Del
taccuino perduto di Lysandre e di Castiel che lo ritrovò
~ Il primo incontro ~
C’erano
state volte – e tutt’ora
accadeva, seppur raramente – in cui Castiel si era chiesto
cosa avesse spinto Lysandre a rivolgersi proprio a lui tra tutti i
ragazzi presenti in aula. Ragazzi che sarebbero stati ben disposti ad
aiutarlo. ***
Quando aveva provato a chiederglielo la prima volta, Lysandre era
scoppiato a ridere di gusto, perché era così
strano per Castiel domandarsi piccolezze del genere. Anche se, a ben
vedere, non erano poi di così minimo conto.
Allora era tornato serio, rispondendogli con una scrollata di spalle:
un gesto che tra loro valeva più di un’articolata
e filosofica risposta che gli avrebbe snocciolato di sicuro, una
piccola riflessione su quel destino che giocava loro brutti scherzi. E
Castiel era scoppiato in una sonora risata, affermando che –
a prescindere dalla domanda – la colpa era sua,
perché perdeva con troppa noncuranza quel dannato taccuino.
E Lysandre aveva annuito, perché sì, era vero; ma
solo in parte.
«Hai per caso visto un taccuino con la copertina
nera?» fu la prima domanda che gli pose. Nessuna
presentazione, nessun “scusa se ti disturbo”, ma
una diretta sincerità che mal celava ansia e preoccupazione. ***
Gli lanciò un veloce sguardo. «No»
rispose svogliato, tornando a giocare distrattamente con il quaderno
aperto sul banco. Strappava un angolino di carta, lo appallottolava e
lanciava verso il cestino nel tentativo di fare canestro.
«Se lo trovi, mi faresti la gentilezza di
informarmi?» continuò quel ragazzo che sembrava
essere uscito da una fiction in costume. E non solo per i vestiti, ma anche per quella parlantina
sofisticata, aristocratica, e quasi da femminuccia.
«E, sentiamo, io che cosa riceverei in cambio?»
Con la coda dell’occhio assistette al veloce susseguirsi
delle espressioni sul suo volto: stupore e poi sdegno per quella
manifestazione di maleducazione. Alzò e voltò di
scatto la testa, quando si accorse dei suoi particolari occhi: uno
color miele e l’altro di un verde brillante. Ne rimase
affascinato e sorpreso per un lungo attimo che servì al
proprietario per ribattere.
«Grazie dell’interessamento» quasi
sbottò astioso, dandogli le spalle per uscire
dall’aula.
Castiel rimase giusto un altro paio di secondi interdetto, poi
riuscì a riprendersi dall’apparente trance in cui
era caduto: non capitava certo tutti i giorni di incontrare una
stranezza del genere; ma forse erano soltanto delle lenti colorate.
Scosse la testa, sogghignando per l’assurdità
dell’accaduto: mai nessuno andava a rompergli le scatole,
soprattutto durante l’intervallo. Mordeva, lui.
Eppure quel ragazzo – di cui non conosceva il nome
– era stato il primo sconosciuto ad avvicinarsi senza tremito
nella voce o nelle gambe, ma sicuro delle proprie ragioni.
Non ebbe tempo di pensarci ulteriormente che sentì dei
mormorii alle spalle. Si voltò zittendo con
un’occhiataccia i due ragazzi che commentavano ciò
a cui avevano assistito. Non era certo uno spettacolo che si vedeva
tutti i giorni, perciò sapeva che avrebbe avuto pace
soltanto all’ultimo rintocco della campanella di uscita.
Castiel rilasciò un sospiro annoiato, decidendo che per quel
giorno aveva seguito fin troppe lezioni. Inglese, forse, era
l’unica materia che gli interessava davvero e non ne avevano
in programma altre; perciò non vedeva proprio
l’utilità di presenziare alle successive due ore
di storia.
Raccolse lo zaino da terra cacciandoci dentro il quaderno rovinato e si
alzò dal posto, pronto ad uscire prima di
essere beccato dalla preside.
Fece per varcare la soglia della porta e imboccare il corridoio, quando
calciò distrattamente qualcosa. Confuso, aggrottò
la fronte linciando con un’occhiataccia un…
taccuino con la copertina nera?! Lo strano tipo
l’aveva perso
davvero, allora…
Lo raccolse da terra rigirandolo tra le mani, diviso tra la
curiosità di tenerlo e la poca voglia di perdere tempo. Poi
sbuffò, allontanandosi dall’aula utilizzata come
Laboratorio di Inglese, con il taccuino in mano.
