, beccandosi un'occhiata strana da parte del figlio di Tanato, ma liquidò la cosa scrollando le spalle, cercando di bleffare.
"Se vedo qualcosa che non va vi avverto." concluse e, prima che gli altri potessero dire qualcosa, sparì dalla loro vista come un corvo nero nella notte.
Archie si voltò verso il capannello delle ragazze, sedendosi accanto a Lia che lo guardò, stanca, mentre lui ingoiava un pezzetto di ambrosia per curare le sue ferite.
Jake non era stato ferito, fortunatamente.
Diede un ultimo sguardo al corpo di Warren che avevano disposto su un divanetto di pelle dell'ingresso, poi si morse un labbro e lo coprì con un vessillo da guerra che avevano raccattato nel campo di battaglia, prima di trovare un metro quadrato di spazio ed addormentarsi.
Sospettava che quella sarebbe stata la loro ultima notte.
 
 
Ovviamente, più la situazione si fa pericolosa, più i mezzosangue sognano da schifo.
Lo spazio nel quale fu proiettato era uno spazio atemporale, lo percepiva, nel silenzio e nel buio più assoluti: tutte le cellule del suo corpo urlavano al pericolo, mentre lui fletteva le dita, aprendo e chiudendo le mani come per risvegliarle da un lungo coma.
Sentiva che c'era qualcuno lì e,anche se lui non riusciva a vederlo fisicamente, sapeva che era lì, come se un pezzo di sé stesso riconoscesse l'essenza a cui si ritrovava davanti.
"Padre." sussurrò, terrorizzato, sperando che non fosse vero, anche se tutto intorno a lui dava voce alle paure più recondite, quelle che lui sperava fossero sempre nascoste dentro di lui e che poco prima della battaglia che aveva visto come unica vittima Warren, stava per confessare a Liz.
Liz, l'unica persona che aveva incontrato che non lo aveva giudicato per il suo aspetto, per il suo carattere, per il lato misterioso che tendeva sempre a mantenere alto, come una sorta di corazza che gli impediva di cadere a terra e frantumarsi in mille pezzi.
Piccoli puntini di luce danzarono davanti ai suoi occhi, plasmando i contorni di una figura molto più alta di lui e che, al confronto, fece sentire Jake una nullità.
"Si." rispose una voce metallica, come coltelli sfregati su una pietra, "Hai indovinato, figlio mio."
Se solo suo padre fosse stato davvero visibile e quello non fosse stato un sogno, Jake avrebbe volentieri preso a calci il suo fondoschiena divino.
"Non hai il diritto di chiamarmi così." sibilò stizzito lui, spostando il peso del suo corpo da un piede all'altro, nervoso.
Suo padre rise e fu un'atroce tortura per le povere orecchie di Jake.
"Sei irritante come tua madre." ridacchiò lui, "Peccato che sia morta solo qualche millenio di anni fa, mi sarei divertito molto con lei."
Ricordare a Jake che aveva più di duemila anni in più di Liz fu un colpo basso, davvero basso.
"Invece mi ritrovo con te, l'essere che duemila anni fa mi avrebbe dovuto aiutare a battere quegli insulsi dei dell'Olimpo e che invece adesso parteggia per loro." ringhiò la voce e fu come se un terremoto stesse scuotendo il mondo onirico di Jake, "Presto sarai costretto a rivelarsi, insulso ragazzino. Credi che piacerai ancora ai tuoi amici, a quella ragazza, quando scopriranno chi sei?"
Il contatto si stava indebolendo.
"Sarò io a ridere per ultimo, mezzosangue."
 
