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Autore: moonwhisper    03/09/2008    8 recensioni
Accade a tutti di voler staccare la spina, giusto? La conoscerete bene quella sensazione di acqua alla gola, di soffocamento, di saturazione massima. Quando non riuscite più a sopportare nulla di ciò che vi sta intorno. Ma stiamo parlando di voi. Voi comuni mortali. Non di Bill Kaulitz. O si? Bill è stanco, Bill si sente esattamente come vi sentite voi. E allora, cosa fa? Scappa. Lasciando un esasperato Tom a tenere a bada manager che soffrono di nevrosi, bodyguard con manie di grandezza, amici tardi e madri in crisi ipertensiva, e ignorando bellamente ciò che lo aspetta al punto d'arrivo: New York. E vi chiederete... cosa lo aspetta? Vediamo... risse, pestaggi, fughe, lavoro, adolescenti inquietanti, piatti da lavare, e, forse, l'amore.
Genere: Romantico, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Bill sentì qualcuno che lo afferrava per la cintura e lo trascinava con se nel corridoio. Prese a dibattersi freneticamente.

- Tom! Non ho ancora finito!!! – disse, prendendo con se le due magliette posate sul letto.

- Cazzate. E’ tardi. Non me ne frega un cazzo della tua incertezza su cosa metterti. Dobbiamo andare – ringhiò ad alta voce Tom, facendolo trotterellare goffamente all’indietro giù dagli scalini.

- Ma sono nudo! Sono NUDO! – urlò Bill, e una delle magliette gli scivolò dalla mano destra, mentre tentava di afferrare il passamano per interrompere la folle corsa giù dalle scale. – NON HO LA MATITA – continuò a sbraitare. Ma suo fratello sembrava deciso a non lasciarlo andare, vista la violenza con la quale continuava a trascinarlo sul parquet dell’ingresso. Afferrò con un dito le chiavi della macchina dal mobile e si specchiò, prima di uscire. Dall’uscio della cucina si affacciò sua madre, che si limitò a squadrarlo con uno sguardo di profonda riprovazione.

- MAMMA AIUTAMI!!! FERMALO!!! – esclamò Bill tentando di conficcare le unghie nello stipite – MORIRO’ ASSIDERATO! –

- Ma’ torniamo tardi. Vai a dormire. Ho preso le chiavi di casa – disse Tom alzando una mano come segno di saluto. Simone scomparve nuovamente. Bill emise un mugolio esterrefatto e vide la porta di casa chiudersi di fronte al suo naso.

Cinque minuti dopo era seduto nella macchina di Tom, e tentava di infilarsi una maglietta dal foro concepito per la manica. Il gemello prese una curva in modo piuttosto brusco e Bill andò a sbattere la testa contro il finestrino, con un tonfo sordo.

- Tom! La finisci di guidare come se avessi tra le mani una macchina per rally?! – gridò istericamente, sbucando fuori dalla sua maglietta, finalmente dal foro giusto. Emise uno sbuffo e si toccò i capelli.

- Siamo in ritardo – si limitò a rispondere il gemello, continuando ad aumentare la velocità.

- Non è vero! Siamo in perfetto orario – urlò Bill indicando l’orologio analogico che lampeggiava dallo schermo del piccolo televisore incastrato sotto la radio.

Tom lanciò una vaga occhiata all’ora e alzò le spalle.

- Beh, saremmo in ritardo se non ti avessi preso di peso – disse, come se la questione fosse finita li.

- Stavo solo scegliendo una maglietta!!! – disse Bill, gesticolando come un pazzo.

- “Stavo solo scegliendo una maglietta” – lo scimmiottò Tom togliendo le mani dal volante per farle vorticare davanti al viso – Ossia, stavi progettando il piano per farci arrivare in ritardo. Ed oggi non ho nessuna intenzione di permettertelo. Non hai la cognizione del tempo, quindi devo garantire io, che sono di gran lunga più affidabile – tagliò corto.

- Signor Affidabile, potrebbe gentilmente rimettere le mani sul volante? Non vorrei che la sua innata affidabilità ci conducesse al primo pronto soccorso sulla strada. In quel caso si, che arriveremmo in ritardo – ribatté acido Bill allungando il collo per studiare il suo riflesso nello specchietto.

Si sentiva seduto su una coperta di spilli. Era nervoso, eccitato, assurdamente emozionato. Emozioni associabili a qualcosa che non gli accadeva da tempo. Non si ricordava nemmeno più da quando, a pensarci bene. Cercò di tranquillizzarsi, anche se la guida da Niki Lauda di suo fratello non favoriva pensieri karmici.

