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Autore: yukihine    21/07/2014    1 recensioni
Amu Hinamori è una sedicenne assonnata cui non interessano le tecnologie di cui la razza umana dispone ed evita ogni genere di moda comune. Fra i suoi coetanei invece è popolare un videogioco on-line, “Mace”, il cui scopo è combattere fra i giocatori con degli ologrammi, gli Shugo Chara. Amu si tiene lontana da questo gioco, ma più tiene le distanze e più la schermata del login invade i suoi pensieri, come se in fondo fosse destinata a prendere parte a questa grande battaglia.
|Probabile Amuto e coppie varie | Sci-fi!AU | Sperando non sia troppo OOC | Plagio di varie opere (?) e non chiedete perché ho scelto questo fandom|
Genere: Azione, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amu Hinamori, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                   1
                                                                                                                 Vita

 



La sveglia suonò alle 6:30 col solito bip penetrante e snervante. Una mano svogliata si poggiò sul pulsante per disattivarla e soltanto dopo essersi rigirata fra le coperte Amu si mise a sedere controllando l’ora benché sapesse che erano le 6:31. Si alzò con riluttanza nella stanza buia e strisciò fino al bagno sbadigliando sonoramente.
Amu Hinamori, studentessa del secondo anno delle superiori di Kanagawa viveva in un monolocale di un palazzo fatiscente e per quello che si diceva infestato da fantasmi, anche se il massimo che si poteva vedere era un topo sulle ringhiere dei balconi ai piani inferiori. Amu uscì da casa con la divisa, una borsa e lo stomaco che si ribellava all’assenza della colazione. Prese l’ascensore insieme al vicino che andava a lavorare alla libreria in centro, un basso “buongiorno” e un’alzata di testa era il must della conversazione.
Amu viveva da sola, sia per scelta che per comodità, in quanto la sua famiglia abitava nella prefettura di Tokyo. Non aveva scelto i soliti appartamentini da studenti per evitare qualche coinquilina seccante, e quando trovò il suddetto palazzo su un giornale smise di cercare, anche il prezzo d’affitto di 8.300* yen le piacque un sacco. Si trasferì nell’appartamentino una settimana prima dell’inizio della scuola, giusto il tempo di sistemarsi bene e fare conoscenza con i vicini. Tutti quelli che abitavano lì erano persone o famiglie con salari bassi da non potersi permettere palazzi meglio costruiti.
Fuori il portone i due si separarono silenziosamente e Amu aumentò il passo sbloccando il suo p-watch, erano le sette e dieci, doveva arrivare alla fermata del bus in cinque minuti, anche se non si preoccupò più di tanto visto che la fermata era poco distante dal suo palazzo. Quando arrivò affianco a lei c’era una signora un po’ scombinata, Amu la conosceva, solo di vista, abitava fuori paese e lavorava per mantenere il marito dipendente dalle scommesse, prendeva sempre il pullman con lei. A quell’ora tirava una leggera brezza, tipica a inizio Maggio che scompigliò i capelli rosa della ragazza. Arrivò poco dopo il pullman e lei cliccando sullo schermo appena comparso sopra il suo p-watch, mostrò l’ologramma dell’abbonamento. Si sedette davanti e ammirò il panorama, come faceva ormai da un anno. Beh, certo il panorama non era dei più belli, marciapiedi e strade grigie, palazzi pericolanti color giallo, qualche motorino parcheggiato, nessuna persona, le cartacce e lattine per terra erano molte e la ragazza ammirò come il vento creava dei mulinelli di tanto in tanto. “Che desolazione” pensò “Anche se l’ho scelta io”. Chiuse gli occhi nello stesso istante in cui il pullman partì.
Si svegliava giusto in tempo, sempre, giusto un attimo prima che la vettura si fermasse. Nemmeno lei capiva perché, ma attribuiva tutto all’istinto. Aveva un valido istinto lei, ne era cosciente. Scese dopo la signora, abbassò la testa per evitare di colpire con la testa il tetto del pullman e si ritrovò fra la vita, fra le persone, la sua scuola si trovava non molto lontano dal centro storico. Ne fu felice all’inizio, come sempre, poi anche questo diventava una routine. Si diresse spedita verso l’entrata della scuola, a differenza dei suoi coetanei lei non aveva niente da dire prima delle lezioni, oltre a non aver nessuno con cui parlare. Non si era mai posta il problema di avere un amico, non ne aveva mai avuto bisogno e basta. Nello stesso modo non si poneva nemmeno il problema di quello che gli altri potessero pensare di lei, e certo, di lei si parlava abbastanza nella scuola. Era considerata una specie di maschiaccio, o una donna poco aggraziata.
