Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: kathy black    18/07/2014    0 recensioni
-“Kat tu non mi hai perso ok? Io sono qui con te ora”- e mi abbraccia dolcemente. È un abbraccio timido e sembra combattuto, sicuramente per colpa del depistaggio, ma è come un’ancora di salvataggio, come un’oasi in questo deserto, nel nulla che mi avvolge, come un raggio di sole che sfugge incontrollato ad una densa nube nera.
ho cercato di interpretare i pensieri di Katniss dal ritorno al 12 fino all'arrivo di Peeta. Due persone ridotte a cumuli di macerie che cercano di ricostruirsi. Insieme.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Scendo dall'hovercraft in silenzio. La realtà del distretto 12 è uno schiaffo in pieno viso. Ovunque mi giri macerie, morti e distruzione. Come me. Un guscio svuotato di ogni segno di vita. Non so come ma riesco ad arrivare alla mia casa al distretto dei vincitori. Vincitori... il solo pensiero mi dà la nausea, com'è possibile definire vincitore chi uccide altri per sopravvivere, chi si sveglia ogni notte con la consapevolezza che la vita stessa è un unico grande incubo, da cui inutilmente cerchiamo di uscire? Perché è questa la realtà: noi, vincitori, acclamati da folle entusiaste, pupilli della capitale siamo un ammasso informe di macerie.
Mi riscuoto in silenzio da questi pensieri, cerco di osservare Haymitch, un'espressione triste e dura sul volto, anche lui non riuscirà mai a liberarsi di questa agonia. Entro in casa e mi chiudo la porta alle spalle, senza curarmi di salutare il mio ormai ex-mentore, che importa? Il silenzio mi travolge, mi distrugge. Sono sola. Snow ci è riuscito, mi ha spezzato, mi ha lacerato, ha distrutto tutto ciò che c'era in me. Ed ora sono sola a fissare un camino senza fuoco, come me. Non più ragazza in fiamme, tutto fuoco e scintille, capace di sacrificare la sua vita e di uscire viva da due arene. Le fiamme non esistono più, la ghiandaia imitatrice non esiste più, la Katniss combattiva e coraggiosa non esiste più. Sono un guscio di pietra freddo come il ghiaccio, come il camino spento che mi guarda impotente. Mi lascio cadere sulla poltrona. Silenzio. È una presenza ingombrante, è lì a ricordarmi tutti quelli che ho perso: Rue, Finnick, Prim... Prim. Il solo pensiero della mia paperella mi provoca lacrime e un dolore così forte che nulla potrà mai placarlo. Mi è stata strappata via, lei così dolce, piccola, ma determinata. Ogni notte rivedo la mia sorellina trasformarsi in una torcia umana, dilaniata dalle bombe ideate da Gale. Altro dolore, altre lacrime. Era il mio migliore amico, forse avrebbe potuto diventare qualcosa in più, se non avesse ucciso mia sorella. Ora è al 2, lontano da me, ma quello che provo è solo sollievo. Il suo volto appare nei miei sogni insieme alla morte di Prim e rivederlo vorrebbe dire rivivere tutto questo dolore e io non voglio. Lo rivivo già troppo nei miei incubi. Me ne sto qui sola a piangere in silenzio. Forse avere qualcuno al mio fianco mi aiuterebbe ad andare avanti, ma chi potrebbe mai stare al mio fianco quando nemmeno mia madre è venuta qui con me? Avremmo potuto sopportare il dolore per la perdita di Prim insieme, trovare un modo per uscirne ma lei ha preferito rifugiarsi nel lavoro piuttosto di stare con me. Snow mi ha tolto tutto, persino il mio ragazzo del pane. Peeta. Solo pensare il suo nome è un pugno nello stomaco. In questi ultimi 2 anni il mio ragazzo del pane è stato il mio appoggio, la mia salvezza, l'abbraccio che mi confortava dopo gli incubi, il petto sempre pronto ad accogliermi nei momenti bui. Ora mi è stato sottratto anche lui. È stato depistato e mi vede come un malvagio ibrido. Ed è questo quello che sono, tutto ciò che è successo è colpa mia. È colpa mia se il figlio di Annie non avrà un padre, colpa mia se migliaia di persone del distretto 12 sono morte, colpa mia tutta questa distruzione, la morte di Boggs, i caduti nella ribellione. Ed è colpa mia se quegli occhi azzurri, quelle due distese tranquille e serene che rappresentavano la mia salvezza non torneranno più, coperte dal dolore delle torture e dall'oscurità del depistaggio. Quegli occhi così pieni d'amore solo pochi mesi fa, oggi sono carichi di odio. Peeta mi odia, mi vuole morta e io lo capisco. Lo capisco perché è quello che voglio anch'io. Martoriata fisicamente, trasformata da un ibrido di fuoco da quella maledetta esplosione, spezzata psicologicamente, dilaniata, ferita, abbandonata, sola, voglio andarmene da questo tunnel di disperazione, fuggire da questa vita crudele, chiudere gli occhi e ricongiungermi con tutti coloro che non sono più qui con me per causa mia. Così mi lascio trasportare dal dolore. Mi abbandono sulla poltrona fissando il vuoto fuori e dentro di me. Mi alzo solo per raggiungere il bagno o la cucina.
