Film > Dragon trainer
Segui la storia  |       
Autore: Shadow Eyes    18/07/2014    1 recensioni
A memoria d’uomo la vita di un Bifolko Peloso non era mai stata all’insegna della quiete ma, piuttosto, delle risse più assurde, delle invasioni più audaci, degli incendi più indomabili e, ovviamente, dei draghi. Gli anziani dalle lunghe barbe bruciacchiate, tuttavia, narravano ai nipoti di periodi avvolti nelle nebbie del tempo e del mito, durante i quali esisteva la concordia tra i popoli e qualcosa chiamata: “pace”. Probabilmente. Nessuno in realtà era vissuto così a lungo da poterselo davvero ricordare.
Quando Hiccup vide le insegne delle navi dei Grandi Guerrieri che attraccavano nel porto del villaggio, ebbe la triste certezza che non avrebbe mai visto nulla di tutto quello. Trasse un lungo e sofferto sospiro.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Dagur 'Lo Squilibrato', Hiccup Horrendous Haddock III, Testa Bruta, Testa di Tufo, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Deranged:
i pazzi crescono senza innaffiarli






Capitolo VII: Squilibrati




Nella vita ci sono rischi che
non possiamo permetterci di
correre e ci sono rischi che
non possiamo permetterci
di non correre.

- Peter Ferdinand Drucker




«Fa’ la guardia alla nave.»
La guardia alla nave.
A quanto pare era stato degradato a cane.
Hiccup si lasciò andare ad un lungo, lento, sofferto sospiro. Le parole di Skaracchio gli galleggiavano ancora vivide attorno alle orecchie. Non poteva crederci. L’avevano davvero lasciato a fare da balia a una nave. Una nave. In realtà tutti quanti – compreso ovviamente lui – sapevano perché era rimasto lì. Indietro per l’ennesima volta. Escluso per l’ennesima volta.
Hiccup, si stiracchiò annoiato sotto i caldi raggi del sole. Forse non avrebbe dovuto far cadere in mare la mazza chiodata che gli aveva affidato Skaracchio. Certo, aveva la coordinazione di uno yak impagliato ed era il primo ad ammetterlo ma, in fondo, era inciampato… capitava a tutti, no? No, a quanto pareva no. Non ai grandi, prodi, pelosi Bifolki di Berk.
Si guardò attorno, concentrandosi svogliatamente su alcune delle casse di legno che Johann aveva lasciato sul ponte. Forse al loro interno avrebbe potuto trovare qualcosa per sistemare la sua trappola a molla. A conti fatti, con il meccanismo della sicura incompleto, quella che stava stringendo in pugno era una mina vagante. Doveva aggiustarla, sebbene fosse quasi portato a simpatizzare per la sua condizione. Una trappola difettosa e un vichingo difettoso, seduti mano nella mano. Romantico.
Si alzò in piedi passandosi una mano tra i capelli. Per lo meno avrebbe avuto qualcosa da fare, oltre all’entusiasmante attività del girarsi i pollici.
«Vediamo un po’…», mormorò tra i denti, aprendo un piccolo baule. Ci frugò per qualche istante dentro, stingendo le labbra quando non riuscì a trovar nulla che facesse al caso suo. Proseguì con le casse e i piccoli forzieri successivi, finché non recuperò una sottile cordicella nera.
Meglio di niente, rifletté, prendendola e chiudendo la cassa con un leggero tonfo.
Si appoggiò di spalle contro il parapetto, avvolgendo con cura la corda attorno alla piccola sfera, per impedire che si aprisse all’improvviso. Se fosse riuscita ad esplodere anche così avviluppata, si sarebbe arreso alla propria capacità di creare armi potenzialmente letali soltanto quando non ne aveva la minima intenzione.
Si voltò, poggiando i gomiti sul parapetto, sentendo il calore del legno penetrare attraverso la sottile fibra della sua casacca e scaldargli la pelle. Lasciò correre gli occhi verdi sull’isola, tamburellando ritmicamente con le dita. Un ticchettio sincopato accompagnò le varie battute e, pian piano, questa nota scordata attirò la sua attenzione. Arrestò i movimenti e si spose in avanti, guardando in basso: qualcosa stava galleggiando mollemente in prossimità dello scafo, colpendolo di tanto in tanto trascinato dalla corrente. Strizzò gli occhi, sforzandosi di mettere a fuoco quello strano groviglio di colore indefinito. Aveva tutta l’aria di una specie di corda.
«Non ti dispiace se ti lascio un attimo sola, vero?», chiese con uno sbuffo all’imbarcazione, accarezzandola distrattamente.
Saltò giù, atterrando con un tuffo fra gli schizzi d’acqua fresca. Si avvicinò a quella tentacolare stranezza e l’afferrò, raggiungendo la spiaggia con poche bracciate. Tossicchiando, si scostò le ciocche di capelli bagnati dagli occhi, esaminando con attenzione l’oggetto: sì, era proprio una corda, non c’erano dubbi, ed era piuttosto robusta. Possibile che…?
Con le dita sottili e veloci, sbrigliò quella matassa, riuscendo finalmente a distinguere entrambi i capi. Erano bruciacchiati e logori, come se fossero stati strappati con violenza.
«Dovremo erigerle una pira, vero?»
La voce di Testa di Tufo gli arrivò alle spalle, assieme ai passi e al chiacchiericcio del resto del gruppo. Hiccup si voltò, aspettandoli in silenzio.
«Non è mica morta!», sbottò Astrid, con tono piuttosto seccato. «O, perlomeno, non ne siamo certi.»
«Ѐ con Dagur, no?»
«Sì, ma…»
«Povera sorellina! Sarai sempre nei miei pensieri! Tutti i giorni!», eruppe drammaticamente Testa di Tufo. «… Tranne durante la settimana di Bork. E la giornata del Monco. Oh, e durante l’estate… fa troppo caldo per pensare. E…»
«Testa di Tufo?»
«Oh?»
«Taci da solo o vuoi una mano?»
«Ancora? Se ci fosse stata mia sorella, qui, mi avrebbe colpito e basta…», affermò il gemello, incrociando le braccia sul petto con fare canzonatorio.
