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Autore: TsubasaShibahime    19/07/2014    4 recensioni
" Non voleva lasciarlo andare. Per più di un anno Junhong era stato la sua libertà, il suo modo di uscire dalla triste monotonia della realtà. Era stata la ragione di ogni sua scelta. E adesso non ci sarebbe stato più niente del genere fino a chissà quando. Sentì la voce di sua madre e sua sorella chiamare il suo nome in lontananza, non poteva lasciare che scoprissero il suo piccolo principe. Lo accompagnò allora ai cespuglietti, lasciandogli la sua giacca e avvolgendolo in essa come un fagottino.
- Lo hyung tornerà e giocheremo ancora insieme. Cresci e diventa forte e tanto, tanto felice Junhongie. -
- Hyung, non... -
Non voleva che lo supplicasse di non andare, non voleva sentire quelle parole perchè avrebbero squarciato maggiormente il suo cuore. Portò un dito davanti alla bocca minuta del bimbo, zittendolo, poi sorrise e gli diede le spalle, correndo via, verso un futuro degradante, senza di lui.
Junhong lasciò cadere il Tigro per terra, in una pozzanghera e allungò le manine bianche verso quella che era ormai la sua ombra immersa nella pioggia fitta. Proprio come la prima volta tendeva le braccine verso la sua sagoma che si allontanava.
- Non lasciarmi solo hyung.. - "
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Yongguk, Zelo
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sembrava che gli occhi di Yongguk non fossero capaci di vedere altro se non quella verità che, d'altronde, sembrava così palese: si trattava di Junhong, non poteva che essere lui. Nonostante il passare degli anni non aveva mai dimenticato i suoi lineamenti dolci e qualcosa, in quel momento, dal profondo del suo cuore gli urlava di non dubitare, perchè quel viso addormentato apparteneva davvero al piccolo Choi Junhong che ricordava. 
Com'era ovvio che fosse però, le grida del cuore non bastarono a far sì che il dubbio girasse alla larga da lui, ma piuttosto si insidiò, quasi costringendolo a volerlo osservare più da vicino. In realtà era una scelta più che plausibile. Ricordava un bambino davvero piccolo, bassissimo, dai capelli neri e gli occhi grandi, mentre in quel momento aveva di fronte un ragazzino che sembrava abbastanza alto, dai capelli inspiegabilmente biondi e come se non bastasse pure dormiente; in quel modo era quasi impossibile avere la certezza che fosse lui. 
Perchè allora riusciva ad udire quello strepitio in fondo al cuore? 
Forse per il semplice fatto che l'affetto provato per Junhong non l'aveva mai provato per nessuno. Forse aveva tenuto dentro di sè non solo il ricordo visivo di un bambino che aveva allietato le sue giornate per anni, ma aveva registrato i suoi minimi gesti, il suo profumo, le espressioni, tanto che probabilmente l'avrebbe riconosciuto a miglia di distanza o, come in quel caso, addormentato e cresciuto. 
Titubante allora si avvicinò a quell'amaca che sembrava davvero comoda, quasi più del suo letto. Non appena fu a brevissima distanza dal corpo dell'altro si accovacciò per essere alla sua stessa altezza. Nonostante la luce soffusa, da quella distanza la possibilità di osservarlo per bene era migliorata notevolmente. Aveva dei lineamenti davvero delicati; quelli di una ragazzina, al suo fianco, sarebbero probabilmente sembrati più rudi. Più lo osservava, più un sorriso flebile si disegnava sul suo viso. Era davvero il suo piccolo Junhong? Era davvero lui? 
Moriva dalla voglia di sfiorarlo. 
Sollevò la mano, la allungò verso il suo viso. Il polpastrello dell'indice arrivò a sfiorare la sua guancia, ma in quel momento l'altro ebbe come un brivido e scostò il viso. Yongguk sobbalzò, con il cuore in gola indietreggiò goffamente, infilando il piede in un vaso di ceramica vuoto e cadendo all'indietro come un vero idiota. Come intimorito all'idea di essere visto, scoperto, in quelle penose condizioni, con la scarpa ancora incastrata nel vaso, indietreggiò sulla pavimentazione grezza fino a raggiungere un pilastro in cemento, ampio e rivestito d'edera, che lo avrebbe nascosto alla perfezione. Maledette scarpe. La punta era rigida ed incastratasi nel vaso sembrava proprio non volerne uscire in alcun modo. Mentre allora si decideva a sfilare almeno il piede fuori dalla scarpa, lasciando il maledetto calzare nel vaso, sentì qualcosa muoversi poco distante. Ansioso si affacciò oltre le foglioline di edera e tra di esse vide gli occhietti neri e ben aperti del ragazzo, che si guardavano attorno spaesati. Era inevitabile che con tutto quel rumore non si svegliasse, sarebbe dovuto essere in letargo per non sentirlo. Yongguk decise di restare ben nascosto dietro il pilastro, non aveva nessuna intenzione di spaventarlo, di piombargli addosso e abbracciarlo, ringraziando il cielo per aver fatto tornare in vita il suo Junhong o qualcosa del genere. No, non era assolutamente il caso. 