Sae viene ogni giorno, pulisce la casa, mi prepara due pasti al giorno e mi obbliga a mangiare. Mi racconta della situazione presente, del 12, della sua famiglia, di come molti stiano tornando qui. Ma io non rispondo, non parlo, non mi interessa. Mi sprona a cacciare, a fare una passeggiata, ad andare da Haymitch, ma non la ascolto, dentro di me c'è il deserto, una distesa monotona e infinita, un nulla che mi sta inghiottendo. Le giornate scorrono inesorabili, lente, troppo lente. Incubi, urla e lacrime la notte. Vuoto il giorno. Qualche volta Sae mi obbliga a fare un bagno. Non riconosco l'estranea con lo sguardo vacuo che mi fissa dallo specchio. Somiglia a me, ma quelle guance incavate, quegli occhi rossi sempre gonfi e lucidi, quelle occhiaie viola, quella vita così sottile, quei frammenti di pelle rosa acceso non sono miei. Tributo, ragazza innamorata, simbolo della ribellione, guida, chi è l'estranea che mi guarda dallo specchio? Tutto ciò che vedo è una figura esile spezzata dai lividi, dalle cicatrici, dal dolore, dalla perdita, dall'abbandono, dalla solitudine.
Il telefono squilla ogni giorno, una, due, tre volte. Non rispondo. Non voglio sentire le stupide domande del dottor Aurelius. Non voglio spiegare come sto. Voglio affogare il mio dolore e basta. Potrebbe essere anche mia madre, ma non le importava di me quando mi ha lasciato e non vedo come possa interessarle ora, o Gale. Sentire la sua voce potrebbe aprirmi una voragine nel petto. No, non voglio vedere o sentire Gale mai più. Il ragazzo con cui ho condiviso interi anni della mia vita, il ragazzo che cacciava con me nei boschi e che mi ha insegnato a costruire trappole ora non esiste più.
Lacrime copiose scendono lungo il mio viso, dovrei cercare di arginare questo dolore, ma a che scopo? Nulla potrà mai calmarlo, nulla potrà cambiare. Guardo fuori dalla finestra. Gli alberi hanno ormai perso tutte le foglie e le giornate si accorciano continuamente. Ormai saranno più di due mesi che sono ritornata del 12. Nessuna notizia di Peeta, probabilmente è ancora a Capitol City, per cercare di curare i flashback. Una fitta di dolore mi sconvolge, il mio ragazzo del pane non esiste più, ora mi vede per come sono veramente, un mostro spietato ed egoista che l'ha solo fatto soffrire e ingannato. Ragazza innamorata nella prima arena, completamente indifferente appena tornati a casa, poi di nuovo ragazza infiammata d'amore, Gale. È ovvio che Peeta mi odi, come potrebbe essere altrimenti? Io l'ho usato. Certo, non gli sono mai stata completamente indifferente, ma lui sapeva del bacio a Gale. Quanto deve aver sofferto per me? Haymitch ha ragione, l'ha sempre avuta, potrei vivere cento vite e ancora non lo meriterei.