 
Per poco non sbatté la testa contro la fronte di Daphne: la figlia di Afrodite aveva gli occhi lucidi e rossi, i capelli sparpagliati, tutte cose che uan figlia della dea dell'amore non poteva permettersi, ma che lei riusciva a fare benissimo.
"Non c'è più tempo." sussurrò, alzandosi e stringendo forte il suo arco come se ne andasse la sua vita e, in un certo senso, era vero, "Ulisse ha violato la tregua, siamo sotto attacco."
Jake fece appena in tempo a registrare quell'informazione che era già sul campo di battaglia, sentendo montare dentro una rabbia che non aveva mai provato: voleva trovare Ulisse, voleva vedere il suo corpo in fiamme, quello di Partenope ridotto a brandelli e il loro esercito sbaragliato, ma non poteva farcela da solo e lo sapeva bene.
Avrebbe dovuto attingere al suo potere e non voleva.
L'urto con l'esercito non fu dei migliori: loro erano già stanchi, il morale sotto i piedi e le ferite fresche che squarciavano la carne, come avrebbero retto il confronto contro un esercito tale?
"Lascia andare, mezzosangue." sibilava la voce di suo padre, "Lascia andare."
Perse totalmente il controllo: dentro di lui, la razionalità aveva perso la battaglia che da duemila anni a questa parte portava avanti contro la brama di potere e adesso giaceva schiacciata, la faccia nella polvere retta dai piedi della freddezza e del buio interiore.
Sentì i suoi occhi farsi più scuri, il suo corpo diventare più robusto, mentre nelle sue mani Piros e Krios si fondevano per dare origine ad una sola lama: una falce, il simbolo del comando di Crono.
E adesso, Jake era diventato il suo crudele e perfetto erede.
Quasi gli sembrò di sentire ridere nelle sue orecchie quando si lanciò in battaglia, i suoi occhi rossi naturali sembravano oscurati da una sorta di Foschia nera che gli impediva di distinguere la realtà dalla menzogna.
Continuò a falciare dracene, telchini, mostri di ogni genere e qualunque cosa che gli capitasse lungo la strada, mentre sentiva le urla di quelli che un tempo erano i suoi amici alle sue spalle.
Per poco non uccise anche Luke che riuscì a scansarsi in tempo, allontanandosi per abbattere una dracena ed evitare di incappare ancora nella sua furia.
Anche la voce non era più la sua: sembrava più cupa, fredda, gutturale.
"Servimi per lo scopo per il quale sei stato creato." disse la voce di suo padre nella sua testa, "Reclama la vendetta che mi spetta di diritto, mostra la potenza di Crono al mondo, semidio!"
Ulisse era a pochi metri da lui, riuscendo a salvarsi la pelle grazie alla sua lama che cozzò contro la falce nera del figlio di Crono: ormai la sua armatura era caduta, perché continuare a mentire?
Schioccò le dita, fermando il tempo e lo spazio per un attimo, accusando il colpo poco dopo che lo costrinse a farlo ripartire, roteando la falce in modo eccezionale, mandando al tappeto Ulisse e sbaragliando intere file di telchini e mostri, ricoprendo sé stesso di zolfo e polvere, crogiolandosi del sangue dei mostri, dei suoi amici.
Liz.
La figlia di Efesto avanzava verso di lui, la spada Pyr alla mano, il passo lento e costante, senza paura: alla sua vista, Jake sembrò arrestare la sua furia assassina, la brama di potere e vendetta che bruciavano dentro di lui.
"Jake." chiamò lei, avanzando verso di lui senza paura, "Jake, puoi sentirmi?" chiese quando finalmente furono a pochi passi l'uno dall'altro, Ulisse che fuggiva via dalla sua lama.
"L-Liz." sussurrò Jake, mentre la sua vita cominciava a scorrergli davanti agli occhi, dalla sua nascita, passando per il campo mezzosangue e arrivando fino al bacio che lui e Liz si erano scambiati nell'atrio dell'Empire State Building.
"Sono io, non mi riconosci?" domandò lei, poco prima di bloccare con la sua spada un fendente che non era stato mosso da Jake, ma dal mostro che si era risvegliato in lui.
"L-Liz." gemette ancora lui, come se fosse un nastro su cui era incisa solo quella frase.
Prima che potesse dire altro, Liz si avvicinò a lui e lo baciò, andando oltre l'aspetto che in quel momento mostrava, andando oltre il fatto che aveva tentato di ucciderla e sul fatto che poteva farlo ancora con un colpo veloce della sua falce, quella che stringeva ancora in mano.
E fu quel bacio a salvarlo.
 
 

 
[...]
 
 
Luke,
"Give me a Long kiss Goodnight"
 