Il programma prevedeva l’andare a prendere Alex e portarla da Heidi. Tom aveva suggerito un hotel a tre stelle poco distante dal pub dove lavorava la ragazza, e Bill si era stupito di trovare l’idea intelligente. Dopotutto se Alex avesse avuto bisogno, avrebbe trovato Heidi come punto di riferimento a portata di mano. Tutto era stato sistemato a dovere. David era stato liquidato, assieme alle sue raccomandazioni, ed anche Saki si era ritirato in buon ordine, provato dal viaggio. Sua madre non aveva detto nulla. Da quando avevano messo piede a Lipsia si era rinchiusa in un silenzio ostinato, con l’idea di punirlo severamente per ciò che aveva fatto, ma Bill sapeva che entro due giorni avrebbe ricominciato ad urlargli dietro come al solito. Tutto scorreva liscio come l’olio. Allora perché gli sembrava di aver ingoiato una manciata di sassi? E belli grossi anche. Sentiva sassi ovunque. Nello stomaco, in gola. Continuava a pensare a cosa dire, cosa fare, senza nessun motivo apparente. O forse i motivi erano talmente tanti che non riusciva più a numerarli.

- Bill, mi stai bloccando la circolazione –

Bill si riscosse dai suoi pensieri e vide la sua mano avvinghiata al braccio di Tom. Lasciò lentamente la presa e tornò al suo posto, appoggiando la fronte al finestrino. Dopo alcuni attimi di silenzio Tom sbuffò.

- Smettila. Sento tutte le tue seghe mentali da qui, e non è una cosa piacevole – disse burbero. Bill non si diede la pena di rispondere. Trascorsero altri secondi di silenzio, poi suo fratello parlò di nuovo, dopo un sospiro che diceva “devo fare sempre tutto io”.

- Bill, mi spieghi cosa stai facendo? – gli chiese, con tono sinceramente interessato. Bill si voltò confuso.

- Non sto facendo niente… - rispose, alzando le spalle con aria innocente.

- No, intendo li, nella tua testa. In quella steppa desolata, scossa dal vento… hai presente? – disse Tom, tenendo lo sguardo fisso sulla strada.

- Ah ah ah – rise amaramente Bill, spingendo la schiena contro il sedile imbottito dell’auto.

- Smettila di fare la suocera. Intendo… Dio, Bill. Hai ottenuto tutto quello che volevi. Sei riuscito a stare lontano da qui per più di un mese, hai fatto tutte le belle esperienze che volevi. So che ti serviva, so che dovevo appoggiarti ed ora so che finalmente stai bene. E sono contento con te. L’unica cosa che pensavi di non poter ottenere, l’hai ricevuta. Quella ragazza ti è caduta tra le braccia. E’ salita su un aereo e ti ha seguito fin qui. Hai idea dell’enormità di quello che ha fatto? E tu stai li con il broncio a tormentarti come una quindicenne al suo primo appuntamento, non sai che maglietta mettere, ti specchi… - Tom scosse la testa, sotto lo sguardo sconcertato di Bill – Devo ammettere che, nonostante fossi pienamente consapevole della tua deficienza, mi hai stupito di nuovo –

Bill avrebbe potuto rispondere a tono, ma non lo fece. Rise, con il cuore leggero, e poco dopo il suo gemello lo seguì.

 

- Si, e poi gli ho ficcato la testa nel cesso –

- Da quel che ricordo io, le cose sono andate in modo completamente diverso! -

- Sciocchezze. Eri troppo occupato a tracannare l’acqua dello scarico per mettere insieme pensieri logici. Non che tu riesca a farlo in condizioni normali, non mi fraintendere –

Alex rise quando Bill diede un elegante calcio nello stinco a Tom, che si piegò in avanti, saltellando su una gamba. In meno di dieci minuti l’avevano fatta ridere si e no una quindicina di volte, e Alex sperava continuassero a farlo. Nessuno poteva sapere quanto le facesse bene ridere. Nessuno poteva comprenderlo fino in fondo.

Stavano camminando in una viuzza deserta. Bill e Tom erano arrivati al suo hotel con un gran strombazzamento di clacson, l’avevano “caricata”, come aveva detto il gemello biondo, sulla macchina e l’avevano fatta scendere poco lontano, una volta parcheggiata l’auto. La meta, a quanto pareva, era un pub dove lavorava un’amica di Tom.

In quel breve lasso di tempo l’avevano seppellita di racconti d’infanzia. Tutto era nato dall’incauta affermazione di Bill: “io sono il gemello a cui è andato il gene dell’intelligenza”. Al che Tom aveva risposto con una decantazione delle sue capacità “fisiche” tale da far arrossire qualunque ragazza, ma non Alex che, per sua sfortuna, si era abituata a quel genere di discorsi molto tempo prima. Da li era stata un’escalation. In pochi minuti aveva imparato ad adorare quel modo crudele di scambiarsi l’affetto reciproco.