-“Dolcezza! Mi ascolti o cosa? È importante!”- Haymitch mi risveglia bruscamente dai miei soliti pensieri -“smettila di piangerti addosso! Alzati! Svegliati!”- ma le sue parole non hanno effetto su di me, mi arrivano da un altro mondo, da chilometri di distanza -“tra un mese Peeta tornerà nel 12”- tuffo al cuore. E ora? 
Non so cosa pensare, cosa provare. Dall’orlo della mia disperazione dentro di me so che Peeta è l’unico che potrebbe davvero riunire i cocci di me stessa che ora sono sparsi e abbandonati. Ma lui non è più il mio Peeta, il ragazzo dolce e sincero in grado di risollevarti con uno sguardo o con quel suo sorriso delicato, da bambino, in grado di farti dimenticare tutto lo schifo e il dolore del mondo. Quel ragazzo non tornerà più. Haymitch parla ma io non ascolto. Non mi importa, non più. Mi alzo, vado in camera mia e mi butto sul letto. Ho voglia di piangere ma non ho più nemmeno le lacrime. Sae entra, mi fa mangiare e se ne va. Ormai non parla più con me. E me lo merito, perché è tutta colpa mia.
Quasi non mi rendo conto dello scorrere del tempo. Potrebbero essere passati minuti, secondi, ore o forse anni quando sento la voce di Haymitch al piano di sotto. Sta urlando con Sae, lo capisco. Infatti poco dopo lei sale, mi costringe ad alzarmi e mi porta nella doccia, costringendomi a lavarmi. Poi mi veste e mi prepara la colazione. Haymitch continua a blaterare, perché non sta zitto? Poi però con una sola piccola frase riesce a fare breccia fra i miei pensieri.
-“dolcezza muoviti! Dobbiamo andare a prendere il ragazzo in stazione”- No. Non oggi. Non posso rivederlo, lui mi odia e non potrei sopportare questa nuova consapevolezza. Alzo lo sguardo sul mio mentore e credo lui abbia capito il panico nel nulla che è ora il mio sguardo. All’improvviso mi prende per le spalle fin quasi a farmi male –“ Credi di essere l’unica ad aver perso qualcuno? Ad aver sofferto? Peeta ha perso la sua famiglia, ha perso te e cosa ancor più grave ha perso se stesso. Ma è qui. Sono stanco di voi due che vi ferite a vicenda, poi vi amate e vi allontanate per il bene dell’altro per ferirvi ancora di più. Siete qui e siete vivi. Cercate di vivere la vostra vita e di esserci l’uno per l’altra. Dovete ricostruirvi. Ora ti alzi, mi accompagni e mi devi promettere che aiuterai il ragazzo a ritrovare il Peeta di un tempo così come sono sicuro lui aiuterà te. Muoviti ragazza in fiamme!”-. Qualcosa scatta dentro di me. Non so se è il tono di Haymitch, non il suo solito ghigno strafottente, è come un tono rassegnato, preoccupato perché in fondo lui ci ha sempre voluto bene e credo che questa situazione ferisca anche lui, oppure il suo volto, che sembra più vecchio, sofferente, ma qualcosa emerge dentro di me, come un ricordo diafano, appena accennato, circondato da una nebbia densa e scura di dolore:
“Stai ancora cercando di proteggermi. Vero o falso?”
“Vero. Perché è questo che facciamo io e te. Ci proteggiamo a vicenda.”
Ed è quello che devo fare io ora. Proteggere Peeta. Perché non si merita questa distruzione, perché è buono, perché merita di poter trovare se stesso.