La sua classe si trovava al secondo piano, salì le scale fra i sui compagni svogliatamente e con altrettanta svogliatezza aprì la porta, buttò la borsa sul banco e si scaraventò sulla sedia, attivò ancora il p-watch e controllò di aver fatto tutti i compiti, ma fu interrotta da un altro gemito del suo stomaco - Fammi andare, va’ - borbottò alzandosi, controllò il credito rimanente dal suo p-watch sbuffando e dirigendosi verso il distributore della scuola. Salutò alcuni suoi compagni di classe nell’attesa del suo turno e quando questo finalmente arrivò scelse un succo di frutta all’albicocca e avvicinò il polso destro ad uno scanner del distributore. Finita l’operazione si abbassò per prendere il succo e si avviò verso la classe mentre scartava la cannuccia.
Era sempre stata una tipa riservata Amu, molte ragazze volevano fare amicizia con lei, cercavano di rompere il ghiaccio ma lei rispondeva soltanto quando qualcosa le era rivolto direttamente. Non poteva nemmeno nascondere che alcuni ragazzi le avevano dichiarato il loro amore in questi anni di scuola, con pessimi risultati. Lei non ne aveva bisogno. Prendi soltanto quello che ti serve, era questo il suo “credo”. Un po’ crudele come cosa, però le evitava scocciature come ore di chiamate o uscite la sera.
La lezione di storia iniziò poco dopo. La professoressa Satō sistemò con calma la sua borsetta rosa - A che siamo arrivati? - chiese rivolta agli alunni.
Rispose una ragazza che stava sganciando il p-watch - Dobbiamo iniziare la crisi del 2000 -
- Perfetto ragazzi, siamo riusciti a metterci in pari col programma sono felice! - Controllò sorridendo il registro dal suo p-watch - Ah, oggi non interrogo, la crisi del 2000 è abbastanza articolata e lunga -
Un lieve sospiro si levò dai banchi, quelli che vengono fatti di tanto in tanto dagli studenti, che solo loro sono capaci di sentire.
- Bene… prendete pagina 117 -
A quell’ordine alcuni ragazzi ritardatari sganciarono dal cinturino dell’orologio, di cui tutti erano muniti, la ghiera, la poggiarono sul banco e attivarono lo schermo selezionando la pagina indicata.
La professoressa lanciò una rapida occhiata alla classe e con un tocco allo schermò una voce artificiale iniziò a parlare degli argomenti di quella pagina. La classe abbastanza silenziosamente seguiva il discorso sulla pagina proiettatagli davanti, ed alcuni con uno schermo più piccolo davanti prendevano appunti.
Il p-watch, abbreviazione di “personal watch”, era un computer nelle fattezze di orologio che proiettava nell’aria lo schermo, pratico dunque da portare dietro. Aveva ormai sostituito il cellulare con le sue innumerevoli funzioni: rivoluzionò il modo di vivere tanto che ormai erano casi rari i non possessori. Non c’era più bisogno di libri, computer fissi, telefoni, bastava un tocco per tutto.
Ma il p-watch non era l’unica grande novità nel mondo. Cambiarono radicalmente le modalità di compravendita: le monete e le banconote erano ormai estinte, si svolgeva tutto on-line. In tutti i neonati dopo una settimana dalla nascita veniva istallato un microchip sottopelle nell’avambraccio destro, una specie di carta di credito che nel momento dell’acquisto o della vendita con uno scanner, applicazione anche dei p-watch, veniva codificato e il credito aggiornato. Quando questo metodo fu adottato, 50 anni prima, creò problemi soprattutto con le persone più anziane che faticavano a tenere il passo di tutte queste tecnologie.
Il mondo in cui Amu si trovava fu progettato centinaia di anni prima come “utopia”, ma non fu un vero e proprio successo. Una delle prime cose promesse fu di uniformare il mondo e renderlo vivibile per tutti, ma non accadde proprio così: le grandi città pullulavano di tecnologia, vi si potevano vedere vetture ad acqua, maxischermi che fluttuavano fra i palazzi invadendo i poveri passanti di pubblicità, androidi che gestivano il traffico, ma già in periferia iniziavano a comparire palazzi vecchi, alcune auto a benzina, figurarsi nei paesini dove tutte queste tecnologie non erano ancora arrivate. Infatti fu proprio con l’arrivo di tutto questo che ci fu una vera e propria migrazione verso le grandi città e i piccoli paesi rimanevano abitati da famiglie nostalgiche o contrarie a tutto ciò. Per gestire l’agricoltura e l’allevamento furono utilizzati androidi, cosa che sfavorì la media prodizione che andò dunque in fallimento. Si arrivò dunque a uno stato di sovraffollamento delle città e totale abbandono delle campagne che furono vendute ai grandi latifondisti.
