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Autore: AsanoLight    19/07/2014    0 recensioni
Era troppo tardi per rimproverarsi di non aver intrapreso lo stesso cammino di Akari e divenire medico anziché combattente.
«Sei un idiota», mormorò flebilmente il comandante, accarezzando i rosei e polverosi capelli del dottore, «Sei un incosciente. Sempre a pensare agli studi, e mai un po' di riguardo per te stesso»
I molesti boati dell'esplosione, le scintille vermiglie dell'incendio, le sottili tossiche polveri, e nella fosca oscurità tinta di un opaco carminio, le loro ombre.
Era troppo tardi per tutto.
Genere: Angst, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akari, Altri, Hirato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Torre di Ricerca, ore 23.29

 

Hirato si precipitò rapidamente all'interno dell'edificio. Aveva già tentato di entrare dai piani superiori ma ogni finestra era stata prontamente chiusa.

Non c'era maniera di infiltrarsi, inutile dire che, senza ossigenare la stanza, chiunque vi si fosse trovato dentro avrebbe rischiato il soffocamento. Il pensiero gli scosse in un raggelante brivido l'intera colonna vertebrale, dall'osso sacro fino all'ultima vertebra cervicale, e il comandante stesso ammise malvolentieri che quei tremiti non fossero dati dal gelo che gli aveva attaccato il collo durante il volo o dallo zuppo pigiama che si ritrovava addosso e che, tra le fiamme dell'incendio in cui si faceva strada senza mai poggiare piede per terra, si stava pazientemente asciugando. La reception della torre di ricerca era completamente distrutta e riusciva già a percepire l'energia dei Varuga -si dovevano essere moltiplicati.

Volò più rapido lungo il corridoio del piano terra, i panelli, uno ad uno precipitavano dal soffitto, bastava talvolta un soffio di vento, niente di più, per farli cedere.

Finalmente le riuscì a trovare, le scale che le infermiere non erano riuscite a salire.

Hirato le sorvolò con fretta, le lingue di fuoco gli solleticavano il corpo, sentiva ora il gelo fondersi con le bruciature che gli procurava l'incendio -non era un fuoco normale quello, ora ne aveva più che la certezza. Atterrò al primo piano e corse a perdifiato per il corridoio, scuro dalla fuliggine, illuminato solo dal fuoco, le luci completamente fulminate, l'impianto elettrico saltato, il blackout che aveva dato alla torre di ricerca la stessa morte di una notte senza stelle. Un'ombra emerse dall'oscurità, correndo nella direzione opposta del comandante, e gli sbatté accidentalmente contro.

«Comandante Hirato!», Azana gridò di stupore, strabuzzò gli occhi per quell'incontro inaspettato, gli si strinse nell'addome lo stomaco a quella statura imponente e quegli occhi che, al solo guardarli, già sentenziavano morte.

«Cosa ci fai con quel coltello insanguinato nella mano, Azana», Hirato omise volutamente il tono interrogativo alla domanda, prese il ragazzo per il giubbino lucertola, con un solo pugno lo sollevò da terra, l'ira gli ribolliva nel sangue, trasudava spaventato odio da ogni poro della pelle, mescolati nel suo animo c'erano lo spietato desiderio di uccidere, regalando una morte fredda ma rapida, e quello di ferire, deturpare, distruggere e lasciare morire tuttavia in agonia. Ma già sapeva che qualunque punizione Azana avrebbe scontato, non sarebbe stata sufficiente a pagare per l'offesa fatta ad Akari -qualunque essa fosse stata, e, prima d'ogni altro individuo, a lui personalmente.

Azana s'agitava, bianco di gesso dalla paura, e ora non aveva neppure più il coraggio di sostenere lo sguardo del comandante.

Un'ombra incombette alle spalle dei due, viscida si attorcigliò attorno alle caviglie del comandante e lentamente risaliva il corpo. Hirato si voltò di scatto e, senza mollare la presa sul ragazzo, che sentiva più come un coniglio catturato e tenuto per le orecchie, colpì con lo scettro il Varuga, sussurrò con fredda determinazione "Vacuum" e per un istante, la luce che produsse l'arma si rifranse sulle mille particelle di fumo.