Junhong strofinò un occhio con un pugno e sbadigliò, poi si voltò sul fianco e tornò a dormire, con il peluche rigorosamente stretto tra le braccia. Yongguk attese ancora un po', in quel frangente tentò ancora di tirar fuori quella benedetta scarpa dal vaso, ma niente, e solo quando ormai si rassegnò al lasciare la scarpa lì dentro, si mise in piedi e con un passo zoppicante, da vero scemo, decise di svignarsela. 
Era chiaro che non dovesse essere lì in quel momento. Si trattava sicuramente di un luogo del quale nessuno doveva parlare. Del quale qualcuno era sicuramente a conoscenza. Ne era testimonianza il vassoio d'argento che era sistemato sul tavolino accanto all'amaca, imbandito di cibo. Poche cose erano state mangiate, giusto le tortine e una pizzetta, provenienti direttamente dal buffet del ricevimento.
Hyoseong sapeva dell'esistenza di Junhong. Nonostante questo, come sempre, gli interrogativi erano ovunque. 
Si affrettò dunque ad uscire dalla serra, voltando il capo ogni tre secondi come a volersi assicurare che quella visione, quel ragazzo dormiente sull'amaca, non fosse stato solo un mero sogno, un effetto del poco vino bevuto durante il ricevimento e della sua immaginazione che si divertiva sempre molto a infliggergli ferite dolorose. Chiusa accuratamente la porta scricchiolante della serra, si guardò attorno per assicurarsi che nessuno avesse notato quella sua piccola intromissione in un territorio al quale gli era ovviamente proibito accedere e, non notando nessuno dei paraggi, tirò un sospiro di sollievo e prese il sentiero che lo avrebbe condotto sul retro della casa, così da poter quantomeno andare in camera ad indossare un altro paio di scarpe e poter tornare al ricevimento. La cosa che tuttavia non era riuscito a prevedere fu che non appena toccò il materasso, tutta la stanchezza accumulata in un'intera settimana piombò su di lui, facendolo addormentare come un sasso, senza più presentarsi al ricevimento. 

La mattina seguente, quando riaprì gli occhi, si ritrovò ancora tutto impettito come la sera precedente, con quello smoking elegante addosso e la lacca tra i capelli. Com'era ovvio che fosse il suo primo pensiero fu Junhong e ciò che aveva visto la sera precedente. Rendersi conto che fosse effettivamente la realtà non era poi cosa tanto semplice, data l'assurdità dei fatti. Al diavolo la lezione del giorno e i divieti, Yongguk aveva bisogno di tornare in quella serra alla luce del sole e rendersi conto che effettivamente non si era trattato di un'illusione crudele, che Junhong era davvero vivo, che l'aveva visto e sfiorato.  Si spogliò alla veloce di quello smoking che di comodo aveva ben poco e inossò un paio di bermuda di jeans e una polo nera, leggera e casual. Era pronto ad uscire e affrontare il caldo torrido che imperversava fuori dalla villa. 
Tuttavia, non appena mise un piede fuori dalla camera, il cellulare vibrò in tasca e un attimo dopo la suoneria prese a suonare. Si fermò, restando dapprima sull'uscio, per poi indietreggiare di qualche passo lasciando la porta socchiusa, quando lesse il nome sul display. Non che fosse un nome, ma più che altro una lettera, una R, che stava per Mr. Reed, cognome che ovviamente solo Yongguk doveva conoscere, o sarebbero stati guai seri. Alla fine si era deciso a chiamare. Yongguk rispose, ma rimase in silenzio, consapevole che probabilmente l'altro aveva tante cose da dirgli e domande da porgli, così tante che saluti e cose simili sarebbero stati superflui. 
