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Autore: Red_Cloud    20/07/2014    0 recensioni
Greg e Aaron sono due ragazzi completamente diversi l'uno dall'altro caratterialmente, ma identici fisicamente.Dopo un frenetico incontro al campo estivo scoprono di essere gemelli e, per conoscere i loro genitori, decidono di scambiarsi le vite, ma saranno davvero pronti a fronteggiare le rispettive famiglie?
Aaron nasconde dei segreti su Jacks di cui lui stesso si vergogna e Greg riuscirà mai a trovare l'amore? Perché i loro genitori dopo diciassette anni non si sono mai risposati?
I due ragazzi hanno molte domande, ma nessuna risposta. Quali sono i segreti che Aaron nasconde? Riuscirà Greg a fare colpo su Alaska? Riusciranno i loro genitori a chiarirsi?
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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I am Addicted to you

Capitolo 1: The Summer Camp


 «Avete tutto ciò che vi serve signorino?» mi domandò Hickey, porgendomi le valige.
  «Sì, stai pure tranquillo» risposi distrattamente.
«Avete la crema solare? Lo spray per le zanzare? E il porta occhiali? E…»
  «Sì!» dissi io zittendolo «ho tutto nello zaino, nella tasca grande sulla destra» lo rassicurai, presi le mie valige e andai all'ufficio della signora Mackenzie, la direttrice del campo estivo. Era una donna formosa e aveva probabilmente già passato la crisi di mezz'età. Quando venne il mio turno per l’iscrizione mi guardò sottecchi, attraverso i suoi occhialetti rotti.
  «Vi ho già visto?» domandò lei mentre firmavo.
«No signora, mai» risposi.
 «Come ti chiami?» chiese ancora.
«Gregory Lancaster» mi presentai mentre le porgevo il foglio d’iscrizione.
 «Ti divertirai qui Gregory… capanna 117»  mi diede una mappa del campus, io presi tutta la mia roba e raggiunsi i miei alloggi. Era un bungalow che dava sul lago, a due passi dal molo e dalla biblioteca; all'entrata, seduti sugli scalini, c’erano altri due ragazzi che giocavano con una console portatile. Immaginai dovessero essere i miei compagni di stanza, avevano tutta l’aria di essere degli smanettoni in piena regola… insomma, dei nerd.
«Salve, voi dormite nella capanna 117?» domandai ai due, uno dei quali tirò una gomitata all'altro per farlo smettere di giocare.
 «Sì, è esatto» rispose il primo, stringendomi la mano. Era un ragazzo alto, aveva i capelli neri e scompigliati, come se si fosse appena svegliato, il naso adunco e gli occhi scuri. «Io sono Will e lui è Steve» disse indicando l’amico ancora seduto a giocare.
 «Sì, ehm… piacere…» borbottò storcendo il suo nasone. Portava un grosso paio di occhiali tenuti in piedi solo da un giro di scotch, i capelli erano talmente lunghi che gli nascondevano gli occhi chiari.
«Piacere io sono Gregory, ma chiamatemi Greg» mi presentai io.
 «Wow che nome all'antica!» esclamò Will, prese i miei bagagli, entrò nel bungalow e sistemò la mia roba sul letto ad angolo della stanza. «Ti va bene qui?... deve andarti bene per forza, non ci sono altri letti» disse lui imbarazzato.
«No è perfetto, grazie mille!» esclamai, iniziando a disfare le valige.
 «Senti da dove hai detto che vieni?» domandò Steve sul ciglio della porta. Aveva una faccia annoiata, come se nulla lo divertisse.
 «Vengo da Boston» risposi. «E voi?»
  «Wyoming» disse Will fiero.
«Tennessee» borbottò Steve.