«E' stato un azzardo lasciarti fare», le fredde parole di Hirato gelavano il sangue del giovane ricercatore, «Anche sapendo che eri un traditore, avevamo bisogno di tenerti d'occhio. Non credere che non pagherai. Non sarà Circus a perseguitarti e a darti la morte»

Azana tremò, gli occhi di ametista brillarono su uno sfondo di fiamme e nero pulviscolo, scintille che volteggiavano nell'aria.

«Sarò io stesso ad ammazzarti!»

Hirato gli portò in un impeto le mani al collo e ignorò i rantoli di opposizione del ragazzo.

«Non- non le interessa sapere dov'è A-Akari?», Azana trascinò quelle sole parole, raccogliendo l'aria necessaria per respirare, che già gli veniva meno tra i fumi dell'incendio. Percepì tuttavia il sussultare del comandante a quelle parole, una bestia che viene improvvisamente riportata alla ragione -ricordava finalmente il motivo per il quale si era recato lì? Hirato era la furia fattasi persona e Azana sorrideva di quella folgorante debolezza, la cui prova erano stati gli occhi sbarrati che il corvino aveva fatto alla vista delle gocce di sangue stillare dalla lama del pugnale.

«Dimmelo. E poi ti sentenzierò a morte»

«E' sicuro di riuscire ad uccidermi così facilmente?»

Hirato digrignò i denti.

«Se non si affretta, chi lo dice che il dottor Akari non muoia da un momento all'altro...?»

Lo odiava. Odiava quel ragazzo con tutto se stesso, e se c'era qualcuno per cui nutriva più ripudio in quell'istante, era la sua stessa persona.

"Voglio ammazzarlo", si ripeté, eppure, anche convincendosene, aveva lasciato che gli sfuggisse di mano, che si liberasse della sua presa e corresse come un ratto tra le fognature. L'aveva fatto, l'aveva davvero lasciato libero, ed ora si ritrovava senza la più pallida idea di dove cercare Akari e strapparlo a quella morte che gli pareva d'un tratto terribilmente incombente, e gli scuoteva le membra fino alle unghie delle mani. Si tolse il cappello e liberò le banshee, ordinando perentoriamente di inseguire Azana, ovunque fosse andato.

Calavano a picco le energie del comandante, controllare le banshee era più difficile di quanto pensasse, specialmente nello stato di tensione in cui si trovava, arrancando passi tra il fumo, il fuoco e le macerie, cercando di farsi disperatamente strada in quell'incendio infernale, che distruggeva il fulcro della nazione, la torre di ricerca, ciò su cui Circus faceva più affidamento. Si guardava disperatamente intorno, setacciava ogni luogo e angolo con affanno, maniacalmente tastava per terra, incapace di vedere nella fosca oscurità vermiglia, e sperava sempre di trovare qualcosa di umano da qualche parte, ancora respirante. Ma più arrancava a tastoni nel buio più sentiva il panico salire, il cuore scoppiare dalla paura nel petto, incontenibile, irrefrenabile, il sudore grondare a fiotti dalla fronte, il sangue gelarsi nell'incendio in cui si trovava.

«AKARI!»

E finalmente, la voce trovò la forza di uscire dal profondo della gola, sino dalla trachea, posseduta da un timore che proprio non gli apparteneva. Scorse una sagoma accasciata al suolo, sul polveroso pavimento, in fondo al corridoio, e con il viso imperlato dalla fatica, con la consapevolezza che le banshee che nel frattanto controllava stessero quasi per raggiungere Azana, si gettò ai piedi della figura e scostò il pannello dalla nuca della vittima.

«Akari

Urlò una seconda volta il suo nome, paonazzo dalla rabbia, e quando ne scorse il volto neppure si rese conto di quanto terrorizzato fosse da quel viso caliginoso dalla polvere e teso forse perfino più del solito, quel corpo rigido e quella pozza di sangue ancora fresco e di un opaco vermiglio, lo stesso che adesso lordava lo splendido camice, la schiena paurosamente cremisi e la pelle traforata dai ripetuti colpi di pugnale. Hirato tremava, un miscuglio di emozioni si agitava nel cuore e lui tuttavia se ne stava ancora lì, inerte, senza sapere cosa fare, senza sapere dove andare, tra le braccia la persona che amava, tra le mani mille poteri e la consapevolezza che nessuno di quelli avrebbe, nonostante ciò, potuto salvarlo.