Astrid roteò gli occhi sospirando. «Certi giorni…» Si voltò di scatto, mollandogli un pugno dritto sul naso.
Testa di Tufo barcollò dolorante. «… Ma allora mi capisci! Grazie, Astrid, sei una vera amica!», dichiarò commosso.
«Hiccup!», lo chiamò Skaracchio, catalizzando l’attenzione di tutti su di lui. «Cosa ci fai qui? Ti avevo detto di…»
«… di fare la guardia alla nave. Sì, sì, lo so.», tagliò corto il giovane figlio di Stoick con un gesto della mano. «Piuttosto, da’ un’occhiata a questa!»
Porse la corda all’armaiolo, che la controllò inarcando un sopracciglio.
«Dove l’hai trovata?»
«Galleggiava vicino allo scafo.»
«Mh.», lo sguardo di Skaracchio s’incupì, mentre rigirava tra le mani i resti della fune. «Potrebbe anche essere…»
Una miriade di teste comparvero attorno a loro, sbirciando l’oggetto in esame con espressioni curiose.
«Pensi che possano essere qui? Ma non abbiamo trovato alcun segno di loro sull’isola!», grugnì Stizza Bifolko, schioccando la lingua. «E, soprattutto, non abbiamo trovato alcun segno del passaggio di un drago!»
«Potrebbero anche essere su una delle isole qui vicino.», s’intromise Johann. «Le correnti possono averla trasportata fin qui.»
«Ragazzi.»
«Non ora, Hiccup.»
«“Non adesso, Hiccup”, “non c'è tempo, Hiccup”... non per essere incivile ma possiamo saltare alla parte in cui mi ascoltate?»
«Cosa c’è?»
«Temo di averli trovati.», replicò accigliato il giovane, indicando una sottile colonna di fumo nero in lontananza.

Gli era sfuggito di nuovo.
Dagur scartò un cespuglio di rovi, non riuscendo quasi più a distinguere i tronchi degli alberi che gli scorrevano accanto a velocità sempre maggiore, turbinando in una tela indistinta di fogliame e cortecce. Correva con lo sguardo di un dissennato e il vento che gli fischiava nelle orecchie, cercando tracce, frugando ovunque, pronto ad abbattere qualsiasi bestia avesse osato frapporsi fra lui e la sua ricerca.
Un ramo gli sfregò una guancia, si spezzò e cadde a terra, travolto dalla sua irruenza. I polmoni bruciavano, bramavano ossigeno, chiedevano tregua ma lui non si sarebbe concesso requie, no; la sua avanzata non si sarebbe arrestata se non di fronte al drago.
Aveva setacciato l’intera macchia di bosco vicino alla grotta, riuscendo a localizzare l’Incubo Orrendo in una piccola radura dove la vegetazione si diradava in piccoli gruppi irregolari d’arbusti. Non vi era copertura sufficiente per un agguato, così aveva caricato testa bassa ma, l’immensa creatura, spiegate le ali, l’aveva assalito con una fiammata ed aveva spiccato il volo, costringendolo a proseguire la caccia.
Dagur passò la lingua sulle labbra esangui. Più i minuti scorrevano, più le nocche impallidivano e il cuore si contorceva dalla frenesia; poteva quasi avvertire la lucidità dei suoi pensieri corrodersi, sfibrargli la mente e scavare nella sua parte più buia. Non aveva la minima cognizione di cosa lo stesse spingendo a muoversi con tanta foga. Sapeva solo di non aver mai tollerato gli affronti e, quel drago, attaccando il suo accampamento, oh sì, l’aveva fatta diventare una questione personale. Voleva la testa di quell’Incubo Orrendo, voleva vederlo contorcersi e annaspare nel proprio sangue e lo voleva adesso.
Urlò, chiamandolo, sfidandolo. Non gli importava chi avrebbe scovato chi. Quella bestiaccia era sull’isola perché voleva terminare quello che aveva cominciato, ne era certo, quindi se non fosse riuscito a stanarlo lui, tanto valeva farla uscire allo scoperto di propria iniziativa.
«Sangue chiama sangue, drago!», canticchiò il Grande Guerriero tra i denti, serrando convulsamente la presa sulla lancia. «Vieni fuori!»
Un boato esplose sulla sua testa, rovesciando una pioggia di scintille e schegge di legno incandescenti su di lui. Non seppe esattamente cosa accadde o come si ritrovò a ingoiare polvere riverso sul terreno. Un lampo bianco, rovente, l’aveva investito, spazzandolo via saettando fiamme ovunque. Non era stato in grado di capire da quale direzione fosse piombato ma una cosa era certa: la sua nuova nemesi era arrivata.
Dagur alzò lo sguardo, scorgendo i resti della sua lancia fumare in una macchia contorta sul terreno. Scoprì i denti e spuntò ma il sapore acre di terra bruciata gli rimase attaccato al palato.
Il terreno tremò sotto i palmi delle sue mani, percosso dalle ampie zampe purpuree dell’Incubo Orrendo che avanzava, terribile e impressionante, verso di lui. Il berserker lanciò un’occhiata alle sue spalle e un fremito d’eccitazione gli fece crepitare la spina dorsale.
«Era ora.»
C’era puzza di carne bruciata nei dintorni e poteva chiaramente avvertire le sue dita pulsare ustionate mentre le serrava nel terreno; ma non diede peso a nulla di tutto questo. Irrigidendo tutti i muscoli, rimase prono, in attesa.
Il lungo collo squamato del drago si protese verso la sua schiena, vibrando d’un ringhio basso e gutturale. Lo stava annusando.
Dagur ghignò, ruotando bruscamente su se stesso, e gettò una manciata di terra e cenere sulle narici dilatate del drago. L’enorme rettile scosse il capo, soffiando infastidito l’aria via dal naso e, prima che potesse aprire gli occhi, Dagur era sul suo muso con la mano serrata su una delle sue zanne ricurve. Facendo leva con le gambe fu un attimo e, con forza disumana, divelse il dente, avventandosi poi furioso contro gli occhi spalancati dell’Incubo Orrendo. Vibrò il colpo mirando una delle orbite e, ancora una volta, l’inferno deflagrò sotto i suoi piedi.