 
Avete presente quando nelle fiabe dicevano che non c'è magia più potente dell'amore?
Beh, a volte bisognava dare ragione ad Afrodite: se non ci fosse stata lei, tutto ciò che rende migliore il nostro mondo non sarebbe mai esistito e loro non avrebbero potuto sopravvivere se non fosse stato per il coraggio ispirato dall'amore di Liz che aveva convinto la figlia di Efesto a baciarlo e a sperare nel meglio.
Subito dopo che le loro labbra si incontrarono, Luke fu investito da una forte onda d'urto che quasi lo mandò a tappeto mentre stava atterrando una dracena in veste da gladriatrice.
I capelli biondi gli volarono davanti agli occhi, mossi da un vento che aveva preso a spirare: quando riaprì gli occhi Liz e Jake erano circondanti da un cerchio nero di metallo fuso, ed erano le uniche cose superstiti nel raggio di venti metri nei quali si stendevano linee nere come se nel punto in cui vi erano Liz e Jak si fosse abbattuto un meteorite.
Luke non poteva permettersi di essere sentimentale, non adesso almeno dato che doveva rimanere il più razionale possibile per poter vincere quella guerra: si lanciò ancora in battaglia, roteando l'ascia e colpendo quanti più nemici potesse.
Urlò di dolore quando una freccia lo colpì sulla spalla destra, quella che usava per combattere: disintegrò il mostro che l'aveva colpito, rivolgendogli uno sguardo inferocito, passando l'ascia nell'altra mano dato che era stato addestrato a combattere con entrambe.
La sua mente era un unico groviglio distorto di pensieri, mentre accanto a lui continuavano a schizzare mostri e semidei: intravide Jake e Liz combattere schiena a schiena, Bashir attaccare con una falce simile a quella che aveva sfoderato prima il figlio di Crono, mentre Archie continuava a correre come un pazzo nel mezzo della battaglia e orde di mostri si disintegravano sotto i colpi magici di Lia ed Hope.
Dov'era Daphne?
Luke scrutò il campo di battaglia, per quanto gli fosse permesso, mentre il cielo minacciava nuova pioggia.
E Selene?
Luke non poteva saperlo dato che era dovuto scendere in campo alla prima avvisaglia del tradimento di Ulisse, una cosa che si era aspettato, ormai: se una volta lo aveva stimato, ora non nutriva più nulla nei suoi confronti se non odio e rancore.
E il suo difetto fatale era proprio il portare rancore.
"Limita le perdite."gli disse una parte della sua cosciena, mentre, proprio quando tutto sembrava volgere a loro favore, nuove creature della notte si sparsero per Manhattan con a capo, ovvio, il grande idiota Odisseo.
"È il tuo compito, è il compito di ogni stratega che tiene al suo esercito."
Luke non sapeva chi fosse a parlare, se la sua coscienza, sua madre o quell'imbrogliona di Partenope, ma sentiva che, anche se nefasta, quella voce aveva ragione: era lui lo stratega, lui avrebbe dovuto escogitare un piano per evitare di spargere sangue.
Lui avrebbe dovuto evitare che Warren morisse.
Si sentì un idiota, un codardo e anche un traditore, lasciando quasi la presa sulla sua arma, prima di infilzare un segugio infernale che rischiò di staccargli una gamba.
La spalla bruciava come mille soli.
Si ritirò in disparte e guardò la battaglia: Liz e Jake che venivano sopraffatti dalla folla, Archie che sbucava di tanto in tanto, Hope che intraprendeva un combattimento corpo a corpo con un lestrigone, mentre Lia continuava a maledire chiunque le si avvicinasse, controllando l'enorme bestia-avatar-leone che faceva strage di nemici.
Ma Luke sapeva che non sarebbe bastato.
Nove semidei non potevano permettere ad un esercito così grande di ottenere ciò che voleva, non da soli almeno: se solo avessero avuto qualche dio dalla loro parte, ma l'ultima volta che una delle divinità olimpiche li aveva aiutati il prezzo da pagare era stato più grande di quello che potevano permettersi.
No, avrebbe dovuto essere lui a fermare quella guerra.
Limita le perdite.
Si sarebbe consegnato ad Ulisse e avrebbe fatto in modo che non facesse del male ai suoi amici: in realtà lui si sentiva già morto, quindi non sarebbe stato così male morire per davvero.
Daphne, chissà come, fu attirata accanto a lui, lo prese per mano e lo implorò con gli occhi, come se avesse già capito cosa stesse per fare.
Le cadde l'arco di mano.
"Luke, non puoi ... "
Le si spezzò la voce per il dolore, mentre si metteva una mano davanti alla bocca per impedirsi di urlare e dai suoi occhi cominciavano a scendere lacrime: persino così, tra lacrime, polvere e sangue Luke la trovò bellissima.
