Un giorno, sotto la pioggia
-La forza di un desiderio-
Cold as the northern winds
in december
mornings,
cold is the cry that rings
from this far distant shore.
Winter has come too late
too close beside me.
How can I chase away
all these fears deep inside?
I’ll wait the signs to come.
I’ll find a way
I will wait the time to come.
I’ll find a way home.
My light shall be the moon
and my path-the ocean.
My guide the morning star
as I sail home to you.
I’ll wait the signs to come.
I’ll find a way.
I will wait the time to come.
I’ll find a way home.
Who then can warm my soul?
Who can quell my passion?
Out of these dreams-a boat
I will sail home to you.
(Enya, Exile, in Watermark,
1988)
Questo mio flauto che effonde melodie leggere
in un’aria spazzata da un vento feroce, tesse ricordi in dialogo con il mare in
tempesta urlante minaccioso sotto di me ; ma non
è per me quella minaccia, come potrebbe ? Di ben altre cose ho paura, non certo di questo elemento che ho sempre considerato
amico, molto più che la terra sulla quale ormai vivo ma che mai ho sentito mia.
Il mare mi manca... il regno in fondo al mare mi manca, ma finché sarò con lui,
non lascerò definitivamente quell’universo che mi ha visto guerriero... non più
un Dio per il resto del mondo, ma unica divinità per
me che mai abbandonerò il suo fianco.
E ancora piove...
sembra quasi di tornare indietro nel tempo, a quei giorni in cui lui era il
sovrano dei mari e io il suo fedele discepolo, il suo generale e per lui avrei dato la vita. Ma cos’è cambiato in
fondo ? Non è forse così ancora adesso ? Non sarei pronto ad
accogliere la morte a braccia aperte per proteggere lui ? Lui che non
ricorda, lui che ora è solo umano, profondamente umano con la sua generosa
dedizione alle vittime innocenti di catastrofi naturali... e anche in questo io
sempre con lui, anche se la sua memoria è perduta, anche se sento un’indefinita
nostalgia per quei ricordi che lui non possiede come io
li possiedo. Vorrei che li condividesse con me, forse lo renderebbe a me più
vicino... oh, perché io sono vicino a lui, come non mai, io sono in perfetta
sintonia con quello che è e quello che è stato... ma lui no, perché un tassello
gli manca, un tassello di nostra vita insieme che lo renderebbe con me più confidente,
che lo spingerebbe forse ad accantonare quell’aura di distante cordialità nei
miei confronti e che mi fa male al cuore più di quanto lo farebbe la rabbia di
un amico....
Essere suo amico,
questo vorrei ? No... non lo so... vorrei solo
che ricordasse.. vorrei solo che le nostre anime
fossero unite nel ricordo, molto più unite di quanto adesso sono.
“Lo saranno...
Sorrento... per un momento lo saranno e questo vi renderà vicini come mai lo
siete stati.”
Le note del mio
flauto repentinamente interrompono la loro corsa nell’aria e per poco lo
strumento non mi cade di mano ; chi ora ha interrotto così bruscamente i
miei tormenti ? Chi ha saputo leggere così nitidamente in fondo al mio
cuore ?
Il mio capo si
volta e i miei occhi scavano nella tempestosa foschia, per cercare di
distinguere quel vago contorno di umana figura che a
passi solenni si dirige verso di me ; movenze feline, portamento eretto e
fiero, forme robuste ma in un certo modo sinuose e capelli lunghissimi a
danzare leggiadri nel vento...
Ed è istintiva familiarità quella che
risveglia ai miei sensi assopiti.
“E’ un piacere
rivederti, vecchio compagno.”
Con quest’ultima
osservazione il suo volto mi appare, con i suoi
lineamenti sempre più definiti, meno confusi e i suoi occhi verdi rilucono acuti,
in perfetto tempismo con la mia esclamazione :
“Kanon !”