Con un ruggito violento il drago, ammantato di fuoco, spiccò il volo devastando il tetto di rami su di loro. Dagur atterrò con scioltezza e soffocò immediatamente le fiamme che gli lambivano gli stivali con la terra.
«Oh, cosa c’è? Ti ho fatto male?», domandò euforico al cielo, con l’adrenalina che gli aveva invaso e gonfiato le vene del collo. «Torna qui! Non ho ancora finito con te!»
Spostò per un fugace istante gli occhi verdi sul suo piccolo trofeo: fissò il liquido scuro colare lungo la zanna, ipnotizzato dai suoi foschi riflessi amaranto. Una miriade di piccole stelle riverberò su quella chiazza lucida mentre un olezzo pungente s’insinuava nell’ambiente circostante. Avrebbe riconosciuto quell’odore tra mille; senza guardarsi attorno, scattò in direzione del bosco, mentre una pioggia di liquido incendiario si abbatteva attorno a lui. To’, guarda… Qualcuno aveva deciso di mantenere le distanze.
Dagur non poté fare a meno di scoppiare a ridere sentendo lo spettro dei sensi dilatarsi al massimo della potenza; i suoi occhi erano iniettati di sangue e sporgevano in fuori nello sforzo di catturare e segnalare al suo cervello quali ostacoli evitare, le orecchie erano tese a catturare ogni fruscio, l’olfatto pronto a fiutare il minimo cambiamento nell’atmosfera e, più correva, più spingeva i muscoli a contrarsi, a dargli di più, ad aumentare la forza della spinta, sfrecciando nella macchia. Magni gli era testimone, se avesse potuto in qualche modo scatenare l’impeto brutale che gli ardeva nel petto, avrebbe fatto a pezzi l’intera isola. Era disumanamente insensibile a tutti i campanelli d’allarme che il suo corpo stava facendo trillare da tempo. Non sentiva sete o fame, né tanto meno la fatica della corsa o il dolore delle ferite. Aveva un solo obiettivo: raggiungere la zona più fitta del bosco, dove la vegetazione avrebbe coperto ogni sua traccia dall’alto. Questo avrebbe costretto il drago ad atterrare, a cercarlo e gli avrebbe dato l’opportunità di poterlo cogliere di nuovo alla sprovvista in un ambiente angusto.
«Uh?»
Qualcosa in quel perfetto meccanismo di moto spasmodico finì per incepparsi, facendogli mancare di poco una roverella. Una goccia di sudore gli colò lungo il collo. Cercò di reprimere il fiatone in brevi e silenziosi respiri, concentrandosi sull’ambiente circostante. L’udì ancora. Non c’erano dubbi.
«Non è possibile.»
Era un ululato.
Si guardò attorno, confuso. Era vicino, soffocato, quasi provenisse dal sottosuolo. Ne sentì un altro, questa volta più flebile. Si stava allontanando.
Riprese a muoversi, decidendo di seguire quel suono. Una palla di fuoco si abbatté a qualche centimetro da lui, spargendo sulla vegetazione quella nota sostanza gelatinosa abrasiva. Una piccola particella finì anche sul suo spallaccio, sfrigolando lievemente. Dagur piantò i talloni nel terreno e invertì la sua corsa, precipitandosi verso il terzo ululato, saltando tra le fiamme che gli sbarravano la strada.
Non capiva cosa stesse accadendo ma aveva il netto sentore di potersi fidare di quel richiamo. Non poteva trattarsi di un inganno della sua mente sconvolta, non era possibile… o forse stava davvero impazzendo; l’intera scena, dopotutto, era sovrannaturale al punto tale che non si sarebbe sorpreso di vedere dei lupi fuoriuscire dal terreno e caricare al suo fianco. O, peggio, dei lupi al comando della strega di Berk, di ritorno dalle ombre di Hel!
Cercò di scuotere via l’inquietante piega mistica che stava prendendo il suo ragionamento, procedendo a spron battuto tra il fumo e le braci, quando il suo piede s’incastrò sotto qualcosa; il berserker cadde in avanti e, con sua somma sorpresa, venne inghiottito dalla terra. O meglio, fece un capitombolo in un fosso nascosto dalle erbe spontanee. L’atterraggio, ovviamente, fu tutt’altro che gradevole. Dagur sbatté infatti sonoramente la schiena contro qualcosa di duro, sollevando uno sbuffo di polvere attorno a sé. Tra i colpi di tosse, vide un’ombra piegarsi su di lui.
«Ehi, deficiente, indovina un po’ dove porta il tunnel che hai trovato nella grotta?», lo salutò quest’ultima allegramente. «In tutta l’isola! Giuro, non fosse stato per quello, probabilmente ora sarei morta. O avrei delle cicatrici da urlo… accidenti!»
Dagur si tirò su ansante, socchiudendo le palpebre; nell’oscurità della fossa non era facile distinguere ciò che aveva davanti. Laggiù, infatti, riuscivano a malapena a filtrare dei flebili, solitari raggi di sole, che riempivano di giochi d’ombre i grovigli opalescenti delle radici che fuoriuscivano a qualche palmo dalla sua testa. Tra quei sottili fili di luce, tuttavia, pareva stagliarsi la figura bianca e spettrale di qualcuno molto simile a Testa Bruta e… per l’occhio di Odino! Non l’aveva vista così scarmigliata nemmeno dopo la caduta in acqua ore prima! La strega di Berk era seriamente più inguardabile del solito: aveva gli abiti stracciati in più punti e le braccia, le ginocchia e persino il volto erano costellati di graffi e fango. Non solo. Il Grande Guerriero notò che tra i capelli, arruffati in una gloriosa matassa bionda, le penzolavano anche dei piccoli rametti. Che fosse davvero un’apparizione? Oppure…?
Ammutolito, Dagur avanzò verso lo spirito, sopportando a stento il fastidioso torcesi di budella che la sua vista gli stava provocando e lo scrutò con diffidenza.
«Mh? Ho qualcosa sulla faccia?», gli domandò questi, tastandosi con circospezione i lineamenti. «Ho strisciato in queste gallerie per tipo… secoli prima che cominciassero ad allargarsi. Oh, non ci crederai mai ma a un certo punto c’era poca aria e credo di aver intravisto mio cugino Lars!»
