Prologo
La luce
entra dalla finestra, tenue nel suo bagliore mattutino, ma allo stesso tempo
incredibilmente energica quando si posa sul profilo del suo corpo. Ne accentua
i contrasti tra chiaro e scuro, riempie il volto leggermente scavato intorno agli
zigomi e illumina l’espressione rilassata nel sonno, la bocca semiaperta in un
sorriso.
Inclino
la testa delicatamente a destra, ormai sveglio per la troppa luminosità
proveniente dalla finestra. Pochi minuti ad occhi aperti e sono già perso nella
precisione di quei piccoli dettagli che, messi assieme, fanno il mio migliore
amico. Sorrido e mi lascio sfuggire un sospiro, che nella sua pesantezza
esprime il dolore del silenzio e la sua incredibile rumorosità inespressa. Il
silenzio che vorrebbe sfociare in un fiume di parole in piena, fino a ricoprire
ogni centimetro di quel corpo meravigliosamente imperfetto, in cui ogni
cicatrice, mostrata con orgoglio, è un pezzo di storia passata a miglior vita.
I miei
occhi attenti, puri e azzurri come il mare al tramonto, assaporano ogni piccolezza
di quel corpo immerso nell’ennesimo sogno. Un sogno che assomiglia ad un quadro
di cui non mi resta che fare da cornice, mentre Matteo ed Elena ne sono i
protagonisti al centro, intenti in una delle loro smancerie. Il volto dapprima
disteso di Matteo si apre come le ali di un’enorme farfalla, regalando
inconsciamente un nuovo spettacolo da ammirare. Gli occhi, castani come i
capelli annodati e scomposti, mi fissano per un attimo mentre, disinvolto,
cerco di ritrarmi, spaventato da quel gioco di sguardi. Perché Matteo non deve
sapere. Non deve sapere quanto io vorrei mettere qualcosa in più tra di noi
rispetto a semplici e fugaci occhiate. Che quello che io vorrei attraversa un
limite indicibile, che sfocia nella vergogna di esporsi troppo. Un bacio, una
carezza, una frase diversa dal solito.
Un
limite che varca la linea sottile dell’amicizia e che si converte in amore.
«Da
quanto sei sveglio?» domanda Matteo, lo sguardo ancora smarrito a causa della
sbronza della sera precedente.
«Da
qualche minuto.» rispondo, omettendo quello che in pochi minuti mi ero
ritrovato a pensare. Lo stomaco si contorce al pensiero di un nuovo giorno di
bugie e omissioni. Un altro giorno da depennare.
«Ti
prego, la prossima volta che decidi di sbronzarti, evita di coinvolgere anche
me. Domani inizia anche scuola, in questo stato mi potrebbero scambiare per un
nuovo barbone!» aggiunge nel giro di qualche secondo lui, come a voler riempire
gli spazi vuoti di una conversazione che si sorregge sul nulla.
Un
funambolo, un filo su cui camminare, e nessuna rete a proteggerlo: una parola
sbagliata, una giornata storta e la corda si torce, si tende troppo, fino a far
cadere l’equilibrista nel baratro dell’imbarazzo. Ho paura, non voglio cadere
da quel filo così sottile, e so che basterebbe avvicinarmi di qualche
centimetro per ottenere, anche se in una parte infinitamente piccola, quello
che vorrei. Ma non lo farò.
«Ma
smettila, tanto con Elena non hai problemi in qualunque stato tu sia.» replico,
il tono evidentemente scocciato, la voce incrinata.
«Ancora
con questa storia? Dai, per favore.»
«Per
favore? Ma con che coraggio? Sai come la penso. È una come tante. Lei andrà via
col primo che passa e io rimarrò qui, come ogni volta.»
«Perché
finisce sempre così?»
«Così
come?»
«Basta
che venga fuori il suo nome e tu subito diventi una furia. Non ha senso. Adesso
c’è lei, e so che domani potrebbe non esserci e tu invece rimarrai. Ma non so
che dirti per convincerti e sono stanco. Io torno a dormire.»
Un muro
invisibile, suddiviso in milioni di mattoni pesanti come macigni, si erge tra
noi al termine della breve conversazione. Il peso di quel silenzio non fa che
crescere e crescere, sommergendo la mia bocca. Il respiro di Matteo, aggravato
dalla pesantezza dello scontro in corso, si fa regolare e lieve, soave come il
ronzio lontano di un’ape che sai essere innocua.
E se
stavolta ci riuscissi? No, l’ennesima idea da scacciare via controvoglia.