Mister Reed si schiarì la voce, poi sbuffò e tossì. Probabilmente stava fumando uno dei soliti sigari all'apparenza infiniti. 
- Ti piace la Corea, Yongguk? Perchè se ti piace potrei fare in modo di farti seppellire al cimitero di Seoul tra qualche giorno, così potrai trascorrere il resto della "vita" nella tua terra natale. - 
Yongguk deglutì, non disse nulla. L'altro continuò. 
- Sei lì forse per giocare e divertirti? Perchè se è così credo tu non mi abbia avvisato. Devo ricordarti che la tua cara mamma è ancora qui? - 
- Sto facendo ciò che posso, signore. - intervenne Yongguk, che tremava letteralmente all'idea che si torcesse un capello alla madre, dopo tutto ciò che quella povera donna aveva patito in passato e che continuava a soffrire nel profondo del proprio cuore. 
- " Ciò che posso " non è ciò che ti ho ordinato di fare! - il tono di voce più alto fece raddrizzare la schiena a Yongguk come fosse un soldato sull'attenti. - Dunque? Sto aspettando che mi elenchi i tuoi progressi. - 
Yongguk deglutì, qualcosa doveva pur dirla. 
- Mi sono avvicinato a lui, sono riuscito a parlargli direttamente, ad entrare nei suoi alloggi. Sarà complesso raggirarlo. - 
- Già solo il fatto che ti lascia stare lì è qualcosa, vuol dire che si fida. Non lascerebbe mai che un cancro si espandesse direttamente dal nucleo della sua famiglia, non credi? - 
- Ha ragione signore. -
- Cosa mi dici di lei? -
- Non riesco mai ad incontrarla. Credo sia particolarmente cagionevole di salute, esce raramente dalle sue stanze. - 
- Ieri era il giorno del suo compleanno. - 
Yongguk si stupì del fatto che conoscesse quel dettaglio, ma non disse nulla, era consapevole della relazione tra i due. 
- Bang Yongguk, hai tempo un mese. Un mese esatto per compiere ciò per cui ti ho mandato lì. E' un ultimatum. Altrimenti per te e ciò che resta della tua famiglia... non ci saranno speranze. - 
Sembrò avesse riattaccato il telefono con forza, dato il tonfo sonoro che rischiò di sfondargli un timpano. Yongguk strinse le mani sulla ringhiera bollente. Era stato convinto di voler svolgere quel compito per buona parte della sua vita, mentre adesso vacillava. Sarebbe voluto soltanto sparire nel nulla. 
Quando riuscì a tornare in sè e ritrovare quella che si poteva definire una sorta di calma interiore, o forse sarebbe meglio dire uno stato di stallo che gli consentiva di non diventare folle, si voltò, ma due occhi grandi e scuri lo inchiodarono lì dov'era. Oltre la porta a vetri che separava il balcone dalla camera da letto di Yongguk, Daehyun restava fermo, immobile come una statua, a fissarlo con aria crudele, come se i suoi occhi lo stessero accusando mille e mille volte, come se fosse pronto a tirar fuori un coltello dalla manica e fargli molto, molto male. Che avesse sentito la conversazione? Se fosse stato così sarebbe stata la fine di Yongguk. Doveva muoversi a spiegare, o più che altro a mentire, così che non combinasse un disastro. Allungò la mano verso la maniglia della porta e la tirò indietro, senza riuscire ad aprirla. Quando aggrottò la fronte vide Daehyun oltre essa scoppiare a ridere. 
- Yaah, Daehyun. Mi hai bloccato qui fuori! - e dalle risate di Daehyun si riusciva a comprendere benissimo che di certo l'aveva fatto di proposito. Meglio così, la sua espressione austera doveva essere dipesa dal tentativo di non ridere prima che Yongguk scoprisse lo scherzo. Qualche attimo dopo raggiunse la porta e la aprì, Yongguk tornò in camera, dandogli un buffetto sulla testa. 
- Peste. - 
- Sei in ritardo alla lezione di cinque minuti, quindi dovevo punirti, no? - 
E tutto allegro gli fece cenno di seguirlo fuori dalla stanza. A quanto pare non avrebbe potuto far visita a Junhong tanto facilmente. 
Comunque si era preso un bello spavento. 

Era la prima volta che riceveva un ultimatum da Mr. Reed. In tutto quel tempo aveva svolto il suo lavoro in maniera impeccabile, senza sbagliare un colpo, nemmeno una volta. Era così strano. 