Tom si fermò all’improvviso, aprendo la porta di un piccolo pub alla loro destra. Bill le cedette il passo.

- Scusami, ma Tom non ha incluso la parola “educazione” nel suo “Manuale del piccolo erotomane” – disse, strizzandole un occhio. Alex sentì qualcosa all’altezza dello sterno capovolgersi e poi tornare al suo posto con velocità allarmante.

Precedette Bill nel locale semivuoto, ad eccezione di un cassiere in apparente stato vegetativo e una ragazza occupata a pulire un tavolo in fondo alla stanza.

Quando la loro rumorosa presenza attirò la sua attenzione la ragazza si voltò, rivelando un bel viso dolce. Sorrise perfidamente e mise le mani sui fianchi.

- Ecco che arriva Mister Testa Fallica accompagnato dal delizioso fratellino – disse, con un tedesco aspro ma piacevole.

Tom finse di ignorarla e si voltò verso di lei, parlando la stessa lingua.

- Ti presento la delicatissima Heidi – disse, indicandola con un gesto teatrale. Heidi grugnì contro di lui e poi li raggiunse, guardandola con un bel sorriso affabile. Alex notò che aveva delle simpatiche lentiggini sul naso, quando si avvicinò di quel tanto da stringerle la mano.

- Piacere Alex – disse continuando a muoverle la mano su e giù con vigore – Tom mi ha parlato di te –

Alex lanciò uno sguardo interrogativo a Tom, che alzò le spalle.

- Bill mi ha parlato di te – disse, alzando un dito contro il fratello. Bill fece un sorriso tirato, grattandosi la testa. Farfugliò qualcosa riguardo all’internet point e Alex capì.

- Bene, non so voi, ma io ho fame. Quindi, dopo questi piacevolissimi convenevoli direi che è ora di mangiare qualcosa – li interruppe Heidi con voce squillante. Lasciò la sua mano e si diresse verso la cucina a grandi passi. Tom le corse dietro ridacchiando ed entrambi sparirono oltre le porte.

- Vieni, sediamoci li – disse Bill indicando il tavolo in fondo. Le posò una mano sulla schiena e la guidò gentilmente.

Si sedettero uno accanto all’altra. Alex osservò per un attimo la strada che si trovava appena fuori dal vetro. I palazzi erano tutti molto più bassi di quelli che era abituata a vedere. Le piaceva quel posto.

Quando si voltò ritrovò Bill più vicino. Troppo vicino. Il cuore si fermò, poi fece un curioso avvitamento nel petto e riprese a battere impazzito.

- Non mi sembra vero che tu sia qui - sussurrò, portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, proprio come aveva fatto lei molte, moltissime sere prima, sere di un tempo che non le sembrava lontano come tutto ciò che aveva lasciato a New York, ma era di fronte a lei, brillava nello sguardo di Bill.

Lui si avvicinò ancora, chinandosi su di lei. Avrebbe saputo dire il numero esatto di ciglia che aveva per ciascun occhio.

- ECCO QUI! LA CENA! -

Entrambi trasalirono visibilmente, tornando immediatamente ai loro posti. Alex sentì le orecchie in fiamme, e si sforzò di sorridere ad Heidi, che si stava avvicinando con due vassoi in mano. Dietro di lei Tom ne portava altri due.

- Ah, che bello – disse Bill schiarendosi la voce. Alex prese un bel respiro.

- Sto morendo di fame – aggiunse, e non si stupì di scoprire che era effettivamente vero.

Tom ed Heidi si sedettero di fronte a loro ed iniziarono a prendersi a gomitate per conquistare centimetri in più sul tavolo.

- Vedo che avete la stessa natura elementare – disse Bill, con il tono di un ricercatore dedito allo studio dei gorilla. I due ragazzi si fermarono immediatamente.

- Taci deficiente –

- Taci spauracchio –

- Ma come cazzo parli? –

- Io parlo come si dovrebbe parlare, sei tu che ti limiti a grugnire –

Heidi raccolse un panino di dimensioni notevoli dal piatto e cominciò a sbocconcellarlo. Ad Alex parve che fosse leggermente nervosa. Continuava a lanciare occhiate in tralice a Tom, che ridacchiava di nuovo. All’improvviso capì.

Bill parve decidere che era ora di mangiare ed imitò l’esempio di Heidi, seguito da Tom. Alex rubò una patatina dal suo panino e la rosicchiò lentamente.

