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Autore: Juu_Nana    02/09/2008    3 recensioni
- Sei davvero sicuro di non ricordare che giorno è oggi? - mi chiese di nuovo dopo che si fu chinata ed ebbe aperto lo sportello dell’elettrodomestico.
Un incredibile e deliziosissimo aroma di cioccolato si diffuse per tutta la stanza.
“Ma che cavolo deve succedere ogg...”
Cascai, o meglio, precipitai dalle nuvole.
“Oggi è il 2 settembre! È il mio...”
- Buon compleanno! -
Per Laura e il suo ventesimo compleanno! ^^
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bulma, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’amicizia è uno dei sentimenti più belli da vivere perché dà ricchezza, emozioni, complicità e perché è assolutamente gratuita. Ad un tratto ci si vede, ci si sceglie, si costruisce una sorta di intimità; si può camminare accanto e crescere insieme pur percorrendo strade differenti, pur essendo distanti, come noi due, centinaia di migliaia di chilometri. 

Buon compleanno Laura e scusami davvero se questa shot non è il massimo dell'allegria, ma davvero, non mi riusciva di scrivere altro vista l'ansia che avevo per gli esami. Spero comunque che possa piacerti, un abbraccio forte forte dalla tua scricciola!! ^^


Filigrana d'Argento



- Ahhh! - una capriola all’indietro, poi un salto in avanti e un calcio tirato al vuoto.
- Yahaaa! - uno scarto verso sinistra, un ki-blast e una violenta scarica di pugni.
Gocce di sudore schizzavano dal corpo ormai a ogni movimento e luccicavano alla luce del sole per un istante come piccole gemme lucenti prima di infrangersi e disperdersi al suolo.
Quanto tempo era che andavo avanti con quegli esercizi?
Ore? Giorni? O pochi minuti?
Anche adesso, quando tendo i muscoli e rilascio l’aura per un allenamento perdo ogni cognizione del tempo e penso solo a colpire, colpire, colpire...
Quel giorno però ero meno concentrato del solito, la mia mente era fissa su un pensiero preciso.
Mancava un giorno.
Solo 24 misere ore e avrei potuto rivedere mio padre, sorridergli, parlargli...
Semplicemente stare con lui.
Compii un’ ultima serie di ribaltate all’indietro, riassumendo poi la posizione di guardia verso un nemico immaginario, poi rilassai il mio corpo e mi ricomposi un po’.
Passai un braccio sulla fronte madida di sudore e la asciugai alla meglio, chiudendo gli occhi e concedendomi un sospiro di sollievo.
Ero stanco e sudato, ma mi sentivo benissimo.
Quella giornata era particolarmente bella: un sole allegro splendeva in cielo, che era di un limpido impeccabile, come se qualcuno avesse deciso di far pulizia e di cancellare ogni singola nuvola.
La temperatura era deliziosamente tiepida, nonostante fossimo ormai a fine estate e il canto gioioso di qualche uccellino che non era fuggito spaventato dalle mie urla rendeva l’atmosfera ancora più rilassante.
Se non fossi stato circondato dalle macerie che un tempo costituivano la mia città, tutto sarebbe stato praticamente perfetto.
Mi lasciai cadere stremato su un rudere che forse una volta era una casa, ansimando un po’ e afferrai il liso asciugamano che mi era portato dietro, iniziando poi a detergermi il sudore dal volto.
Decisamente non avevo più voglia di tirare colpi al vento, avevo la testa assolutamente troppo distante in quel momento, così decisi di tornare al rifugio sotterraneo da mia madre.
Un po’ perché non la vedevo dalla sera precedente, visto che non avevo voluto disturbarla quando mi ero alzato verso le 7 del mattino.
E un po’ perché il mio orologio mi aveva informato che ormai era l’una del pomeriggio e il mio regale stomaco non aveva perso occasione di ricordarmelo.
Così mi alzai in piedi e mi librai in aria, cercando di localizzare casa.
Dopo pochi secondi mi diressi verso le rovine di un edificio che non aveva praticamente nulla di differente rispetto al resto della città eccezion fatta per il color crema che si vedeva sui pochi muri superstiti.
Atterrai con un lievissimo “tump” e presi a guardarmi attorno, muovendo qualche passo.