“Vedo che il nuovo
tipo di vita non ha del tutto offuscato la tua memoria” ribatte spostandosi una
ciocca castana dietro l’orecchio e avanzando ancora, fino a lasciarsi cadere al
mio fianco.
“Non avrei mai
creduto di rivederti ancora...”
“Il nostro mondo
intessuto di leggenda, così in ombra per gli esseri comuni, è più piccolo di
quanto sembra per chi vi è immerso, come noi... credimi,
il nostro ritrovarci non era così improbabile, soprattutto se vieni a suonare
il flauto in questo posto...”
Malinconia languida
e fragile imbeve l’ultima parte del suo discorso... non lo ricordavo così... il
tempo che passa, le esperienze, possono davvero cambiare il carattere di un
uomo... in tutti i sensi... Kanon era stato plasmato
dagli eventi, la sua mente volta al male verso il quale si è sentito costretto,
per rabbia, forse addirittura per odio, fino a pensare che alcun altra potesse
essere la sua strada... e poi ancora dolore e sconfitta e infine l’atroce scoperta...
che neanche il suo odio a nulla era servito... e forse sollievo, triste
sollievo nel cambiare la rotta delle proprie ambizioni. Non so cosa ne è stato di lui dopo il crollo del regno dei mari ma so
che questa persona che ho ora davanti non ha nulla a che vedere con lo
spietato, astuto, cinico Dragone del Mare... e so cosa intende con le sue
desolate parole... ha ragione... se esisteva un posto al mondo dove avremmo
potuto incontrarci, non poteva essere che questo, qui dove tutto è
iniziato : il promontorio di Cape Sounion, sul quale si estende la visuale dalla terrazza del
palazzo dei Solo, qui dove il mio signore si era ridestato all’essenza divina,
qui dove colui che ho davanti era stato rinchiuso dal sangue del suo sangue,
uomo santo ma talmente ligio al dovere da rinnegare il proprio stesso fratello,
in una grotta che in questo giorno di selvaggia tempesta è di sicuro sommersa
dai flutti, proprio qui sotto, dove ora entrambi sediamo, frustati dal vento e
dalla pioggia.
“Alle persone
normali sembreremmo due idioti.”
E’ ancora lui a
parlare, senza aspettare un mio commento, una conferma, forse intuendo che
ancora sto tentando di riprendere le fila di questa particolare giornata ?
“Perché dici
così ?” chiedo, tenendo lo sguardo fisso alle onde maestose che terrorizzerebbero la più coraggiosa delle creature, ma che
per me sono rassicuranti come per un bambino le braccia della mamma.
“Entrambi abbiamo
scelto un giorno di tregenda per venire a sederci qui, a rituffarci nei ricordi,
in balia di una tempesta che spinge ogni creatura a restare ben celata nelle
tane, nelle abitazioni, con porte e finestre serrate...”
Mi stringo nelle
spalle, lasciandomi sfuggire un sorriso :
“E’ un tempo come
questo che ha scandito il nostro passato... non trovi ?”
Lo osservo un
istante, proprio mentre sul suo profilo deciso si
dipinge un sorriso di cui non riesco a stabilire la natura : ironia o
tristezza ? Probabilmente entrambe e forse anche qualcos’altro.
I miei occhi si
posano sul flauto che sto rigirando tra le mani, distrattamente
ma con istintiva attenzione, la stessa attenzione che riserverei a
delicato cristallo :
“Come facevi a
saperlo ?”
Questa volta è lui
che si volta a guardarmi, sento il penetrante smeraldo delle sue iridi fisso su
me e la sua voce porre una domanda della quale, tuttavia, conosce già la
risposta :
“Sapere che
cosa ?”
“Come facevi a
conoscere così bene il corso dei miei pensieri ?”