- Quindi tu saresti di New York… - esordì Heidi dopo pochi minuti di religioso silenzio.

- Si, esatto… - rispose Alex sorridendole.

- Quanti anni hai? – le domandò, attendendo la sua risposta mentre sorseggiava dalla sua lattina di coca.

- Diciannove – disse Alex. Tom allungò una mano verso il polso di Heidi e le abbassò il braccio. La ragazza riportò la lattina alla bocca, e lui ripeté il gesto. Ma lei continuò a parlare tranquillamente, come se fosse abituata a quel genere di fastidi.

- Ne dimostri di meno… sembra che tu abbia la mia età – disse Heidi.

- Quanti anni hai? –

- Ne compie sei a luglio – disse Tom posandole una mano sul capo con fare paterno – Non è una bambina deliziosa? – aggiunse rivolgendosi a lei con aria sognante. Bill rise ed Alex non riuscì a soffocare la stessa reazione.

- Vai a fare in culo Tom – replicò Heidi rivolgendogli un sorriso accecante.

- Le bambine deliziose non parlano come gli scaricatori di porto, Heidi – disse Tom, sporgendo in fuori il labbro inferiore.

- Vediamo se le bambine deliziose infilano i colli di bottiglia nel retto di coloro che le insidiano? Ti va? – propose Heidi, continuando a sorridere.

- Hai una foglia enorme di insalata tra i denti – concluse Tom, alzando il mento e voltandosi dall’altra parte.

- Non mi lascio toccare dalle tue menzogne – ribatté solennemente Heidi. Quando Bill e Tom presero a discutere nuovamente, la ragazza si avvicinò a lei, allungandosi sul tavolo.

- Ho una foglia enorme di insalata tra i denti? – sussurrò.

Alex le sorrise e scosse la testa.

- Comunque ho diciotto anni –

Da quel momento in poi trovarono molte cose da dirsi.

 

- Facciamo due passi, ti va’?- le sussurrò Bill nell’orecchio.

Alex sollevò lo sguardo su Tom ed Heidi, che stavano litigando in modo incoerente, utilizzando frasi prive di senso apparente. Era da più di dieci minuti che andavano avanti così. Tirò un sospiro di sollievo ed annuì.

- Si, grazie –

Bill sgusciò fuori ed Alex lo seguì.

- Ehi, voi due. Dove andate? – chiese Tom, interrompendo la discussione.

- Facciamo due passi, vieni a recuperarmi da Alex quando hai finito – disse Bill sbrigativo, prendendola per mano e trascinandola verso la porta.

- E’ stato un piacere conoscerti, Heidi – farfugliò lei agitando una mano nella direzione della ragazza. Lei le sorrise, perdendo l’aria corrucciata che aveva avuto fino a quel momento.

- Piacere mio. Stai attenta, i Kaulitz sono bestie pericolose – le urlò dietro, un secondo prima che la porta del pub si chiudesse.

- Oh. Finalmente. Non li sopportavo più – esalò Bill, lasciandole la mano. Alex rise e scoprì di essere perfettamente d’accordo.

Cominciarono a camminare lentamente, percorrendo a ritroso la strada che avevano fatto in macchina.

 - Che ne pensi di Heidi? –

Bill infilò le mani in tasca, lasciandosi sfuggire un brivido di freddo. Alex nascose il mento nel colletto del giubbotto.

- E’ simpaticissima. Una forza della natura – disse.

- Sono contento che la pensi così –

Continuarono a parlare di cose senza importanza fin quando Bill non cambiò tono.

- Alex… –

Si fermò, a metà del vicolo fiocamente illuminato che stavano attraversando. Tacquero per qualche istante, rimanendo immobili, con i nasi gelati, impegnati a fingere di guardare altrove.

- Si? – si decise infine a dire Alex, con la voce meno acuta che riuscì a trovare. Perché tutt’un tratto sentiva di poter avere una crisi isterica da un minuto all’altro? Tentò di respirare più lentamente, e parve servire.

- Volevo ringraziarti – disse lui, voltandosi completamente nella sua direzione. Aveva i capelli che gli scendevano lisci sulle spalle, corvini, più curati di come lo erano stati a New York. Gli occhi non erano truccati, e sembravano ancora più grandi.

- Di cosa? – domandò Alex confusa. Lo stomaco riprese la sua forma consueta e le sembrò che intorno cominciasse ad esserci più aria.

- Di tutto. Di essere venuta, di avermi perdonato nonostante non ti abbia detto la verità… di questo – rispose, e si avvicinò, proprio come aveva fatto nel pub. E come era successo nel pub il cuore prima si fermò, poi riprese a battere, facendole pulsare il sangue nelle orecchie.