Annuisco leggermente a Haymitch e lo seguo. Tengo lo sguardo basso mentre cammino, non posso reggere la vista del distretto 12 distrutto per colpa mia. Perché ogni maceria, ogni pezzo di calce, ogni scheggia di legno in terra mi ricorda che nulla potrà tornare a com’era prima, che nulla potrà riportarmi loro. L’ansia mi avvolge in spirali sempre più intense mentre ci avviciniamo alla stazione. Haymitch poggia una mano sulla mia spalla. Normalmente non permetterei a nessuno di toccarmi ma questo gesto è confortante, perché io e lui riusciamo a capirci a vicenda e siamo simili, molto più di quanto saremmo disposti ad ammettere. All’improvviso lo vedo ed è come se il mondo si fermasse. I riccioli biondi sulla fronte, le spalle modellate dal lavoro nella panetteria e da due arene, le mani grandi e delicate e i suoi bellissimi, dolci e inconfondibili occhi azzurri. Sorride verso di noi e il mio mondo crolla. Crolla perché Peeta è qui ma non è davvero lui, crolla perché ora mi vede come sono veramente, crolla perché lui non mi ama più, non può amarmi dopo quello che ho fatto, crolla perché tutto quello che vorrei fare è sprofondare la testa nell’incavo fra il collo e la spalla per sentire il suo profumo di pane, perché solo lì sono a casa. Devo essere immobile da parecchi minuti perché Haymitch mi scuote. Peeta mi sta osservando ma non riesco a sostenere il suo sguardo. Non dopo quello che Snow gli ha fatto per colpa mia. Quando mi rivolge il suo educato –“Ciao Katniss”-   non riesco a rispondere. Un peso alla bocca dello stomaco me lo impedisce. Perché vorrei dire un sacco di cose ma non sono brava con le parole, e non vorrei dirgli niente, ma solo rifugiarmi a casa, fra le sue braccia. Una lacrima scende solitaria lungo la mia guancia e vorrei tanto scappare perchè sento il cuore chiuso da una morsa gelida. Ma lui è lì e la sua mano mi asciuga una lacrima. Questo gesto è tipico del vecchio Peeta, non del ragazzo depistato che ha cercato di uccidermi e di ferirmi. Lui è qui. Ed è difficile per entrambi ma è qui. E piango. Perché lui è stato strappato via da me. Perché l’hanno torturato. Perché mi ha ferito. Perché io l’ho ferito. Perché è colpa mia. Perché mi manca. Perché nemmeno io so il perché. E non mi interessa se qualcuno mi vede o se Peeta e Haymitch credono che io sia pazza. Davanti ai suoi occhi azzurri tutto l’argine che mi ero costruita per fermare il dolore si spezza. E così improvvisamente, cogliendomi alla sprovvista, il mio ragazzo del pane mi abbraccia. È un abbraccio timido, come se volesse chiedere il permesso, sa di dolore, lontananza, mancanza e disperazione. Ma lui è qui e nient’altro conta. Ci dirigiamo al Villaggio dei Vincitori. Loro parlano animatamente: Peeta chiede come vada la vita al 12, come gli abitanti si stiano ricostruendo una vita e vadano avanti. Chiede dei lavori, della ricostruzione, del Forno, di Sae. Haymitch cerca di coinvolgermi ma sono frastornata. È stata una giornata intensa. Arrivata davanti a casa mia entro senza fare un cenno, salgo lentamente le scale e mi lascio cadere sul letto. Dovrei alzarmi e mangiare ma non ho la forza di alzarmi. Non scendo per pranzo e non mi faccio vedere per ore. Sae bussa alla porta della mia camera.
-“ Katniss non puoi rimanere lì dentro per sempre. Preparati per la cena. Ci saranno anche Haymitch e Peeta. Potremmo cenare come una famiglia”-. Ma io non ce l’ho una famiglia. La mia unica ragione di vita dopo la morte di mio padre era Prim e ora è morta. Mia madre mi ha abbandonata rintanandosi nel suo dolore, dimenticandosi del mio, dimenticandosi di me. Gale mi ha tradito perché ha ucciso la mia paperella. Io non ho più una famiglia. Sono sola qui ad attendere la morte. A sperare che mi lascino morire in pace per rivedere tutti coloro che amo. Una vocina dentro la mia testa mi ricorda che qui c’è Peeta. Ma lui non è più il mio ragazzo del pane. Come potrebbe amare un ibrido di fuoco spezzato e abbandonato da tutti. Come potrebbe guardarmi se è tutta colpa mia questo mondo di ceneri in cui viviamo? Così resto qui. Non mi va di scendere a cena. Perché se il mio ragazzo del pane mi rifiutasse dopo l’abbraccio di stamattina io ne morirei. E c’è davvero troppo dolore ormai dentro di me. Non potrei sopportarne altro. Sento la porta aprirsi, Peeta deve essere arrivato. Sento delle voci, staranno parlando fra loro. Le voci si alzano sempre più e distinguo chiaramente quella di Peeta e quella di Haymitch.
