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Autore: Silver Shadow    19/07/2014    0 recensioni
Questa fanfiction inizia dopo "Lo scontro finale", ma non tiene conto degli avvenimenti dei libri "Gli eroi dell'Olimpo".
'Il mio nome è Willow Blackblood. Ho 15 anni e ho dei lunghi, lisci capelli neri che non stanno mai al loro posto. I miei occhi sono verdi “come il mare”, mi dicono tutti, sono piuttosto magra e porto l’apparecchio. Mi piace il colore nero e amo la musica rock e metal. Studio molto e ho ottimi voti a scuola. Sono una ragazza come voi, a parte il fatto che sono la figlia di Poseidone. '
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Chirone, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le ore successive passarono molto lentamente e soprattutto meccanicamente. Camminare, scegliere vie agli incroci, riposare. Non c’era traccia nemmeno di un ostacolo per cui non combattemmo neppure, giusto per ricordarci come si faceva. Mi sentivo stanco ogni minuto che passava. Mio padre aveva studiato tutto. Se non ci avesse fatto combattere per un po’ saremmo stati fuori allenamento per quando avremmo dovuto combattere qualunque creatura sorvegliasse Willow nel momento in cui l’avessimo ritrovata. Perché l’avremmo ritrovata.
- 6 giorni – esordì all’improvviso Annabeth con voce roca, seduta sul suo sacco a pelo, disegnando cerchietti sul terreno con un bastoncino. La sua voce era roca dal momento che non parlavamo molto in quei giorni. Semplicemente, non c’era assolutamente nulla da dire.
- 6 giorni cosa? – Percy si girò verso di lei con sguardo visibilmente stanco, che rifletteva la stanchezza del suo cuore. Sapevo cosa provava.
- 6 giorni che siamo rinchiusi qui dentro – ribatté Annabeth, stavolta con più voce, lasciando cadere il bastoncino di cui si era evidentemente stufata. Io abbassai lo sguardo sul terreno, palpando la tensione che si stava creando.
- Tuo padre ce l’ha fatta davvero grossa stavolta, Nico – concordò Percy senza guardarmi. Mi strinsi nelle spalle accigliandomi. Che colpa ne avevo io di cosa faceva mio padre?
- Già. La prossima volta che capiti negli Inferi digli di darsi una regolata – continuò Annabeth, facendomi innervosire. Mi alzai in piedi.
- Ascoltatemi bene – iniziai, guardandoli alternativamente negli occhi – io non ho nulla a che fare con.. – ma nessuno dei due seppero mai con chi o con cosa non avevo a che fare, perché uno strano rumore mi arrestò. Era come un sussurro.
- Nico.. – chiamò la voce, facendomi venire la pelle d’oca. Percy e Annabeth si girarono verso di me, terrorizzati.
- Ti sto aspettando.. – continuò la voce, strisciando lungo le pareti. Sembrava viaggiare all’interno di esse.
Aspettammo un altro segnale, un altro messaggio, ma era tutto lì. Il silenzio che pervase in seguito la caverna dove eravamo accampati quasi mi spaventò.
- Ce ne dobbiamo andare da qui – decise Annabeth raccogliendo le sue cose.
- E in fretta – si aggiunse Percy, imitandola. Senza dire nulla, feci lo stesso.

Dopo esserci incamminati verso nonsapevamoassolutamentedove, ricominciai a pensare a quella voce. La conoscevo. Oh, se la conoscevo. Era stato mio padre a inviare lui. Perché voleva saldare il conto; un favore in cambio di un altro favore, ma in questo caso avrebbe usato Willow per ricattarci. Perché gli dovevamo ancora un’anima. La mia.
Giunti all’ennesimo incrocio, ci fermammo per decidere da che parte andare. Come sempre, sembrava totalmente impossibile capire se una galleria fosse diversa dall’altra, per cui stavamo per imboccare quella a destra, quando, con la coda dell’occhio, distinsi qualcosa lì vicino. Mi fermai.
- Nico, cosa c’è? – mi domandò Annabeth, cercando di capire dove stavo guardando. Ma ero troppo allibito per rispondere. Il cuore mi batteva a mille e le gambe iniziarono a muoversi da sole. Mi avvicinai alla galleria sinistra, scrutando il muro, e confermai i miei sospetti.  Accanto all’apertura, in alto, vi era inciso uno strano copricapo che ricordava un elmo.
- Ma è.. – cominciò Annabeth sbarrando gli occhi, una volta riconosciuto il simbolo. Percy sembrava non capire, così lo dissi ad alta voce.
