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Autore: mairileni    19/07/2014    7 recensioni
Di certo, non è stato un bacio di quelli che subito dopo ti vien voglia di pulirti la bocca con una manica per cercare di cancellarne ogni traccia. Gerard si chiede con tranquillità se ci sia l’eventualità che sia gay. Si risponde che non lo sa, ma che normalmente, se uno non è gay e viene baciato da un altro ragazzo, allora quella cosa del pulirsi la bocca con la manica dovrebbe farla subito.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutte! (*v*)/

 

Allora, che emozione ^_^”

Questa è la prima storia che scrivo per la sezione dei MCR, ma è la diciassettesima in assoluto, e – ho riscritto questa frase ottocento volte e fa sempre schifo, quindi ora la taglio, così impara.

 

Non so da cosa nasca, di preciso *fissa la pagina meditabonda*, ma era un’idea che avevo da un po’, quindi, be’, se avrete voglia di seguire, benvenute! Mi farebbe davvero piacere sapere che cosa ne pensate, specie perché in questa sezione sono nuova e ancora non ci “conosciamo”! Quindi, se avete tempo e voglia, lasciatemi una recensione con il vostro parere!

 

Troverete delle imprecisioni, perché le date e i rapporti tra i personaggi sono in parte modificati ai fini del racconto. Ci sono anche cose completamente inventate.

 

DISCLAIMER: scrivo per arricchirmi, tutto quello che dico è vero e sono amica di vecchia data dei My Chemical Romance, anzi, i My Chemical Romance sono miei, anzi, scrivo sotto dettatura dei My Chemical Romance stessi, anzi, i My Chemical Romance sono io. Ovviamente scherzo, sono povera, scrivo balle e i My Chemical Romance ce li ho soltanto sotto forma di poster, adesivi e magliette.

 

Buona lettura e infiniti cuori,

 

 

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[Uno]

 

 

 

 

 

 

Mikey Way non ha mai corso così tanto in vita sua, e sta continuando a correre. Lungo il tragitto ha urtato due signori anziani, una ragazzina, un bambino, due cani e un uomo vestito da coniglio per una campagna promozionale della Duracell. L’uomo vestito da coniglio è stato anche piuttosto gentile, gli ha comunque offerto gratuitamente una pila che ancora adesso Mikey tiene stretta nel pugno. È quasi arrivato a casa, ed è più che certo che Gerard lo stia aspettando seduto sul divano, con le braccia conserte e lo sguardo inceneritore.

 

 

 

 

 

 

Gerard lo sta aspettando sul divano, con le braccia conserte e lo sguardo inceneritore. Mikey è sempre in ritardo, a qualsiasi appuntamento. Controlla di nuovo lo schermo del telefono e si gratta pigramente la nuca. E dire che ha dovuto chiedere perfino un permesso al suo capo per finire prima il turno e farsi trovare a casa per l’ora prestabilita, e Mikey che fa? È in ritardo, come al solito. Sospira; sono le sette e trentotto; la porta si spalanca.

- Gee! Ti prego, scusami, è successo un casino!

- Mikey, cazzo, se ti chiamasse il Signore Onnipotente arriveresti in ritardo pure da lui! Ma è mai possibile? Santo cielo!

- E scusa, scusa! - Mikey si libera della giacca e sparisce in sala per prendersi qualcosa da bere, mentre tenta di giustificarsi in qualche modo. - Ma Sarah è stata male, e quindi è andata via, e in tutto il bar c’eravamo solamente io e Ted, quindi dovevo rimanere per forza, almeno finché non abbiamo chiamato Steve perché arrivasse prima del suo orario a coprire Sarah e…

- Ho capito, ho capito. Il regalo per Clawson l’hai preso?

- Certo!

- Non sarà mica quella pila che hai in mano?

- No, è che c’era un coniglio, per strada, cioè, non un coniglio vero, sai, un uomo vestito da coniglio, e…

- Le tue scuse sono ridicole, Mikey.

- Ma…

- Sbrigati a scrivergli un biglietto decente e andiamo. Il treno parte tra un quarto d’ora.