«Entrambi posti meravigliosi»

Chiamarono per la cena e scoprì che non ci avrebbero serviti ai tavoli, ma che ci saremmo dovuti servire da soli. Mi misi in fila e presi le cose che sembravano avere un aspetto quantomeno invitante, ma mentre tornavo al mio tavolo andai a sbattere contro un altro ragazzo, che, per colpa mia, si rovesciò addosso la cena. Era furioso, ma non fu quello a lasciarmi di sasso: era uguale a me! Stessa faccia, stesso colore di capelli, stessi occhi…
 «Accidenti!» urlò «Guarda dove vai imbranato!» anche se di certo il carattere era differente. Mi diede una spallata e uscì dal refettorio con rabbia.
 «Cavolo!» esclamò Will «era il tuo clone!»
«Clone? No! Era solo un tipo che ha la mia stessa faccia» dissi con noncuranza mentre mi sedevo al tavolo.
  «Io non la vedo tutta questa somiglianza» confessò Steve, mi tirai su i capelli e levai gli occhiali. «Ora la vedo»
Non vidi il mio “clone” per tutta le sera, quando andammo in camera continuavo a chiedermi chi fosse e ebbi tutto il tempo per farmi domande, poiché Will e Steve giocarono ai videogames fino alle quattro del mattino!

A colazione lanciai un’occhiata al tavolo affianco e il ragazzo della sera prima era lì, a ridere e scherzare con dei suoi amici. La mattina fu piena di attività, mentali e fisiche, peccato che negli sport fossi un inetto totale e, inoltre, mi costrinsero a togliermi gli occhiali per evitare di romperli, ma senza io non vedevo assolutamente niente! A palla prigioniera mi presero sei volte consecutive, solo al fischio di inizio! Facile colpire chi non ha una buona vista… a beach volley non andò meglio, ricevetti un sacco di pallonate sul volto. Che dolore! Il pomeriggio ce lo lasciarono libero e con i miei compagni andai al lago.  Mi sedetti sul molo a leggere “Il Grande Gatsby”, o le poche pagine che restavano, mentre gli altri due si rinfrescavano nelle acque del lago.
 «Guardate chi c’è!» esclamò una voce davanti a me «l’imbranato di ieri!»  a bordo di una canoa c’era il ragazzo che avevo scontrato il giorno prima, in compagnia di un amico.
 «Non l’ho fatto apposta, è stato un incidente» dissi.
 «Certo, se non guardi dove vai per forza non è intenzionale!»
  «Ero distratto, perché tu ed io siamo uguali… Non vedi che abbiamo la stessa faccia?» dissi.
Strizzò gli occhi, si sporse un po’ dalla canoa per guardarmi meglio e poi disse, rivolto al suo compagno: «Ehy Dave, sai chi è questo sfigato?»
  «No, chi?»
«Ovvio! Non vedi la somiglianza? Lui è il figlio di Alien e Hannibal Lecter! È talmente orrido che Lecter è scappato disperdendo le sue tracce!» i due risero, era davvero una battuta di cattivo gusto.
 «Spiritoso, davvero, mi sto sbellicando» ironizzai, lui sorrise e con la pagaia mi schizzò tutta l’acqua addosso, ponendo fine alla mia lettura. La fine del mio libro era bagnata dalle lacrime dell’ingiustizia. «Carogna! Il mio libro!» esclamai stizzito.
  «“Carogna”?» domandò sorpreso «che persona dice più carogna? Forse ho sbagliato, sei figlio del mostro di Frankenstein!» rise e cominciò a pagaiare verso il centro del lago.
  «Io dico carogna!» gridai «scappa codardo! Sei buono solo a parole!» corsi in cabina e col phon tentai di salvare la sorte del mio povero libro, ma vanamente.