- Si – confermai, scrutando ad occhi socchiusi l’incisione – è il disegno dell’elmo di mio padre. Dobbiamo andare da questa parte. –

Una volta entrati, discutemmo a lungo sul perché non avessimo trovato prima un’indicazione del genere. Percy azzardò che avremmo potuto non notarla, ma Annabeth rifiutò l’ipotesi dal momento che avevamo setacciato ogni angolo dei muri circostanti le gallerie ogni volta che dovevamo sceglierne una. In effetti, notai non con poca ironia che quella era uno dei pochi incroci che non avevamo ispezionato a dovere, da cima a fondo.
La galleria era fatta di rocce, stretta, chiusa e completamente buia se non fosse stata per alcune fiaccole di fuoco verde attaccate al muro che si alternavano circa ogni 5 metri. Ad ogni passo, mi convincevo sempre di più che alla fine di quel tunnel avremmo trovato Willow. E l’ostacolo che avremmo dovuto affrontare per riportarla indietro.
Dopo un’altra decina di fiaccole, finalmente intravedemmo una cavità buia. La fine della galleria. Non avevo mai provato tanto terrore come allora, e lo stesso doveva valere per gli altri, il cui silenzio mi preoccupava. Come fossimo sincronizzati, una volta giunti appena davanti all’apertura, ci arrestammo, fissando il buio che ci attendeva.
- Qualsiasi cosa succeda – iniziò Annabeth, senza staccare lo sguardo dal buio – restiamo insieme. –
- E buona fortuna a tutti – continuò Percy, con un evidentissimo groppo in gola. Le mie parole restarono sospese nel vuoto, senza riuscire a uscire dalle mie labbra. Percy rispose al mio silenzio annuendo nella mia direzione.
Ci calammo nell’oscurità.

Il luogo in cui sfociava la galleria era molto grande. Lo capii dal rimbombo dei nostri passi. Il soffitto era molto alto e le pareti raggiungevano distanze anche di 100 m. Ero abituato a muovermi nel buio, e certe cose le sapevo.
Orientarsi in quello stato era difficile, perciò all’inizio camminammo un po’ alla cieca, tenendoci per il braccio di modo da restare uniti come avevamo deciso. Cercai di tenermi accanto alla parete, che notai essere circolare, e percorremmo una buona metà della stanza prima di sentire un rumore. No, un mugolio. Un verso sofferto, soffocato, come se chi l’aveva emesso non potesse parlare. Ci fermammo tutti. Un altro gemito, stavolta più forte e definito. Il mio cuore, da che batteva all’impazzata si arrestò all’improvviso. Non ci vedevamo, ma ci stavamo guardando tutti e tre. Sapevamo a chi apparteneva quel tono. Willow.
Mi misi a correre verso la direzione del gemito, e gli altri fecero lo stesso. Era troppo facile. Cercai di focalizzarmi su Willow, e volevo chiamarla per chiederle di indicarmi dove andare, ma avevo paura della creatura che la sorvegliava, perché sapevo che c’era. All’improvviso, avvertii la sua presenza come se ci avessi sbattuto contro, e mi fermai. Annabeth e Percy, senza capire, si arrestarono, e quasi caddero. Guardai davanti a me stringendo gli occhi a fessura per cercare di individuare qualcosa. Era arrivato il momento.
All’improvviso, scorsi una luce. Era come se si fosse appena accesa, e infatti confermai la tesi quando se ne accese un’altra, e un’altra, e un’altra ancora. Erano le stesse torce di fuoco verde che avevamo trovato lungo la galleria, attaccate alle pareti che notai essere rocciose, intervallate e sistemate lungo tutta la caverna che si rivelò essere, come avevo sospettato, circolare. Il terreno era come ricoperto da un sottile strato di finissima sabbia, non era possibile arrivare a vedere dove terminava il soffitto. L’ambiente, assolutamente enorme, era completamente vuoto. Tranne che per due figure.
Quando ne individuai una, persi 10 anni di vita. Era docile, molto più magra dell’ultima volta che l’avevo vista, tanto che alcune ossa sporgevano visibilmente da sotto la maglietta. Ero sicuro che, se qualcuno in quel momento l’avesse toccata, si sarebbe sgretolata. Il suo colorito era tra il pallido e il verdastro malaticcio, le sue palpebre chiuse e gli occhi contornati da cerchi scuri, il respiro affannoso e breve, il suo petto si alzava e abbassava molto lentamente. Ma ciò che mi fece ingoiare i polmoni furono le ferite. Una gamba era piegata in una strana angolazione, chiaramente rotta, l’altra quasi viola tanti erano i lividi al di sopra di essa, la lunga maglia che indossava (le avevano lasciato addosso solo quella) spiegazzata, rotta in alcuni punti e coperta di macchie di sangue. Le braccia erano piene di rigonfiamenti rossi irregolari simili a scottature, e un lungo segno rosso le scorreva lungo tutto il collo, come se avessero cercato di strangolarla. E il suo viso.. Il suo viso era attraversato da uno squarcio ancora sanguinante, dalla fronte al mento, che colava ancora sulla sua maglietta e sporcava le sue labbra. Era abbandonata, buttata in un lato della caverna, quasi al suo termine, poco distante da dove stavo io, ed esattamente dove mi stavo dirigendo.