 

 

 

 

 

 

L’Eagle Silver è una discoteca piuttosto grossa dei pressi di Nutley, un paesino a un tiro di schioppo da Belleville. Di questa discoteca Gerard non capisce due cose: la prima, perché nel nome siano fastidiosamente invertiti d’ordine l’aggettivo e il sostantivo. La seconda, come faccia il proprietario a tirare avanti, visto che è aperta soltanto da marzo a ottobre. Roba di mafia, risolve, mentre con Mikey varca la soglia del secondo portone e si ritrova in una bolgia composta da conoscenti ubriachi, ubriachi sconosciuti e musica di cattivo gusto. Gira i tacchi e tenta di fuggire esattamente da dove è entrato, ma il fratello lo trattiene piazzandogli le mani aperte sul petto.

- E andiamo, Gerd, è la festa di Jonathan Clawson, gli avevi promesso che saresti venuto!

Gli risponde con un mugolio contrariato e borbotta qualcosa che assomiglia a un: “E va bene” accondiscendente. Passano davvero pochi secondi prima che i due si perdano completamente di vista. Gerard si insinua in uno spazio vuoto del bancone e riesce a ordinare in tempi ragionevoli una birra che finisce in quattro sorsi, mentre cerca gente nota con cui possa passare la serata senza annoiarsi eccessivamente. Jonathan, il festeggiato, va all’università con Mikey, ha ventun anni, è di un’altra cerchia; così come tutto il resto degli invitati.

- Gerard Arthur Way! -, esclama improvvisamente una voce alle sue spalle.

- Oho! Jesse Roy Helders!

Un breve abbraccio.

- Ma dove ti eri cacciato? -, chiede Gerard.

- Mah, mi sono preso un anno sabbatico. Ho fatto qualche viaggio, una cosa che avevo già in testa da un po’, e ora sono tornato a Belleville che saranno quattro o cinque giorni... quando vedi cosa c’è la fuori, Way, questo posto ti sembra ancora più depresso!

Gli piace, Jesse. È uno che non ha ben chiara la definizione di anno sabbatico, dato che il college l’ha già bello che finito, e che tergiversa vivendo alla giornata, ripromettendosi che un giorno troverà un lavoro stabile, cosa che però alla fine non fa mai. Gesticola blandamente con la mano che regge la birra e l’altra la tiene ben premuta in una tasca dei jeans. Quello che a Gerard piace di lui è che Jesse è uno che magari non si fa sentire per un anno, ma quando torna a parlarti ha sempre qualche argomento interessante su cui buttare via una chiacchierata.

- E tu, Way? Novità musicali?

- Nulla di che, in realtà. Continuo a sperarci senza impegnarmici davvero. Diventerò un impiegato come i tre quarti della popolazione mondiale, ma va bene lo stesso.

Jesse ride, guarda dietro alle sue spalle e gli indica un divanetto libero. In realtà, in un angolo del divanetto qualcuno c’è, un ragazzino dagli occhi segnati che non avrà più di vent’anni, i capelli corti portati da un lato e attaccati alla faccia con tonnellate di gel.

- Frank Iero Gerard Way, Gerard Way Frank Iero -, scorcia Jesse.

Il ragazzino gli rivolge un sorriso alcolico e biascica un: “Piacere” amichevole.

- Bene, ora siete amici -, conclude Jesse, - io ho visto che c’è Glenn Sullivan, laggiù, andrò a farle un saluto. A dopo!

Sparisce tra la folla di ballerini improvvisati accennando qualche passo di danza, giusto per mimetizzarsi mentre cammina, e lascia Gerard e Frank lì impalati sul divanetto, a distanza di cortesia l’uno dall’altro, senza che sappiano cosa dirsi o cosa fare. Frank non sembra troppo colpito dalla cosa, e comunque dev’essere un po’ brillo. Nessun imbarazzo, nessun disagio. Soltanto quei capelli pieni di gel che si riempiono di riflessi azzurri ogni volta che butta indietro la testa per prendere un sorso di birra. Gerard lo guarda meglio, perché tanto l’altro non sembra abbastanza lucido da accorgersene: è truccato, potrebbe giurarlo. Dio santo, non ha gli occhi segnati, ha solo la matita. Un ragazzo che abbia l’audacia di truccarsi in una cittadina così violentemente provinciale come Belleville può essere solo due cose: o una persona molto interessante o un completo idiota. Si volta nuovamente verso Frank e lo trova già intento a fissarlo di rimando.