La prima risposta
che mi concede è una sottile risatina ma non vi è
scherno; non la so decifrare eppure in essa percepisco una sorta di
comprensione. Ad essa fa seguire parole che si
intrecciano con l’ululato del vento :
“La nuova
esistenza da musico comune ti ha fatto dimenticare come le
tue melodie rispecchino l’animo umano... come esse riflettano il tuo
animo ? Eppure, ora più che mai, il tuo flauto parla di te.”
Deglutisco in
preda a una strana sensazione ; è sogno ciò che
sto vivendo ? E’ un’apparizione, un fantasma, quello che ho di fronte, uno spirito che viene a svelarmi i segreti del
mio cuore e Kanon non appartiene più a questo mondo in realtà ?
“Sei... proprio reale ?”
Mi osserva un
attimo, con l’aria incredula per la domanda che io gli ho posto ; poi
ridacchia ancora, inaspettatamente mi prende la mano. E’ consistente quel
tocco, vero... e caldo, incredibilmente caldo
nonostante il gelo che aleggia nell’aria... non mano di freddo fantasma.
Porta le mie dita
all’altezza del suo viso, mi costringe a sfiorarlo ; mio malgrado mi sento
imbarazzato, reazione istintiva alla mia non voluta, ambigua carezza. Lui
sorride... non con ironia adesso :
“Sono vero ?
Ti sembro così inconsistente ?”
Non posso fare a
meno di ricambiare quel sorriso :
“Sei apparso come
fantasma, materializzandoti dalla tempesta, ti sei
seduto qui, con la tua malinconica presenza e sembravi inconsistente... ora ti
tocco e... sei quanto di più reale possa esserci in questo universo che ci
circonda e che noi stessi colmiamo di sogno...”
Il suo sorriso si
accentua :
“Musico gentile,
animo di poeta...”
Poi il suo sguardo
si posa sulla mano che ormai ho ritratto dal suo volto, ma che lui ancora
insiste a trattenere; i suoi lineamenti si fanno più seri, in qualche modo
languidi :
“E mano
magnificamente degna di accarezzare lievemente il flauto, fedele compagno... compagno fortunato...”
Mi sento
improvvisamente avvampare e, turbato, strappo un po’ malamente
la mia mano a quella stretta, la cui morbosità comincia ad inquietarmi.
Distolgo lo
sguardo, posandolo sul flauto al quale le mie dita ora si aggrappano come ad
un’ancora di salvezza.
“Sei più timido di
quel che sembravi...”
E’ un canzonamento gentile, impregnato di una tenerezza di fronte
alla quale vorrei alzarmi e correre via, fuggire lontano dove essa non potrebbe
raggiungermi, fuggire da lui... e a questo pensiero mi vergogno profondamente.
E’ assurdo, ho già dimostrato in passato che nulla ho
da temere da quest’uomo, che la mia forza di guerriero nulla ha da temere da
lui.... ma temere cosa poi ? Non ho già notato poco fa
il suo cambiamento ? Queste gentili attenzioni riescono a spaventarmi di
più delle minacciose mire di un nemico ?
Due dita che mi si
posano audaci sotto al mento mi costringono a
sollevare il viso ; ho gli occhi sgranati in tutta la loro ampiezza quando
ancora incontro il suo sguardo magnetico :
“Sei come un
bambino che non comprende cosa gli sta accadendo...”
La mia espressione
repentinamente muta, le sopracciglia si corrugano in un astioso rimprovero che sto per tramutare in parole severe quando ancora lui mi
previene :
“Non ti devi preoccupare,
Sorrento, non ho alcuna intenzione di strappare a
forza un consenso da chi non me lo può concedere ; so benissimo che il tuo
cuore è occupato...”
Come prima io ho
fatto, ora egli allontana gli occhi dai miei, distanti, sull’oscuro orizzonte o
su un pensiero che non mi è dato scorgere... ma la sua
voce ha ancora qualcosa da aggiungere, tristemente :
“Anche se mi
dispiace... devo ammetterlo... invidio la persona che detiene il dominio su
quel cuore che ti batte in petto e che probabilmente non lo sa e non
comprende...”
