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Autore: Maki_chan    19/07/2014    3 recensioni
Era lei senza pur esserlo.
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kojiro Hyuga/Mark, Maki
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Violator - Track #08 - Blue Dress

Era lei senza pur esserlo.
Più che altro, era il nome che aveva dato a una parte di se stessa: quella interna, morbida, sinuosa, affamata e perversa.
Era la Donna dentro di lei, quella che difficilmente trovava riscontro all'esterno. Quella non vista e non percepita da chi la guardava.
Strano, come potesse esistere così tanto senza che nessuno sapesse.
Come un nucleo di fame insaziata e insaziabile, la Donna guidava ogni sua azione.
Ogni mattina la faceva scivolare negli abiti come se fossero le mani di un amante.
Le sue mani nella sua fantasia erano quelle di un uomo, mentre scostava i capelli, mentre allacciava il reggiseno e sistemava il seno stesso, sfiorando lieve i capezzoli nell'atto, e poi nel togliere ogni lieve piega dall'intimo e dalla camicia dell'uniforme.
Fra le sue mani si sentiva morbida, lieve, come se fosse nuda fra le lenzuola sfatte dopo l'amore.
Era come se dentro fosse una persona diametralmente opposta a quella che mostrava all'esterno.
Come se il fuori non fosse altro che una maschera costruita pezzo per pezzo per nascondere Lei, perché se fosse stata visibile, forse, sarebbe stata la fine.

Come un antico rito, ogni mattina si risvegliava e si concedeva attimi solo per lei, nella camera che, fortunatamente, non condivideva con nessuno. Se avesse avuto una sorella, forse, sarebbe impazzita. Uscire dal sonno e passare piano alla veglia, accompagnata dalle dita che scivolavano piano sul corpo. Prima il collo, subito sotto le orecchie, nei capelli, sul viso, poi sgusciare furtive fino al seno coperto dal lenzuolo. Accarezzarlo, stringerlo, graffiarlo piano, mentre l'altra mano si allargava sulla pancia e poi scendeva in basso, le dita sicure e tantalizzanti.
Far cibare il mostro che era dentro di lei, portarsi quasi all'orlo del piacere, quasi sul baratro, e poi smettere sadicamente.
Iniziare la giornata così, con un piacere che doveva rimanere costante, sottopelle, persistente, quasi soffocante, sicuramente totalizzante.
Doveva essere la spinta per ogni gesto innocuo e perverso che il suo corpo avrebbe compiuto.
Lei lo chiedeva e otteneva.
Il toccarsi sotto la doccia non era innocente, come non lo era nel vestirsi, nel mettere la biancheria sfiorando appositamente tutti i punti che sapeva l'avrebbero fatta eccitare.
La gonna che le cingeva le gambe, poi, alle volte aveva il dono di farla ammattire, così come le fantasie che Lei le faceva venire in mente nella metro per andare a scuola.
E pensa a come sarebbe bello se fosse il suo, il corpo che ti schiaccia contro la parete.
Come sarebbe eccitante se fosse qui e dimostrasse che sei sua, col suo sfiorarti il collo nudo e offerto.

Una puttana.
Si sentiva tale ed era felice di esserlo.
Felice di vivere sul baratro di un orgasmo negato, alimentato dalla fantasia e dai gesti più innocui, come far scivolare la gonna o il piede lungo le gambe.
E pensare che tutti pensano che tu sia una brava ragazza.
Se sapessero, se solo sapessero...

Alle volte, lontana dall'ambiente scolastico e sportivo, lasciava che Lei venisse vista.
Diventavano una cosa sola.
La camicia scollata e leggermente aperta sui seni.
La gonna una spanna troppo corta.
Gli stivali a tacco alto a costringere le caviglie e i polpacci.
Una catenina a cingerle il collo.
Un filo di trucco per mettere in evidenza gli occhi e le labbra.
E lo sguardo basso, come a rinnegare la sua stessa sensualità.
Sentirsi terribilmente preda, mentre camminava per strada.
E scoprirsi perversamente eccitata dagli sguardi che gli uomini le lanciavano. Dalle occhiate che la mangiavano, spogliavano e scopavano contro una parete, senza chiedere il permesso.
Eccitata al pensiero dello sguardo che LUI - prima o poi - avrebbe avuto, dagli sguardi che LUI le avrebbe lanciato, dal suono della voce roca che le avrebbe accarezzato l'orecchio, dicendole...