- Quindi ti chiami Gerard.

- Quindi ti chiami Frank.

- Così dicono. Conosci questo... Clawson che si festeggia?

- È un amico di mio fratello Mikey, viene spesso a casa nostra. Quindi sì, un po’ lo conosco. Tu no?

- No, io mi sono imbucato, perché sapevo che sarebbe venuto Jesse. È un mio amico d’infanzia.

- Ah.

Tornano entrambi a guardare la massa di gente che occupa il centro della discoteca, e si massaggiano la gola nello stesso momento perché per farsi sentire hanno dovuto gridare. La musica è ridicolmente alta. E poi Frank ha una voce piuttosto profonda, quindi per lui deve essere ancora più difficile.

- Stai nei Pencey Prep, avete già fatto due dischi, no? -, chiede Gerard.

- Sì. Ma ci manca la seconda chitarra, ci ha mollati recentemente. Quindi, finché non troviamo qualche anima buona che ce lo rimpiazzi, siamo arenati. Tu non è che sai suonarla, eh?

- Malissimo. Mio fratello Mikey, lui la sa suonare.

- Sì, conosco tuo fratello, ogni tanto ci vediamo al parco. Senti, se grido ancora tra poco le corde vocali mi mandano a fanculo, che ne dici di uscire?

 

 

 

 

 

 

Hanno preso la porta secondaria del locale e imboccato il viale sulla destra fino a raggiungere un’aiuola stentata, costretta in un basso muretto. Si siedono lì. Frank è un tipo strano, e a dirla tutta Gerard non sa nemmeno perché abbia accettato di parlargli in un posto più silenzioso, come se fossero amici o avessero qualcosa di importante da dirsi. Sono soli, se escludiamo una coppia di assatanati che qualche metro più in là si baciano contro il cofano di una macchina.

- Qual è la tua passione?

Frank se n’è uscito così, guadagnandosi un’occhiata confusa dal suo interlocutore.

- Cosa intendi?

- Esattamente quello che ho detto.

- Mmmh... non ho passioni.

- Gerard, hai la faccia troppo intelligente per non avere passioni.

- ... Disegnare.

- E cosa disegni?

Si sarebbe aspettato una presa in giro, perché normalmente, nelle province americane, se le tue passioni non sono baseball e football sei l’ultimo degli sfigati. La presa in giro non è arrivata. Anzi. Frank aspetta di sentirsi rispondere, guardandolo con un’espressione colpita e genuinamente curiosa allo stesso tempo.

- Ehm... be’, fumetti, in realtà. Ma non...

- Che tipo, di fumetti?

- Avventura. Supereroi… cazzate.

- Sminuisci il tuo lavoro, Gerd, se posso chiamarti così.

- Sì, puoi. E no, sono solo realista. È un hobby, tutto qui. Nulla di concreto o di economicamente risolutivo. Tempo fa ero riuscito a far pubblicare il primo numero di una cosa che avevo scritto, ma non mi hanno mai fatto pubblicare il secondo. Quindi no, nulla di che -, taglia corto Gerard.

- Ci sono personaggi reali a cui ti ispiri, per creare quelli del tuo fumetto? -, torna all’attacco Frank, inesorabile.

- Sì, c’è un personaggio che è ispirato a Mikey.

Non dirà che il protagonista è ispirato a se stesso; un conto è parlare con uno sconosciuto di cose private, un conto è essere completamente idioti ed esporsi al pubblico ludibrio.

- Figo! -, strilla Frank. - Morirei, per essere il personaggio di un fumetto, giuro. - Prende la bottiglia per il collo e la fa dondolare distrattamente a destra e a sinistra. - Sarebbe pazzesco. Praticamente è un modo per renderti immortale, no? Tu resti su quelle pagine, e ci resterai sempre. E poi non so. Trovo che quello che fai sia davvero forte. Sul serio.

Gerard si passa una mano sulla nuca. Nessuno gli ha mai detto qualcosa del genere, o almeno non con questo entusiasmo e senza nemmeno avere visto i suoi lavori. Frank si è complimentato così: sulla fiducia. 