Vivevo lì dentro da un pezzo, ma non riuscivo mai a individuare a colpo sicuro l’entrata, tanto era nascosta bene.
Poi, infine, riuscii a trovare quello che cercavo: un grosso lastrone di pietra con un’estremità poggiata a ciò che rimaneva di un muro fatiscente che sembrava reggersi in piedi per miracolo, non più alto di 30 centimetri.
Mi ci avvicinai e iniziai a girare intorno a quella strana sagoma con una mano sulla sua superficie liscia, alla ricerca della chiave d’entrata.
Eccola qua! Una crepa non più spessa di un capello di una curiosa forma che ricordava vagamente una “C”.
Senza indugio ci pigiai sopra la mano e come per magia la pietra si sollevò, rivelando un piccolo tunnel che scendeva in verticale munito di una scaletta a pioli.
Mi tuffai in quel nero cunicolo senza problemi e iniziai a fluttuare lentamente per raggiungerne il fondo, mentre il mio fino naso aveva già iniziato a percepire il seppur debole profumo del pranzo.
La botola segreta subito si richiuse sopra la mia testa e piccole lampade dalla luce azzurrina poste dirimpetto alla scala iniziarono ad accendersi al mio passaggio.
La scala terminava in un piccolo spazio e dritto davanti a me si apriva un altro tunnel, non molto alto, anche se ci passavo tranquillamente, ma decisamente molto largo.
Premetti un grosso pulsante rosso posto accanto all’entrata della galleria e sul soffitto si accesero decine di altri faretti azzurri.
Mi incamminai tranquillamente, mentre i miei occhi iniziavano ad abituarsi a quella luce fioca.
Il rumore dei miei passi rimbombava rendendo l’atmosfera un po’ inquietante e la luce fioca non contribuiva certo a rendere l’atmosfera più allegra...
Ma ormai c’ero abituato.
Non so quanto vissi là sotto di preciso, ma di sicuro è stato tanto, tanto tempo.
L’angusto corridoio terminò dopo un centinaio di metri circa in un’enorme e massiccia porta di lucido acciaio che sbarrava la strada.
Accanto ad essa c’erano un paio di pannelli ed è lì che mi diressi.
Un rilevatore di impronte digitali e un codice numerico, purtroppo mamma non aveva avuto a disposizione molti risparmi per i sistemi di sicurezza.
Alzai il dito indice e digitai in fretta i numeri d’accesso: 77372692* (* questi numeri hanno un loro significato, vi sfido a capire quale [vi do un indizio: serve un telefonino]), poi posai la mano destra sul pannello e uno scanner verde la analizzò.
- Bentornato signorino Trunks - disse una femminile voce metallica proveniente dalla macchina e il portone scivolò lateralmente consentendomi di entrare in casa.
Beh, se così vogliamo chiamarla...
C’erano solo una cucina, un bagno, la mia camera e la camera di mamma, con un accesso segreto all’ immenso laboratorio dove aveva messo a punto la macchina del tempo.
La stessa macchina che in quel momento se ne stava lì tranquilla terminando il caricamento dell’energia per il viaggio dell’indomani.
- Ciao mamma, sono qua! - mi affacciai con la testa sulla soglia della cucina, dove ero sicuro di trovarla.
Infatti era lì.
Dava le spalle alla porta ed era china sui fornelli da cui saliva un profumino delizioso.
Sentendo la mia voce, mamma si girò con un’espressione all’inizio un po’ spaventata, ma si rilassò subito e mi regalò un largo sorriso.
La prima cosa che notai però, furono le profonde occhiaie e l’aria spaventosamente stanca.
Ma non volli chiedere nulla.
Speravo solo che non avesse passato la notte a piangere su una foto di papà., mi faceva troppo male quando succedeva.
- Sei già tornato dagli allenamenti? Di solito devo venire a chiamarti io perché è pronto in tavola - mi disse bonariamente lei.
- Sì, lo so. È che oggi non avevo molta voglia... non riuscivo a concentrarmi come al solito - ammisi grattandomi la nuca.
- Ah, ho capito. Sei nervoso per domani? -
Non riuscivo mai a nasconderle qualcosa.
- Mi hai scoperto - dissi con un risolino imbarazzato.