Un risolino isterico rimbombò tra i denti del berserker, dapprima con incertezza, quasi stesse saggiando la saldezza della sua sanità mentale, poi aumentando gradualmente di volume, fino a trasformarsi in un latrato fragoroso che gli scosse tutte le membra.
«Che mi venga un colpo!», esclamò poi, passandosi nevroticamente le dita sulle guance, quasi a volersele riempire di pizzichi. «Sei davvero tu!»
Abbandonata finalmente ogni paranoia, Dagur si fece avanti e, sorridendo festante, afferrò Testa Bruta, stringendola a sé con una veemenza tale da fargli formicolare la punta ustionata delle dita.
«Oh, fantastico.» La Bifolka roteò gli occhi, lasciandosi tuttavia stritolare dal suo abbraccio da orso senza opporre resistenza. Gli tirò persino qualche virile pacca consolatoria – e vagamente condiscendente – sulla schiena. «La caduta l’ha fatto rimbecillire del tutto.»
«Un momento…» Dagur la scostò da sé di colpo, puntandole contro il dente del drago. «Cosa mi dice che non sei in realtà il frutto di una qualche bislacca stregoneria?»
«Non lo so.», disse Testa Bruta, scrollando le spalle. «Le illusioni possono fare questo?»
Gli sferrò un calcio nello stinco, sghignazzando senza ritegno mentre il Grande Guerriero saltellava su un piede, stringendosi la parte lesa.
«Brutta…!», ringhiò lui, ma mandò presto giù il resto degli insulti, abbassando sia la gamba che la zanna insanguinata. Il sospetto sfumò ancora una volta via dal suo sguardo e dal suo giudizio, lasciando posto alla gioia più selvaggia. «Allora sei reale!», esclamò, spalancando le braccia.
«Oh, Thor… non di nuovo.»
Dagur riacciuffò con fervore Testa Bruta, rischiando quasi di dislocarle tutte le ossa del corpo con la sua stretta.
«Ok, credo di stare per vomitare!», esalò la giovane, suonando tanto stremata quanto disgustata da quella sua eccentrica dimostrazione d’affetto.
Ridendo, il berserker la lasciò finalmente andare, poggiandosi le mani sui fianchi. «Ma come hai…? Aspetta, aspetta… lasciami indovinare: hai usato qualche altro tuo trucchetto, mh?»
«Uh, no, genio.», borbottò Testa Bruta, evidentemente presa in contropiede. «Te l’ho detto, ho usato le gallerie.»
Il Grande Guerriero aggrottò le folte sopracciglia, in un silenzio carico di stupore. «Allora come hai fatto a trovarmi?»
«Facile, ho seguito il fracasso che tu e il drago avete fatto. Oh, a proposito…»
Un tonfo sordo scosse l’intero tunnel, facendo cadere del pulviscolo dalla sua volta. Dei passi lenti, pesanti, riverberarono lungo le pareti, facendo vibrare i sassolini sparsi ai loro piedi.
«Non dovremmo tagliare la corda?»
«Cosa? E scappare come conigli? Mai!», ruggì Dagur, incupendosi. «Quel drago ce l’ho in pugno, aspetta e vedrai! Io non solo un debole! E poi…»
Per tutta la durata della tirata collerica del berserker, Testa Bruta rimase con la schiena poggiata sul fianco della galleria a rimirarsi le unghie. «Ah-ha, interessante.», borbottava casualmente di tanto in tanto, ascoltando gli scoppi che infuriavano sopra le loro teste. Il fuoco invase gradualmente il terreno scivolando, erosivo, lungo il fosso. Una goccia di lava cadde, atterrando ai piedi di Dagur, che solo allora si rese conto del pandemonio che regnava fuori dal loro rifugio.
«Altro da aggiungere?», gli chiese la Bifolka mentre un miasma incandescente invadeva tutto lo spazio circostante.
Il berserker guardò prima lei, poi l’uscita fiammeggiante della buca e, infine, ancora lei. Non c’era più modo di uscire da lì senza restare arsi vivi.
«D’accordo, nuovo piano: prima usciamo da qui e poi abbattiamo quel drago. Mh, come faremo ad orientarci qua sotto?», sbottò affacciandosi nella galleria. Ironicamente, l’unica cosa che riusciva ad avvistare era il buio pesto che regnava al suo interno.
«Conosco questi cunicoli come le mie tasche ormai.», rispose la gemella, starnutendo malamente. «Anche se in realtà non ho tasche.»
«Fa’ strada.», tagliò corto Dagur.
Non fece in tempo a voltarsi verso di lei che qualcosa di gelido gli piombò sul capo, schiacciandogli le orecchie. Poggiò istintivamente una mano sullo scalpo, pungendosi le dita. Era il suo elmo.
«Ti servirà.» Testa Bruta lo sorpassò. «Seguimi.»

Lo sciabordio calmo delle onde trasformava la visione dell’isola avvolta dalle fiamme in qualcosa che poteva appartenere solo al regno favoloso dei sogni. Un’immensa colonna di fumo svettava quasi oltre le nuvole, sporcando il cielo di volute dense e nere.
Il sole era a un’ora dal tramontare nelle acque limpide che circondavano il litorale, accendendo i profili degli alberi di rosso e oro, mescolandoli all’iridescenza delle fiamme che lambivano gran parte della zona orientale del bosco.
Skaracchio aveva stabilito che Johann e Hiccup – con estremo gaudio e tripudio di quest’ultimo – sarebbero rimasti sulla nave ad un centinaio di metri dalla costa, per evitare che l’unico mezzo che avevano per tornare in patria finisse anche solo per errore sotto le mire del drago. Non appena avrebbero ricevuto dei segnali di fumo prestabiliti dalla spiaggia, sarebbero dovuti tornare a prelevarli.
Hiccup guardò con la testa stretta tra le mani le figure dei suoi coetanei rimpicciolire mentre facevano rotta verso sud. Era stanco di quella storia. Gli parve si essere intrappolato nel classico incubo in cui si cerca di raggiungere correndo qualcuno o qualcosa ma si resta sempre fermi nello stesso punto. Il problema era che, il suo, non era l’incubo di una notte ma di una vita. Ad ogni passo che faceva verso di loro, quelli che avrebbero dovuto essere i suoi simili, veniva distanziato di altri cento. Non li avrebbe mai raggiunti, non li avrebbe mai convinti di essere all’altezza di tutte le loro aspettative se continuava a venire privato di ogni buona occasione per farlo. Sospirò esasperato, afflosciandosi sul corrimano.