A cena ero furioso e fu dura rispondere con garbo ai miei due amici che, poveretti, non ne potevano nulla. La direttrice del campus, la signora Mackenzie, a metà della cena annunciò un ballo previsto per il fine settimana. Quella notizia allietò il mio umore e mi fece finire la cena in modo più piacevole, permettendomi anche di essere più educato con Will e Steve. Nessuno dei tre era in vena di stare sveglio quella sera, mettemmo giusto un po’ in ordine per l’ispezione mattutina del giorno dopo, ma eravamo distrutti. Troppa attività fisica sia per loro, che per sport intendevano il tennis della Wii, che per me. Il mio massimo di sport era: trattieni il fiato per trenta secondi nell'acqua della vasca! Non eravamo proprio il classico trio di sportivi. Ci coricammo e venni svegliato solo la mattina dopo da un’imprecazione molto originale.
 «Per tutti i Sith delle galassie! Neanche un Jedi potrebbe sistemare questo disordine nella forza!» gridò Will.
  «C’è una falla nella nostra stanza!» disse Steve imitando la voce di Morpheus.
Mi alzai di soprassalto e rimasi scioccato nel vedere la nostra camera conciata in quella maniera! C’era spago ovunque che pendeva dal soffitto, le nostre teste e i nostri piedi erano coperti di miele e su di essi erano attaccate delle piume. «Miseria!» esclamai «tra poco c’è l’ispezione!»
 «Non ce la faremo mai a sistemare in tempo questo casino!» mugugno Will.
«Almeno proviamoci!» tentammo di sistemare più roba possibile, ma miss. Thompson, l’assistente della direttrice, arrivò che tutto era ancora in disordine.
Rimase delusa e, per punire il nostro disordine, ci aveva esonerati dal ballo di Sabato. Notai in lontananza a sbirciare, il mio clone, che rideva sotto i baffi. ERA STATO LUI! Prendersela con me mi sarebbe anche andata bene, ma con Will e Steve no! Voleva la guerra? E la guerra avrebbe avuto! Tutto aveva un limite. Continuammo la settimana normalmente, come se nulla fosse successo, subendo le angherie dell’altro me, ma ogni sera io e i ragazzi pianificavamo il modo per vendicarci.

Attuammo il nostro piano la sera del ballo, il mio riflesso e la sua compagna di ballo uscirono sulla terrazza e noi agimmo. Mettemmo della colla sul vestito della ragazza e lui posò la mano proprio in quel punto; mentre lui sproloquiava sulla sua casa in California, Will tagliava il vestito della giovin pulzella per farle credere che fosse il suo accompagnatore ad averglielo strappato e, quando lei si staccò da lui, Steve strappò un pezzo di stoffa. Nel sentire quel rumore la ragazza si voltò e vedendo il suo lato b all'aria, tirò uno sberlone al mio clone. Iniziammo a ridere come matti, però lui ci notò e non ne fu felice.
 «Brutto!... Ora ti faccio ingoiare tutti i denti!» ringhiò furente strappandosi il lembo di vestito dalla mano.
«Avanti, non ho paura di quelli come te!» lo sfidai, probabilmente i denti me li avrebbe fatti ingoiare davvero, ma almeno sarei caduto con orgoglio.
Mia madre diceva sempre che i bulli erano solo parole e che affrontandoli, non solo avrebbero abbassato la cresta, ma mi avrebbero aiutato a superare le mie paure. Lui mi venne addosso come una furia tirandomi un forte pugno sul naso, lo toccai e rimase il sangue sulle mie dita. Sorrise vittorioso, ma io gli tirai un pugno nello stomaco e uno sul labbro subito dopo, facendolo sanguinare;  lui mi tirò un gancio destro nell'occhio e un calcio nel ventre. Mi accasciai a terra per il dolore, ma almeno gli avevo fatto capire che non ero un debole, mi rialzai dolorante e gli riserbai lo stesso trattamento, solo con meno forza. Stavamo raggiungendo un punto di non ritorno, finché la direttrice Mackenzie non venne a separarci, portandoci nel suo ufficio.
  Mentre miss. Thompson ci disinfettava i tagli e controllava che il mio naso non fosse rotto, la direttrice brontolava: «avete rovinato il ballo! Siete contenti?!» il mio clone fece per rispondere, ma la donna lo zittì con un’occhiataccia, lanciata da quei suoi occhi porcini così severi e perfidi. «Un comportamento inaccettabile! Da due fratelli poi!»