Tutto era immerso nel silenzio assoluto. Non c’era un filo di vento, nulla si muoveva, ad eccezione dei loro respiri, che volteggiavano a mezz’aria, condensandosi in sottili nuvole argentate. Qualcosa di freddo e soffice si posò sul labbro di Alex.

Entrambi sollevarono lo sguardo al cielo. Altri fiocchi di neve seguirono quello che si era adagiato sulla bocca della ragazza. Prese a nevicare,  fiocchi cominciarono a cadere discretamente sul suolo.

Bill sorrise. Si avvicinò a lei senza esitazioni, le prese il viso tra le mani sorprendentemente calde e la baciò. Un bacio che non aveva nulla del timore che c’era stato su quel ponte tanto lontano, un bacio che esprimeva tutta la gioia di averla li, e il desiderio di non lasciarla andare.

Mai, mai, mai era successo ad Alex di avvertire così concretamente l’indispensabilità di un gesto. Si abbandonò completamente a lui. Poteva essere solo quella la ricompensa per dei sentimenti che andavano tanto oltre ciò che era concesso loro di esprimere con le parole.

 

***

 

Perché le certezze impiegano molto meno tempo a sbriciolarsi, rispetto ai dubbi?

Alex supponeva che la risposta a quella domanda fosse piuttosto importante, ma non riusciva ad afferrarla. Era stanca di domande senza risposta. Era anche stanca di rimanere immobile sul letto dalle lenzuola intatte, a fissare il soffitto bianco e anonimo. Ma non riusciva a fare altro. Usciva solo per mangiare, si alzava solo per andare in bagno.

Erano passati sei giorni dall’ultima volta che aveva visto Bill. Una settimana, o quasi. Ma non aveva molta importanza quanti in realtà fossero i giorni. La cosa più importante era che non l’aveva più visto. Certo, l’aveva sentito. Avevano parlato tanto, ma… al telefono. Lui e gli altri ragazzi della band erano completamente presi da interviste e impegni mondani. Da quanto le aveva spiegato Bill tutti aspettavano di sapere qualcosa su un album che non esisteva.

“Certo. Capisco benissimo. Non ti preoccupare, sto bene qui” non faceva altro che ripetere ad ogni telefonata. Era diventato un obbligo. Doveva dire a Bill ciò che lui desiderava sentirsi dire. Era giusto così… vero? Dopotutto le cose si sarebbero sistemate con il passare delle settimane, sarebbe passato anche quel periodo di fuoco, e tutto avrebbe assunto un aspetto un po’ più… normale. Era quello che continuava a sperare. Quando aveva trascorso la sua prima sera con Bill, quella speranza era una certezza. Non riusciva a capire quando fosse avvenuta la trasformazione da “sapere” a “sperare”, ma sentiva che continuando a rimuginarci su non avrebbe ottenuto nulla. Durante quelle sere grigie non aveva fatto altro che continuare a chiedersi dove fosse Bill, cosa facesse, con un’insistenza quasi ossessionante. Non riusciva a pensare ad altro. Forse perché era l’unica cosa a cui poteva pensare. Non aveva amici, non aveva parenti, in quella cittadina ordinata. Non aveva un lavoro, non aveva lo sforzo fisico a distrarla, a stremarla. L’unica a rendere meno piatte le sue giornate era Heidi, per il poco tempo che condividevano quando Alex andava a trovarla al pub. Le prima volte aveva tentato di pagare, ma Heidi si era mostrata irremovibile, e Alex sospettava ci fosse lo zampino dei due fratelli Kaulitz. La follia di Heidi era piacevole, la alleggeriva. Ma c’era anche il resto… non poteva far finta di ignorare il suo buon senso. Proprio non ci riusciva.

Lanciò un’occhiata alla sveglia posata sul suo comodino. 23.57. Solitamente Bill chiamava intorno alla mezzanotte.

Come in risposta al suo pensiero il cellulare abbandonato sul lenzuolo vibrò, facendola trasalire. Allungò una mano e lo afferrò.

- Pronto? – disse, e un sorriso spontaneo e totalmente non previsto le increspò le labbra.

- Prontoooo – rispose dall’altra parte Bill. Aveva la voce piuttosto stanca, ma non si lasciava scappare l’occasione di apparirle pimpante e giulivo. Capirlo le diede una forte fitta di tristezza e allo stesso tempo la voglia di abbracciarlo stretto. Sospirò silenziosamente.

- Come stai? – gli chiese, sollevando le gambe sul materasso.