«Su col morale, Hiccup!», disse Johann, «Ciascuno di noi ha un ruolo fondamentale. Solo perché non ti trovi in prima linea, non sei da meno di quelli che lo sono.»
Un silenzio pensoso fu tutto ciò che ottenne come risposta. L’uomo si voltò a guardare quella piccola figura demoralizzata poggiata al parapetto e inarcò tristemente le sopracciglia.
«Ehi, che ne dici se per passere il tempo ti raccontassi di quella volta che…»
«Perché no…», rispose meccanicamente il figlio di Stoick l’Immenso, non prestando la minima attenzione al resto del discorso.
Alzò il capo verso il bosco e lasciò che le fiamme gli brillassero nelle iridi silvane, riempiendogli la mente e il cuore. Si drizzò di colpo, lanciando un’occhiata rapida alle proprie spalle. Johann era ancora perso a raccontare chissà quale leggendario aneddoto. Tornò a fissare l’isola: era ancora in tempo, la spiaggia non era poi così lontana. Pochi metri a nuoto e sarebbe arrivato. Un minimo di sforzo e, per la prima volta, avrebbe potuto vedere un drago da vicino e forse avrebbe anche potuto…
Il più silenziosamente possibile, scavalcò il parapetto, lasciandosi scivolare in acqua. Quando Johann si accorse della sua fuga, era già a metà strada.
La corrente lo sospinse docilmente sulla riva con un tenue mormorio di schiuma bianca. I suoi stivali affondarono fra i granelli di sabbia, facendolo incespicare. Quello era il terzo bagno fuori programma nell’arco di una giornata. Era sicuro di stare battendo un record di qualche tipo.
Aveva molti dubbi sul da farsi: forse presentarsi davanti a tutti imbastendo una maschera di nonchalance come quando gli capitava di combinare qualche pasticcio a Berk non era esattamente un’idea brillante. D’altro canto, anche seguirli in incognito, per evitare che lo allontanassero e gli impedissero nuovamente di prendere parte alle ricerche, non gli suonava affatto come un piano migliore. Be’, a dirla proprio tutta, l’idea stessa di ritrovarsi da solo su un’isola potenzialmente mortale era decisamente infelice. Arrovellandosi su quei pensieri, avanzò verso il punto in cui aveva visto dirigersi il resto del gruppo. Non appena scorse le schiene dei suoi compagni d’arme, si acquattò dietro dei cespugli odorosi di mirto, colpito della sua reazione subitanea. Ottimo, quindi ci aveva pensato il suo inconscio a decidere per lui.
Sbirciò con cautela tra le foglie: Astrid, Gambe di Pesce, Testa di Tufo e Moccicoso erano schierati in silenzio alle spalle di Stizza Bifolko, Mulch e Bucket, in attesa che Skaracchio terminasse di esaminare qualcosa sul terreno. Tracce, con molta probabilità.
«Mh, non c’è dubbio, è un Incubo Orrendo.», annunciò l’armaiolo, tirandosi in piedi. «Forse siamo sulla pista giusta. L’istinto di Hic ci ha preso.»
«Tu dai fin troppo credito a quel marmocchio.», grugnì Stizza Bifolko.
Cori di entusiasmo misti a preoccupazione si levarono dalle file dei ragazzi, che presero a fissare intensamente le impronte tra i fili pressati d’erba come se il drago potesse materializzarcisi sopra.
«Incubo Orrendo. Solo i migliori vichinghi sono in gradi di affrontarli.», balbettò a mezza voce Gambe di Pesce, affondando il capo dietro lo scudo. «E non noi lo siamo. Tecnicamente non potremmo nemmeno definirci vichinghi veri e propri… non siamo ancora stati addestrati per tutto questo!»
«Che vai blaterando?», lo interruppe Moccicoso, tirandogli una gomitata. «Io sono nato pronto! E vichingo!»
«Io non ne sono certo. Ho sempre voluto fare il pulitore di pesci.», si premurò d’intervenute Testa di Tufo, facendo spallucce. «O il pirata. O magari l’addestratore di yak.»
Hiccup sorrise al sospiro di pura irritazione che sfuggì ad Astrid di fronte a quei discorsi insensati.
«Come dico sempre, la teoria serve a ben poco in questi casi.», disse Skaracchio, incrociando le braccia dietro la schiena. «Quello di cui avete davvero bisogno, è imparare sul campo. Questo tipo di drago ha davvero pochi punti deboli, quindi è fondamentale saperli sfruttare tutti a proprio vantaggio: uno di questi è la mandibola. Bisogna tenergliela ben chiusa, per renderlo in parte inoffensivo. Fidatevi, questo lo so per esperienza personale.»
«Oh. Facile.»
«Ma è anche in grado di appiccare fuoco a tutto il suo corpo!»
«Oh. Accidenti.»
«Restate quindi in formazione di difesa e osservate bene ciò che facciamo, chiaro?», concluse l’armaiolo, indicandoli a un a uno con l’uncino.
«Ha ragione.», concordò Bucket, annuendo con aria docile. «Aspetta un attimo… e cosa dovremmo fare esattamente per dare il buon esempio?»
«Darle di santa ragione a quel drago e recuperare i resti dei due mocciosi.», gli rispose Mulch con sobrio pragmatismo.
«Oh.», l’omone sollevò un piccolo sassolino chiaro, rigirandoselo tra le dita. «Temo che Dan non sia d’accordo con quello che dici, Mulch.»
«Dan è un sasso, Bucket.»
Skaracchio alzò gli occhi al cielo. «Andiamo, prima che compia una strage!»
