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Autore: RamaDFZ    17/07/2014    2 recensioni
Questa storia non ha pretese, né direzione, un po' come i due ragazzi che ne sono protagonisti. Entrambi sembrano essere stati gettati per caso sulla scena e, forse, è così. Entrambi cercano qualcosa, o la nascondono, "Behind The Wall".
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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The Wall

 



 

 

 << Io proprio non ti capisco! >> mi disse D. una mattina. Era seduto accanto a me sulla panchina e studiava con attenzione il portachiavi-apribottiglie che gli avevo regalato.

<< Perchè? >> gli chiesi, ben conscia che non avrebbe esitato neppure un secondo a sparare la sua sentenza.

<< Non mi conosci così bene, potrei essere un pazzo pervertito pronto a farti del male. >>

<< So già che lo sei. >>

Mi rivolse prontamente uno sguardo seccato, uno dei suoi soliti, uno di quelli che pretendono di esprimere superiorità senza alcun ritegno. Io, ovviamente, non demorsi. Odiavo lasciarlo vincere, anche se non capivo mai esattamente per cosa stessi combattendo, o contro chi.

<< Cos'è quella faccia? Io so benissimo che tipo sei, mi hai raccontato... >>

<< Appunto! Tu sai eppure te ne vieni ugualmente in giro con me, così, all'avventura. Non sei spaventata?>>

Feci finta di soppesare le sue parole, di meditare attentamente per qualche secondo.

Feci finta, come sempre.

<< No, non ho paura. >>

D. tornò a concentrarsi su quello stupido portachiavi-apribottiglie, palesemente indifferente alla mia risposta, come stentasse a crederci. Sapevo benissimo che, in quel momento, avrebbe voluto allontanarmi, ma ignorava come fare o, molto più realisticamente, non ne aveva le forze.

<< Senti, nervosetto, non ti è mai passato per la testa che essere aggredita possa essere esattamente ciò che voglio? >> gli chiesi dopo un po', incrociando le braccia dietro il collo con aria rilassata. Mi sentivo talmente stupida che avrei preferito sprofondare sotto terra. Talvolta le conversazioni tra noi erano così inutili e deviate da rasentare l'idiozia... Ma, forse, non riuscivamo ad evitarle proprio perché ci sentivamo inutili, deviati e, a tratti, anche un po' idioti.

D. socchiuse gli occhi, prima di rispondere alla mia provocazione, se tale la si potesse definire.

<< Non farmi ridere! Tu sei il tipo che correrebbe subito a denunciarmi. Lo so io, cosa vuoi. >>

<< Ah sì? >>

<< É così facile leggerti,voi donne siete fatte tutte allo stesso modo. Tu vuoi volermi bene. >>

Ebbi un lieve sussulto. Non mi aspettavo certo una simile uscita, da parte sua...

<< Come siamo presuntuosi! Non sei certo l'unico maschio in circolazione. A me piacciono le cose semplici, i piaceri effimeri. Ciò che non vuoi darmi tu, lo posso prendere tranquillamente da altri.>>

“Altri senza ansia da prestazione...” avrei voluto aggiungere, ma per quella volta mi trattenni.

<< Quante palle dici! E chi ti prenderebbe mai?! >> esclamò lui, sbeffeggiandomi senza pietà. Mi pentii subito di non averlo ferito prima.

<< Vaffanculo! Sei solo un pezzo di merda! >>

D. sorrise guardandomi dritto negli occhi, in quel modo particolare che riusciva a scuotermi fin dentro il midollo.

<< Lo so che sono un pezzo di merda, altrimenti non sarei qui. >>

“Altrimenti io non sarei qui” rimuginai, pensando alla mia condizione di patetico clichè femminile.

 

Rimanemmo ancora qualche minuto seduti sulla panchina, in silenzio, ascoltando solo il vento che sibilava tra i pini del parco. Quello era davvero un posto fantastico, o almeno così lo vedavano i miei occhi privi di grosse aspettative. Era piccolissimo, un po' sporco e sicuramente poco riservato, ma era mio, un posto che sentivo mio, e non l'avrei mai dimenticato.

