Le
gocce calde cadevano
velocemente giù in quel piccolo spazio che occupava parte
del bagno.
Scivolavano lungo il mio corpo bollenti lasciandosi dietro una
sensazione
piccante e cocente. I miei capelli ricadevano sulle spalle impregnati
di
fragranza alla vaniglia e al cocco, erano attaccati ai lati delle mie
guancie e
mi provocavano un leggero prurito fastidioso, ma che lasciai comunque
in
secondo piano rispetto ai miei pensieri.
La
doccia.
Il
momento che amavo e odiavo
di più nella giornata. Era una cosa buffa amare e odiare
allo stesso tempo una
cosa, eppure era così.
Era
rilassante, bollente e
piccante nei mesi invernali.
Rinfrescante,
frizzante e
piacevole in quelli estivi.
Un
vero toccasana in entrambi
i casi. Adoravo il getto d’acqua scendere violento su di me
nei giorni afosi
d’agosto e, adoravo ancor di più le goccioline di
lava lungo il mio corpo nei
gelidi freddi di Gennaio.
Ma
la doccia da modo anche di
pensare e questo,non è un vero e proprio toccasana quando
hai dei demoni dentro
da combattere, proprio come me. La mia anima aveva imparato a convivere
con
tutti i mostri accumulati man mano negli anni.
Sbuffai
scocciata e chiusi il
getto d’acqua che colava ancora sulla mia testa.
I
vetri della cabina si erano
appannati e lì dentro si era creata una tale afa da non
riuscire a sopportarla.
Uscii bagnando il pavimento in marmo del bagno della mia, ennesima,
lussuosissima suite in un albergo diverso.
Avvolsi
il mio corpicino in
uno di quei asciugamani riposti sul piccolo mobiletto del bagno.
L’odore di
lavanda mi inebriò subito strappandomi un piccolo sorriso.
Ne
presi un altro, meno di
fretta e studiando meglio ogni suo aspetto. Sembrava esser fatto a mano
e,
sinceramente, non mi sarei stupita se fossi venuta a sapere che la mia
ipotesi
era vera.
Sfiorai
con la punta del
pollice la scritta ricamata in color oro Casablanca
Hotel Times.
Ero
finita a New York questa
volta, definita anche come
Viaggiavo
spesso a causa del
mio lavoro, venivo trasferita di qua e di la ogni tot di mesi, e la
cosa mi
stressava non poco. Non riuscivo a relazionarmi e avere una vita
sociale con un
minimo di normalità.
Sospirai
portando la
salvietta alla mia testa e asciugando con cura i miei capelli, dato che
oggi
non avevo ne tempo ne voglia di passare da un parrucchiere del luogo.
Lasciai
cadere in terra i
tessuti che mi avevano asciugata fino a quel momento ed uscii dal bagno
ritrovandomi nell’altra stanza. Un brivido di freddo mi
percorse la schiena.
Era Novembre e lì faceva parecchio freddo. Non abituata a
quella temperatura
così bassa, dato che ero uscita dal bagno che di
lì in poco era diventato una
piccola stufa, causa la mia doccia lunga e bollente.
Corsi
verso il letto dove
avevo poggiato la mia valigia laccata interamente in viola. Optai per
un abbigliamento
semplice, quel giorno non dovevo accogliere nessun cliente di qualche
particolare ceto alto. Sfilai distrattamente un jeans stretto e una
camicetta
bianca. Semplice e classico.
Quando
mi fui vestita portai
la valigia al lato del letto. Avrei tanto voluto poter sprofondare in
quel
tenero e caldo materasso, sotto le coperte per dormire fino al mattino
seguente. Ma non potevo permettermelo, ovviamente.
Presi
la mia borsa firmata
Luis Vuitton e feci una scaletta mentale di tutte le cose che avrei
dovuto fare
da quel momento fino all’ora di andare a letto.
Andare in metrò 17:10
Arrivare al Vicius Palace 18:00
Primo cliente 18:10
Secondo cliente 18:50
Terzo cliente 19:30
Quarto ed ultimo cliente 20:10
Ritornare in metrò
Mangiare
Nel
mentre ero già fuori l’hotel
catapultata nelle vie caotiche di New York, non che non ci fossi
abituata.
Avevo lavorato sempre in grandi città come Londra, Buenos
Aires, Milano,
Washington e Dublino. Ma New York ha sempre avuto un certo effetto su
di me, è
la città delle grandi occasioni e chissà, magari
una speranza di uscire da
questo circolo vizioso una volta per tutte, c’era anche per
me.
La
metrò non distava molto da
qui e per fortuna ero in anticipo di circa quindici minuti, avrei avuto
il
tempo di bere un cappuccino prima di lavorare.
Entrai
nel primo bar aperto
che mi ritrovai davanti. Beer&Coffè.
Che nome stupido.
Mi
ritrovai a pensare.
Il
locale era mezzo vuoto e
gli unici tavoli pieni erano occupati da uomini in tenuta da operaio,
in
effetti avevo notato lì vicino un’area non
accessibile causa lavori in corso.
Arrivai
vicino al bancone e
poggiai sopra una mano picchiettandoci con le unghie sopra mentre
fissavo
l’uomo dietro d’esso, che puliva un bicchiere di
vetro.