-“Haymitch mi avevi fatto una promessa! Da quando sta così? Avresti dovuto salvarla, non stare lì a guardare mentre muore!”_
-“ Credi sia facile? Non parla con nessuno da quando siamo arrivati qui. A volte rifiuta di mangiare, di lavarsi, persino di alzarsi! Nemmeno si rende conto del tempo che passa! Mi sono stancato di voi due e di questa situazione. Tratta tu con dolcezza se proprio ci tieni tanto!”-
Sento la porta sbattere. Non credo di aver mai sentito Haymitch così arrabbiato. Non deve essere facile per lui. Anni e anni a veder morire ragazzini senza poter far nulla e quando riesce finalmente a salvare noi accorgersi che ci stiamo distruggendo. Forse dovrei almeno provare a vivere, fare un tentativo ma è tremendamente difficile. Con Peeta al mio fianco potrei farcela ma ho paura di restare ancora ferita e delusa. Qualcuno bussa alla porta. Non rispondo, sicuramente è Sae. Poi però sento la sua mano che mi accarezza dolcemente i capelli. Mi giro a guardarlo, stupita. I suoi occhi… non sa che cosa scatenano in me, quanto mi siano mancati.
-“Katniss ascolta… Io… Lo so che è difficile. Abbiamo sopportato delle cose orribili e so che hai perso molte persone nella guerra. Ma non puoi.. non devi lasciarti morire così. Devi, anzi dobbiamo cercare di andare avanti, di superare tutti gli orrori, tutte le cose cattive e terribili che abbiamo dovuto subire. Non possiamo dimenticare quello che ci hanno fatto, le nostre ferite, il nostro dolore, ma lasciarti morire non è una soluzione Katniss”-
-“Io devo morire capisci? Perché è tutta colpa mia, sono morti tutti per colpa mia e anche quello che hanno fatto a te…”-
-“Smettila! Non devi dire queste cose Katniss. Non sei tu il mostro. Tutto questo è colpa di Snow, non devi addossarti la responsabilità di tutto! Tu hai liberato le persone dalla minaccia degli Hunger Games, hai dato a centinaia di ragazzini la possibilità di avere un futuro, una famiglia. Hai fatto tantissimo per tutti! Non devi mai, e dico mai, pensare il contrario!”- la forza delle sue parole mi colpisce. Soprattutto mi stupisce il fatto che questo è un tipico discorso del vecchio Peeta, bravo con le parole e sempre attento alle persone che lo circondano. Solo ora mi accorgo che sto piangendo.
-“ ma io ho perso tutti. Finnick, Cinna, Prim, e persino te e la colpa…”- non riesco a continuare, troppo dolore. Non ce la faccio, non posso farcela.
-“Kat tu non mi hai perso ok? Io sono qui con te ora”- e mi abbraccia dolcemente. È un abbraccio timido e sembra combattuto, sicuramente per colpa del depistaggio, ma è come un’ancora di salvataggio, come un’oasi in questo deserto, nel nulla che mi avvolge, come un raggio di sole che sfugge incontrollato ad una densa nube nera.
-“Dovresti mangiare qualcosa. Sei davvero troppo magra e debole ora. Ti ho portato la cena”- vedo un vassoio sul comodino vicino a me. Peeta ha pensato a me, a come fari stare meglio. 
Mi rendo conto di quanto Haymitch abbia sempre avuto ragione su di me. Peeta ha subito delle sofferenze atroci, ha perso la sua famiglia, è stato depistato, ma è qui con me ora, a consolarmi e a fari stare meglio. Potrei vivere cento, mille vite e ancora non meriterei di averlo qui accanto a me. Ma sono egoista e abbandono il pensiero, perché averlo qui con me è davvero qualcosa di troppo bello. Non posso sopportare che vada via da me. Non possiamo stare lontani. Troppo dolore. Troppa mancanza.