Un singulto mi
scuote il cuore, ma non riesco a sfogarlo all’esterno, neanche una parola mi
sale alle labbra ; il mio sguardo, i miei sensi, continuano
ad appigliarsi allo strumento che tengo in mano, per non perdersi. Mai avrei
immaginato che una conversazione tra Kanon e me potesse prendere una così
strana piega.
Non so più che
dire e cosa fare; alla rabbia si sostituisce una parvenza di pietà per quella
persona seduta al mio fianco… pietà per lui che tanto ho detestato, pietà per una
creatura che avrei volentieri spazzato via dalla
faccia della terra al pensiero di come ci aveva usati, tutti, per le sue malate
ambizioni.
Eppure, già quando avrei
potuto farlo, non l’ho fatto… forse già allora mi fece pena? Forse sono davvero
più sensibile di quello che pensavo? Aveva forse ragione il gentile santo di Andromeda quando parlava del mio nobile cuore come se lo
conoscesse meglio di quanto io stesso mi conoscessi? E’ proprio vero che chi è
in grado di creare celestiali melodie non può che possedere nobile cuore?
O sì… l’ho sempre
creduto in realtà, con il mio smisurato orgoglio, credevo che soltanto nel mio
cuore sussistesse quella purezza che la mia musica trasmette, io che,
erigendomi a fiero difensore della giustizia, stavo
per massacrare senza pietà colui che di giustizia rappresenta l’essenza, il
piccolo Shun dal cuore grande come l’universo… il santo per eccellenza, l’unico
che è stato capace di aprirmi gli occhi e di farmi comprendere quanti errori si
celassero in me, quanta falsa sicurezza di ciò che era giusto o sbagliato… e la
purezza, la nobiltà, lui stesso le ha infuse in me… lo pensai vagamente nel
momento stesso in cui apostrofai Kanon, nel momento in cui volentieri lo avrei
ucciso.
Ma sarebbe stato
un ulteriore errore; Shun non avrebbe agito così…
volevo provarci davvero a dimostrare che quel ragazzino aveva ragione sul mio conto. E così riflettei… Kanon aveva sbagliato,
Kanon meritava disprezzo, meritava odio, forse meritava la morte
ma… di me stesso cosa avrei dovuto dire? Cosa
avrei dovuto dire della mia superbia, della mia incapacità di guardare oltre il
mio naso, io che stavo appoggiando la distruzione della Terra per una dedizione
malsana e cieca a quell’uomo di cui, già allora, ero follemente innamorato? E,
proprio per questa cecità, forse, non potevo ammettere che la sua grandezza
nella quale mi crogiolavo, potesse essere
strumentalizzata, usata da qualcun altro.
No, io non posso
giudicare alcuno, non me lo posso permettere e neanche
voglio farlo perché il mio scopo è raggiungere quella perfetta nobiltà d’animo
che nella mia musica già riesco ad infondere. Shun, il ragazzo, l’uomo anzi che
mi ha sconfitto, è il mio esempio, il mio modello, lui non ha bisogno di orpelli particolari per dimostrare quanto dentro è puro,
lui ha i suoi occhi che cantano e la loro melodia è più valida e sincera di
tutte le melodie che questo pezzo di metallo in mano mia riesca a creare.
E tuttavia è dura
la lotta contro se stessi, più dura di ogni contesa
che implichi l’obbligo di affrontare materialmente un nemico a noi esterno; non
provo più odio forse, è vero, ma l’ostilità non è facile da sconfiggere quando
l’antipatia nei confronti di qualcuno scorre nelle viscere come fiele da
scaricare fuori in violenti improperi.