- Grazie -, risponde. - Mi fa piacere che la pensi così.

- Non c’è di che.

Ora che Gerard lo guarda meglio, alla luce, si accorge che Frank non solo non ha gli occhi segnati, ma non è nemmeno brillo. Ha solo lo sguardo vagamente spento, come fosse stanco e, di conseguenza, facesse più fatica a muoversi e a parlare.

- Siamo più simili di quanto immagini.

- Cosa?

- Siamo più simili di quanto immagini -, ripete Frank. - Entrambi abbiamo un sogno che siamo riusciti a realizzare solo per metà, ed entrambi fingiamo di esserne soddisfatti, che ci vada bene così. Ma non è vero. Lo sai anche tu, no?

- ...

Ora Iero ha ruotato gli occhi verso un punto indefinito sul palazzo davanti a sé, e parla piano.

- Entrambi vorremmo qualcosa di grosso, vorremmo... lasciare il segno, capisci, no?

- Ma tu hai già fatto due dischi -, ritorce Gerard. - Tu, in un certo senso... ce l’hai fatta.

L’altro scuote la testa con convinzione.

- No, no. Chi cazzo li conosce, i Pencey Prep? Ma quando mai? Io non voglio questo. Questa è una palestra, e va bene. Ma io voglio che tutto il lavoro, l’impegno che metto nel fare ciò che mi piace, intendo, diventi una cosa grande. Grande abbastanza perché ci sia qualcuno, dall’altra parte del mondo, che preghi la sera per riuscire ad averne un assaggio, sai, qualcuno il cui desiderio più grande sia vedere i Pencey Prep live, o di... ti sembrerò un megalomane, lo so.

No, non gli sembra un megalomane. Gli sembra che sia l’unica persona coraggiosa abbastanza per dire chiaro e tondo ciò che chiunque altro si vergognerebbe di dire, temendo di risultare troppo ambizioso.

- Non trovo che tu sia un megalomane, Frank. Penso che tu possa farlo, sai? Quello che desideri. Penso che tu possa farcela. Sentendoti parlare così, mi sembrerebbe assurdo il contrario. Sul serio. È quello, che mi manca.

- Cosa? La determinazione?

- Le palle. Le palle di provarci davvero.

- Be’, invece devi farlo. Non ci perdi nulla, te lo assicuro. Nel tuo caso, magari perdi qualche soldo per le matite e tutte le cose che ti servono.

- Il tempo. Quello lo perdo.

- E qui ti sbagli -, risponde Frank, e gli punta contro un indice per sottolineare la cosa. - Se usi il tempo per fare qualcosa che ti piace, allora non lo perdi, lo impieghi. Se ora tu ti mettessi a fare un corso accelerato di... che so, cos’è che proprio ti fa schifo?

- ... Mmmh... diritto?

- Sì, sì, se tu... se tu ora ti mettessi a fare un corso accelerato di diritto, solo per diventare un avvocato ed assicurarti un lavoro stabile per il resto della tua vita, allora sì, in quel caso avresti perso il tuo tempo. - Pausa. - Ma non perdi il tuo tempo, se fai quello che ti piace nel tentativo di farlo diventare la professione con cui vivere.

Gli verrebbe voglia di abbracciarlo, come in quei film drammatici di quarta categoria in cui due sconosciuti si parlano per qualche minuto e subito diventano culo e camicia. Frank gli piace, sa che potrebbe starlo a sentire per tutta la sera. Ma non glielo dice, e torna a guardare dritto davanti a sé.

- Gerd?

- Mh?

- Sai, pensavo... qualche volta potremmo...

- FRANK! FRANK!

Si voltano verso quel richiamo. È un ragazzetto tutto barba e occhiali, che chiama a gran voce sporgendosi dalla porta di servizio che hanno usato anche loro due per uscire dal locale.

- Sbrigati, c’è Kyle Letterman completamente ubriaco, è una cosa folle!

- Kyle? Dio santo, non me lo posso perdere! -, gli grida indietro Frank con un grosso sorriso incredulo stampato in faccia.

- Vieni, veloce!

Il ragazzino che è venuto a chiamarlo scompare con la stessa velocità con cui è apparso. Frank si alza, si spazza via dal sedere la polvere del muretto. A Gerard dà fastidio che se ne vada, ma non dice nemmeno questo.