Peeta mangia qui insieme a me. Sae ha preparato lo stufato ma il pane è quello di Peeta, potrei riconoscerlo fra mille. Sento lo sguardo di Peeta su di me.
-“tu adori il pane alla cannella che cucino io e le mie focaccine al formaggio. Vero o falso?”- non posso credere che lo ricordi, dopo quello che ha passato. Credo mi scappi un mezzo sorriso.
-“vero. Dopo che siamo tornati dalla prima arena le cucinavi sempre. Ricordo che ne mangiavo moltissime”- lui sorride. È un sorriso così dolce e innocente, quasi da bambino. Mi scalda il cuore. Rimaniamo così per un po’. Giochiamo a vero o falso, lui mi fa domande su qualche ricordo che non è chiaro e io gli rispondo. Non mi va ancora molto di fare lunghi discorsi ma sembra che le mie risposte siano comunque utili. Lo aiutano a ricordare chi era, ad allontanare i fantasmi del depistaggio.
Dopo un po’ di tempo Peeta nota che sto sbadigliando. Cerco di nascondermi perché sto bene qui con lui e non voglio che se ne vada ma lui se ne accorge.
-“Buonanotte Katniss”- mi sfiora una guancia e si alza per andarsene. No. Non può andarsene. Non può. Vado in panico. Non voglio che mi abbandoni. Inizio a chiamarlo. La voce che mi esce è disperata, non sembra nemmeno la mia.
-“Peeta, Peeta ti prego rimani qui con me”- è combattuto lo vedo. E so perché. Perché Peeta pensa sempre prima al bene degli altri e ha paura di farmi del male. Ma non ce la faccio, non posso affrontare gli incubi senza di lui.
-“Kat non posso… io… se ti dovessi fare del male non saprei mai perdonarmelo. Non posso capisci? Io… io vorrei rimanere qui. Lo vorrei tanto… ma non posso… io… no Kat”- posso leggere nei suoi occhi tutta la sofferenza. Ma non posso darmi per vinta perché non posso sopportare di perderlo ancora.
-“Peeta, ti prego… io… gli incubi… non ce la faccio da sola… io… io ho bisogno di te”- all’improvviso mi guarda, come folgorato da qualcosa, e i suoi occhi brillano
-“ tu mi hai già detto questo in passato. Vero o falso?”-
-“vero. Tu volevi morire perchè pensavi che nessuno avesse bisogno di te. Ma io non avrei potuto farcela senza di te. Avevo bisogno di te e.. e ho ancora bisogno di te ora, qui, al mio fianco”- non riesco  capire da dove sia uscito tutto questo flusso di parole. Io non sono brava a parlare, a dire quello che sento, a esprimere quello che provo. Forse è la vicinanza di Peeta a cambiarmi, a rendermi una persona migliore. Lui riesce a vedermi dentro, a capirmi come mai nessuno aveva fatto. I suoi occhi limpidi riescono a vedere oltre le mie nubi, oltre le mie spine, oltre la mia pelle frastornata, oltre i miei occhi vuoti e spenti.
-“perché? Insomma se fossi morto avresti avuto un avversario in meno no? Tu.. tu volevi uccidermi!”- guardo Peeta. Non può aver detto davvero una cosa del genere. Ma quando vedo i suoi occhi capisco. Sta avendo un episodio. L’azzurro delicato dei suoi occhi sostituito da due pozze nere che sembrano inghiottirlo. Mi afferra per le spalle e mi urla parole velenose, che mi feriscono più di una spada o di uno sciame di aghi inseguitori.