Hiccup scivolò lentamente fra gli arbusti a qualche metro di distanza tra loro. Man mano che s’inoltravano nella macchia, cominciavano a comparire i segni sempre più inequivocabili del passaggio dell’Incubo Orrendo: rami spezzati, intere file di alberi in fiamme o semi-carbonizzati e tronchi mozzati. Hiccup sfiorò con le dita un mucchietto di cenere ai suoi piedi, cominciando a chiedersi il perché di tutta quella distruzione. Se il drago aveva mangiato Dagur e Testa Bruta, perché sarebbe dovuto rimanere sull’isola e perché avrebbe raso al suolo una così grande porzione di flora? Una goccia di sudore freddo gli scivolò lungo le vertebre della schiena. E se di draghi, sull’isola, ce ne fossero stati due e in quel momento stesse infuriando uno scontro tra loro? Si sarebbero trovati intrappolati tra due fuochi! Letteralmente.
Un mastichio rumoroso gli spezzò il filo del ragionamento. Il prudente figlio di Stoick si voltò alla sua destra, ritrovandosi a sfiorare con la punta del naso il pizzetto sbarazzino di una capra.
«Oh, Thor.», pigolò, sgusciando lentamente di qualche passo lontano da lei. «B-Buona, capretta. Buona.»
L’animale selvatico l’osservò a lungo con quelle stravaganti pupille orizzontali, masticando scompostamente con la mascella. Hiccup, che si era immobilizzato di fronte a quel piglio di pura austerità caprina, pregò gli dei che non belasse – allertando gli altri della sua presenza – e riprese ad allontanarsi carponi.
Strano, non ricordava che la consistenza dell’erba tra le dita fosse così impalpabile, né che il vento avesse preso a spirare con così tanta forza.
Oh.
L’intero mondo si capovolse attorno a lui, mentre ruotava nell’aere maledicendo tra i denti quella dannata capra. Non poteva credere che avesse atteso con machiavellica pazienza che si rilassasse e le desse le spalle, prima di colpirlo a piena potenza. Non si sarebbe più fidato di un ovino per il resto della sua vita.
Cadde oltre i cespugli, schiantandosi con il sedere a terra, salutato da otto teste girate drammaticamente nella sua direzione.
«Hiccup?»
«Ehilà…», mormorò, issandosi sulle braccia.
«Per l’occhio di Odino, ragazzo!», esclamò Skaracchio, avvicinandosi. «Che accidenti hai combinato?»
«Ehm… lunga storia. Decisamente noiosa.», tossicchiò Hiccup, lasciandosi rimettere in piedi dal fabbro.
«Fammi indovinare: ha a che fare con quella capra?», sbottò Moccicoso, sollevando imperiosamente il mento, strappando una grassa risata al padre.
Hiccup gettò un’occhiata oltre la propria spalla: la dispettosa bestiolina stava brucando beatamente accanto a un ginepro, dissimulando il proprio coinvolgimento da vera professionista. «Ecco…»
«Come sei riuscito a farti sconfiggere da quella stupida capra?!», ghignò l’impavido Jorgenson, raggiungendolo. «È l’animale più innocuo che potessi trovare!»
Si avvicinò alla capra selvatica con il petto in fuori e le armi spianate, finché non udì un fruscio oltre la corteccia contorta dell’albero vicino al quale stava banchettando. Sollevando lo scudo, Moccicoso si sporse oltre una piccola siepe antistante, quando un paio di lunghe corna gli sfiorarono una guancia.
«Mh?»
Con un ruggito furioso, qualcosa saltò fuori dalla boscaglia, travolgendolo. In pochi, rapidi istanti si ritrovò riverso nell’erba, con uno stivale premuto sul petto e la voglia di urlare come una femmina isterica dal terrore.
«Dagur?», fiatò Astrid, battendo ciglio.
«Dagur!», esclamò Moccicoso, coprendosi gli occhi che gli lacrimavano dallo spavento con le mani. «Grazie, Thor… te ne devo una!»
«Che Thor mi fulmini adesso!», borbottò Skaracchio grattandosi il capo. «Ho le traveggole!»
«Allora siamo in due.», si unì Stizza Bifolko, con tono diffidente.
Dagur sgranò le iridi sanguigne, sembrando identificare solo allora Moccicoso. Gli tolse il piede di dosso, facendosi da parte. Quando rivolse la sua attenzione ai presenti, Hiccup deglutì, ravvisando il lupo che si nascondeva tra le ombre del suo sguardo svanire man mano che si focalizzava sui loro volti.
«Se non credi ancora a quello che vedi, io sono sempre disponibile a prenderti a calci.»
Una folta chioma bionda fece capolino da una delle spalle del Grande Guerriero, che si voltò a guardarla arricciando le narici.
«Divertente.»
Per gli dei, tutti questo è assurdo…, trasecolò Hiccup, tirandosi istintivamente un pizzico sull’avambraccio umido. Sto sognando. Il drago ci ha polverizzati tutti e questo è lo stranissimo aldilà in cui questi due sono vivi e vegeti e si sopportano come vecchi amici…
«Ehi...», li salutò Testa Bruta, reggendosi debolmente attorno al collo di Dagur. Nel trambusto dall’aggressione, nessuno aveva fatto caso al fatto il berserker la stesse trasportando sulla schiena. Hiccup aggrottò le sopracciglia di fronte al suo aspetto malmesso: la ragazza aveva tutta l’aria di essere stremata e sull’orlo di perdere i sensi.
«Sorella!», urlò Testa di Tufo, correndo loro incontro. «Ti credevo morta!»
«Ti piacerebbe, perdente!»
I due si scambiarono un sorriso, finché la giovane non si accigliò, affacciandosi oltre le spalle di Dagur con uno sbuffo.
«Ehi…», proruppe, tra i colpi di tosse. «Quelli sono i miei vestiti?»
«Uh, no…?», negò platealmente il fratello, guardandosi nervosamente attorno.
«Certo... ed io sono Fungus.»
«E comunque stanno meglio a me!», borbottò Testa di Tufo sottovoce, incrociando le braccia sul petto.
«Ah, sì? Quando mi sarò ripresa, te la farò vedere io!», gli sibilò contro Testa Bruta. «Tutto questo è successo per colpa tua!»
«Mettiti in fila, ci sono prima io.», la bloccò il berserker, scoprendo i denti.
Il povero Testa di Tufo parve rimpicciolirsi sotto il cipiglio inquisitore della sorella e di Dagur.