Mentre la lezione con Daehyun (che sembrava essere ormai quasi una scusa per fantasticare e abbandonarsi ai ricordi) procedeva non riusciva a non pensarci, non riusciva a non pensare a come fosse finito in quella situazione, quando mai, dentro di sè, avrebbe voluto farlo. 

--
L'asfalto dei marciapiedi di Brooklyn era particolarmente irregolare. Composto di ampie lastre quadrate, l'una di fianco all'altra che si inseguivano per distanze all'apparenza infinite, sembrava asimmetrico in maniera ridicola. A nessuno importava che avesse un'andatura orizzontale quasi ondeggiante, che si rischiasse di inciampare ogni due passi per via di mattonelle sollevate, delle radici magre degli alberi che ormai fuoriuscivano libere dall'asfalto sul quale non veniva applicata alcun tipo di manutenzione. Forse, in fin dei conti, non importava tanto neanche a Yongguk che, per quanto la cosa potesse visibilmente infastidirlo, non poteva far altro che calpestare i marciapiedi della strada che portava a casa, al piccolo appartamento in cui vivevano da tutti quei mesi con il nonno. 
Quel pomeriggio però Yongguk si ritrovò ad essere totalmente rapito dal crepuscolo che governava il cielo e, quando si decise finalmente ad arrestare la sua passeggiata e abbassare lo sguardo verso la pavimentazione urbana e irregolare, si rese conto che non aveva assolutamente idea di dove si trovasse. Senza alcun dubbio non era potuto uscire dagli ampi confini del borough, su questo non nutriva alcun dubbio, ma generalmente non si spingeva oltre il proprio quartiere e quello in cui si trovava la propria scuola. Forse quel suo avere la testa fra le nuvole lo aveva cacciato nei guai e adesso, pur guardandosi indietro, non aveva idea di quale fosse la strada che aveva appena percorso, la traversa da prendere, l'incrocio al quale svoltare. Niente di niente, il vuoto. Non gli restava dunque che procedere alla ricerca di una rete mobile che gli permettesse di chiedere aiuto a qualcuno. Quando notò che sullo schermo del cellulare si accesero due piccole tacche bianche si fermò, con le ginocchia stanche per la lunga camminata, e poggiò la schiena alla parete, tutto intento a comporre il numero. Non appena il cellulare del nonno iniziò a squillare sollevò gli occhi, ma quando lo fece dovette assottigliare lo sguardo in quanto poco distante da lui, sul lato opposto della strada, un vicolo in penombra si estendeva in profondità, ma qualcosa in quei meandri aveva stimolato la sua curiosità. Era qualcosa che evidentemente non sarebbe mai dovuto accadere, lo capì all'istante incrociando gli occhi di quell'uomo, un uomo alto, dai capelli incollati da chissà quanti strati di gel, con una bella giacca beige e sagomata che metteva in rilievo le sue spalle ampie e il fisico statuario. Forse, visto alla luce del giorno, senza lo sfondo tanto tetro di un uomo disteso sull'asfalto in un bagno di sangue, sarebbe sembrato un uomo rispettabile e dalla bellezza ineguagliabile, ma l'unica cosa che venne in mente a Yongguk in quel momento, mentre lo fissava sconvolto, fu "assassino". Parola che gli scivolò dalle labbra più volte, pur non facendo vibrare le corde vocali se non in maniera minima, appena udibile. Gli occhi di ghiaccio di Mr. Reed erano più abili di quelli di un'aquila, probabilmente mentre esaminava il corpicino dell'unico testimone oculare di quell'omicidio al crepuscolo, analizzava già in che modo ucciderlo, in che modo far svanire il suo corpo. Yongguk sapeva di dover fuggire, ma non riusciva a muovere le gambe, terrorizzato da quella situazione e dentro di sè orribilmente stanco perchè troppo aveva patito in quegli ultimi mesi. Un ragazzo con il cuore strabordante di dolore, perchè sarebbe dovuto fuggire a quel punto? Evidentemente la vita lo stava mettendo di fronte a quantità infinita di ostacoli forse perchè non era suo destino che restasse ancora al mondo. Avrebbe subito il fato in silenzio, la pensava così, mentre gli occhi gelidi di Mr. Reed e del suo scagnozzo, immediatamente dietro di lui, con ancora l'arma del delitto in mano, si avvicinavano placidi e intimidatori, come lo strisciare di un boa pronto ad uccidere con la lentezza di un rituale religioso. 