-“tu! Schifoso ibrido! Volevi uccidermi! Volevi uccidermi!”- rimango pietrificata, dovrei fare qualcosa ma il mio corpo non mi risponde. E piango. Perché me lo merito ed è colpa mia, perché se mi uccidesse forse sarebbe un bene per tutti, perché vederlo così mi fa star male. Sono immobile non so cosa fare mentre Peeta continua a urlarmi insulti e accuse di ogni genere e a scuotermi per le spalle. Da parte mia solo silenzio. Non so cosa fare, cosa dire, eppure dovrei fare qualcosa per lui, perché so che se mi facesse del male poi non potrebbe mai perdonarlo a se stesso. Ma il dolore è troppo, non tanto quello fisico, ho sopportato peggio delle sue mani in questi due anni, piuttosto quello psicologico, perché quello che gli hanno fatto è orribile. Lui aumenta sempre più la presa. Io non riesco a dire nulla. Ma ad un certo punto, un flebile suono esce dalle mie labbra, e non riesco nemmeno a capire se lui mi abbia sentito o no. Quando fra le lacrime sussurro -“Resta con me”- quasi fosse una supplica o una richiesta d’aiuto, finalmente vedo le pozze nere restringersi sempre più e gradualmente i suoi occhi ritornano dell’abituale azzurro brillante. Peeta sussurra un flebile
-“Sempre”- e capisco che è finalmente tornato da me. Il ragazzo del pane, il mio ragazzo del pane è di nuovo con me. E mi sta guardando visibilmente preoccupato.
-“ Kat io… ho perso il controllo e … scusami io avrei potuto farti male e non potrei mai perdonarmelo…io… Kat devi stare lontano da me!”- e il suo sguardo è carico di dolore. Non può dirlo davvero, io non posso allontanarmi da lui.
-“Peeta ti prego resta… tu non mi hai fatto del male, sei tornato da me e…”-
-“ Questa volta. Ma in futuro potrei farti del male e non potrei perdonarmelo capisci? Io… io morirei se ti capitasse qualcosa di brutto per colpa mia!”- eccolo. Il Peeta buono, che pensa sempre prima agli altri. Ma ho bisogno di lui. Ne ho bisogno come l’aria. Così gli prendo la mano e lo guardo. È un sussurro ma riesce a sentirlo lo stesso. -“resta con me. Ti prego”- i nostri occhi sono incatenati in un dialogo silenzioso. Colpa, dolore, è una muta richiesta di aiuto. Dopo pochi minuti o forse anni si avvicina, mi sfiora una guancia poi si siede sulla poltrona vicino alla finestra. Forse è ancora troppo presto perché possiamo dormire insieme per scacciare gli incubi ma lui è qui. Anche se non me lo merito, anche se sono un ibrido di fuoco con le ali spezzate e gli occhi spenti. La sua voce che mi augura la buonanotte mi culla verso una notte relativamente tranquilla. Perché Peeta rende tutto migliore. È come un fiore che nasce dalle ceneri, la speranza oltre le fiamme della distruzione. E tutto è più facile se Peeta è qui.
La notte procede relativamente tranquilla. Certo, gli incubi non possono sparire, ma almeno non mi sveglio di continuo con l’angoscia che mi schiaccia in una morsa e un fiume di lacrime per tutte le persone che non sono qui con me. Al risveglio Peeta non c’è. Ma so che è rimasto almeno finchè non mi sono addormentata e questo mi basta per ora. So che per lui è difficile. Scendo a fare colazione e trovo le focaccine al formaggio. Sul volto mi compare il primo vero sorriso dopo mesi. Ed è stupido e infantile forse, ma non posso non essere felice, perché Peeta si è ricordato di me, ha pensato a me. Decido di andare nei boschi. Non so come trovo la forza dopo mesi passati in casa ma credo che quel ragazzo non abbia capito l’effetto che ha su di me. Non so quello che provo per lui, non so se questo è amore. Tutto quello che so è che non posso sopportare di perderlo, e non perché sia indispensabile per la mia sopravvivenza, ma perché se dovesse andarsene o se dovessi perderlo una parte di me se ne andrebbe con lui. Così finalmente capisco. Devo riportarlo da me. Peeta deve ritrovare se stesso e solo io posso fare questo, perché è me che hanno sfruttato contro di lui. Devo aiutare il mio ragazzo del pane. E non solo perché sento che in fondo è colpa mia. Devo farlo per lui, perché restare ancorato a se stesso è tutto quello che ha sempre voluto durante i giochi. E io farò questo per lui. Non so quanto tempo sia passato. Ore credo. Perché sono arrivata al lago e il sole è basso all’orizzonte. Non ho cacciato ma credo che affrontare i boschi sia comunque un passo avanti. Non entravo qui da prima della partenza della seconda arena. E nonostante la passeggiata di oggi cacciare rimane comunque molto difficile per me. Cacciare mi ricorda Gale, i nostri pomeriggi, tutto quello che abbiamo imparato e condiviso. Ma allontano il pensiero. Non voglio pensare a Gale, non voglio pensare a lei. Non oggi, quando dopo mesi sono finalmente riuscita a fare un passo fuori dal mio abisso. Mi concentro sul suono della natura. Il vento fra le foglie, i rami spezzati da qualche animale, lo scrosciare di un piccolo ruscello. Il bosco è parte di me, lo sento come una mia estensione, un posto dove poter essere me stessa, dove poter essere libera. O almeno lo era. Forse i giochi hanno spezzato anche questa magia.