- Tutto ok. Certo, penso che esattamente… domani mattina, mi sporcherò le mani con il sangue di David, ma è una cosa trascurabile tutto sommato. Oggi ci hanno trascinato prima ad un’intervista con Viva Live, e poi con Bravo. Abbiamo dovuto rifare il servizio fotografico che avevano rimandato per la mia partenza a Gennaio, sai, le foto verranno usate per la promozione negli Stati Uniti. Il fotografo era semplicemente insopportabile, un incompetente. Non sapeva affatto che luci usare con noi… figurati, ha fatto andare fuori di matto anche Natalie, e lei di solito è un angelo… -

- Chi è Natalie? – lo interruppe Alex, traendo un respiro profondo. In pochi secondi Bill l’aveva seppellita di informazioni, senza darle il tempo di assimilarne nemmeno una.

- La mia truccatrice. Cioè, la nostra truccatrice, ma è più mia che degli altri. Sai, io necessito di maggiori attenzioni, non che sia brutto, ma semplicemente perché gli strati di fondotinta da sovrapporre sulla mia faccia sono notevoli, e solo io uso l’ombretto. E’ una ragazza d’oro, te la voglio far conoscere. Andreste sicuramente d’accordo, è certo. Te la presenterò domani sera! – rispose Bill, di nuovo mitragliandola di parole. Alex quasi sobbalzò, quando Bill disse “te la presenterò domani sera”. Cosa voleva dire? Si sarebbero visti? Cercò di formulare una domanda che non la facesse passare per una disperata.

- Domani sera? – fu tutto quello che riuscì a raccattare nella sua mente, mentre si metteva a sedere al centro del letto.

- Si. Ho una buona notizia – quasi le sembrò di vedere Bill sorridere all’altro capo del telefono – Domani sera daremo un party in un locale di Lipsia. Una cosa molto carina. Inviteremo la stampa, solo i giornalisti fidati e i loro fotografi. Poi ci saranno i pezzi grossi della Universal, parecchi raccomandati sparsi qua e la, le varie porno bimbe di Tom e Georg, e tutti i nostri amici. Ci sarà anche la ragazza di Gustav! E’ assolutamente brillante! DEVI conoscerla. Verrà anche Heidi, Tom l’ha chiamata poco fa e sono riuscito ad origliare la telefonata. Quei due sono terribili, non oso pensare a cosa combineranno. Ti va di venire? –

“No, sai Bill, la mia vita mondana ultimamente mi sta davvero stremando. Ho da fare dalla mattina alla sera. Darò un’occhiata alla mia agenda e ti richiamerò”. Alex sorrise sarcasticamente pensando di rispondergli veramente così. Alzò gli occhi al cielo.

- Certo – disse.

- Perfetto! Domani mattina mettiti d’accordo con Heidi, purtroppo noi arriveremo un po’ in ritardo, come al solito. Abbiamo un sacco di cose da sbrigare. Magari potete venire insieme alla festa, lei sa dov’è il locale – ribatté lui. Senza sapere perché, Alex si sentì improvvisamente triste. Una strana sensazione di malinconia le chiuse lo stomaco.

- Ok – mormorò, accoccolandosi contro lo schienale del letto. La stanza le parve immensa e vuota.

- Ci vediamo domani allora. Un bacio. Buonanotte – disse Bill, senza perdere nulla del suo tono pimpante. Ma era stanco. Si? Era stanco? Si era immaginata anche quello?

- A domani. Notte – rispose lei, e chiuse prima che lo facesse lui. Quel piccolo gesto la fece sentire meglio.

Si raggomitolò sotto le coperte e tentò di prendere sonno.

 

***

 

- Mi sento una deficiente – borbottò Heidi affianco a lei.

Alex avrebbe voluto dire la stessa cosa, ma il vestito che indossava le bloccava le vie respiratorie, perciò optò per il silenzio. Non era stata un’idea geniale chiedere ad Heidi se aveva qualcosa di adatto alla festa. Dopotutto lei non aveva mai avuto vestiti congeniali a quelle occasioni, le era sembrata la soluzione migliore. Ma quando si era vista proporre un vestitino nero, tagliato sopra il ginocchio, completamente rigido dalla vita in su, aveva capito che avrebbe fatto meglio a presentarsi in jeans e maglietta. Il corpetto del vestito era una trappola infernale. Le riduceva la vita, si, ma al costo di comprimerle completamente i polmoni. Per non parlare del seno. Sentiva che da un momento all’altro qualcosa che non doveva sarebbe fuoriuscito dal bordo del corsetto, sbucando tra il macabro pizzo nero cucito intorno. I nastri che chiudevano il corpetto sulla schiena erano la punta di diamante. Heidi li aveva stretti talmente tanto che per alcuni minuti aveva pensato di dover vomitare.