E poi Lui.
Lui.
Sentire che anche lui aveva una maschera a nascondere un Lui, perfetto compagno per il mostro che si annidava al suo interno.
Eppure, come Lei, ancora non aveva fatto la mossa, forse attendendo che lei fosse pronta a far cadere le maschere.
Vederlo in piedi, appoggiato al palo, con un'aria annoiata e vigile, come se stesse controllando il suo territorio, era stato bellissimo.
Si era fermata appositamente.
Non aveva potuto fare altro.
Circondata dalla folla aveva rubato degli attimi per scoprire nuovamente quel profilo, quel corpo muscoloso e statuario.
Quell'espressione accigliata.
Quella bocca.
Le mani grandi e nervose.
Poi lui si era girato e l'aveva vista.
Il leggero abito estivo, del colore del cielo, scivolava morbido sui suoi fianchi, chiuso sul petto da un nastro.
Un braccialetto - quel braccialetto che lui le aveva comprato - al polso.
I sandali con un'ombra di tacco le slanciavano le gambe splendide.
Aveva fatto due passi verso di lei, staccandosi da dove era appoggiato e fendendo la folla come se lui fosse il Padrone del Mondo.
Magnetismo animale.
L'aveva raggiunta, gli occhi impenetrabili, si era abbassato verso di lei, scostandole i capelli dall'orecchio, e le aveva detto che era bellissima.
Splendida.
La più bella in assoluto.
E le labbra le sfioravano il lobo, e le mani le stringevano la vita, e lei voleva solo che lui l'amasse. Lì. In quel momento. Tanto il mondo non esisteva più. Sentirsi privata di ogni forza da quella scarica di eccitazione che le rendeva le ginocchia deboli.
E quasi le era sfuggito un gemito, un sussurro eccitato. Il calore che le arrossava le guance e l'eccitazione che le brillava negli occhi.
E lui, ne era certa, sapeva.
E lui era certo che lei sapesse.
Senza alcun bisogno di parole, di gesti.

Erano andati al cinema come una perfetta coppietta di fidanzatini - dopotutto, non erano niente di diverso - e avevano scelto chissà che film. Lei non avrebbe saputo dirlo. Lui men che meno. La mano nella mano, e lui che, più che guardare il film, le baciava i capelli, li annusava e se li faceva scorrere fra le dita. E poi lei aveva deciso che la sua spalla era molto più comoda del sedile e gli si era spiaccicata contro, abbracciandolo e toccando - infine! - quegli addominali che avrebbe voluto avere nudi davanti agli occhi, sotto le mani, solo per lei. E lui aveva ricambiato l'abbraccio, sfiorandole il collo e facendole ribollire il sangue - come se non fosse già lì lì per essere arrestata per atti osceni in luogo pubblico - facendo fare le fusa al mostro dentro di lei.
Tre anni.
Erano tre anni che si conoscevano, ed ancora non avevano fatto altra mossa se non quella di dichiararsi senza parole.
Dei porta fortuna.
Articoli di giornale.
E trovarsi ogni volta o a Tokyo o a Okinawa.
Cercarlo in Italia e mancarlo di poco.
Quella sera doveva essere la sera, non poteva resistere ancora.
Viveva in funzione di quella che sarebbe stato il coronamento di giornate portate allo stremo, di un'eccitazione costante che le sue mani non potevano più saziare del tutto.
E mentre lei si girava per sussurrargli che lo desiderava, lui le aveva rubato le labbra, approfittando del loro essere socchiuse per prendere possesso della sua bocca. E la mano di Lei aveva deciso che il posto perfetto per appoggiarsi era la nuca di Lui, i capelli lunghi fra le dita, mentre il bacio le mozzava il respiro e la faceva risvegliare del tutto.
E staccarsi solo nel sentire il sibilo della gente della fila dietro.
Così aveva perso la pazienza e, presolo per mano, l'aveva trascinato fuori dalla sala, per le scale, dove non c'era nessuno a interrompere quel maledetto bacio. E quando si erano staccati, ansanti, lui l'aveva mantenuta fra le braccia muscolose, dandole minuscoli baci sulle labbra e sussurrandole che la amava, e che la voleva, e che era una strega. E lei gli aveva risposto che anche lei lo amava, e che era solo sua e di nessun altro, e che - per favore, pietà e amor del cielo - lo voleva. In ogni istante, momento, secondo e frazione. La voce di lei quasi irriconoscibile, e lui aveva ringhiato il suo assenso, l'aveva stretta ancora di più, soffocandola quasi e facendole sentire quanto gli piacessero quelle parole.
E per fortuna erano a Tokyo, con la madre di lui a lavoro e i fratellini a scuola.
Perché già arrivare in quella zona della città senza strapparsi gli abiti di dosso era stato difficile.