Un’idea pericolosa, che potrebbe spezzare l’equilibrio precario di quell’amicizia
costruita in diciotto anni di silenzi. Non posso mandare tutto alle ortiche per
un istinto. Non devo. Ma nessuno lo saprebbe. Nessuno lo vedrebbe. Rimarrebbe
un segreto incastonato tra le lenzuola leggere, tra la federa colorata del
cuscino e le labbra, morbide e carnose, di Matteo. Un segreto suggellato da
quel contatto fisico a cui aspiro da tempo immemore.
Ormai
non si torna indietro: sarebbe vigliaccheria. Sarebbe idiota lasciarsi sfuggire
l’unica cosa che è capace di rimetterti al mondo, abbastanza forte da
permetterti di rialzarti in piedi, ma sufficientemente lieve da rimanere
sospesa nell’aria respirata, nelle pulsazioni di due cuori che si trovano
vicini come mai prima sono stati. Separati da quello che nessuno si
aspetterebbe di vedere, una di quelle azioni troppo spontanee per essere
razionali.
Ora o
mai.
Impegnato
nel non fare movimenti troppo bruschi che potrebbero svegliare Matteo, mi alzo
dal letto, sentendo il peso del mio corpo completamente fuori controllo.
Niente
ripensamenti.
Le molle
del letto sembrano volermi spingere nella direzione desiderata, come se ogni
oggetto e atomo nell’aria sapesse la cosa giusta da fare.
Marionetta
nelle mani di una cosa più grande di me.
Ogni
passo è uno sbaglio da non rifare, ogni centimetro che mi lascio alle spalle è
un’imprecazione a tutto quello che non ho fatto per paura di un rifiuto che mi
avrebbe marchiato a fuoco la pelle, rendendomi visibile a chiunque fosse nei
paraggi. Adesso non siamo noi, adesso non ci sono io: ci sono due corpi qualunque,
in una stanza qualunque di una città qualunque. C’è qualcuno che dall’alto ha
scelto noi, facendo scorrere un dito sul mappamondo e poi fermandone la forza
motrice. La gente comune lo chiama destino. Io la chiamo fortuna.
Ma
basterà la fortuna a non svegliarlo, a non perdere l’occasione che ho rincorso
dal primo momento in cui ho incrociato il suo sguardo? Nessuno può saperlo
adesso. Un altro passo e quell’occasione diventerà concreta, trasformandosi in
ricordo. Uno dei ricordi ai quali finisci per affezionarti, forse condizionato
proprio dalla sua segretezza, dal fatto che solo tu ne sei a conoscenza, e che
quella impercettibile esperienza si aggiungerà all’interminabile lista di cose
da non dire.
La
vicinanza è tale che basterebbe un orecchio più attento per sentire il battito
regolare di Matteo che, come musica, dà un ritmo alla mia timidezza e a tutte le
paure che non rinunciano a frenarmi nonostante tutto. Ma adesso basta.
Di che
colore è il coraggio?
La
stanza, claustrofobica per la sua improvvisa piccolezza, riflette ogni colore
proveniente dall’esterno come uno specchio d’acqua pura in una giornata
soleggiata. Il viola che forma una sottile striscia per terra, tra la finestra
e la parete bianca. Il rosso, l’arancione e il giallo che come una freccia
indicano il percorso da seguire per raggiungere il viso disteso di Matteo, che
dorme nella sua inconsapevole bellezza.
Indeciso
sul da farsi, scelgo di chinarmi per evitare di far muovere troppo il letto,
scansando così la remota possibilità di un risveglio non previsto che
rovinerebbe un attimo sconsiderato, cercato infinite volte. Tengo gli occhi ben
aperti e catturo ogni istante come una fotografia che potrò rivedere
successivamente, quando la mia bolla di sapone sarà scoppiata in aria. Li
chiudo solo quando sento il mio naso sfiorare il suo con un brivido.
Pochi
secondi e il mondo rinasce e muore istantaneamente, il tempo necessario per la
mia mente di scattare quelle famose fotografie che, però, sapranno di un sapore
del tutto nuovo, inaspettatamente dolce e leggero, al quale per poco non
finisco per abituarmi.
Come si
spiega un bacio su cui ti sei soffermato a fantasticare così tante volte da non
riuscire più a tenere il conto? Come descrivi il rumore dei tuoi pensieri che,
come in tilt, non smettono di rimbalzare da un angolo all’altro della tua
testa, piccole molle alticce perse in un respiro lieve? Un bacio si vive, non
si racconta.