«Uh… ragazzi?», s’intromise Gambe di Pesce, con tono conciliante. «Rimandiamo la violenza a quando saremo tutti a casa, lontani da qui e dal drago?»
Un rombo squarciò il silenzio, facendo perdere a tutti un battito.
Con il naso all’insù, Testa di Tufo indicò il cielo. «Oh. Be’, forse per quanto riguarda l’evitare il drago siamo un po’ in ritardo.»
Un diluvio rovente si riversò su di loro, illuminando l’intera area di riflessi vermigli. Hiccup non riuscì a muovere un passo; avvertì la temperatura salire sulla propria pelle, tagliandogli via il fiato dalla gola e accartocciandogli le vene, come se il sangue al loro interno fosse evaporato tutto via.
«Hiccup?», lo chiamò Astrid, scattando nella sua direzione. «Hiccup, spostati!»
Lo afferrò bruscamente, tenendolo stretto a sé con un braccio mentre rotolavano lontano da quelle spire infuocate. Con agilità e prontezza, si sollevò poi in piedi portando lo scudo sulle loro teste, impedendo che gli schizzi incandescenti dell’impatto li ferissero.
«Cosa accidenti ti è preso?», lo rimbrottò la giovane Hofferson con vigore, portandolo nuovamente alla realtà. «Datti una svegliata!»
L’Incubo Orrendo atterrò con uno schianto dinanzi a loro, spalancando le ali in fiamme con un fragoroso mugghiato. Hiccup fissò frastornato quell’immane creatura ignea, risucchiato nell’abisso annichilente che tempestava nelle sue pupille verticali. Tremò, schiacciato dalla paura e dalla soggezione. Non era la prima volta che vedeva un drago ma non era nemmeno stato mai così vicino alle sue fauci aguzze. Anche respirare troppo forte, gli pareva terribilmente sbagliato in quel momento. Cosa fare? Come agire? Non aveva mai visto nulla di più terribile e maestoso in vita sua.
«Ragazzi, che state facendo? In formazione!», abbaiò Stizza Bifolko, scansando gli artigli dell’Incubo Orrendo e lanciandosi all’attacco.
Il piccolo gruppo di inesperti Bifolki si riunì ai fianchi di Astrid, sollevando un compatto muro di scudi davanti alla visuale di Hiccup. Dagur si portò alle loro spalle con sguardo torbido, senza fiatare. Il giovane non era per nulla sicuro di voler sapere cosa stesse macchinando.
«Il bestione è a corto di fuoco!», rise Skaracchio da qualche parte di quel caos.
Hiccup non seppe esattamente cosa volesse dire, così si alzò in piedi, sporgendosi oltre le spalle larghe di Moccicoso.
«Che combini? Fatti da parte, Hiccup!», grugnì questi. «Lascia fare il proprio dovere a chi lo sa fare!»
Hiccup lo ignorò, concentrandosi con maggiore attenzione sull’Incubo Orrendo e capì. La forza e frequenza cui soffiava fiamme contro di loro erano sempre minori e, quelle che avrebbero dovuto essere sfolgoranti scaglie rosse, erano smorte, sbiadite. Notò anche una lunga ferita che gli lacerava le squame attorno all’occhio destro da parte a parte; il drago era esausto.
«Ragazzi… comincia a fare caldo, non trovate?», commentò casualmente Testa di Tufo, trascurando bellamente un ramo infuocato che bruciava a pochi centimetri dal suo elmo.
«Quell’Incubo Orrendo ha fatto terra bruciata ovunque.», mormorò Astrid, guardandosi attorno: l’incendio divampava ormai in ogni direzione, avviluppando e consumando la vegetazione circostante. Non ci avrebbe messo molto a circondarli.
«Non possiamo rimanere qui, dobbiamo andarcene o finiremo arrosto!», squittì Gambe di Pesce, rivolgendosi forse più a se stesso che ai suoi compagni.
La postura di Astrid s’irrigidì. «Hai ragione», disse, «ma finché il drago è qui, non possiamo andare da nessuna parte.»
Finché il drago resta qui…, Hiccup tastò istintivamente le tasche, ritrovandoci la consistenza di una piccola sfera. Si morse il labbro con forza; forse era folle ma avrebbe potuto funzionare! Trasse un paio di profondi respiri, sentendo le mani diventare sempre più fredde e sudate.
O la va o la spacca!
Scartò di corsa i suoi compagni, con lo stomaco che continuava a contrarsi ai loro richiami. Un brutale colpo di coda frustò l’aria, sollevando un enorme polverone. Skaracchio e Stizza Bifolko furono spazzati via dalla violenza dell’impatto, schiantandosi fra gli alberi.
Hiccup tossì, sentendo il sapore aspro della terra sulla lingua. Qualcosa lo tirò di lato, salvandolo dalla coda puntuta dell’Incubo Orrendo, che si abbatté a soffio da lui.
Dagur gli rivolse un sorriso disturbante. «Andavi da qualche parte?»
Il giovane Bifolko riuscì a contenere a stento la propria meraviglia: Dagur “Lo Squilibrato” che corre in sua difesa? Ormai la gravità dell'intera situazione era più che palese.
«Dagur, ascolta…»
Tra il pulviscolo e i detriti, Bucket e Mulch si erano frapposti tra la reptante creatura e Skaracchio e Stizza Bifolko, per dar tempo ai loro compagni di rimettersi in sesto e raggiungerli. L’Incubo Orrendo s’impennò tra le fiamme, battendo minacciosamente le ali.
«Guarda, Mulch! Hiccup ci sta salutando!», disse Bucket, sventolando cordialmente un braccio.
«Cosa?» Il pescatore rimase a bocca aperta, non appena costatò che il piccolo figlio di Stoick stava gesticolando disperatamente nella loro direzione, facendo loro cenno di allontanarsi.
«Fuori dai piedi!», sbraitò Dagur, facendosi largo tra i due. «Ehi, guarda un po’ chi è tornato a trovarti, bestiaccia!»
L’Incubo Orrendo tese il collo alla vista del berserker, scoprendo i denti ed emettendo un ringhio basso e minaccioso. Dagur non batté ciglio e scagliò con violenza inaudita un sasso dritto contro l’occhio ferito del drago, centrandolo in pieno.