E di astio nei confronti di quest’essere qui seduto al mio
fianco ne ho provato tanto, un astio che mi ha fatto trascorrere ore e ore a
rodermi interiormente al solo ricordo di ciò che la sua mente intrisa di follia
era stata in grado di partorire. E ora viene qui e mi
tratta come il bimbo ingenuo che non sa tener testa alle sue conturbanti
attenzioni… chi si crede di essere?
Effettivamente mi
turba, eccome se mi turba l’idea che lui nutra a mio riguardo il genere di interesse che ha mostrato… non perché ne sia
spaventato ma perché… io fatico a trattenere tutta la rabbia che da sempre
nutro nei suoi confronti mentre lui… lui… desidererebbe sedurmi? E’ una
situazione ridicola, quasi umiliante, come è umiliante
il fatto che riesca a leggermi così bene dentro e che abbia intuito di me cose
che neanche io ho mai confessato a me stesso, dandosi un tono da grande
saggio.. e da profeta anche… si è presentato a me con un’autentica predizione.
E proprio quella predizione è la scusa per uscire da questo stallo
imbarazzante, per portarmi fuori dalla pericolosa
strada che la nostra conversazione ha intrapreso.
“Mi spieghi come
sei diventato improvvisamente veggente?” chiedo, affettando la più completa
indifferenza a ciò che è appena accaduto.
Sbaglio o sospira
impercettibilmente? Forse sperava da me una diversa reazione? E’ delusione
quella che leggo sul suo viso indurito precocemente da una giovinezza mai
trascorsa? Ma c’è anche qualcos’altro, un’angoscia che
traspare dalle parole che ora mi rivolge:
“Eventi nefasti si
stanno preparando, eventi che coinvolgeranno, volenti
o nolenti, tutti noi. Non è preveggenza la mia, Sorrento… non so se definirlo
presentimento di qualcosa… alla quale ancora non so dare
un nome. Ma le stelle mi parlano, come parlano ai sacri guerrieri di Athena e, benché io non sia affatto degno del loro sacro
nome, so che mi spetterà un ruolo negli eventi futuri… e nessuno di coloro che
sono entrati a contatto con le sacre leggi del mito ne sarà esente. Tu e Julian
vi siete trovati imbrigliati nella rete secolare delle
guerre sacre e non credo sia così facile lasciarvi tutto alle spalle… non credo
sarà così facile, per Julian, sfuggire al richiamo del Dio quando un nuovo
conflitto cosmico travolgerà la terra ed il cielo…”
Dovrei gioire per queste parole, dovrei gioire per una seppur flebile possibilità che Julian ricordi?
No… troppa inquietudine suscita in me quel discorso, troppo cupo l’orrore in
quelle parole celato:
“Cosa sta per accadere, Kanon?”
Un ghigno amaro,
un impercettibile cenno di diniego del capo drappeggiato dal fluire di riccioli color biondo scuro e scopro di non provare più
rabbia per lui, non sarebbe giusto, non più. E’ il più fragile ed infelice
degli uomini in questi istanti, in balia di paure alle quali non sa dare un nome.
“Io non so cosa
sta per accadere” risponde, roco; se non trovassi la cosa alquanto improbabile
conoscendolo, direi che sta per mettersi a piangere ma
probabilmente è solo molto confuso “Al Santuario attendono, si stanno
preparando, Athena stessa si sta preparando ma credo siano in pochi a sapere
realmente cosa aspettarsi… e non sono certo io tra questi… io sono l’ultima
persona alla quale un fedele servo della Dea direbbe qualcosa… sono l’ultima
persona alla quale, uno qualunque di loro, rivolgerebbe parola, ma loro non
sanno che ci sarò anche io…”
Non c’è
determinazione in quest’ultima frase, non rabbia né superbia… solo rassegnata
fatalità. Non aggiunge altro e non sembra aspettarsi risposte che non saprei
porre; non credo ci sia nulla da commentare anche se
vorrei capire… ma c’è davvero qualcosa da capire? Il mio cuore è gelido in
questo momento e, come sempre, quando mi sento smarrito, mi aggrappo al mio
flauto, non solo con le dita ma anche con lo sguardo.