- Se deve uccidermi... lo faccia subito. - mormorò Yongguk, in lacrime, con gli occhi bassi. Mister Reed sembrò stordito da quella richiesta improvvisa, segno di un'evidente rassegnazione. Era chiaro che un ragazzino di quell'età non volesse davvero morire, ma il fatto che sembrasse voler accettare la cosa lo insospettiva, quasi lo inteneriva. 
E non lo toccò. Non lo sfiorò neanche, se non per dargli una pacca sulla spalla, quasi volesse fare il simpaticone. Ricevere una palla sulla spalla da un assassino gli faceva venire il ribrezzo, ma non disse nulla, attese, perchè era la cosa più saggia da fare. L'uomo, dotato di grande intuito e di un'intelligenza scattante a dir poco, seppe che qualcosa in lui non andava, seppe di potergli fare tenere la bocca chiusa più che con una minaccia... con una promessa. E così fece.

- Il destino ci ha fatti incontrare, Bang Yongguk! Non capisci? Vogliamo due cose differenti che portano ad un medesimo risultato. Non è meraviglioso che ci siamo incontrati così? Io posso darti ciò che desideri, sai? - 
Mr. Reed cercava di abbindolarlo con il suo fare teatrale e mentre Yongguk si ripeteva che non ci sarebbe riuscito, i suoi brutti ricordi e il suo dolore venivano plasmati così da permettere a quel ricco assassino di appropriarsi della sua volontà. Il suo studio era estremamente curato, moderno, pulito e profumato. Sembrava così ridicolo che l'uomo che si nascondeva tra quelle mura fosse così marcio dentro, ma circondato da tanta luce. 
Mr. Reed aveva preso le redini di una multinazionale nuova di zecca, era il secondo presidente, suo padre l'aveva creata senza riuscire a portarla ai livelli raggiunti piuttosto dal figlio. I metodi utilizzati erano stati senz'altro sbagliati e poco leali, ma fatto sta che l'intera compagnia, nel giro di cinque anni, era divenuta competitiva su piano internazionale. 
Era solo una l'impresa che ancora ostacolava l'ascesa della compagnia dei Reed verso il potere economico assoluto in quella medesima area commerciale. Si trattava di una compagnia sudcoreana il cui CEO rispondeva al cognome di Jung.

-

Yongguk trasalì all'improvviso e scosse il capo, purtroppo già dopo che Daehyun si era permesso di infilargli la matita nel naso e adesso si sbellicava dalle risate. 
- Yaaah! Sei impazzito? - sbottò, massaggiandosi la punta del naso con un'espressione dolorante. Almeno ci provava a farlo sentire in colpa, che non ci riuscisse era ovvio. 
- Buttala, mh? Non la voglio più. - disse Daehyun, sventolando una mano di fronte al viso con aria schifata. - Approfitti dei miei esercizi per sognare, vero? Hai tanti pensieri per la testa hyung? - 
Yongguk scrollò le spalle, sperando intuisse che non amava le persone particolarmente invadenti, ma Daehyun abbassò gli occhi, quasi intristito. Era un'espressione che non aveva mai visto sul suo volto, affranta come quella di qualcuno che era stato appena tradito, del tutto differente dalla solita faccia da cane bastonato che tentava di addolcire il cuore apparentemente duro di Yongguk, ma proprio quando il maggiore stava per porgli una qualche domanda che riuscisse a capire il perchè di quell'espressione, si alzò con un sospiro e se ne andò, ignorando il fatto che Yongguk stesse chiamando il suo nome con il tono più severo che potesse. Non poteva niente contro la testa dura di Jung Daehyun. 
 
La mattina seguente a quell'ultimatum non aveva di certo dimenticato quelle parole e il tono minaccioso di quell'uomo, infatti quando aprì gli occhi un immediato senso di tensione si fece sentire all'altezza dello stomaco, facendolo sbuffare sin dall'inizio della giornata. Ottimo. 