Con D. vicino, la mia mente si spingeva di continuo verso pensieri ben poco casti, eppure non ero mai stata quel tipo di persona, quel tipo di donna... Che D. mi stesse impartendo lezioni su me stessa? Sinceramente, dubito fosse capace di far qualcosa per qualcuno che non fosse egli stesso. Eppure lo volevo, disperatamente. Quella mattina così fredda, su quella maledetta panchina così scomoda, avrei potuto abbandonarmi a qualsiasi perversione, se solo fosse stato lui a chiedermelo. Vegetavo in uno stato mentale alterato, sì, vegetavo perché il mio non era esistere. Frenesia allo stato puro. Annaspavo in balìa dei suoi umori cangianti. 

<< E se ti mostrassi il seno, qui e adesso? >> chiesi d'improvviso a D. senza connettere bocca e cervello. Mi vergognavo profondamente di me stessa, perchè agivo e parlavo come un'altra persona, una persona stupida.

Ma se quella non ero io, allora da dove venivano lo squallore ed il delirio?

<< Le tue tette sono troppo piccole, mia cara. Credi di avermi incuriosito? >> disse lui, schernendomi ancora.

<< Ti assicuro che, per quanto piccole, sono molto carine. >>

<< Mi spiace, ma in questo frangente preferisco la quantità alla qualità. É anche vero che non spezzerei mai il tuo cuoricino, quindi, se proprio ci tieni, mostrami la mercanzia. >>

Iniziai a fissare D. con aria di sfida. Aveva le labbra serrate, malcelando lo sforzo di non ghignare. Faceva l'indifferente, come sempre, arroccandosi nel suo stoico infantilismo. Ma anch'io sapevo essere terribilimente infantile.

<< Pensi davvero che non avrei il coraggio di spogliarmi in pubblico? >>

<< No... So che lo faresti, perché sei completamente scollata dal mondo. Ma mettiamo il caso che passi qualcuno proprio mentre stai dando spettacolo, a quale conclusione pensi giungerebbe? Crederebbe subito che io, il maschio della situazione, stia costringendo te, la “femmina”, a spogliarti. In poche parole, sarei fottuto. >>

Tacqui e lui pure. Ormai non avevamo più nulla da dirci. Ero paralizzata, come se una secchiata d'acqua gelida mi avesse travolta. Il delirio era finito. A cosa stavo pensando? Com'ero capitata lì, con quella persona?

 

Fu D. a rompre nuovamente il silenzio.

<< Sai, credo mi piaccia parlare con te, di qualsiasi cosa. E questo non va bene. >>

Spalancai gli occhi. Ero sorpresa e di nuovo confusa. Non volevo credere a ciò che mi stava insistentemente urlando la mente, il cuore o qualunque altra cosa fosse.
Forse, adesso, un po' di paura ce l'avevo.

<< Che... Che significa? >>

Lui, con lo sguardo perso nel vuoto, non volle rispondermi. Potevo vedere le ombre di ricordi a me ignoti che si dibattevano nel profondo di quei suoi occhi così neri. Forse erano lacrime soffocate ciò che gli faceva vibrare le narici come ali di un uccello in agonia.

Volevo abbracciarlo, ma non me lo permise e mai l'avrebbe fatto.

<< Guarda che ore sono! Mi hai fatto fare tardi, scema maniaca che non sei altro! Comunque... Dovremmo vedere “The Wall” insieme, un giorno di questi. >>

<< Sì... “The Wall”. >>

 

D. captava sempre i momenti in cui iniziavo a volergli bene e sapeva perfettamente cosa dire per farmi desistere. Se solo fosse stato più bravo...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE CONCLUSIVE:

 

Come vi avevo anticipato, questa storia è talmente senza pretese da sfiorare il nonsense. Mi scuso con i fan dei Pink Floyd per i riferimenti, ma... Non potevo ometterli perché li volevo, semplice, quindi non vi sentite offesi, sarebbe inutile ;)

Sono risultata antipatica? Credo di sì... Spero di riguadagnare punti ringraziando davvero di cuore chi è arrivato a leggere sin qui.

Se voleve criticare o apprezzare questa “storia”, lasciatemi un commentino!

 

Un abbraccio

 

Rama

 

  
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