 «NOI NON SIAMO FRATELLI!» esclamammo in coro «questa è la prima volta che lo vedo in vita mia» aggiunsi io e la donna parve sorpresa.
«No?!... Ma… io credevo che voi… oh, non importa! Intendo darvi una punizione esemplare, per rimettervi in riga. Se non riuscite ad andare d’accordo voi, allora lo farò io: dormirete insieme, mangerete insieme, farete le attività insieme e tutto questo fino alla fine del campo, ovvero fino a Sabato prossimo. Solo voi due e sarete sempre INSIEME. Se non troverete la maniera per andare d’accordo, vi punirete da soli meglio di quanto non possa fare io»
 «Non può farci questo!» esclamò il ragazzo «noi non ci sopportiamo, sarebbe una tortura!»
«Dopo un po’ vi stuferete di darvi contro e imparerete ad andare d’accordo, come foste davvero fratelli. Avete un’ora di tempo per fare le valige e raggiungere la capanna 315, ai margini del campo… ecco la chiave» mi lanciò il mazzo e ci congedò con un gesto della mano.

Fu dura spiegare ai miei vecchi compagni perché ero costretto ad andarmene. Io e il mio nuovo coinquilino ci ritrovammo davanti alla capanna abbandonata all'orario prestabilito, non era un bello spettacolo: il bungalow cadeva in pezzi, c’erano spifferi ovunque, alcune travi del tetto erano rotte, le lenzuola erano sporche e i cuscini senza federa. Ero disgustato.
  «Ho dormito in posti peggiori» constatò lui grattandosi la testa.
«Tu dove dormi di solito scusa? In una stalla?»
 «Dimenticavo che sua maestà vive nel lusso, mi perdoni… non dormo in posti strani, è che con mio padre e Jacks facciamo spesso dei campeggi, quindi…»
«Campeggi?»
 «Sì, campeggi, scampagnate nei boschi, gite… chiamale un po’ come vuoi… ehm… »
«Gregory…» dissi.
  «Perfino il nome è da damerino!» esclamò esasperato coprendosi gli occhi.
«…chiamami Greg» continuai io.
 «Meglio di Gregory… io sono Aaron» disse stringendomi la mano.
«Tu sarai anche disposto a dormire una settimana intera in questa maniera, ma io no! Almeno chiediamo delle lenzuola pulite e delle federe!»
 «Puoi resistere una notte? La lavanderia è chiusa e, fino a domani, non possiamo ritirare le lenzuola pulite» disse lui. Non aveva tutti i torti, era impossibile trovare la lavanderia aperta. «Tanto peggio di così non può andare» aggiunse lui sedendosi sul letto. Tirò fuori una specie di... coperta, ma sembrava più un piumino portatile.
 «Che roba è?» domandai, Aaron sgranò gli occhi.
«Stai scherzando?»
 «No, altrimenti non te lo chiederei» risposi ovvio.
«Greg è un normalissimo sacco a pelo!» esclamò sconvolto.
 «Ah… come funziona un sacco a pelo? Sai, non li mai usati»
«Fanno da coperta quando sei nei boschi, o in situazioni come questa. Hai sfogliato una qualsiasi rivista di camping in vita tua?» domandò.
 «Vivo a Boston Aaron, non mi serve a granché sapere come montare una tenda. Il mio massimo di vacanza è accamparmi in un hotel nell’Upper Est Side!»
«Boston? Ah, ora è chiaro perché ti chiami Gregory!» commentò «mai togliere ai bostoniani il loro tè»
 «Tu invece?» domandai mentre sistemavo la mia roba «dove vivi?»
«Io vivo in un ranch in California,  una dozzina di chilometri sopra Monterey»
  «Un ranch?! Beh nemmeno tu me sembri povero in canna!» contestai.