L’altra figura, decisamente differente da Willow, era la stessa che mi aveva quasi ucciso secondo mia volontà pochi giorni prima. I suoi denti erano ancora affilatissimi e pronti a perforare la mia carne. L’unica cosa differente dall’ultima volta che ci eravamo visti era uno strano simbolo sulla testa, sopra la bocca. Era un’asta verticale, tagliata orizzontalmente da una linea più piccola vicino alla base, che terminava in una mezzaluna, sopra la quale restava sospeso un cerchio. Lo riconobbi. Era uno dei simboli di mio padre.
- E così ci reincontriamo, figlio di Ade.. – la voce di Mahri era come vetro sgretolato – abbiamo un conto in sospeso io e te, no? – sorrise in maniera agghiacciante, lasciando volteggiare lungo i denti appuntiti come quelli di uno squalo la sua lingua rossa e biforcuta. Mi veniva da vomitare.
- No, non credo, Mahri – riuscii però a ribadire con voce ferma, tenendo la mano sulla spada. Il suo sorriso si allargò ancora di più. Stavo per vomitare sul serio.
- In effetti non sono qui per saldare quel conto – continuò – sono solo un messaggero – strinsi la mano sulla mia spada, consapevole di cosa stava per dire – tuo padre voleva informarti che è stato davvero spiacente di aver dovuto sequestrare e torturare la tua cara amichetta.. – e detto questo si girò, sempre sorridendo, verso Willow – ma l’hai costretto. Era l’unico modo per portarti da lui.. Eppure di solito i figli sono così contenti di stare coi propri padri.. – Mi bolliva una rabbia spaventosa nelle vene. Ero vicinissimo a sferrargli un colpo di spada nello stomaco, o dove avrebbe dovuto starci lo stomaco, ma mi trattenni. Mi stava prendendo in giro, ed era una cosa che non tolleravo già normalmente. Figuriamoci da lui.
– E così ha deciso che in cambio di questa dolce fanciulla con cui ho avuto il piacere di trascorrere molto tempo, vorrebbe avere te, e quell’anima che ancora gli dovete. Quell’anima che tu, Nico di Angelo, ancora gli devi. – il suo tono, da scherzoso (cosa che mi mandava in bestia), iniziava ad essere minaccioso.
- Dovrai prendertela con la forza – gli risposi solamente, sguainando all’improvviso la spada. Percy e Annabeth fecero lo stesso. La battaglia stava per cominciare.
Il sorriso scomparve dal sorriso del demone, e la sua lingua si mosse così velocemente da non essere vista, toccando il braccio di Annabeth, che all’inizio non reagì, ma all’improvviso, qualche secondo dopo, scoppiò in un urlo straziante. La piccola porzione di pelle toccata dalla lingua di Mahri era rossissima, come bruciata. Allora mi resi conto che aveva un nuovo potere.
- Non lasciate che vi tocchi! – urlai per farmi sentire, dato che ci stavamo allontanando per evitare i colpi – la sua lingua è intrisa di acido velenosissimo! –
- Me ne ero accorta! – ruggì Annabeth, sofferente. Tentava, nonostante tutto, di combattere.
I lunghissimi artigli tagliavano l’aria, sfiorandoci per qualche millimetro. La sua precisione era spaventosa, ma fece l’errore di concentrarsi troppo a lungo su Percy che, al contrario di noi che stavamo solo schivando gli attacchi, stava anche cercando di colpirlo. In un momento di distrazione, riuscii ad arrivare alle sue spalle e a colpirlo. Un urlo riempì la caverna distogliendo il demone da noi e facendolo concentrare sul dolore della spalla che gli avevo trafitto. Riuscivo a vedervi attraverso.
Con mia grande delusione, tuttavia, l’urlo svanì in fretta, accompagnato da uno strano movimento attorno alla ferita inflitta. La carne cominciò ad allungarsi e a compattarsi,come gomma, fino a formare un nuovo strato che riempì e rimarginò completamente la ferita. Ero senza parole.