Scese dal letto, tanto rintontino e sconvolto guardandosi allo specchio con il suo colorito scialbo, da dimenticare completamente di dover dare un'occhiata all'orario. Si limitò a fare una doccia, indossare una tuta comoda e una canotta scollata per poi lasciare la camera e iniziare a scendere le scale. Purtroppo, quando si rese conto che mancavano ancora dieci minuti alle nove e trenta trasalì, se il maggiordomo lo avesse trovato in cucina a quell'ora sarebbe scoppiato il finimondo, sicuramente la cosa migliore da fare era lasciare il posto, fuggire, rintanarsi nella propria camera e tornare giù solo allo scoccare dei trenta minuti. Purtroppo la rinomata testa dura di Yongguk fece capolino anche quella volta, facendogli rischiare seriamente di mettersi nei guai. Era però inevitabile chiedersi per quale ragione dovesse essere così puntuale, perchè il maggiordomo, ma evidentemente la famiglia Jung stessa, fosse così puntigliosa per ciò che riguardava l'ora in cui Yongguk poteva lasciare la camera per fare colazione. Perchè d'altronde era una regola che era certo vigesse solo per lui. Aveva sentito Hyoseong lamentarsi più di una volta del fatto che doveva svegliarsi alle sette tutte le mattine per preparare la colazione per tutti e rendere la casa linda e pinta prima che chiunque altro aprisse gli occhi. Poi i passi inconfondibili del maggiordomo li aveva spesso sentiti attraversare il corridoio sul quale dava la sua camera e spesso di mattina presto, probabilmente anche prima delle sette. Quindi perchè proprio Yongguk non poteva azzardarsi a raggiungere la cucina se non erano almeno le nove e ventinove? Restava un mistero che quella mattina aveva tutta la voglia di risolvere.
Vittima della curiosità allora si avvicinò alla finestra, scostando le tendine in lino bianco e sbirciò fuori con non poche difficoltà. Riuscì ad inquadrare le spalle ampie e spaventose del signor Jung, che con il giornale tra le mani sembrava aver già finito di fare colazione da un bel po'. A causa della schiena grande come un armadio, gli venne difficoltoso scorgere il resto, ma suppose che il posto vuoto accanto a lui dovesse appartenere alla moglie che, magari per via della sua salute cagionevole, aveva preferito ritirarsi nei propri alloggi e godersi il climatizzatore. Il ciuffetto di capelli neri di Daehyun saltò all'occhio, dato che non riusciva a stare fermo neanche per un attimo. Sporgendosi un po' di più lo vide parlare animatamente, sembrava stesse raccontando qualcosa al padre, qualcosa di davvero entusiasmante, al quale il genitore sembrava non dare molto peso. Piuttosto, lo vide sollevare gli occhi dal giornale solo per guardare di fronte a sè, prestando attenzione a qualcuno, o qualcosa, che non riuscì a vedere bene fin quando non si mise sulle punte, con la guancia completamente premuta contro il vetro. Probabilmente se qualcuno l'avesse visto da dietro, anzichè sgridarlo, avrebbe iniziato a ridere di lui. Non importava, perchè quella ridicola posizione gli permise di intravedere ciò che desiderava, quella cosa, o per meglio dire, quella persona, che stavano cercando di nascondere a tutti i costi. 
Junhong se ne stava seduto di fronte al signor Jung, evidentemente intimidito, evidentemente a disagio, con tutta l'intenzione di fuggire alla prima occasione... o nascondersi sotto il tavolo. La sua frangetta bionda, ancora inspiegabilmente bionda, lo faceva sembrare un angioletto e la sua pelle bianca e candida stonava un po' con quella del ben più abbronzato Daehyun al suo fianco, ma anche con la stagione estiva, durante la quale è molto più frequente vedere pelli scure, piuttosto che tanto chiare. Eppure sembrava che il signor Jung prestasse più attenzione al piccolo Junhong, piuttosto che a Daehyun che parlava, che tentava in ogni modo di distogliere l'attenzione del padre dal biondino timidissimo senza tuttavia riuscirci. Junhong invece non apriva la bocca, sembrava che il signor Jung gli stesse dicendo qualcosa, ma lui si limitava a scuotere debolmente il capo e, solo quando il presidente scrollando le spalle riportò lo sguardo sul giornale, il biondo sollevò gli occhietti neri e spaesati, puntandoli istantaneamente sulla finestra. Sgranò gli occhi in contemporanea con Yongguk nell'istante in cui i loro sguardi si incrociarono, lasciò cadere il cucchiaino che teneva in mano, attirando così l'attenzione degli altri due commensali. Yongguk si abbassò immediatamente, fuggendo via dalla cucina in fretta, prima che uno dei due venisse a controllare se effettivamente qualcuno li stava spiando, l'unico particolarmente invadente di quella cosa, l'unico al quale volevano nascondere cose su cose. 