«Io non ho mai detto di essere povero in canna, solo che a differenza tua vivo come una persona normale» ribatté lui mentre attaccava foto al muro, non la vedevo bene dal mio letto, anche se avevo gli occhiali… sarebbe stato meglio fare un salto dall'oculista una volta tornato a casa.  

Mi accomodai nel mio letto, ma mi sentivo senza protezione, tra i lembi delle lenzuola avevo trovato perfino del dentifricio! Stavo trattenendo conati e dormire per terra allettava ancor meno del letto. Aaron invece si era addormentato subito, senza preoccuparsi minimamente delle schifezze nella nostra capanna!  Non avevo chiuso occhio tutta la notte, ero terrorizzato dal ragno sul muro… che schifo.
 «Buongiorno…» mugugnò Aaron stiracchiandosi «… che cavolo stai facendo?» Domandò confuso.
«Non lo vedi?» risposi io con ovvietà «mi proteggo da Karl»
  «Karl?» domandò ancora più confuso, era duro di comprendonio il ragazzo «vuoi dire il ragno» disse indicando il mio nemico dalle lunghe zampettine sottili.
«Karl!» ribadì seccato, mentre con un rametto cercavo di tenerlo lontano.
  «Sì, lui… Greg non dirmi che sei stato sveglio tutta la notte a proteggerti da un ragnetto» disse lui massaggiandosi le tempie… era una domanda retorica?
  «Sì, cosa te lo fa pensare?» esclamai.
Aaron ebbe un sussulto e si appiattì al muro: « le tue occhiaie… e il tuo sguardo da nevrastenico»
 «Non sono nevrastenico! Non so come disfarmi di lui! E se mi punge? Mi porti tu all'ospedale?!» gridai.
Il ragazzo si batté il palmo della mano sulla fronte e sospirò esasperato: «Greg, quello è un innocuo ragnetto della polvere! Non è velenoso!»
 «Ah. Non è velenoso?»
  «NO!» esclamò.
«Ma a me fa schifo!»
Aaron si alzò e schiacciò Karl al muro con la sua mano assassina: «contento ora?» mi chiese.
 «NO!» esclamai scioccato «lo hai ucciso! Magari Karl aveva una famiglia!»
Alzò gli occhi al cielo e prese un respiro: «Greg, che ci fai al campo estivo?» ci chiamarono per la colazione.
 «Io per mangiare, tu?» fece spallucce e, una volta vestiti, andammo a mangiare.

Avevamo un tavolo isolato, riservato solo a noi due ed era davvero deprimente. Non era bello vedere Will e Steve divertirsi senza di me, anche se non capivo le loro battute da nerd erano comunque simpatici… Aaron mangiava il suo panino marmellata e burro di arachidi come fosse un animale, già avevo fatto le ore piccole, non volevo mi venisse la nausea e gli passai le posate. «Usale, ti prego… sembri il diavolo della Tasmania che lotta per una briciola.»  Mi fece una smorfia, le prese e le poggiò affianco a lui, continuando a mangiare il suo panino come fosse al McDonald. «Fai schifo, mi chiedo se alcuni umani possano definirsi sapiens» borbottai.
 «Ehy sapiens, zitto che hai paura di un innocuo ragnetto»
 Roteai gli occhi : «i ragni sono pericolosi quanto il tuo appetito bestiale! Se fosse stata una tarantola?»
 «Credimi Greg, se fosse stata una tarantola, ora non saresti qui» bevve il  suo succo d’arancia e si pulì con la mano.
  «Taz usa il tovagliolo!» gli porsi il tovagliolo e lui me lo tirò in faccia.
«Sai, è divertente»
 Sorrisi amaro: «esattamente come vederti mangiare, potresti spaventare anche Scream»
«Quanto sei spiritoso!» esclamò pulendosi la bocca nel tovagliolo, sorrisi vittorioso. «Sai che c’è un ragno nelle tue uova strapazzate?»