Aprì su una pagina a caso: righe scritte in fretta, tagli di
parole, aggiunte, scarabocchi… Aveva forse uno strano modo
di prendere appunti? Già vestiva come non esistesse il
ventunesimo secolo, perciò era coerente con il suo
personaggio quell’altra stranezza, insieme alla grafia
minuta, chiara e leggermente inclinata verso destra che intervallava di
nero il bianco dei piccoli fogli.
Continuò la lettura interessato a carpire i segreti di quel
taccuino che quel ragazzo sembrava avere così a cuore, tanto
da indurlo a rivolgergli parola nonostante la fama che lo precedeva.
Assorbì sostantivi dai più semplici ai
più inusuali, avverbi e aggettivi, verbi, fino ad arrivare a
capirne il linguaggio metaforico e dalla sintassi a volte difficile che
utilizzava. Ben presto si accorse del suono poetico e a tratti ritmico
che emanavano quelle piccole pagine dense di sentimenti contrastanti:
malinconiche riflessioni, amore nelle sue sfumature più
delicate, delusione, incomprensione.
Lo richiuse di scatto come scottato, irritato dalle sensazioni che quel
semplice taccuino dalla copertina nera gli aveva appena scatenato
dentro. Certamente non erano appunti di lezioni come aveva supposto ad
una prima occhiata, non erano neppure nomi e numeri di telefono o
indirizzi o appuntamenti della giornata.
No, era qualcosa di più personale. C’era un intero
mondo dentro, messo nero su bianco, macchiato e rimaneggiato,
un’intera vita e molteplici vite insieme.
C’era un ragazzo che vestiva ottocentesco, parlava e scriveva
forbito, e aveva gli occhi di due colori differenti. E allo stesso
tempo c’era lui, Castiel, e c’erano quei ragazzi
che attraversavano il corridoio di fretta per rientrare in classe,
prima che la campanella della fine dell’intervallo suonasse.
Riprese a camminare, accorgendosi solo in quel momento di essersi
fermato. Doveva uscire in fretta e buttare quel dannato oggetto inutile.
D’un tratto si fermò di colpo e fissò
la mano con cui stringeva il taccuino.
«Merda!» imprecò contro se stesso,
ritornando da dove era venuto.
Vagò con lo sguardo lungo il corridoio che lentamente si
stava svuotando. Non aveva tempo da perdere e già si stava
pentendo della decisione presa, maledicendosi in lingue che non pensava
di conoscere. Poi vide un gruppetto di ragazzi che, sentendosi
osservati, gli lanciarono un fugace sguardo confuso, prima di fare
finta di non averlo visto.
«Ehi!» sbottò quindi, facendo
sì che uno di loro gli prestasse ascolto. «Conosci
un ragazzo vestito in modo strano? Ha gli occhi di due colori
diversi» domandò.
Il ragazzo ci pensò su, prima di rispondergli:
«Lysandre, intendi?»
Dopo aver ricevuto l’informazione che gli serviva, Castiel lo
superò mormorando un burbero “grazie”
che questi riuscì a sentire.
Percorse in fretta i pochi metri che lo separavano dall’aula
indicatagli. La porta era aperta e, dal vociare che proveniva da
dentro, il professore non era ancora arrivato.
Entrò e lo individuò seduto in fondo, accanto
alla finestra, intento a guardare fuori. Avvicinatosi,
richiamò la sua attenzione schiarendosi la gola.
Lysandre sobbalzò per la sorpresa e, non appena lo vide,
assunse un cipiglio confuso, accentuandolo ancora di più
quando Castiel lasciò sul banco il taccuino senza aggiungere
parola.
«Cosa vuoi?» chiese allora, ricordandosi di come
aveva risposto alla sua richiesta.
«Nulla. L’ho trovato per caso». Castiel
incrociò le braccia al petto.
«L’hai letto?»
«Sì» rispose schietto, non stupendosi
dell’espressione adirata che gli nacque in volto.
«Non avresti dovuto farlo: è violazione della
privacy. È personale».
«Ho visto», annuì Castiel.
Lysandre sospirò stanco. Non era certo la prima volta che
gli capitasse di perdere il taccuino e che qualcuno, trovandolo, lo
leggesse. Sapeva di doverne avere più cura per evitare di
incorrervi ancora, soprattutto quando alcuni compagni di scuola erano
così ben disposti verso la sua vena
poetica; ma questo era
lui: smemorato e perso nel suo mondo.
«Hai talento». Castiel interruppe le sue
elucubrazioni.
Credette di aver sentito male. «Come?»
«Hai talento» ripeté lui.
«Alcune poesie sono molto musicali. Suoni?»
«Canto» rispose ancora un po’ stupito e
in leggero disagio.
L’altro annuì con un cenno della testa.
«Io so suonare la chitarra» gli rivelò
con un sorriso divertito.
«L’ho sentito dire». Anche Lysandre
asserì distrattamente.