Non credo mi sarei dovuto vergognare nell’ammetterlo, ma mi metteva addosso una strana ansia l’idea di vedere di nuovo papà.
In tutta sincerità, avevo un po’ paura di rimanere deluso, nonostante la mamma mi raccontasse spesso della sua... scarsa propensione a dimostrare direttamente i propri sentimenti.
- Beh, vado a farmi una doccia, prima che sia pronto il pranzo - mi congedai e mi diressi rapido verso il bagno.
- Trunks -
Mi fermai e mi voltai sorpreso, mentre mia mamma usciva dalla cucina e mi veniva appresso asciugandosi le mani sul grembiule un po’ sporco che aveva legato ai fianchi.
- Non ti ricordi che giorno è oggi? - mi chiese un po’ stralunata.
Rimasi un attimo spiazzato dalla domanda, ma mi ripresi subito e presi il mento con una mano, mentre l’altra teneva ancora l’asciugamano che avevo preso prima.
- Beh, è martedì, se non sbaglio - iniziai un po’ incerto e non capendo dove mia mamma volesse andare a parare.
- È anche il giorno in cui inizia lo sconto del latte, ma lo abbiamo già comprato venerdì... - continuai riabbassando su Bulma lo sguardo blu che avevo rivolto verso l’alto mentre pensavo.
Notai che mi sorrideva con una tenerezza infinita che non riuscii a collegare a nulla.
- Sì, hai ragione... di latte ne abbiamo abbastanza - mi disse con un tono alle mie orecchie eccessivamente dolce per una circostanza come quella.
Non seppi che altro dire, allora mia mamma si voltò e tornò in cucina a terminare il pranzo, ammonendomi scherzosamente.
- Se non ti sbrighi a lavarti mangerò tutto senza di te, corri -
“Mah, a volte non la capisco neanch’ io” mi dissi un po’ sconcertato aprendo la porta del piccolo bagno.

***

Mezz’ora dopo un’esigua pila di piatti sporchi torreggiava sul tavolo accanto a me.
- Oggi hai davvero superato te stessa, mamma! - bofonchiai a bocca piena ingozzandomi come se non vedessi un tozzo di pane da settimane.
Bulma occupava il posto davanti a me, aveva già finito di mangiare da un po’ e da allora fissava con dolcezza materna la mia furia nel fagocitare tutto ciò che si trovava nel piatto.
Diceva spesso che soprattutto in quei momenti le ricordavo papà.
- Oh, grazie tesoro. Te ne avrei volentieri preparato di più, ma sai, coi tempi che corrono non sono riuscita a trovare altro - mi ringraziò intrecciando le mani davanti al viso e poggiandoci sopra una guancia.
Le rivolsi un’occhiata furtiva mentre abbassavo leggermente il piatto praticamente vuoto.
- Non preoccuparti di questo, tanto sono pieno - mentii spudoratamente sovrapponendo anche l’ultima scodella in cima alla già nutrita colonna.
Poi mi appoggiai allo schienale della sedia e schiaffai una mano sulla pancia, con l’espressione soddisfatta e contenta di un bambino che ha appena finito di mangiare caramelle.
- Beh, sinceramente spero tu non sia pieno del tutto - mi disse mamma con un sorriso furbetto scostando la sedia e dirigendosi verso quel catorcio che era il nostro forno.
La guardai interrogativamente.
“Ma che ha oggi? Per tutto il pranzo non mi ha scollato gli occhi di dosso e ora spera addirittura che non sia sazio”
Cercai di ricordare se per caso quando ero ancora fuori avessi notato nuvole che preannunciassero una bufera di neve.
- Sei davvero sicuro di non ricordare che giorno è oggi? - mi chiese di nuovo dopo che si fu chinata ed ebbe aperto lo sportello dell’elettrodomestico.
Un incredibile e deliziosissimo aroma di cioccolato si diffuse per tutta la stanza.
“Ma che cavolo deve succedere ogg...”
Cascai, o meglio, precipitai dalle nuvole.
“Oggi è il 2 settembre! È il mio...”
- Buon compleanno! -
Mamma si avvicinò al tavolo con una grossa e appetitosa torta di puro cioccolato.
Sulla copertura lucida luccicava una grossa “T” di candeline accese.
20 candeline.
In quei giorni ero decisamente con la testa altrove.