 «DOVE?!» iniziai a guardare sotto il piatto e a dividere quella poltiglia con la punta del coltello, giusto per essere previdenti. Aaron scoppio a ridere.
 «Sai Greg, sei meno spocchioso di quel che credevo, sei solo un allocco» rise lui.
«E tu non sei il bullo scemo che immaginavo, sei solo un semplice popolano» dissi io con fare altezzoso.
 «Certo Greg, se ne sei convinto tu…»
 
Finita la colazione, la palla prigioniera non era più un problema per me dato che Aaron mi guardava le spalle. Ero riuscito a resistere fino a metà del gioco! E nel beach volley era andata allo stesso modo, quando gli sfigati sono accompagnati dai tipi… tosti, beh la musica cambiava ed era strano, perché Aaron era totalmente diverso da come lo immaginavo: era simpatico e divertente, era piacevole stare in sua compagnia.  Poco prima di pranzo eravamo andati in lavanderia, ma eravamo stati costretti a ritornare al bungalow per colpa di un forte acquazzone. La nostra capanna era praticamente allagata e la direttrice Mackenzie non ce ne avrebbe data un’altra.
   «Forza aiutami, prendi quello straccio e asciuga per terra» disse Aaron iniziando ad asciugare il pavimento.
«Ma io non ho mai fatto i lavori domestici!» esclamai, non sapevo neppure come passare lo straccio!
  «Neppure io, ma ci conviene ingeneraci! A meno che tu non voglia dormire un materasso ad acqua»
«Materassi ad acqua? Che forte! Dicono che siano comodissimi…»  lui mi tirò un’occhiataccia «ho capito, pulisco»  passai lo straccio su e giù, poi Aaron mise dei secchi sotto i buchi del tetto, peccato che una folata di vento improvvisa fece volare via la foto che il mio amico aveva appesa al muro. La tirai su dal pavimento che era fradicia e gliela porsi. «Mi dispiace…»
  «Tranquillo era… era solo… vabbè sono cose che capitano. Aiutami a chiudere le finestre» avevano uno strano meccanismo ed era dura chiuderle da soli.
«Chi c’era nella foto di tanto importante?» domandai.
 «Si chiama Jacks, è una persona a cui tengo molto, tutto qui» rispose lapidario, si sdraiò sul letto a guardare la foto fradicia.
«E non ne hai altre?» domandai ancora.
  «Sì, ma… era un giorno molto importante quello…» si perse un attimo nei ricordi.
 Notai che Aaron era in tutto e per tutto identico a me: aveva i miei stessi occhi azzurri, la bocca sottile, le lentiggini e i capelli neri, solo più corti. Aveva perfino le mie stesse espressioni!
  «Quanti anni hai» chiesi sedendomi affianco a lui.
«Diciassette, devo compierne diciotto»
 «Come me… e quando li compi?» domandai.
«Il 18 Agosto»
 «Davvero? Quello è anche il mio compleanno» esclamai sorpreso.
«Che coincidenza bizzarra… oh, tu guarda! Ha smesso di piovere» non era poi così strano, sentì un brivido lungo la schiena e pensai che non poteva essere vero. Aaron si alzò e si sedette sulle scale del bungalow. «Ho voglia di gelato… vieni con me allo spaccio Greg?»
 «Tua madre ti lascia mangiare così tanto? Come fai a non ingrassare?» domandai, lui si incupì.
   «Io non ho una madre Greg, vivo con mio padre»
«Oh… scusa» fece spallucce.
  «Tu invece? Com'è che non mangi un tubo e non sei anoressico?» domandò «tuo padre non ti dice nulla?»
«Mio padre non l’ho mai conosciuto, ha divorziato da mia madre tanto tempo fa»
  «Anche i miei, ma quel che ricordo di mia madre è che era una donna bellissima, assolutamente spettacolare» scrocchiò le dita e si stiracchiò «allora vieni con me allo spaccio o no? »
  «Ma come fai a pensare al tuo stomaco in un momento simile?!» gridai, come poteva non capirlo? Che aveva al posto del cervello, la segatura?