Nonostante quel piccolo avvenimento, durante il pomeriggio Daehyun non disse niente di niente, sembrava il solito vivace Daehyun, che non faceva altro che giocare con la matita e tentare di strappargli di bocca il permesso di andare a fare merenda con una fetta di cheesecake. Yongguk si sentiva sollevato, anzichè fare progressi aveva come l'impressione di scavarsi la fossa giorno per giorno e anche quella sera andò a letto con quella medesima impressione. 

Tuttavia non arrivò a prendere sonno che qualcosa lo svegliò del tutto. 
Erano più o meno le quattro del mattino. Yongguk se ne stava sdraiato tra le lenzuola, tentando disperatamente di ritrovare la tranquillità perduta in seguito alle minacce di Mr. Reed. Teneva gli occhi chiusi, un polso sulla fronte e le caviglie accavallate, in una posizione davvero ambigua da vedere, ma altrettanto comoda. 
Il cigolio lieve della porta che si apriva però gli fece palpitare il cuore all'improvviso. La camera non era troppo buia, grazie alla luna piena di quella sera e le tende aperte, sarebbe stato perfettamente capace di vedere di cosa si trattava, ma era come pietrificato dalla paura. Che fosse il maggiordomo? Daehyun? Chi altro poteva introdursi nella sua camera? O che si trattasse di una semplice folata di vento? Nah, una folata di vento non poteva aprire una porta chiusa a chiave. Che fare? 
I passi leggeri si avvicinarono al suo letto, era un passo cauto, guardingo. Il respiro dell'altro giunse più vicino, lento, regolare. Poi, all'improvviso, nell'attimo in cui lo sentiva vicino, proprio accanto al letto, quasi ad adombrare il suo corpo disteso, lo sentì svanire nel nulla. Attese un minuto, due minuti, poi tre. Raccolse allora tutto il suo coraggio e deglutendo aprì gli occhi. Niente. Niente di niente. Fissò il soffitto per qualche attimo e tirò un sospiro di sollievo. Forse si era trovato in una situazione di dormiveglia e quelle sensazioni erano apparse vere, quando in realtà erano state semplicemente prodotte dal suo cervello. Turbato sollevò il busto, passò una mano tra i capelli e spostò gli occhi sulla porta, era chiusa, ma la chiave era girata dal lato errato. Era stata aperta. 
Solo allora, atterrito, abbassò gli occhi e si rese conto che qualcosa, una testolina bionda, era poggiata proprio lì sul materasso, accanto alla sua coscia. Non potè che urlare terrorizzato. L'altro sollevò il capo all'improvviso, unendosi a quelle urla da film horror e cadendo all'indietro dalla sua posizione accovacciata. 
Yongguk riprese lucidità in fretta e strizzando gli occhi, cercando di mettere a fuoco la sua figura alla luce della luna, riuscì a osservare per bene il ragazzino snello  dallo sguardo ancora spaventato. Se ne stava lì per terra come in attesa di un giudizio universale. Poi notò che stringeva nella mano destra una scarpa. La sua scarpa. Quella che l'altra sera era stato costretto a lasciare nel maledettissimo vaso. Che fosse venuto a riportargliela? E come poteva sapere che fosse sua? 
Forse era il caso di tentare di metterlo a suo agio, ma Yongguk non era un granchè bravo in quelle cose, rompere il ghiaccio era davvero un dramma per lui, così si limitò a muovere il capo e fargli cenno di mettersi in piedi e avvicinarsi, mentre con un dito davanti alla bocca gli intimava di fare silenzio. Se il maggiordomo non fosse venuto a bussare alla sua porta, accusandolo di chissà quali crimini, potevano considerarlo un vero miracolo. Junhong lo guardò incerto, ma si sollevò dal pavimento e si mise a sedere sul letto, accanto a lui, ora reggeva la scarpa con entrambe le mani. Forse Yongguk avrebbe dovuto dimostrarsi sconvolto, chiedergli da dove venisse, perchè non l'avesse mai visto, ma semplicemente non poteva, troppo rapito dal fatto che il suo Junhong era davvero lì davanti a lui e questa volta non era l'unico a godere di quella scena, anche il più giovane era completamente immerso in quell'atmosfera strana, silenziosa, piena solo di sguardi. 