- Ci avete provato, ma.. ora è il mio turno – ringhiò Mahri divertito, agganciandomi con le sue corna prima che potessi rendermene conto e sbattendomi violentemente contro il muro. Sentii un “crack” da qualche parte durante l’impatto.
Nonostante lo stordimento, riuscii a sentirlo ridere, e a distinguere i rumori delle spade contro i suoi artigli, i suoi denti e le sue corna. L’urlo di Percy mi lasciò intuire una sua ferita causata da una delle potenti e letali armi del nemico, e quando cercai di mettere a fuoco la scena del combattimento mi resi conto di essere girato dal lato sbagliato, ovvero verso Willow. Rivedere il suo corpicino martoriato e il suo respiro ancor più irregolare montò una rabbia incontrollabile dentro al mio cuore, che mi spinse a rialzarmi subito e a ricominciare a combattere. Mentre correvo lungo la caverna cercando di raggiungere gli altri, vidi tre graffi paralleli sulla schiena di Percy, che era girato di spalle, sotto la maglietta strappata. Corsi più velocemente e saltai sulle spalle del demone, prendendolo alla sprovvista e affondando la mia lama nera nel suo collo. All’inizio rantolò, ma ben presto la carne si ricostruì, così come tutte le ferite che tentavano di provocargli gli altri due. Sentivo un dolore lancinante alla spalla, ma menai fendenti a destra e a manca cercando un punto debole. Doveva esserci.
- Nico, prova col fuoco! – mi suggerì Annabeth, che ebbe come al solito un’ottima idea. Mentre gli altri distraevano Mahri, io mi allontanai e afferrai in fretta una fiaccola dal muro, lanciandola ai piedi del demone. Il fuoco si espanse velocemente, come se stesse bruciando legno, e lo avvolse completamente, fra strazianti urla. Rimanemmo immobili a guardare quel raccapricciante spettacolo a bocca aperta. Osservammo il fuoco greco avvolgersi attorno alle braccia, mangiare la sua faccia, cancellarlo. Di lì a poco, ciò che rimase da vedere fu un fumo verde scuro.
Il silenzio che seguì fu lungo, e al termine del quale riuscimmo finalmente a guardarci. La scottatura di Annabeth friggeva, ma lei sembrava non accorgersene, e Percy grondava sangue, ma sembrava stare benissimo. Stavamo proprio per abbracciarci e aprirci in tre enormi sorrisi, quando sentimmo una risata profonda e tagliente precedere l’entrata in scena molto ad effetto della creatura, che riemerse da quel fumo perfettamente intatta. Spalancai la bocca, esterrefatto. Non potevo crederci. Non poteva essere vero.
Non solo il fuoco non gli aveva fatto nulla, ma era riuscito anche ad assorbirlo, e adesso poteva usarlo contro di noi. Sulla sua mano era già pronta una sfera di fuoco che volteggiava.
- TUTTI GIù! – Annabeth urlò a squarciagola appiattendosi al terreno, imitata da me e Percy. Riuscimmo a piegarci giusto in tempo, prima che il demone sferrasse il colpo, che andò contro alla parete dietro di noi, aprendo un buco dalle enormi dimensioni.
Ci alzammo in fretta tentando di scappare, dividendoci, correndo a slalom in modo da confonderlo, ma sapevamo che non avremmo potuto continuare in quel modo molto a lungo. Ero disperato. Quanto avrei voluto che avesse perso almeno il controllo del fuoco..
All’improvviso, con mio grande stupore, le palle di fuoco cessarono. Guardai in direzione di Mahri e notai che stava cercando di invocarle, ma quelle sembravano non essere più al suo comando, non sembravano essere più un suo potere. Doveva essere solo una coincidenza. Non poteva essere che.. Eppure..
Provai a concentrarmi. Pensai che avrei voluto che non si ricostituisse dopo una ferita, e quel punto lo strano simbolo sulla sua testa pulsò e si accese, illuminandosi di rosso. Probabilmente era successo anche prima, ma essendo schiacciato al terreno non me ne ero accorto. Non riuscivo a credere che stesse succedendo quello che pensavo, ma fra le urla di Annabeth e Percy del genere “Nico, che stai facendo? Dove vai? Non hai visto che è invulnerabile?” mi fiondai contro di lui e affondai la mia spada nel suo braccio, nonostante il dolore persistente alla spalla. Funzionò.
Il grido di dolore fu molto più forte dei precedenti, più simile al grido di dolore che davvero dovrebbe essere conseguenza di una ferita come quella. Lasciai passare i secondi che di solito passavano prima che la pelle si riformasse, ma non accadde nulla. Non potevo crederci.