«In un momento come?» domandò «è mezzogiorno e io ho fame!»
  «Oh andiamo! Come spieghi il fatto che tu ed io ci assomigliamo così tanto, che abbiamo la stessa età e compiamo gli anni nello stesso giorno?»
«Coincidenze» disse lui piccato. «Ora, se permetti, vado a prendermi il gelato. Tu cosa vuoi che te lo prendo?»
 «Voglio che tu veda una cosa» risposi. Aaron fece spallucce e sbuffò, ma mi seguì nel bungalow in silenzio. Presi una cornice da sotto il mio cuscino e sospirai: «mia madre dice che ho un sesto senso e quando questo accade mi viene sempre la pelle d’oca» gli mostrai il braccio.
 «E con questo?» domandò scettico.
Picchiettai le dita sulla cornice: «beh… ecco… valuta da te» la voltai e mostrai la foto al ragazzo che parve sconvolto.
  «Dove l’hai presa questa foto?!» esclamò.
«Lei è mia madre»
 «Ma è anche la mia!» esclamò «papà teneva una sua foto sul comodino…»
«Perché? Ora non ce l’ha più?» domandai.
  «Già, mi ha beccato che la guardavo e da quel giorno è sparita» continuava a fissare la foto assorto, chiamarono per il pranzo e mi disse amaro: «vai tu, io non ho fame» feci per andarmene, ma non ce la facevo a lasciar solo mio fratello. Gli posai una mano sulla spalla e sorrisi, mi abbracciò. Quando mai si era spinto a tanto con una persona? «Io… Io ho un fratello?»
 «Gemello» aggiunsi.
«Sì quel che è, non stiamo a sottilizzare!» prese il suo album di foto e me ne mostrò una che lo ritraeva con un uomo. «Questo è papà» disse.
 «Wow… mi piacerebbe conoscerlo» confessai, Aaron si guardò il braccio e sorrise. «Non ti sembra strano che in tutti questi anni nessuno dei due si sia mai risposato?»
 «Guarda Greg ora ho io la pelle d’oca»
«Che hai in mente?»
 «Credimi è una follia, ma forse ce la si può fare…» disse girando in tondo davanti a me «… dobbiamo scambiarci i posti!» esclamò.
 «Scambiarci i posti?» domandai.
«Sì, pensaci… tu vuoi conoscere papà, io la mamma… perché non fare un piccolo scambio?»
  «Così, quando scopriranno il misfatto, saranno costretti a rincontrarsi!» mi guardò sottecchi. «Ebbè? Solo a me sembra strano che non si siano mai risposati, pensaci, diciassette anni e nessun altro partner e poi tutte le grandi storie d’amore prevedono la lontananza… Ehm… Tristano e Isotta…» Aaron mi fermò con un gesto della mano.
«Sì potrebbe anche essere, ma può essere anche che stai prendendo un granchio» disse, effettivamente non aveva tutti i torti.
  «Allora tu preferiresti fare i turni di sei mesi? Sei mesi in California, sei mesi a Boston… ti piacerebbe?»
«No, ma… forse….»
  «Aaron, pensaci, questa idea dello scambio potrebbe funzionare… per tutti»
«Allora che stiamo aspettando? Cominciamo a lavorare»
Mi fece sedere sulla sedia e prese un paio di forbici: «Aaron non sono sicuro che sia una buona idea…»
 «Nessun ripensamento!»  iniziò a tagliare i ricci neri e vedere i miei capelli per terra mi faceva venire in mente la raggelante voce della nonna: “Gregory James Lancaster! I tuoi capelli! Sembri un teppista!” i suoi soliti ed insulsi brontolii. «Ho finito!» esclamò mio fratello.
  Mi coprì gli occhi: «come sto?»