Era troppo tardi per rimproverarsi di non aver intrapreso lo stesso cammino di Akari e divenire medico anziché combattente.

Era troppo tardi per tutto.

Strinse a sé il dottore, che ancora tratteneva, con una stanca presa, al petto, il fascicolo di preziosi documenti.

«Sei un idiota», mormorò flebilmente il comandante, accarezzando i rosei e polverosi capelli del dottore, «Sei un incosciente. Sempre a pensare agli studi, e mai un po' di riguardo per te stesso».

Akari tossì sangue, cercò di inalare aria in un conato ma non riusciva a far altro che esitare, rantolare senza neppure trovare il fiato per parlare, la gola strozzata da un nodo e le vie respiratorie completamente bloccate. Con la poca energia rimasta, raggiunse la camicia da notte del comandante e vi si aggrappò con tutte le sue forze, sebbene lesioni e abrasioni gli stessero logorando ogni tessuto e muscolo, tanto le sentiva vicine al cuore e ai polmoni.

«A-aria-», disse in uno strozzato gemito, ma non seppe neppure se era veramente di aria che aveva bisogno in quella situazione.

Hirato sgranò gli occhi, mise comodo -nel limite del possibile, il dottore sul pavimento, gli strappò dalle deboli mani il ripieno fascicolo e vi adagiò la rosea testa. Si riempì poi della satura aria i polmoni e senza esitazione si fiondò sulle sue labbra, secche e disidratate, sporche di polvere e sangue ma pure morbide e invitanti. Trascurò tuttavia ogni desiderio carnale e, tappandogli le narici, lasciò che l'aria trattenuta entrasse nel ferito corpo, nella speranza che potesse dare, per un istante, respiro ai muscoli, ai tessuti dell'organismo già lesi e ai gracili polmoni. Il torace del medico s'alzò lentamente, le pupille gli si mostrarono lucide, fulgide di gratitudine, stordite ma felici di quell'intervento, che gli aveva regalato l'illusione di poter sfuggire alla morte.

Hirato prolungò quel contatto, avrebbe donato ogni molecola d'ossigeno trattenuta dai suoi polmoni per lui. Spinse le labbra con più intensità contro quelle di Akari e, dopo secondi che parvero eterni, se ne staccò riprendendo respiro, più affaticato di prima e giù, ancora una volta, a donargli aria e amore, perché potesse il respiro regolarizzarsi.

Il torace di Akari riprese con ritmo lento ad alzarsi e abbassarsi, piano piano ingranava il respiro, e ora, ogni cinque o sei secondi, l'aria fluiva sommessamente dal corpo del dottore.

Hirato s'asciugò il sudore dalla fronte, ritornarono a lui le banshee e riassunsero la forma del magico cilindro. Il comandante, rosso dalla fatica, tentennò perfino a rialzarsi, sentendo il greve della debolezza cadergli su ogni osso del corpo, sui muscoli e perfino sui tendini.

Strinse i denti; poco importava il dolore.

Quello che contava adesso era salvare Akari, anche a costo della propria vita.

I muscoli doloranti, le stanche membra e le mani tremanti, tutto quello era marginale, contingente.

Hirato lo sollevò da terra tremando, ignorò la natura delle convulse contrazioni dei muscoli, se fossero veramente dovute allo sforzo che gli imponeva o piuttosto alla sua sofferenza interiore.

«Andiamo, Akari-san. Non posso permettere che un SSS, un pilastro dello stato, si mostri al comandante della seconda nave in questo stato pietoso»

Akari tossì ancora una volta sangue, cercava invano un po' d'aria pulita nell'intossicante fumo dell'incendio, abbandonandosi a peso morto tra le braccia del corvino. Avrebbe voluto troppo protestare, ribellarsi, infuriarsi alla vista di quella maschera di compostezza inaccettabile che ancora Hirato si ostinava a sfoggiare, come se la morte imminente del superiore, la persona con cui aveva oltretutto speso miriadi di notti assieme, fosse semplicemente stata quella di un estraneo, un mero impiegato di Circus, un ricercatore che valeva una vita umana, niente di speciale ai suoi occhi. E forse, era proprio la sofferenza per quella maschera di gelo che non fece altro che togliergli il respiro che con tanta fatica si era guadagnato, rallentargli il battito cardiaco e rendere più acuto ogni dolore.