Mi affretto verso la recinzione. Sono fuori da ore. Credo che Sae sia preoccupata. Forse anche Peeta lo è. O meglio il vecchio Peeta si sarebbe preoccupato. Sento una morsa stringermi. Perché la verità è che non so come potrebbe reagire il Peeta depistato. E sono confusa. Perchè una volta potevo leggere ogni emozione dietro quei dolci specchi che sono i suoi occhi, ma ora questi lampi azzurri stanno diventando un mistero per me. E ho paura. Sono terrorizzata. Ma mi costringo a pensare a ciò che mi sono ripromessa prima. Lo aiuterò. Tornerà da me.
Arrivo davanti alla mia casa al Villaggio dei Vincitori. Ormai il sole sta tramontando. A Peeta piacerebbero le mille sfumature di questo cielo. Il giallo brillante del sole o del dente di leone, l’arancione tenue e delicato della malinconia del giorno che scompare, l’azzurro dolce della notte che deve ancora cominciare e il blu denso e deciso della notte profonda, il bianco delle stelle, splendenti e luminose come le anime delle persone che amiamo, come se questi piccoli puntini luminosi fossero qui a ricordarci che le persone che amiamo non ci lasciano mai sole, che sono qui con noi, in un modo o nell’altro, che vegliano su di noi, sul nostro cammino.
All’improvviso lo vedo. Peeta è qui, seduto nel mio giardino, di fronte ad una fila di fiori. Fiori? Non ricordavo fiori nel mio giardino. Mi siedo accanto a lui e quando rivolgo lo sguardo davanti a me capisco. Sono primule e Peeta le ha piantate per me. Mi avvolge le spalle con un braccio. Sa di pane e cannella e io sono a casa. Finalmente.
-“Lei avrebbe voluto vederti felice Katniss. Continuare con la tua vita, risollevarti, andare avanti. Sarà difficile, ma possiamo farcela. Insieme?”-
-“Insieme. Resta con me Peeta”- è una richiesta, un sussurro, una preghiera.
-“Sempre”-
L’arancione brillante della giornata che scompare sembra ricordarci che anche nella totale oscurità c’è una luce, una salvezza. E non importa quanto sarà difficile, quanto sarà lungo o doloroso. Io e Peeta ci ricostruiremo a vicenda, ci sorreggeremo a vicenda. Possiamo farcela. Perché anche se alla vista delle primule una lacrima sfugge sul mio viso Peeta è qui con me. Siamo qui insieme a proteggerci. Siamo vivi. E anche se il dolore sembra sopraffarmi, anche se abbiamo perso tutto, anche se siamo ibridi con le ali spezzati dal male, siamo qui, davanti a questo tramonto bellissimo. E saremo qui per il prossimo. E per il prossimo ancora. E anche se non sono sicura che mi ami come mi amava il vecchio Peeta, anche se non riesco a capire quali siano i miei sentimenti per lui, Peeta è qui, con i suoi occhi dolci e limpidi, con le sue braccia che sanno di casa, con il suo profumo di pane e cannella. E questo mi basta. Ora. Domani. Sempre.  
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: kathy black