Le prese le mani, accorgendosi che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe toccato qualcuno.
"Daphne, non piangere." sussurrò lui, mentre intorno a loro il mondo sembrava scomparire, "Devo farlo, devo limitare le perdite."
Si fermò, un groppo stretto in gola.
"Devo impedirgli di farti del male."
Lacrime solcarono il suo volto, mentre lei abbassava lo sguardo e si lasciava andare, abbracciandolo.
"So cavarmela da sola, Luke." ribattè, mentendo, "Ma ti prego, non farlo."
Si morse un labbro con la pura convinzione che avrebbe tanto voluto fare come aveva detto, ma semplicemente non poteva dare ascolto alle sue preghiere.
Prima che potesse aggiungere altro, le prese il viso tra le mani e la baciò, il lungo, ultimo bacio della buonanotte, mentre dagli occhi cominciarono a sgorgare fiumi di lacrime.
"Ti amerò per sempre, Daph." sussurrò lui, mentre le loro mani scivolavano l'una sull'altra, allontanandosi, "Bashir ti renderà felice."
La guardò per l'ultima volta.
"Ti aspetterò per sempre nell'Elisio."
Si voltò, gettando a terra la sua ascia, lasciando che le orde di mostri lo lasciassero avanzare fino al loro comandante: Ulisse si rigirava la sua lama in mano, proprio sul bordo del ponte che passava accanto all'Empire State Building, compiaciuto che il suo agnello venisse a morire per mano sua.
Luke alzò le mani, poi si sentì investito da un onda tiepida, voltandosi appena in tempo per accorgersi che Jake aveva fermato il tempo, scotendo, con le lacrime agli occhi, la testa, in segno di disapprovazione.
Luke, con un enorme sforzo di volontà, si morse il labbro, chiudendo gli occhi  e lasciando che una singola, calda lacrima scivolasse lungo la sua guancia.
Poi il tempo ripartì.
"Mi consegno." disse, nel silenzio più totale, rivolgendo il suo sguardo più duro ad Ulisse, "Lascia stare i miei amici."
"Vuoi che risparmi gli altri ragazzini in cambio del tuo sacrificio?" chiese lui, mellifluo, avvicinandosi al figlio di Atena, "Va bene, visto che sarai l'ultimo a morire."
"Abbiamo un accordo?" chiese Luke, continuando a tenere le mani in alto.
Ulisse annuì, poco prima che soffocasse un urlo di dolore quando Luke si sfilò il suo pugnale dalla tasca e lo pugnalasse alla gola: il figlio di Atena aveva preso bene la mira, colpendo giusto l'aorta carotidea.
"Questo era per Warren, bastardo!" ringhiò Luke, affondando il pugnale nella sua gola fino all'elsa, non accorgendosi, però, che il sangue sulla maglietta arancione del campo che indossava fosse il suo: Ulisse lo aveva pugnalato, prendendolo su un fianco, costringendo a lasciare la presa sulla sua arma.
Daphne urlò, da qualche parte alle sue spalle.
Luke stramazzò al suolo, moribondo.
"Ho imparato a non fidarmi mai dei figli di Atena." commentò astioso Ulisse, schiacciando con i sandali la sua ferita e spingendolo sul bordo del precipizio.
"Stolto." rise, "Non mi hai nemmeno costretto a giurare sullo Stige."
Il cielo tuonò.
I figlio di Atena precipitò nel vuoto, muovendo le mani e i piedi per cercare in qualche modo di sopravvivere, invano, mentre Ulisse, d'alto del ponte, gli sorridesse, poco prima che anche la sua fedeltà cambiasse e la cupa ombra della morte scendesse imperterrita sul mondo.
L'apocalisse era vicina, il triangolo era stato completato.
Partenope stava risorgendo.

 
- - - 
*panda's corner*
Si, sono sadico.
Cioè, nello scorso capitolo ho ammazzato senza pietà Warren, adesso, purtroppo, affinchè il triangolo sia completo ho dovuto ammazzare un altro semidio e chi, secondo voi? çwç
Il nostro figliuolo di Atena ç____ç
Ok, io parteggio per Atena, ma uccidere uno dei miei fratelli è stata la cosa più dura che abbia mai potuto fare çwç L'ho fatto morire da eroe, pugnalando la giugolare di Ulisse e, quindi, condannandolo a morte ewe
Aspettatevi altri due morticini nel prossimo capitolo che sarà l'ultimo della battaglia. Il quindicesimo me lo riservo come epilogo, quindi u-u
E, quindi, il triangolo Daphne/Bashir/Luke si spezza e diventa la ship Daphir! :') Facciamogli un bell'applauso u.u
Prossimi ultimi punti di vista: Lia ed Archie :3 
Sento che partirà un'altra ship *^* Me le sono tenute tutte per l'ultimo xD 
Ovviamente ringrazio chiunque abbia messo tra le preferite, ricordate o seguite o, più semplicemente, chi legge silenziosamente xD 
Alla prossima :')


King
  
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