- Questi tacchi mi stanno ammazzando – ringhiò di nuovo Heidi, attirandosi addosso l’occhiata sprezzante di una bionda alta un metro e ottanta, tacchi esclusi. Erano in fila da meno di un quarto d’ora e già si erano guadagnate una buona dose di sguardi compassionevoli o disgustati. Alex guardò la sua compagna. Heidi era costretta in un vestito simile al suo, color carminio, e barcollava su un paio di scarpe nere, dal tacco vertiginoso e paurosamente sottile. Si chiese se anche lei sentiva di poter perdere le facoltà respiratorie da un momento all’altro.

Quando finalmente riuscirono ad entrare nel locale sovraffollato, dopo aver indicato al bodyguard addetto il loro nome sulla lista degli invitati, entrambe cercarono di raggiungere un buon punto d’osservazione.

- Ecco, li – disse Heidi prendendola per mano e trascinandola nella folla. Alex sentiva corpi premerle contro ovunque. Riuscirono a raggiungere una pedana circondata da un lungo corrimano dorato. Alex vi si aggrappò, imitata da Heidi.

- Io la sotto non ci torno – esalò la ragazza. Alex era assolutamente d’accordo, ma non trovò le forze per esprimersi.

Ovunque volti sconosciuti. Incombevano su di lei, vestiti alla moda, sorridenti, perfettamente a loro agio. La musica le pulsava nelle orecchie. Per un momento ebbe il desiderio di fuggire da li, il prima possibile. Ma Bill l’aspettava. Non poteva andarsene, Bill sarebbe venuto e sarebbe venuto per lei. Si guardò intorno ancora una volta, smarrita.

Le persone erano troppe. Bill sarebbe venuto anche per lei. Non era la stessa cosa.

 

- Non ce la faccio più – Heidi le afferrò un braccio – Sono passate due ore. Due ore! Da un momento all’altro penso che avrò un attacco isterico e conficcherò un tacco nel primo bulbo oculare che mi passerà accanto – disse. Un uomo in ascolto si allontanò in gran fretta.

- Sono stanca anche io… - replicò Alex.

Ma nessuna delle due si mosse. Si guardarono negli occhi e sorrisero stancamente. Non se ne sarebbero andate, ed entrambe si compativano per lo stesso motivo. Heidi sospirò e scosse la testa.

- Sono proprio fuori di testa… - mormorò. Alex non sentì il bisogno di aggiungere altro. Si avvicinò ancora un po’ ad Heidi, le caviglie che le dolevano e la schiena rigida.

Dopo una buona mezz’ora avvertirono un cambiamento nell’aria. Tutti si voltarono nella stessa direzione. Ci fu un attimo di silenzio, poi un applauso rumoroso le investì. Alex si sporse oltre la balaustra e distinse due figure familiari.

Bill e Tom, affiancati da altri due ragazzi, probabilmente il resto della band, avevano fatto il loro ingresso.

Bill svettava sul pubblico, i capelli corvini e lisci che gli ricadevano sul giubbotto di pelle nera. Era completamente truccato, come il giorno in cui le aveva raccontato la verità a New York.

Sperò di incrociarne lo sguardo, ma non ci riuscì. Sempre più persone si lanciavano sui quattro ragazzi, per salutarli, per scambiare qualche parola. I flash dei fotografi invasero l’ingresso del locale, facendo brillare la collana pacchiana che Bill portava appesa al collo.

Quando l’entusiasmo sembrò smorzarsi la band prese ad attraversare la sala. Alex pensò che Bill l’avrebbe cercata con lo sguardo prima o poi, ma non accadde. Ad ogni passo qualcuno lo fermava per dirgli qualcosa, per chiedergli dichiarazioni, per scattargli una foto. La maggior parte delle persone erano concentrare solo e soltanto su di lui. E Bill sorrideva. Sorrideva in un modo strano, vuoto, un modo che le ricordò le prime serate al Rojo con Javier.

Abbandonò la balaustra, le mani improvvisamente gelide.

- Andiamo, prima o poi dovremo raggiungerli – disse Heidi brusca, notando un gruppo di bionde che si dirigeva verso i componenti della band, tutte risolini e paillettes.

La trascinò di nuovo con sé nella folla. Alex si lasciò trasportare, un improvviso senso di oppressione che le occupava lo stomaco. Profumi dolciastri le entrarono nelle narici. Qualcuno le diede uno spintone. Ovunque risate costruite e musica, volti ricoperti di trucco, odore di vodka. Tutto le dava la nausea. Era chiaro… così chiaro… perché continuava a camminare?

Arrivarono a poca distanza dai quattro, grazie alle gomitate e alle minacce di Heidi.