Tra allenamenti quotidiani, trovare tutti i giorni qualcosa da mangiare e almeno un’ora al giorno passata a maledire i Cyborg ogni volta per qualcosa di diverso ero riuscito perfino a dimenticarmi del mio compleanno.
Ecco perché mamma mi guardava in quel modo prima...
Mi vidi posare davanti quel dolce che sembrava uscito direttamente da un sogno. Era una vita che non assaggiavo un pezzettino di cioccolata.
Dovetti fare uno sforzo per evitare che un rivolo di bava mi sfuggisse dalle labbra.
- Tanti auguri, tesoro. Esprimi un desiderio e soffia - mi incitò mamma sedendosi nuovamente di fronte a me.
 Io ero ancora perso nella contemplazione della torta...
- Ma dove hai trovato i soldi per gli ingredienti? - boccheggiai estasiato.
Da quando la popolazione mondiale si era ridotta a vivere alla stregua delle bestie, beni come il cacao o lo zucchero erano diventati rari e costosissimi.
- Tesoro, non sottovalutare le mille e una risorse di Bulma Brief - disse lei con orgoglio incrociando le braccia.
- Ho solo dovuto rinunciare a qualche pezzo per nuovi esperimenti. Non mi sembra chissà quale grande sacrificio se era per farti un buon dolce -
- Oh, mamma... - riuscii solo a dire.
Sapevo quando lei amasse costruire ed inventare, e checché lei dicesse, ero sicuro che era stato un sacrificio tutt’altro che irrilevante, il suo gesto mi aveva davvero commosso.
- Allora? Le spegni quelle candele o vuoi che intacchino il cioccolato? -
- Ah, sì... - mi ripresi e spensi in un sol colpo tutte e 20 le fiammelle senza sforzo.
“Desidero diventare abbastanza forte e sconfiggere i Cyborg senza praticamente sforzarmi”
Passarono un paio di secondi nel silenzio, mentre un fumo grigiastro si disperdeva per la stanza, poi Bulma afferrò un coltello e si tagliò una fetta, lasciandomi tutto il resto.
Abbiamo riso parecchio entrambi quando dopo neanche un minuto il piatto da portata era già completamente vuoto e la mia bocca sembrava attorniata da uno scuro alone maligno che però era solo cioccolato.
Non avevo idea che quel desiderio si sarebbe realizzato alla grande neanche un mese dopo...

***

- Uff, sono distrutto - mi lagnai gettandomi a peso morto nel letto aprendo le braccia e sprofondando la testa nel cuscino.
Ma chi me lo aveva fatto fare? Dopo pranzo alla fine avevo ripreso gli allenamenti, sapendo che il giorno dopo probabilmente avrei dovuto affrontare di nuovo quei mostri, anche se con l’aiuto di papà, del signor Goku e degli altri.
Mi ero detto: “massì, 10 minuti, che domani devo essere in forma...”
5 ore mi ero allenato, alla fine! E il mio corpo continuava a ricordarmi la mia scarsa dimestichezza nel tener conto del tempo che passava.
E così ero dolorante nel letto con l’unico pensiero di crollare addormentato e dormire almeno 12 ore filate.
Toc toc.
Voltai un po’ infastidito la testa verso la porta, con uno strano mugugno...
Mia mamma lo interpretò con un “avanti”.
- Tesoro? - bisbigliò entrando, mentre io mi tiravo faticosamente a sedere sul letto.
- Sì, che c’è mamma? - chiesi svogliatamente grattandomi il capo con una mano, mentre l’altra la usavo come sostegno.
Notai che teneva le mani dietro la schiena.
- Lo so che sei stanco e che non vedi l’ora di metterti a dormire, ma... - iniziò mentre io le facevo spazio sul letto e lei si sedeva accanto a me.
- Credo che ti farà piacere perdere qualche minuto di sonno per questo - concluse quasi in un bisbiglio tirando fuori da dietro la schiena un pacchetto di medie dimensioni avvolto in una carta azzurrina.
- Ma mamma! Non dovevi assolutamente... - cercai di oppormi debolmente. Per me ricevere regali era assolutamente un optional, anche per il compleanno, e io neanche ne volevo.
Non c’era spazio per queste cose, contava solo sopravvivere e mi sembrava troppo spendere soldi in regali.