Era il simbolo. Mio padre doveva aver conferito dei nuovi poteri al demone tramite quello, come l’acido sulla lingua o l’assorbimento del fuoco se colpito con esso. Doveva anche riuscire a controllarlo. Non sapeva o non aveva calcolato che, grazie ad esso, ci riuscivo anch’io.
- Lo posso controllare! – urlai, in direzione dei miei amici, gioioso e finalmente speranzoso – è il simbolo! Mi consente di controllarlo! – mi gustai le facce sbalordite dei miei amici,fino a che Percy non mi urlò qualcosa.
- Fallo distruggere! – due parole a cui avevo già pensato. Finalmente era giunta la fine.
Mi voltai lentamente verso Mahri, che aveva cessato di urlare probabilmente solo per non mostrarsi debole, dato che il suo braccio era quasi staccato dal corpo. Mi concentrai al massimo, fissando il simbolo sulla sua testa, fino a che non fece male la mia. Uno strano vento aveva iniziato a scuotere i miei vestiti e una nebbia cominciava a salire dal terreno, avviluppandosi attorno a me. Sentii il potere confluire nelle mie vene, il mio sangue diventare un’arma micidiale, i miei occhi trafiggere quel simbolo. Quando mi sentii finalmente pronto, carico e nel pieno delle mie forze, nella mia mente ordinai “Distruggiti!”.
Ciò che seguì fu uno spettacolo.
La nebbia che mi aveva circondato saliva a spirale lungo il soffitto, aumentando sempre di più la sua velocità, fino ad esplodere. Nel momento in cui ciò accadde, ci fu un terribile rimbombo nella caverna, e tutti i corpi furono spazzati verso le pareti, tranne il mio. Quello di Mahri, tra grida di una creatura morente,  cominciò a sgretolarsi. Il simbolo sulla sua testa, durante questo processo, era più rosso che mai. Il vortice che stava al posto delle sue gambe si allargò e scomparve, esattamente come nebbia, e il resto del suo corpo venne attraversato da striature rosso/arancione simile a fuoco irregolari, orizzontali e verticali, che lo schematizzarono come un grande puzzle. Dopo qualche altro secondo in cui il rosso si ravvivò, finalmente i piccoli pezzi di puzzle in cui era stato diviso vennero scagliati verso l’esterno, esplodendo, come se fosse stato bruciato dall’interno. Neppure una scia di fumo.
I pezzi esplosi ci piovvero addosso come grandine, ma nessuno di noi ebbe il coraggio di muoversi o proferire una sola parola. Non ricordo quanto tempo restai in quella posizione, quanti secondi o minuti,ma ciò che mi svegliò dopo diverso tempo fu una voce.
- Nico.. – era una voce molto roca, sussurrata, ed era evidente che quell’unica parola era costata molto sforzo. Mi girai di scatto verso Willow e la guardai, la guardai nei suoi occhi di un verde spento, socchiusi e stanchi, e sentii un peso scivolarmi dal petto. Realizzai in quel momento che ce l’avevamo fatta, l’avevamo trovata, era ancora viva. Magari non eravamo totalmente fuori pericolo con mio padre, ma forse per il momento avremmo potuto stare un po’ in pace. Ciò che contava allora era essere di nuovo con lei.
Le corsi incontro inginocchiandomi accanto a lei, e non la strinsi a me solo per paura di farle male. Le presi solo le mani, e lei ricambiò con una stretta molto debole. Le baciai le dita, e riuscii a vedere le sue labbra rosse di sangue piegarsi impercettibilmente in un sorriso.
- Sei davvero qui..? Sei venuto a trovarmi.. Sei riuscito a trovarmi.. – la sofferenza nella sua voce era piuttosto evidente, e mi si strinse il cuore a sentirla, ma la gioia di essere, come aveva detto lei, riuscita a ritrovarla, mi impediva di pensare negativo. Con qualche cura al Campo l’avremmo sicuramente salvata. E nel giro di qualche mese avremmo potuto tornare a correre in quella meravigliosa radura dove ero riuscito ad aprirle il mio cuore, dove ci eravamo baciati la prima volta. Avremmo scritto nuovi capitoli, e l’avremmo fatto insieme, nonostante i pericoli. O forse, proprio a causa dei pericoli. E in quel momento, inginocchiato accanto a lei, dopo un combattimento mortale e giorni di agonia, con la spalla probabilmente rotta pulsante e dolorante, la cosa migliore che mi venne in mente per descrivere tutto ciò che avevamo passato fu solo una.
- Sempre. –
  
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