Il silenzio calato
tra di noi sembra essere destinato a non più
spezzarsi, ma è colmato dall’urlo delle onde infuriato, dall’ululato gelido del
vento, dalla pioggia che, insistente, batte sulle onde, sul terreno pietroso,
sulle nostre membra.
Kanon si alza e di
sottecchi seguo il suo movimento lesto e fluido; non lo imito subito e d’altronde
lui rimane fermo, i pugni stretti contro i fianchi, il profilo fisso sui
mulinelli d’acqua che si intrecciano in bizzarra
armonia di vento e onde sul lontano orizzonte.
“Devo andare” è
come se riflettesse tra sé e sé, più che rivolgere a me quella frase “Il mio
posto, ora, è altrove.”
Solo a questo
punto mi alzo anch’io e lo guardo mentre il temporale
sembra lentamente placarsi:
“E dove andrai?”
Sorride
semplicemente… senza sarcasmo; un sorriso umile, ben lontano da quelli che sarei portato ad aspettarmi da lui:
“Dove il dovere mi
porta… il dovere di devoto servitore di Athena… anche
se nessuno saprà… nessuno capirà fino all’ultimo istante…”
Dovrei trovare
ridicola quell’affermazione… servitore di Athena colui
che aveva complottato, sfidando gli dei stessi per la sua rovina? Eppure accetto ciò che dice con una naturalezza sconcertante.
I pensieri si stanno accavallando nella mia mente quando
mi rendo conto che già si sta allontanando; senza sapere perché sento il
bisogno di farlo, allungo una mano ed accenno un passo:
“Kanon… aspetta un
momento…”
Non si ferma; mi
sta dando le spalle e neanche si gira. Solleva appena una mano in cenno di
saluto e la sua voce mi raggiunge un’ultima volta al di sopra
dell’ululato del vento:
“Non abbiamo più niente
da dirci, sirenetto; forse la persona che sta
arrivando saprà intrattenerti meglio di come possa fare io.”
Non ho neanche il
tempo di rimanere interdetto, perché repentinamente un’altra voce si fa udire
nel caos infernale, una voce che chiama il mio nome:
“Sorrento! Dove
sei?!”
E’ Julian; mi
volto un attimo alla ricerca della sua figura maestosa che avanza nella foschia
e, quando la direzione del mio sguardo va nuovamente a Kanon, egli è già
scomparso. Dopo pochi istanti Julian è al mio fianco, i suoi capelli biondi
lunghissimi mi frustano il viso e quasi sussulto per la sorpresa
quando una sua mano si posa sulla mia spalla:
“Cosa fai qui, con questo freddo? Sei tutto gelato.”
L’altra mano si
solleva fino a sfiorarmi il volto; mai prima d’ora era arrivato a tanto.
“Mi hai fatto
preoccupare, sai? Ti ho cercato dappertutto, non credevo
fossi così pazzo da…”
“Grazie, Julian”
lo interrompo con impeto. Se l’avessi lasciato
continuare sarei impazzito… quella carezza, quel tono colmo di premurosa
attenzione… è troppo da accogliere tutto insieme senza impazzire.
Ora sì che mi sento come Kanon avrebbe voluto mi sentissi con lui: un
ragazzino timido che non comprende cosa gli stia accadendo.
Mi sorride e… mi
circonda le spalle con un abbraccio, attirandomi contro di sé.
“Torniamocene a
casa” aggiunge semplicemente, mentre i nostri passi già sono entrati in
perfetta sincronia ma senza alcuna fretta.
No, non c’è
fretta… è troppo sacro questo istante, sento che è
bello anche per lui. E poi non fa più così freddo, un
raggio di sole sta spuntando tra le nubi. Mi tornano in mente
le parole di Kanon… potrebbe essere l’ultimo raggio di sole per