«Sembri meno idiota del solito Greg» rise lui «no, sul serio, non stai male… anzi! Devo dire che ho fatto un buon lavoro!»
 «Lo dici perché ora sono simile a te!»
«Beh, il mio inimitabile stile c’è, ma proprio perché non sei me stai bene» mi passò lo specchio e dovevo ammettere che aveva fatto un lavoro grandioso! Stavo benissimo! Aaron sorrise giulivo: «io te l’avevo detto fratello!»
 «Siamo identici!» commentai, ma lui scosse la testa.
«No Greg, non ancora» mi tolse gli occhiali «ora siamo identici»
 «Sì ma io non vedo un accidente!» contestai.
«Tranquillo, basta andare da miss. Thompson, lei ha una sfilza di lenti a contatto e tutte di gradazioni diverse, forse non lo sai ma lei durante l’anno fa l’oculista»
 «Non ho mai portato le lenti…»
«Non ne dubitavo» mi rimise gli occhiali e mi accompagnò da miss Thompson che, non solo mi diede le lenti, mi insegnò pure a metterle! Era stata una vera fortuna e solo con le lenti mi ero accorto di quanto veramente ci assomigliassimo.

Passammo il resto della settimana a scambiarci informazioni sulla casa, sulle rispettive famiglie, gli accenti… Aaron parlava come un fulmine e sarebbe stata dura parlare veloce come faceva lui senza mangiarmi le parole, d’altro canto per lui parlare con un accento più forte era difficile. Tutti quei nomi, quelle nozioni, mi facevano venire il mal di testa!
  «La mia camera è la seconda a destra al piano superiore, il mio…» mi guardò un attimo «Greg vuoi stare attento? Guarda che poi Jacks si accorge che non sei me!»
 «Ma chi è Jacks?» dissi esasperato, parlava solo di lui… o lei… non sapevo neanche se era una persona! Ma vista la foto fradicia, probabilmente lo era.
  «Lo scoprirai, sappi solo che di me sa tutto! Non puoi fare passi falsi… tornando a noi, il mio.. anzi, il tuo, cane si chiama Telemaco, il mio cavallo è l’unico stallone nero nel ranch e si chiama Horus…» troppe cose tutte insieme per me. «Avanti, ora mangiati le unghie» disse come fosse nulla.
 «Non posso, io non mi sono mai mangiato le unghie!» contestai.
  «Papà se ne accorgerà sicuramente… fallo Greg, anche perché sembrano le mani di una donna» gli feci una smorfia e mi mangiai un’unghia «che schifo fanno… ma come ci riesci?»
«Scarico la tensione» disse facendo spallucce.
Avevo modo anche io di farlo impazzire, la pronuncia, i giorni del bucato, le pastiglie che il nonno doveva prendere, i nomi dei dipendenti, delle riunioni della mamma, delle lezioni… ed un mucchio di altre piccolezze, come i vestiti da indossare al giorno della partenza. Quel giorno arrivò troppo presto.

Ci eravamo appena conosciuti e già dovevamo separarci... mi sarebbe mancato dopotutto. Ma che cavolo stavo dicendo? Mi sarebbe mancato, punto.
 «Ricordati, scopri più cose che puoi sul loro primo appuntamento» gli ricordai, non volevo fare i turni di sei mesi e nemmeno lui, per quanto lo negasse, voleva. La direttrice Mackenzie chiamò il mio nome dicendo che era arrivato il mio autista: «sei tu ora Gregory Lancaster!» esclamai, risvegliandolo dalla catalessi.
 «Oh giusto!... Arrivo signora Mackenzie!» mi abbracciò «ci vediamo in California, Boston fa schifo per quanto riguarda il romanticismo» corse alla sua auto e io presi il taxi che mi avrebbe portato in aeroporto, allora sarebbe cominciata un avventura… o forse era già cominciata? Avevo molte domande e tanti dubbi, ma ero certo che Aaron ne aveva tanti quanto me.
   
 
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