Questa specie di crisi non si sentiva o almeno si riusciva a non farla sentire.
 
La campanella della ricreazione non riuscì a finire di suonare che già tutti i ragazzi erano alzati con il pranzo in mano. Amu invece faceva con calma, chiuse lentamente la pagina del p-watch e cacciò dalla borsa il suo bentō.
- Hinamori, pranzi con noi oggi? - chiese da dietro una sua compagna indicando una sedia vuota affianco a lei.
Amu, che si era appena alzata, rimase un po’ a guardare l’amica - No, preferisco mangiare fuori - e si avviò per la porta. Mentre l’apriva sentì mormorare un “uffa”.
Amava stare in silenzio lei, durante i pasti. Di solito si sedeva nel piccolo parco e guardava gli altri studenti. Guardare la vita intorno a lei, come se ne fosse estranea, le piaceva, la rendeva vita stessa, infinita.
Uscì trotterellando dall’istituto e subito adocchiò un albero libero, si sedette e aprì il box. Ammirava la scuola e osservava la gente, ma fu presa dai suoi vicini d’albero: erano una ragazza e un ragazzo, dal comportamento forse una coppia, stavano accarezzando degli animaletti fluttuanti, all’inizio potevano sembrare dei peluche, ma dopo un esame accurato Amu ufficializzò che si muovevano. E la sua bocca si spalancò definitivamente quando una di queste creature mutò in una fatina. “Ragiona Amu, saranno quelle creature clonate di cui tanto si discute, ovvio” pensò “Però questi devono essere miliardari per permettersi oggetti non ancora messi sul mercato”. Immersa nei suoi ragionamenti non notò che la sua faccia fosse talmente shockata da essere notata dai due ragazzi in questione, che iniziarono a sorridere. La ragazza la chiamò. “E’ bella” pensò subito Amu, la guardò meglio “Non ha la divisa scolastica!”. Si scosse - Io? -
- Si, proprio tu, vieni qua! -. Era davvero bella. Aveva dei lunghi capelli biondi legati in due codini, un bel corpo fine. Aveva dei classici jeans neri e una maglia con spalle scoperte a balze color crema. Le scarpe di entrambi erano poggiate poco distanti.
Amu si sedette vicino abbastanza imbarazzata, cercò di mormorare qualcosa ma non ne uscì niente di articolato.
- Ti piacciono i nostri Shugo Chara? - chiese di colpo la ragazza sorridendo.
- Forse la stai mettendo in imbarazzo -, Amu si era totalmente dimenticata del ragazzo. Guardandolo lo riconobbe, era il senpai Soma, lo conosceva perché praticamente se lo trovava sempre in palestra. Non ci aveva mai parlato però di vista le sembrava una persona simpatica. Occhi verdi, fisico di chi si muove molto, capelli color castagna e quel tocco chic e ribelle che solo un orecchino può dare. - Io sono Kukai Soma, del terzo anno -
- Si, ti conosco, almeno di vista, ci vediamo spesso in palestra, no? - Amu si complimentò con se stessa per essere sembrata abbastanza a suo agio, non contò però che era tutta rossa.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, per ricordarsi, dopo pochi secondi alzò vittorioso l’indice al cielo - SI! Vero! Tu sei quella in gamba! Già, però potresti amalgamarti un po’ con la classe - alzò le spalle muovendo le mani come se volesse impastare.
Amu non sapeva proprio come rispondere ma per sua fortuna la ragazza cambiò discorso - Comunque, ti piacciono? - ed indicò la sua creaturina che si rivelò essere un gatto nero peloso che fluttuava e la fissava. Amu lo accarezzò, ma questo si scansò subito. - Cosa sono? -
- Non lo sai? Cioè, non conosci Mace? - chiese la ragazza un po’ stupita.
Amu scosse la testa.
La bionda pensò un po’ e il suo gatto le si poggiò sulla spalla - Beh… è un videogioco on-line… -
- Ti spiego meglio io, dai - disse il ragazzo sedendosi correttamente - Come ha già detto Utau è un videogioco on-line, ora va molto di moda ma noi ci giochiamo da molto più tempo - disse quasi vantandosene - Praticamente dopo esserti iscritta ti mandano un link di download dove puoi scaricare il tuo Shugo Chara. Ah prima c’è un test da fare. Capito? -
Amu non rispose.