- Gerd, mi ha fatto davvero piacere conoscerti. Io devo andare con gli altri, stasera li sto un po’ trascurando, sai... sono pur sempre la mia band.

- Sì, ma certo.

- Magari qualche volta ci vediamo, sì?

- Ehm... sì, possia...

Frank si abbassa su di lui e gli schiocca un bacio in bocca.

- Allora ciao, a dopo! -, saluta con naturalezza.

Poi fa dietrofront, e dopo una breve corsetta infila rapidamente la porta secondaria.

 

 

 

 

 

 

Gerard è lì da solo, impalato sul muretto, da otto minuti e quarantatré secondi, un’aria piuttosto stupida dipinta in faccia. A parte che, all’alba dei suoi venticinque anni, non era ancora stato baciato da nessuno. E ok. Strano, eh, per carità di Dio, ma ok. Ma che il suo primo bacio gli sarebbe stato dato da un maschio, per di più mai visto prima, non l’avrebbe mai immaginato. Decide che resterà lì ancora per un po’, sempre impalato con l’aria piuttosto stupida di cui sopra. No, no, una cosa simile non era nei programmi. Non era nemmeno nei programmi che dovesse… magari non piacergli, ma nemmeno dispiacergli. Di certo, non è stato un bacio di quelli che subito dopo ti vien voglia di pulirti la bocca con una manica per cercare di cancellarne ogni traccia. Gerard si chiede con tranquillità se ci sia l’eventualità che sia gay. Si risponde che non lo sa, ma che normalmente, se uno non è gay e viene baciato da un altro ragazzo, allora quella cosa del pulirsi la bocca con la manica dovrebbe farla subito. Lo fa, si pulisce la bocca con la manica. Ecco. Ora non sono gay. Si trova davvero poco convincente. Ora come ora, vorrebbe tornare dentro, trovare Frank, prenderlo per la collottola e trascinarlo di nuovo fuori per chiedergli spiegazioni, ma non lo farà. La bocca se l’è pulita, anche se a scoppio ritardato. Questo fa di me un eterosessuale con i fiocchi, risolve, e resta sul muretto per altri quattro minuti e quattordici secondi prima di tornare dentro al locale, con la musica che gli tortura i timpani e la testa pesante come un macigno. Ci penserà in un altro momento.

 

 

 

 

 

 

Per il ritorno a casa si fanno dare un passaggio da Jesse, che ha un pullmino fiorato che fa molto figlio dei fiori, con tanto di ruota di scorta davanti. Ride, mentre racconta che durante il suo recentissimo viaggio in Spagna, in occasione dell’anno sabbatico che si è preso, ha incontrato una coppia di hippy disposti a venderglielo.

- Quei due erano fuori di testa, lo giuro -, sta dicendo, le mani strette sul volante. - Lei non si toglieva mai da sopra al naso questi occhiali rotondi con le lenti blu, e lui portava la barba lunga fino alla fine del collo, non scherzo! Sono arrivato lì e ho detto: “Mi vendereste il vostro furgoncino?”, e loro me l’hanno praticamente tirato dietro, perché a quanto pare ne avevano appena comprato uno nuovo e molto più grosso. Robe da matti, questo affarino l’ho pagato l’equivalente di centocinquanta dollari, ci credete?

- Spero che avrai la decenza di ridipingerlo, Jez -, ribatte una voce da dietro.

Sono talmente ammassati, lì dentro (nel pullmino dovrebbero entrare in sei, massimo in otto e loro sono in quindici), che Gerard, schiacciato contro il finestrino, non sa nemmeno chi ci sia oltre alle persone che ha di fianco, due ragazze mai viste prima l’una sulle gambe dell’altra. La voce che ha sentito, però, è inconfondibile. Frank. Non riesce a vederlo né si era accorto che fosse a bordo, ma dev’essere da qualche parte nella fila di sedili dietro alla sua.

- Assolutamente no, Iero! Dipingere questo affare? Mai!

- E invece dovresti farlo -, insiste Frank. - Non si può guardare! Cazzo, mi sembra la Mystery Machine di Scooby-Doo!