- E' tua? - domandò Junhong con un filo di voce, facendo piombare immediatamente gli occhi verso il basso. Yongguk ci rimase quasi male. Si aspettava che gli dicesse che era felice di vederlo, che gli era mancato, o cose del genere, ma niente, solo una domanda riguardante quella stupida scarpa. 
Yongguk annuì, prendendola dalle sue mani e mettendola a terra, accanto al letto, a sistemarla ci avrebbe pensato il giorno seguente. 
- Come facevi a sapere che è mia? Mi hai visto solo una volta, no? Solo questa mattina, mentre facevi colazione, giusto? - 
Junhong lo fissava senza dire una parola, con le labbra dischiuse come se avesse voglia di parlare, ma non trovasse vocaboli adatti. Il più grande allora insistette con lo sguardo, sollevando le sopracciglia in attesa di una risposta. E Junhong andò nel pallone. Iniziò a scuotere le mani davanti al viso, come a volerlo supplicare di non guardarlo con tanta insistenza. 
- Scusi, scusi signore! E' che... che somiglia così tanto a una persona che conosco! - 
Tutta quella improvvisa formalità fece sentire Yongguk un vecchiaccio, ma non disse nulla, perchè la cosa più importante ( e grave ) era che Junhong non si fosse reso conto che si trattava effettivamente di Yongguk. 
- Una persona che conosci? Di chi si tratta? Come si chiama? -
Junhong lo guardò accigliato, poi alzò le spalle. - Si chiama... " hyung " - 
Yongguk si sarebbe voluto lanciare all'istante giù dal balcone. 
- Come sarebbe "hyung"? Questo hyung non ha un nome? - 
Junhong scosse il capo, con l'aria di chi si sentiva davvero in colpa. - Non ricordo... è uno hyung con cui giocavo quand ero molto piccolo, ma credo di averlo chiamato "hyung" così spesso... da non ricordare il suo nome adesso. - sospirò affranto e nonostante la situazione Yongguk non potè che provare tenerezza. 
- Capisco Junhong, non preoccuparti. - 
Se l'altro avesse avuto un paio di orecchiette da gatto, in quel momento sarebbero divenute ritte sul capo, mentre lo guardava incuriosito. 
- Come sa il mio nome, signore... ? - sembrava abbastanza spaventato, come se fosse un grande guaio il fatto che un ospite sapesse chi era, come si chiamava. Insomma, non è che fosse così saggio piombare di notte in camera di qualcuno se hai un'identità segreta. Yongguk era in difficoltà. Si guardò attorno, abbassando lo sguardo e cercando da qualche parte una risposta, una scusa, che non fosse un immediato " sono lo hyung che ricordi ". Niente da fare però, sembrava che Junhong ci fosse arrivato da sè, perchè all'improvviso si coprì la bocca con entrambe le mani, fissandolo come se avesse fatto una scoperta sensazionale. 
- Può darsi che... che... - 
Yongguk lo guardò, abbozzando un sorriso impacciato che bastò a far scoppiare Junhong. Si lanciò tra le sue braccia, strofinando il visino sul suo collo mentre tentava disperatamente di non piangere, probabilmente con la convinzione di essere grande, di non poter più fare quelle cose, ma in una situazione del genere Yongguk stesso sentiva la commozione travolgerlo. 
Il suo piccolo Junhong era finalmente tra le sue braccia, dopo aver sofferto tanto, dopo averlo cercato e aver sperato, dopo anni e anni... Junhong era finalmente lì tra le sue braccia. C'erano ancora innumerevoli domande che voleva fargli, ma al momento stringerlo in quel modo, con il silenzio infranto solo dai singhiozzi sommessi del minore, bastava a rasserenare il suo cuore, a radere al suolo gli edifici di dubbi e complessi costruiti in sua assenza. Persino la tensione riguardante l'ultimatum ricevuto quel pomeriggio si era dissolta. 
- Alla fine sei tornato a giocare con me, hyung - mormorò Junhong, felice e in lacrime. 
Sotto quel punto di vista, quel piccolo piagnucolone non era cambiato affatto. 

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E rieccomi con il nuovo capitolo! Ho sempre l'impressione di andare troppo a rilento, il fatto è che vorrei raccontare tantissime cose in ogni capitolo, ma so che non è il caso di renderli sovraccarichi ;w;" Credo comunque che arriverò ad un massimo di dieci capitoli con la storia. Grazie a chi recensisce, legge e segue la mia storia, spero che vi piaccia, alla prossima! :) 
 
   
 
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