La ragazza sospirò guardandolo di sottecchi - Praticamente il gioco consiste nel combattere fra i vari giocatori, hai presente i Pokemon? Solo che non puoi catturare altri Shugo Chara. Ogni settimana viene aggiornata la classifica dei giocatori più forti a livello regionale, nazionale e anche mondiale! E non è tutto! -
- Ah no? - Amu era sarcastica.
- No, no! Ci sono sette boss! Beh, molto simile a Pokemon in questo caso -
- Troppo - commentò Kukai disteso.
- Dicevo, sette boss a livello nazionale, ingaggiati direttamente dalla ditta creatrice del gioco. Nel momento in cui li sconfiggi ti daranno una medaglia -
Kukai fischiò - Non si sono sforzati molto per differenziarlo dai Pokemon eh? -
- Quando collezionerai tutte le medaglie beh… non lo so… è scritto che riceverai una sorpresa - l’ultima frase fu mormorata con un po’ di insicurezza.
 - Ma comunque sono pochi quelli che vanno in pellegrinaggio per le medaglie eh. Per molti basta entrare in classifica e sfidare quelli che si incontrano - aggiunse Kukai.
Amu aveva capito, però una cosa ancora non le era chiara - Ma cosa sono in realtà questi Shugo Chara? -
La ragazza guardò il suo - Beh, degli ologrammi -
- Che dici allora, t’interessa? - il ragazzo si rialzò sorridendo.
- Nah, non mi interessano queste cose - fu sincera, non voleva perdere tempo con questi giochetti.
Kukai ci rimase male - Sei in gamba, avrei proprio voluto giocare con te -
- In questa scuola ci sarà di sicuro qualcun altro, no? -
- Sicuro! -
In quell’istante suonò la campanella e la ragazza subito afferrò le scarpe per rimettersele - Torno a studiare, va’ -
Amu si alzò e aspettò i due. Quando si furono alzati si salutarono velocemente - Io penso che sotto sotto ti interessa - osservò la ragazza sorridendo - Ci vediamo! -. Si salutarono e la ragazza corse via. Ad Amu ritornò in mente - Ma perché non ha la divisa? -
Kukai stava chino a prendere la borsa - Non è di questa scuola, sta all’accademia - si raddrizzò - L’anno scorso ha concluso questa scuola, ma ogni tanto si intrufola all’ora di pranzo -
- Siete una bella coppia - osservò Amu.
- Oh ma non lo siamo -
- Come? -
Kukai iniziò a ridere - Non ancora -
- Che vuoi dire? -
- Tutto e niente - e si avviò verso l’entrata.
Amu rimase bloccata e osservando la borsa sulle spalle del ragazzo si ricordò della sua. Corse verso il suo albero e notò di non aver mangiato il suo pranzo, mugolò nel vederci qualche mosca sopra e lo richiuse. Kukai era quasi sulle scale dell’entrata e Amu lo inseguì velocemente - Potevi anche aspettare, eh - sospirò arrivandogli affianco.
Il ragazzo sorrise - Perché mai? -
- Forse perché stavamo parlando? -
- Mi sembrava chiusa la discussione -
Amu sospirò ancora ed entrarono, rimasero in silenzio mentre attraversarono il corridoio e vicino le scale Kukai si poggiò alla porta di una classe - Io sono arrivato -
Amu si fermò a guardarlo - Allora… ci becchiamo? -
- Certamente - rise il ragazzo salutandola con la mano.
Amu salì subito per le scale - “Ci becchiamo” che diamine ho detto? E’ così brutta e la usano tutti - mormorò. Non amava parlare come i suoi compagni con queste frasi popolane e si stupì lei stessa proferendo una frase del genere. Entrò in classe poco prima dell’inizio della lezione.
 
Erano le quattro e mezzo quando Amu finalmente varcò la soglia di casa. Poggiò la borsa sul tavolo e corse a cambiarsi, poggiò la divisa sull’appendiabiti infilandosi una vestina e si buttò sul letto disfatto. Rimase così per una decina di minuti, poi si rialzò legandosi i capelli e iniziò a riordinare casa. Non ci voleva molto per pulirla, normalmente un’ora, ogni venerdì due ore perché ripassava tutto con più attenzione. Iniziava sempre dal letto, spolverava i mobili, spazzava e infine lavava. Era una persona abbastanza ordinata e le piaceva avere tutto sotto controllo.