Fingendo calma e distacco davanti ai vicini, l'aveva fatta entrare in casa, aprendole la porta e restando di lato.
Aveva chiuso la porta non appena lei aveva tolto uno dei sandaletti, e un istante dopo le sue mani erano sul suo corpo, sul suo seno, ovunque. E lei si era girata e si era arrampicata su di lui, baciandolo furiosamente e cercando di strappargli quella maledetta maglietta che stava in mezzo alle palle. E lui che la teneva su con un braccio solo - tanto lei era aggrappata con le gambe - e con la mano libera controllava di non star abbattendo niente nel percorso fra l'ingresso e la sua camera.
Una volta arrivati aveva chiuso la porta a chiave dietro di sè, per poi toglierle di dosso l'abito con un unico gesto. E anche lei aveva righiato l'approvazione, per poi togliergli la maglietta, sempre senza scendere dalle sue braccia. E poi la cintura, e poi si era ritrovata sbattuta senza troppe cerimonie sul letto, con lui, nudo, che incombeva su di lei. E baci, miliardi di baci e morsi sul collo, sulle spalle di entrambi, segni di possesso e desiderio e dell'esistenza delle belve dentro di loro. E i segni delle unghie sulle spalle e sul petto di lui, e il suo sapore lievemente salato, e quegli addominali che, porco giuda, finalmente riusciva a sentire sotto le sue mani. E la bocca di lui sul suo seno, a mordere i capezzoli e a darle scosse di piacere e un graffio troppo profondo e i polsi bloccati dentro una delle sue mani, mentre un sorriso perverso piegava le sue labbra, mentre le diceva che era sua e di nessun altro. E lei che sotto la tortura di quella maledetta bocca si sentiva gemere, sospirare, pregarlo di farla sua, perché aveva aspettato troppo, troppo, e doveva averlo, prima di diventare pazza. E poi sentirlo quasi strapparle la biancheria e entrare in lei, recuperando per un istante la lucidità mentale e facendo piano. Inutile tentativo, perché Lei lo trascinò dentro di sè, lo costrinse a entrare in un'unica mossa, strappandole un urlo di dolore e piacere, strappandogli un gemito di piacere. E sentire la pazzia che era dentro di lei salire, soffocarla, mentre le onde di piacere le facevano pronunciare parole insensate, mentre toccava, baciava, stringeva, mentre lui baciava via le lacrime dai suoi occhi, dalle sue guance, e le diceva che la adorava, che era splendida, che doveva essere solo sua e di nessun altro mai, e poi mai, e poi mai. E trovarsi spiazzata dalle mani di lui che cercavano di darle ulteriore piacere, affiancando le dita alle spinte, e lei che era oramai solo una bambola fra le sue mani, fra le onde di piacere, spiazzata e sconvolta e stremata dall'orgasmo. E sentire poi lui che si era trattenuto fino all'ultimo, sentirlo dentro di sè, e poi scivolarle accanto, esausto come lei. Scivolare e abbracciarla e riprendere a baciarla, stavolta con calma, e cercare il lenzuolo per coprirsi.
Accoccolarsi contro di lui, sazia.
Addormentarsi contro il suo petto, fra le sue braccia, protetta.

La pioggia che batteva ritmica sulle finestre.
Un lampo.
Un tuono.
L'ipnotico tamburellare dell'acqua e la sensazione di stanca completezza e di un corpo morbido fra le braccia.
Uscire dal dormiveglia aprendo un occhio e vedendola addormentata contro di lui.
Si svegliò così, Kojiro.
Si alzò piano su un gomito e si mise a osservarla, ad osservare quel corpo che lo faceva ammattire, quel viso dall'espressione sbarazzina che nascondeva una belva sua pari.
Le mani incapaci di staccarsi da lei.

Un tuono.
Il tamburellare dell'acqua sui vetri, un diminuire del calore attorno a lei.
La sensazione di essere osservata.
Una mano sul fianco.
Si svegliò così, Maki.
Un occhio socchiuso, vederlo arroccato su un gomito, con i capelli sconvolti su tutto il viso e un bel po' di graffi sulle braccia.
"Torna qui giù..."
E sentirlo stendersi di nuovo accanto a lei. E baciarla dolcemente.
Sentirsi sazia e appagata.
Sentirlo rialzarsi di botto e vederlo trafficare attorno ai pantaloni.
Sollevarsi sul gomito.
"Che fai?"
Venir fatta sedere sul bordo del letto da un'unica, fortissima mano.
Vederlo inginocchiarsi e nascondere il viso sulle gambe di lei.
Il petto alzarsi e abbassarsi affannato.
Poi gli occhi nei suoi e le mani fra le mani, spingendoci una scatolina.
"Mi vuoi sposare?"
Abbassare gli occhi e vedere un anello.
E la sua espressione fra il terrorizzato e lo speranzoso.

Kojiro non sentì risposta diversa dalle labbra di Maki che si appoggiavano sulle sue, dal corpo di lei contro il suo e dalla sensazione di una manina con anello che riprendeva a graffiarlo.

# Fine #

  
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