«Ti sono mancato?»
Hiccup assistette alla scena con la sfera stretta nel pugno. Il tempo prese a congelarsi tutto attorno a lui, rendendo ogni cosa estremamente vivida e lenta. Vide Skaracchio e Stizza Bifolko strepitare qualcosa in sua direzione e il muso del drago calare come un’ascia sulla testa di Dagur. Non seppe esattamente cosa scattò nella sua testa ma, quando divenne consapevole del proprio corpo che si precipitava fra lui e l’Incubo Orrendo, era già talmente vicino da poter sentire l’alito ardente sul viso. Sciolse il nodo che vincolava la trappola, lanciandola contro le fauci del drago. Parti metalliche esplosero in ogni direzione, rilasciando la rete che si avvolse tutta attorno a quella fornace squamosa, serrandola in una morsa.
Hiccup tornò a respirare e scorse Dagur, rimasto impassibile di fronte all’assalto, avanzare verso di loro con qualcosa che aveva l’aspetto di una zanna, stretta fra le dita.
Un gorgoglio d’avvertimento riverberò alle sue spalle. Istintivamente fermò il Grande Guerriero con un braccio, voltandosi verso l’immensa creatura. Si guardarono negli occhi. Il drago e il vichingo. Un’eternità passò tra le loro iridi mentre il resto del mondo attorno a loro ammutoliva e tratteneva il fiato. Raddrizzando la schiena sinuosa, l’Incubo Orrendo si erse su in tutta la sua notevole mole, facendo sentire Hiccup nudo e insignificante; poi, con un poderoso battito d’ali, decollò, trapassando il fitto fogliame arso.
C’erano cenere, scintille e forme contorte annerite dal fumo ma il giovane non riusciva più a distinguere nulla di tutto quello. Fece qualche passo verso i volti scioccati del resto del gruppo; forse aveva qualche spiegazione da dare, qualche scusa da porgere ma, per quello, ora sapeva di avere tutto il tempo.
«Testa di legno che non sei altro!», borbottò Skaracchio con gli occhi lucidi, afferrandolo e stringendolo a sé con affetto.
«Ѐ stato uno scherzo!», si sentì minimizzare con ironia, «Era tutto calcolato nei minimi dettagli… Tutto…»
Voleva davvero compiacersi dell’esultanza, ascoltare le loro parole e persino godersi tutta la vertigine e il soffocante senso di nausea che lo avevano appena assalito ma tutto sembrava perdere di consistenza e attenuarsi in una torbida foschia. Si rese conto di avere una certa urgenza di svenire. E così fece.











.:~*~:.

Oo~h, 1, 2, 3, 4 fire's in your eyes and this chaos, it defies imagination! Oo~h, 5, 6, 7, 8 minus 9 lives! You've arrived at panic station!

Scusate.
*eh-ehm* Come disse Lord Micidial: “Sarò breve”.
Dunque! XD In questo capitolo ho cercato di legare i tre personaggi principali tramite il titolo: “Squilibrati”. Infatti tutte e tre hanno agito da folli dinamitardi, sì, ma per motivazioni differenti.
1) Dagur è una macchina da guerra (tra l’altro, mentre scrivevo “sangue chiama sangue” mi sono immaginata Dagur con la stessa espressione di Jack Torrance di Shining XDDDD “Weeeendy~!”), l’incarnazione di “Seek and Destroy” dei Metallica ed è stato folle a pensare di poter affrontare un Incubo Orrendo da solo, sebbene sia riuscito a dargli filo da torcere (oh, a proposito… non gli ha cavato l’occhio, l’ha solo sfregiato).
2) Testa Bruta ha strisciato e gattonato per metri e metri di tunnel claustrofobici quasi privi d'aria con la febbre alta per trovare Dagur.
3) Hiccup… ha sempre buone idee anche se spesso e volentieri si rivelano altamente rischiose. XD Qui è ancora alla ricerca dell’approvazione degli abitanti del villaggio e della sua identà come vichingo… però da già accenni di… Hiccupperia (???), mettiamola così. X°D Vi ricordo che questa “what if…?”, o meglio, “wtf…?” è ambientata circa un anno prima degli eventi di Dragon Trainer, quindi nessuno dei piccini ha più di tante nozioni suoi draghi e, soprattutto, non ha alcuna pietà di loro (tranne Hic che l’ha allontanato, ottenendo due piccioni con una fava: l’ha protetto e ha protetto anche tutto il resto del gruppo, aprendo una via di fuga).
Se non erro, il fatto di chiudere le mascelle all’Incubo Orrendo lo dice Skaracchio... ma non riesco a ricordarmi quando. O___o Comunque sia, queste e altre informazioni sui draghi e sui personaggi le ho tutte estrapolate dalla wikia inglese, per chi volesse controllare! ;) E, prima che mi dimentichi, quel “Magni”, invocato da Dagur, è la divinità nordica della forza, figlio di Thor.
Oh, e “La settimana di Bork”, Testa di Tufo che vuole diventare un pulitore di pesce e il fantomatico cugino Lars sono tutte piccole citazioni dagli episodi della serie! :)
Ok, per oggi ho finito! YAY! \*0*/
Come sempre, ringrazio tutto coloro che hanno letto anche questo capitolo! Spero davvero tanto che vi sia piaciuto! E, in particolare, Francesca Akira89 per aver aggiunto questa storia tra i preferiti! *____* Whoa, sono felicissima che ti stia piacendo così tanto! (ノ>▽<。)ノ
Mmh, se tutto procede da programma, dovrei riuscire a terminare questa storia poco prima dell’uscita del film. Il prossimo, quindi, sarà l’ultimo capitolo e spiegherò un po’ di cose… perché Dagur ha aiutato Hiccup, cos’ha combinato Testa Bruta all’accampamento, etc. QUINDI RESISTETE ANCORA UN PO’, LA FINE DELLO STRAZIO Ѐ VICINA!! XD

P.S.: Alla fine si scopre che è stata la capra ad aver orchestrato tutto fin dall’inizio.

See ya,

Shadow Eyes
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Dragon trainer / Vai alla pagina dell'autore: Shadow Eyes