Evidentemente mamma non aveva badato a questo e infatti mi spinse dolcemente il dono contro il petto, aspettando che io lo afferrassi con mano un po’ tremante.
- È un regalo fatto col cuore, non puoi rifiutarlo. E poi ci ho messo tutta la notte per metterlo a posto, vuoi buttare via tutto il mio lavoro? -
Aveva uno strano tono tra il triste ed il malinconico...
Mi decisi ad aprirlo e lo feci molto, molto lentamente, strappando il nero scotch isolante che era stato usato un millimetro alla volta, nell’estremo tentativo di non sciupare la carta.
E così, centimetro per centimetro, liberai da quell’involucro colorato una preziosa e bellissima cornice luccicante.
- Ti piace? È filigranata in argento, ci ho messo non sai quante settimane a trovarne abbastanza per poterla aggiustare, era davvero ridotta male. E stanotte l’ho riparata.  Uff, è stato un lavoro lunghissimo. -
- Grazie mamma, è bellissima - dissi, ruotandola dall’altra parte.
Mi inchiodai, quando notai la splendida foto racchiusa nel telaio.
- Questa invece, ci ho messo altrettanto tempo per decidermi a prenderla dal cassetto... -
C’era una donna sorridente dai capelli blu, a caschetto che si sporgeva verso colui che stava scattando la foto con un pacioso bambino che fissava incuriosito l’obbiettivo. I due occupavano gran parte della scena, ma a sinistra, sull’angolo dell’inquadratura, si vedeva distintamente un uomo dallo sguardo nero e dall’inconfondibile chioma che fissava con un mezzo sorriso lei e il bambino.

Era una giornata di sole e i tre si trovavano su un prato, forse il giardino che c’era una volta dietro la Capsule Corporation e lui era appoggiato con la schiena a una parete lucida color crema.
Attonito, senza parole, posai una mano sulla figura più piccola, dagli occhioni blu e un ciuffo sbarazzino di capelli lavanda.
- Questo sono io - mormorai. Mamma si limitò ad annuire in silenzio. Non la guardavo negli occhi, ma ero sicuro che i suoi fossero lucidi.
- Quella sei tu - continuai accennando alla donna che era ancora poco più di una ragazza.
- E questo... - spostai la mano facendola scivolare sul vetro fino a raggiungere il volto dell’uomo.
- Questo è papà - conclusi, sempre tenendo un tono di voce bassissimo, quasi per non disturbare il momento di gioia spensierata immortalata per sempre in quella fotografia.
All’inizio mi risultò un po’ assurdo associare il duro cipiglio che avevo visto in faccia a mio padre tre anni prima con quel pallido sorriso su quel viso.
Era un sorriso così, così... non saprei neanche come descriverlo.
Era paterno, protettivo, quasi dolce.
Alzai lo sguardo sul volto di mia madre che era del tutto uscito dal mio campo visivo.
Fissava la foto, con uno sguardo che metteva tristezza solo a guardarla: malinconia, dolore, tenerezza... stava ancora sorridendo, ma sembrava che le labbra si fossero forzatamente congelate in quella posizione.
Piangeva.
Piangeva in silenzio con il sorriso sulle labbra.
Piangeva piccole perle liquide che scivolavano abbondantemente dai suoi occhi di cielo, così simili ai miei e le rigavano le guance pallide fino a soffermarsi sul mento un attimo e poi precipitare sulle mani raccolte in grembo.
Non seppi che cosa dire.
Non mi venne in mente nemmeno una parole per cercare di esserle un po’ di conforto.
Io, almeno, quei momenti di gioia spensierata come quello ritratto nell’immagine non li avevo mai vissuti, non potevo sentirne la mancanza.
Lei invece, lo sentiva eccome quel vuoto.
- Mi manca... mi manca così tanto - aveva la voce spezzata e tremante e accarezzò anch’ella la foto fino a raggiungere la mia mano, ancora posata sul volto di papà.
- Sai, se non ci fosse da combattere e non fossi sicura di creare un pasticcio temporale assurdo... ti chiederei di lasciarmi andare al tuo posto - mi confessò stringendomi forte le dita e sforzandosi di interrompere il flusso di lacrime.