Ma da qualche parte nel suo cuore, Hirato stesso era il primo ad avere paura di vedere il mondo senza la sua maschera, senza gli occhiali che lo distorcevano rendendo tutto più semplice.

Intanto, fuori dalla finestra, i fili d'erba non danzavano più, il gufo spiava atterrito l'incendio, nascosto nella cavità di un tronco e dall'alto del cielo, la luna di carta taceva, assistendo impotente alla triste tragedia.

 

 

Torre di Ricerca, ore 23.46

 

«Eva!»

«Agli ordini!»

Eva si schierò davanti a Tsukitachi e creò una barriera con il suo scudo di diamanti, che fulgido brillò nell'oscuro atrio della torre di ricerca. Il Varuga indietreggiò abbacinato da quell'intenso bagliore, si contorse quando le banshee di Tsukitachi lo attaccarono e, agitandosi sempre più nella notte, lasciò andare strozzati rantoli.

«Ci siamo quasi», mormorò la donna dalla fastosa acconciatura turchese, adornata da una corona imperlata di pregiate pietre, «Se riusciamo a farlo fuori, potremo recuperare buona parte dei dati persi!». Tsukitachi asserì deciso, in un mezzo ghigno, e legò a sé la bestia dagli indefiniti contorni, divertito dalla piega che stava prendendo quello scontro, ove la bestia si ribellava al domatore come una tigre infuriata.

«Ci vorrebbe Jiki-kun, qui»

«Come se avessimo bisogno di quel buono a nulla», ribatté stizzita Kiichi, che con la falce di metallo già aveva provveduto a uscire dalla protezione di Eva e squarciare in due la bestia, roteando a mezz'aria con la leggiadra delicatezza e la soave grazia di una danzatrice, con le sue ballerine cerulee e le culottes a palloncino a motivi cuoriformi. Sorrise al rantolo del Varuga e al suo contorcersi, come un bruco indifeso, e approfittò di quella improvvisa debolezza per sferrargli il colpo di grazia. "E' tenace, eh", pensò tra sé e sé, ma non rese nessuno dei presenti partecipe di quella sua impressione, confidando che i tre pendessero esclusivamente dalla lama della sua falce di metallo, Yogi già s'era preparato ad attaccare qualora il Varuga avesse tentato di ribellarsi.

Kiichi incalzò la lama, la belva spirò dissolvendosi in nera polvere e il suo grido di morte riempì l'intero atrio.

Poi, il silenzio cadde, e della sciagura, nulla rimaneva se non una torre di ricerca a pezzi, macerie in ogni dove e da qualche parte, Hirato, che vagava di reparto in reparto alla ricerca di materiale per il primo soccorso, medicine o qualunque altro oggetto si potesse prestare alla medicazione del dottore e lo potesse curare dall'intossicazione data dai fumi inalati.

«Non posso credere che un Varuga solo sia stato capace di mettere in ginocchio l'intera torre di ricerca», disse Yogi perplesso, riponendo la spada nel fodero.

«Che ti frega. Quello che c'era da fare l'abbiamo fatto. Torniamo sulla nave, sono stanca morta»

Eva guardò la ragazzina con un'occhiata di puro rimprovero, e con serie intenzioni mirò invece Tsukitachi, pensieroso e raccolto come mai l'avevano visto.

«Tsukitachi», lo chiamò, ma attirarne l'attenzione si rivelò più difficile del previsto, «Dove sono Hirato e il dottor Akari?»

Ma il comandante della prima nave non scostò gli occhi di opale dal fondo del corridoio né rispose alla donna.

«Lo sapevo che un solo Varuga non ce l'avrebbe fatta da solo», commentò amareggiato evocando le banshee, «Non mi sbagliavo, che c'eri tu dietro a tutto questo»

 

«Azana»

 

   
 
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