Quindici persone su quindici scoppiano a ridere, lo stesso Frank si è fatto ridere da solo. Gerard, nello scompiglio generale, cerca di voltarsi per vedere dove sia, mentre ancora ridacchia. Poi si rende conto di stare cercando con gli occhi un ragazzo che l’ha baciato soltanto poche ore prima, senza preavviso e con naturalezza, come se nulla fosse. Allora torna a guardare dritto davanti a sé. Si pulisce la bocca con la manica per la seconda volta, di riflesso. Oh, decisamente, si dice quindi. Non sono gay. Nel frattempo, lo scambio tra Frank e Jesse continua, e tutti tacciono per paura di perdersi altro divertimento. Anche Mikey assiste alla scena con un sorrisetto di aspettativa a stirargli le labbra.

- Fottiti, Iero! Il mio pullmino spacca! Guarda che velocità, senti che motore!

- Ma ti prego! Ho visto un vecchio in sedia a rotelle superarci sull’altra corsia.

Altre risate, una ragazza grida: “Sei in forma, stasera, Frank!”.

- Oh, ragazzi! Approfittiamone -, dice dunque Jesse. - Il mio amico Frank ha bisogno di una seconda chitarra per la sua band, perché quello stronzo di Richard Chrysler ha deciso che era troppo bravo, per continuare a suonare con lui! Qualcuno vuole proporsi?

Si alzano voci di disapprovazione, specialmente femminili.

- Oh, sul serio, Frank? Ma che stronzo!

- Non ci credo, ma quando è successo?

- Io lo dicevo che quel Chrysler era la vostra pecora nera!

- In realtà si è degnato di dircelo piuttosto recentemente -, spiega Frank. - Quindi confermo, siamo decisamente a piedi. Faremo delle audizioni il 20 di ottobre per trovare un rimpiazzo, in un luogo molto esclusivo anche noto come casa mia, e… nulla, se qualcuno di voi è interessato…

- Io la so suonare, la chitarra!

Gerard riconosce la v0ce di suo fratello, di cui vede la mano alzata dietro a un ammasso informe di persone.

- Chi sei, voce proveniente dal nulla? -, chiede Frank al vuoto.

- Sono Mikey!

- Oh, Mikey! Mi farebbe piacere se ti unissi al gruppo! Vieni a casa mia, il 20, ti facciamo suonare qualcosa e vediamo! Sei il fratello di Gerard, no?

Gerard sobbalza appena sente pronunciare il suo nome. Magari Frank è uno che dopo aver baciato in bocca perfetti sconosciuti del suo stesso sesso, ha pure voglia di raccontarlo ad altre tredici persone a bordo di un’auto che sembra la Mystery Machine di Scooby-Doo. Lui e Mikey devono essersi conosciuti mentre io me ne stavo lì impalato sul muretto, pensa.

In realtà, tra un minuto scarso saranno già arrivati a Belleville e Frank ha già cambiato discorso, quindi Gerard conclude che no, non lo dirà a nessuno. Ora che però lui e suo fratello hanno stretto amicizia, il suo timore principale è di ritrovarselo in casa. Dio, fa’ che Mikey non lo inviti a casa, fa’ che Mikey non lo inviti a casa.

- Ehi, Frank! Possiamo vederci a casa mia per discutere dell’audizione, che ne dici? -, chiede Mikey.

Ecco, e figuriamoci. Frank, di’ di no, di’ di no, ti prego, di’ di no.

- Per me va benissimo! Gerard, a te va bene se domani vengo da voi?

Assolutamente no.

- Sicuro, Frank!

Gerard si morde la lingua, ma ormai il danno è fatto. Mentre gli altri due si accordano per l’orario, pensa a qualche scusa credibile da poter sguainare all’ultimo momento, oppure ora, seduta stante. Non ne trova nessuna. Entro dodici ore, Frank sarà a casa sua, magari in sala, magari a sorseggiare un tè con Mikey, magari seduto proprio al suo posto, quello più vicino al muro. Si rassegna alla prospettiva di doverlo vedere anche domani, e prega solo che non venga fuori la cosa del bacio. Rivolge un lungo sospiro al tettuccio dell’auto.

Ci sarà da ridere.

 

   
 
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