- Aspetta – Alex diede uno strattone alla ragazza, interrompendo la loro corsa attraverso il mare di corpi. Heidi si fermò e si voltò verso di lei, perplessa.

- Cosa c’è? – chiese, sinceramente preoccupata – Sei pallida. Non ti senti bene? Soffri di claustrofobia? – le posò le mani sulle spalle e ad Alex sfuggì un sorriso triste.

- No, sto bene – rispose.

Si voltò nella direzione di Bill, tornando seria.

Riusciva a vederne il viso.

Era così vicino a lei. Sarebbero bastati pochi passi e l’avrebbe raggiunto. Ma non era la distanza fisica che contava. In quel momento Bill era lontanissimo, ed era qualcun altro. Un estraneo.

Come le era sempre successo, la verità la colpì in tutta la sua interezza all’improvviso, senza darle il tempo di capire gradualmente.

Joanne si sbagliava. Importava. Tutto era importante. Non avrebbe mai potuto amare completamente Bill, come lui non poteva amare completamente lei. Ne aveva amato una parte, una parte di lui che in quel momento avrebbe desiderato rivedere, e che non sarebbe ricomparsa. Ma c’era anche qualcun altro in Bill. Il qualcun altro che tutti condividevano, che tutti pensavano di amare. E lei non voleva far parte di quei tutti. Non voleva dividerlo con nessuno, non voleva essere amata solo da una sua metà.

Abbassò lo sguardo, sconfitta. Ciò che aveva pensato di poter ottenere, si era sgretolato sotto i suoi piedi. Che sciocca, che ingenua. Sorrise tra sé e sé tristemente. Fu sorpresa di non ritrovare in quel sorriso amarezza o rabbia, ma solo rassegnazione e dolore. Dolore per se stessa, per i ricordi sui quali avrebbe indugiato, ma soprattutto dolore per Bill. Per quel Bill che quando avrebbe riconquistato tutto se stesso si sarebbe chiesto chi era, chi aveva dimenticato lungo il suo cammino e chi avrebbe ricordato. Per quel Bill che sarebbe stato lontano, ma mai quanto in quel momento. In quel momento una voragine li divideva, e li avrebbe divisi quel tanto che bastava per non farli incontrare. Non più.

- Non è il posto giusto per me – disse, prendendo le mani di Heidi. La ragazza sgranò gli occhi per un secondo, poi parve capire.

- Alex, stai scherzando… ma… - farfugliò, confusa. Lei scosse la testa. Il sorriso resisteva ancora sulle sue labbra, e si stupì della sensazione di pace che la pervadeva.

- E’ così, Heidi – continuò – Grazie di tutto. Mi ha fatto davvero piacere conoscerti. Magari qualche volta vieni a trovarmi? Si? – sapeva benissimo che erano parole vuote, ma tanto valeva lasciarsi qualche speranza dietro le spalle.

Heidi rimase in silenzio. Si lasciò abbracciare, e ad Alex lo strano profumo intenso dei suoi capelli piacque.

- Corri da Tom – disse.

Si voltò e sparì tra la folla.

 

***

Eccomi eccomi eccomiii. Dopo aver superato tranquillamente gli esami di recupero devo dire che è un sollievo ritrovarmi qui a pubblicare il penultimo capitolo della mia storia. Nel prossimo mi sbrodolerò tutta e vi ringrazierò una per una, ma in questo i miei ringraziamenti vanno alla mia amata beta reader, che purtroppo per impegni improrogabili non ha potuto mettere mano nella correzione del capitolo (ho fatto tutto da sola, quindi se troverete qualche castroneria, perdonatemi), a coloro che hanno aggiunto questa storia nei preferiti, e alle belle figliole che hanno commentato il capitolo precedente. Ossia:

BabyzQueeny: grazie per i complimenti ^^.

Paaola: panzerotta preferita della schiera delle panzerotte, sia ben chiaro! Grazie *_* :*

valux91: Purtroppo ho mantenuto fede alla mia promessa, ho pubblicato a settembre, spero che non ce l'avrai troppo con me XD, ma chi glielo spiegava a mamma se mi bocciavano che dovevo pubblicare una Fan Fiction? Bacione.

Dying Atheist: grazie cara... q_q E' un sacco di tempo che non ci sentiamo, spero che tu sia a goderti una qualche vacanza *_*. Bacione.

Chamelion_: Come vedi, continua. Quando sarà terminato ve ne accorgerete. Grazie di tutto, grazie di esserci sempre.

EtErNaL_DrEaMEr: Grazie della recensione *_*. Spero che ci sia abbastanza "Heidi" in questo capitolo. Amo quella ragazza (peccato che non esista... O_O). Un bacione e grazie.

  
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