Dopo poco più di un’ora si buttò di nuovo sul letto e si fece altri dieci minuti di riposo prima di iniziare a studiare. Lo studio non le andava a genio, ma comunque dava tutta se stessa, non voleva avere problemi con i professori e subirsi seccature. Non aveva materie preferite, andava bene in tutte, cosa che le dispiaceva un po’, le sembrava strano di non prediligere una materia anziché un’altra. Per il giorno dopo doveva fare dei problemi di geometria, quelli le piacevano un po’, perché il procedimento era sempre lo stesso e alla fine capito il meccanismo erano facili. Finì dopo un’ora - E’ stato facile oggi. Cosa c’è per cena? - si chiese rialzandosi dal letto. Aprì il frigorifero, c’era un cartone di latte e una piadina, nello stipetto un barattolo di Nutella. Si ricordò che quello era il giorno della spesa, che non aveva fatto e che doveva dunque accontentarsi di quello che avanzava - Non ingrasserò di certo per una piadina con la cioccolata - detto ciò la preparò e la rimase un minuto nel microonde. Cenò guardando la TV, una versione più grande del p-watch, e si ricordò di Mace. Non aveva intenzione di iscriversi, voleva solo vedere la grafica del sito. Attivò il p-watch e digitò sulla barra di ricerca, cliccò su sito e subito le comparve la casella di login. Girò per il sito, ma oltre quella pagina, non ve n’erano altre - Praticamente o ti iscrivi, o ti iscrivi - osservò. Chiuse la pagina decisa a farsi una doccia, l’aveva detto lei di non volersi iscrivere.
Rimase un bel po’ sotto l’acqua non tanto per pensare, ma per la tranquillità e quando uscì dal bagno erano le nove e mezza, certo era presto per coricarsi, ma volle recuperare un po’ di sonno, e si mise in pigiama. Intanto la TV era ancora accesa e su un programma di attualità si parlava proprio di Mace, Amu rimase un po’ a guardare però le uniche cose che apprese in quel quarto d’ora erano le stesse che Kukai spiegò quel pomeriggio. Decise dunque di spegnere la tv a metà programma e si andò a coricare. - Non sarà che ora iniziano a parlare di quello che non so? - si alzò di scatto - Tipo di qualche dipendenza o robe simili - si passò una mano per il volto e sospirò allegramente - Macché! E’ soltanto un gioco, che può causare di tanto grave o che segreti potrà mai nascondere - si ridistese, ma non del tutto tranquillizzata: una parte di se continuava a pensare a quel programma, delle altre cose che avrebbe potuto svelare e del perché non ci fosse altro che la schermata di login nel sito ufficiale.
 
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Buonasera a tutte donzelle!
Spero che qualche buon anima sia entrata in questa fic e la ringrazio di cuore.
E’ stato strano per me iniziare una fic con una trama così elaborata su questo fandom, però ho desiderato molto di inserire in questa sezione qualcosa di mai pensato come un AU fantascientifica!
Ultimamente sono in fissa con la fantascienza, e questa storia è saltata in mente così mentre facevo allenamento, ne ho parlato con Imma (qui conosciuta come _Pikadis_) che mi ha detto soltanto che era bella poi s’è messa a raccontare la sua di idea ma okay (io sto facendo pubblicità occulta a Imma, non mi pensate).
Spero non diventi troppo plagio di varie opere perché io ho scarsa immaginazione e già Evangelion mi sta tentando.
Che altro dire… Ah, il capitolo è un po’ lunghetto, all’inizio mi preoccupavo di non riuscire nemmeno a fare tre pagine e oggi mentre concludevo volevo fare più in fretta possibile.
Inoltre, avete ragione questo capitolo è davvero noioso, nemmeno io l’ho sopportato durante la stesura, però fidatevi, è soltanto un capitolo di introduzione, spero diventi più interessante e movimentato. Ho avuto problemi anche con lo stile: non scrivevo da tanto e ho notato di essere diventata davvero noiosa nello scrivere, spero di cambiare nei prossimi capitoli, non mi convincevano i miei periodi corti >.<
Dovrei aggiornare la storia una volta a settimana, ma visto che sono appena i primi capitoli penso che mi prenderò qualche giorno i più… forse.
Infine, ho preso ispirazione per il personaggio del vicino da un altro protagonista delle PEACH-PIT, spero che riusciate a capire chi c:
Comunque, onde allungare troppo saluto tutti coloro che si avventureranno con Amu e con me (davvero nemmeno io so cosa succederà) in questa… specie di… avventura?
Au revoir!
 
*Circa 600 euro
   
 
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