Feci
un piccolo e finto colpo
di tosse per cercare di attirare la sua attenzione e prendere il mio
dannato
caffè prima di far tardi a lavoro.
Iniziai
a spazientirmi
parecchio. Ero una cliente e quel tipo non mi degnava nemmeno di uno
sguardo.
“Scusa,
dovrei ordinare”
Dissi
con un tono decisamente
elevato di acidità nella mia voce. I suoi occhi si alzarono
dal recipiente che
stava pulendo e si incontrarono con i miei. Erano verdi come era verde
il prato
dei parchi di Buenos Aires, verde come l’acqua cristallina
del mare, verde come
il colore della speranza.
“Mi
scusi signorina, cosa
desidera?” la sua voce era un insieme di note gravi che
miscelate insieme
creavano un’armonia mai sentita. Deglutii ritrovandomi per la
prima volta con
la gola secca e con le parole attaccate al palato.
“Cosa
desidera?”
Parlò
di nuovo facendomi
risvegliare dal beato ricordo della sua voce, dandomene un altro
assaggio.
Violetta Castillo era davvero rimasta incantata da una voce e da un
paio
d’occhi? No, non poteva essere.
“Caffè
macchiato” risposi
quasi senza voce, cosa mi stava succedendo? Battei più volte
le palpebre
cercando di ritornare in me.
Lo
guardai muoversi esperto
dietro al bancone notando che sulla camicia che aderiva perfettamente
ai
muscoli delle sue braccia c’era sopra attaccata una piccola
targhetta con su
scritto Leon.
Un
secondo dopo mi ritrovai
davanti agli occhi una piccola tazzina con un cucchiaino
al’interno
“Sono
1.50”
Feci
un lungo sospiro prima
di tirare fuori dalla tasca le monetine e poggiargliele sul banco. 1.50
precisi.
Bevvi
il caffè così
velocemente da sentirlo scendere giù per la gola come una
cascata che graffiava
la mia gola. La lingua mi bruciava e sentivo lo stomaco contorcersi a
quell’azione troppo violenta e sgarbata. Dovevo rimanere
calma, ero agitata per
una sciocchezza.
“Buona
giornata”
Dissi
con la voce ancora
graffiata uscendo di fretta e furia da quel posto.
Fermai
un secondo la mia
camminata feroce e presi un bel respiro prima di riuscire a
regolarizzare il
ritmo dell’aria che entrava ed usciva dai miei polmoni.
Strinsi
il manico della borsa
di marca che portavo in spalle e mi diressi alla metrò.
Non tornerò mai
più in quel posto.
Dopo
buoni cinquanta minuti
passati nel mezzo pubblico e puzzolente che avevo sempre odiato,
riuscii ad
arrivare al Vicius Palace giusto in tempo per il mio primo cliente.
“Salve
Marotti” dissi
guardandolo con occhi sinceramente sprezzanti, come avevo sempre fatto.
Quell’uomo aveva prima salvato la mia vita e poi
l’aveva masticata e sputata su
un piatto troppo sporco per me.
“Ciao
mia bella principessa”
lo sorpassai schifata portandomi al piano di sopra.
C’erano
numerose porte,
precisamente cinque sul lato destro e cinque sul sinistro. Percorsi il
corridoio dall’aria innocente e pura in apparenza fino ad
arrivare alla porta
con inciso sopra il mio nome..Violetta
Castillo.
Entrai,
ormai ero abituata a
tutto questo.
“Ciao
bambolina”
La
voce roca di un uomo sulla
quarantina, poggiato contro il tavolo, mi fece sobbalzare.
Chiusi
gli occhi per un
secondo e lasciai cadere la borsa di fianco alla porta.
“Niente
moine, lascia i soldi
sul tavolo e spogliati in fretta”
Dissi
e iniziai a sbottonare
i bottoni della camicia velocemente, volevo finire presto.
Sono Violetta Castillo e questo
è il mio lavoro.
Look at me
Hola,
se siete arrivati qui
vorrà dire che avete letto il capitolo e ne sono
FELICISSIMA. Grazie per aver
letto e spero vi piaccia, ci ho messo una notte intera per scrivere
questo. Lo
so è poco, ma è solo l’inizio.
Dico
da ora che se non
troverò nessun tipo di interessamento e/o recensione alla
mia storia non credo
di continuarla. Sono una tipa che va avanti se vede che le cose sono
apprezzate
o tantomeno considerate, altrimenti è inutile.
Detto
questo vi lascio qui sotto
il mio account ask se vorreste farmi qualche domanda (anche se ne
dubito) e premetto
che non riesco a stare molto su efp a causa di problemi con il pc di
casa mia [Scrivo
dal computer del mio ragazzo] Perciò se avete qualcosa da
dire c’è ask lì, bellissimo
che aspetta solo voi (ho l’app di ask sul telefono
perciò lì riesco ad andare senza
problemi)
Tutti
i tipi di recensioni e consigli
sono ben accetti a bandierina verde, bianca o rossa che sia.
Ok,
ho finito. Buona notte o Buon
giorno, dipende dai punti di vista hahahah
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