- E se non fossi sicuro che rivederlo e dovertene allontanare di nuovo ti farebbe stare ancora più male, ti cederei volentieri il mio posto -
Ricambiai la sua presa, stando bene attento a non farle male.
Al che, lei sollevò lo sguardo da quello nero di papà per incrociare il mio.
Sciolse la mia stretta e avvicinò lentamente la mano sul mio volto, fino a raggiungere il contatto.
- Più passa il tempo... e più gli assomigli - disse accarezzandomi delicatamente.
- Sì, lo so, mamma. Me lo dici spesso - tentai un sorriso.
- Oh, oh, scusami tesoro - anche lei cercò di imitarmi, ma a metà tentativo la sua espressione si incrinò e si infranse mentre mi si tuffava tra le braccia esplodendo in singhiozzi.
Davvero, ci furono pochi compleanni in cui vidi versare tante lacrime, ma era impossibile pensare che anche solo rivedere la faccia di Vegeta non le recasse reazioni simili.
Appoggiai anch’io le mani sulla sua schiena e incassai il mento sulla sua spalla, nascondendomi un po’ tra i suoi capelli, mentre lei si era stretta convulsamente a me come se anch’io dovessi uscire dalla porta di casa per non tornare più.
Andandosene, papà ci aveva lasciato un vuoto, un vuoto diverso per me e per lei, ma allo stesso modo incolmabile, un vuoto che faceva un male cane solo sfiorandone il ricordo.
E tutto per colpa loro... solo per colpa di quei maledetti androidi!
Mi strinsi più forte a mia madre, che non accennava a smettere di piangere.
Avevamo entrambi paura di perderci, lo sapevo, lo capivo.
Dovevo diventare più forte.
Dovevo assolutamente diventare più forte.
Dovevo ad ogni costo evitare che anche l’ultima delle persone a me più care in questo universo mi venisse strappata via per quel gioco insensato.
Dovevo dimostrarmi forte e lo feci. Non versai neanche una lacrima e rimasi stretto a mia madre fino a quando lei non riuscì a calmarsi del tutto.
Solo allora ci staccammo l’uno dall’altra e finalmente riuscì a sorridere in modo sincero.
- Scusami tanto Trunks, non avrei dovuto dare libero sfogo alle lacrime proprio il giorno del tuo compleanno - si scusò mortificata stringendo le mie mani nelle sue.
- Oh, non preoccuparti, è dura mantenere un sorriso per tutta la giornata con quei mostri in giro. E poi piangere ogni tanto fa bene - la rassicurai usando il tono più leggero che riuscii a trovare.
Lei annuì e poi mi abbracciò di nuovo, un abbraccio caldo stavolta, non disperato come prima.
- Trunks, mi sembra ieri che mi hai chiamato mamma per la prima volta... e adesso non posso nemmeno più chiamarti “il mio bambino”, tanto sei diventato grande. Tuo padre sarebbe così... fiero di te - mi sentii vibrare dentro d’orgoglio e commozione, a quelle parole, soprattutto a quell’aggettivo sottolineato con forza.
- Promettimi che domani non commetterai imprudenze e che tornerai sano e salvo - il suo tono di voce sembrava quasi pregarmi.
- Certo mamma - risposi senza esitare.
- E quando tornerò, ricaccerò quei due demoni nell’unico posto in cui meritano di stare. L’inferno. Un inferno come quello in cui ci hanno costretto per tutti questi anni -
Lei si sciolse dall’abbraccio e mi fissò, orgogliosa di come ero cresciuto e diventato nonostante tutto quello che avevamo passato.
- Su, ora è il caso che tu vada a dormire, se no domani non avrai la forza di alzarti - riacquistando la grinta a cui ero abituato, Bulma si alzò in piedi e si incamminò verso la porta.
- Basta lacrime, è tempo di combattere, altro che -
Quella frase in particolare mi strappò un risolino.
Se mamma avesse avuto i poteri dei saiyan i Cyborg sarebbero già stati annientati da un pezzo, mi dissi.
- Buona notte Trunks - mi salutò quando fu sulla porta mentre io sfilavo le coperte e iniziavo ad entrarci.
- Buona notte mamma - risposi io tranquillo, mentre lei mi spegneva la luce come quando ero piccolo.
- Ti voglio bene tesoro -
- Anch’io ti voglio bene -
  
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