«Castiel» si presentò infine,
porgendogli la mano.
«Lysandre» rispose alla stretta, rilassando le
labbra in un piccolo sorriso.
«Hai anche sentito dire che mordo?» Castiel non
poté fare a meno di punzecchiarlo un po’. Aveva
dimostrato un certo coraggio nel rivolgergli la parola, mentre in quel
momento appariva quasi intimorito. Inoltre, sentiva come una strana
affinità con lui, ma forse era dovuta alla passione comune
per la musica.
Lysandre sorrise apertamente, quasi divertito e intimamente stupito di
aver trovato qualcuno che avesse letto i suoi pensieri – la
sua anima messa a nudo – senza deriderlo ma, al contrario,
apprezzandolo.
«Sì, ma adesso credo che ti abbiano ingigantito un
po’ troppo» rispose. «Abbai come un
cagnolino quando si trova davanti uno di taglia più grossa:
non appena lo vede avvicinarsi, corre a nascondersi dietro il padrone
con la coda tra le gambe».
«Ah, sì?» Castiel arcuò un
sopracciglio divertito dalla sua sfacciataggine – o
disarmante sincerità – e un po’
infastidito da quella strana descrizione: secondo lui era un debole?
Lysandre annuì convinto. «Grazie per avermi
riportato il taccuino e ti chiedo scusa per il disturbo
arrecatoti».
«Ringrazia la mia curiosità allora, o non
l’avrei mai raccolto da terra» ribatté
lui, scrollando le spalle.
A quelle parole strinse le labbra in una linea infastidita.
«La curiosità non è seconda al
più maligno vizio di questo mondo»
proclamò con serietà.
Castiel decise di non replicare a quella strana affermazione: aveva
già perso abbastanza tempo. Con un sogghigno divertito lo
salutò: «Fai più attenzione»,
e gli diede le spalle senza aspettare risposta.
Lysandre lo seguì con lo sguardo fino a quando non
uscì dall’aula, poi lo volse in basso, sul ripiano
graffiato e rovinato del banco, dove giaceva il prezioso taccuino
inerme.
Sorrise.
Non sapeva certo che l’indomani l’avrebbe rivisto
per lo stesso motivo.
Né che sarebbe stato così per parecchi giorni a
venire, per intere settimane e mesi, fino a quando incontrarsi non
avvenne in maniera naturale e voluta, senza aiuto alcuno –
taccuino o destino che fosse.
C’erano state volte – e tutt’ora
accadeva, seppur raramente – in cui Lysandre si era chiesto
cosa avesse spinto Castiel a interessarsi a lui, quando avrebbe potuto
restituirgli il taccuino e andarsene come nulla fosse. Era sicuro ci
fosse un altro fattore in gioco, a parte la curiosità.
Tuttavia, non glielo aveva mai chiesto. E non perché sapesse
quanto si sarebbe scocciato per quei discorsi fin troppo seri con cui
talvolta se ne usciva – Castiel abbaiava, ma non mordeva.
Piuttosto perché non ce n’era un effettivo
bisogno. Semplicemente, esistevano domande a cui risultava difficile
dare una risposta universale.
Qualunque fossero i propri ed i suoi motivi, qualunque fossero gli
interrogativi che entrambi si ponevano, nulla poteva mutare il fatto
che in pochi mesi erano riusciti a costruire una solida amicizia.
E forse non era neanche colpa del taccuino. In fondo, senza quel
piccolo oggetto così all’apparenza insignificante
non si sarebbero mai incontrati.
Quindi, sì. Entrambi avrebbero dovuto ringraziare quel
taccuino dalla copertina nera che aveva comprato quasi per gioco.
Ma quella era un’altra storia.
Grazie per aver letto :) Ogni tanto
bazzico anche qui.
Lo confesso: era da un bel po’ che avevo voglia di scrivere
sulla loro amicizia… Così, ho pensato di
cimentarmici trattando del loro primo incontro. A quanto pare, si sono
incontrati sei mesi prima dell’episodio 1 e per colpa di
Lysandre che perse il taccuino (anche se l’idea mi era venuta
prima di scoprirlo :D).
Castiel e Lysandre sono in due classi differenti perché
così mi è uscito mentre la scrivevo. Prendetela
come licenza :) E Lysandre perde il taccuino nell’aula di
Castiel perché… Perché prima ci ha
fatto lezione lui, no? Spero si sia capito.
Per chi si aspettasse qualcosa di più profondo sul contenuto
del taccuino di Lysandre, mi dispiace ma ho cercato di fare del mio
meglio, nelle mie possibilità :)
Infine, le parti in corsivo sono una sorta di
“presente”, rispetto al
“passato” in cui è ambientata la
one-shot.
Un bacione,
Calime