Le
labbra di Matteo, seppur addormentate e socchiuse in un piccolo cerchio
perfetto, sembrano ricambiare l’errore che non sa fermarsi, un errore di cui
potrò darmi la colpa e il merito finché la memoria me lo consentirà. Il fuoco
che stava per spegnersi sembra bruciarci fino alla morte, quando il mio corpo
si appoggia con leggerezza al suo, in un accostamento che va oltre al dormire
col proprio amico, che assomiglia più a quello che, di solito, Matteo fa con
Elena. Le mie labbra, avide di un piacere succoso, divorano con dolcezza la
stanchezza alcolica di Matteo, la sua calma che non riesce a placare la mia
insistenza. Il suo sonno che arriva solo a risvegliarmi.
Il
nostro, il mio bacio dolce sancisce una promessa fatta a me stesso, una
promessa che non sono mai stato capace di mantenere: niente più dolore.
Ma l’amore
è soffrire. L’amore è aspettare momenti come questo, che ti ripagano di tutte
le volte in cui avresti voluto prendere a sberle quel poco che la vita ti
offriva. L’amore è a senso unico. L’amore è quel bacio che solo tu ricorderai.
Quando
decido di staccarmi, la realtà mi si appiccica addosso come una pellicola
trasparente, mi incatena al suolo e non mi lascia muovere, il peso delle
emozioni che non mi fa stare in piedi ma al tempo stesso mi permette di non
cadere nell’immediato. È una forza invisibile che parte dalla bocca e arriva
dritta al cuore, senza seguire un percorso preciso. Zigzaga un po’ ovunque
senza un criterio, colpendo muscoli e ossa e lasciando cicatrici come quelle di
cui Matteo va tanto fiero. Ma queste cicatrici non si mostrano come un trofeo
di guerra, non sono il risultato di una caduta dal motorino, di un taglio con
la carta, di un gioco con la sorella che finisce male. Queste sono le mie
ferite. Le ferite di un guerriero che combatte contro un nemico silenzioso,
identificando quest’ultimo con il silenzio stesso.
Il
sangue che sento scorrere nelle vene, fino a evidenziarne il colore bluastro
che risalta sulla mia carnagione bianchiccia, corre fregandosene delle
pulsazioni, di quello che il resto del corpo decide di fare. E la stanza inizia
a girare vorticosamente, in un moto oscillatorio e instabile che mi fa
apprezzare l’abituale stabilità che, nella mia vita, regna sovrana. Mi permetto
di guardare ancora una volta la persona che riesce a far tremare il pavimento
sotto ai miei piedi, e mi sorprendo del suo aspetto: può qualcuno cambiare da
un momento all’altro solo grazie ad un bacio?
Gli
zigomi, che fino a qualche minuto fa vedevo come una parte insignificante e
nemmeno troppo bella del viso di Matteo, adesso sono il punto del suo volto in
cui il mio respiro si è posato per la prima e ultima volta.
Gli
occhi, che sono in procinto di aprirsi, diventano le finestre sbarrate che non
ho avuto il coraggio di spalancare.
La bocca
piena diventa il luogo in cui vorrei rifugiarmi nei momenti più neri.
Le
braccia, muscolose ma non troppo, in pochi minuti mutano il loro scopo: quelle
due braccia, che prima potevano essere utili a sollevare qualche peso in
palestra, o magari a cingere la vita stretta di Elena, adesso sono custodi di
un segreto indicibile, di quel gesto sconsiderato che farebbe spalancare la
bocca ai più bigotti.
Il petto
si alza e si abbassa a ritmo lento, quasi ipnotizzandomi in una cantilena senza
alcun rumore reale, un movimento continuo che sembra evidenziare la maglietta stropicciata,
sulla quale ho da poco poggiato le mani. Tutto cambia, tutto cambia e tu non
puoi far nulla per fermare il corso delle cose che, a velocità limite, ti
sbattono da una parte all’altra della tua realtà. Quel mondo che hai
l’impressione giri solo attorno a te solo per un attimo. Non c’è nessun altro:
non sei la spalla di nessuno, non sei lì da una parte a guardare la vita degli
altri come le persone comuni guardano un bel film. No, stavolta tocca a te,
anche se il tuo momento di gloria è durato un solo istante. In quel minuto, in
quei sessanta secondi o più, la tua vita, i tuoi problemi, e quella maledetta
sensazione permanente di non saper mai fare la cosa giusta al momento giusto
spariscono, per lasciar spazio alla parte più audace di te.
Ma basta
un minuto ancora, e quelle impronte lasciate diventano invisibili, il sapore
del tuo respiro diventa tutt’uno con l’ossigeno, i due battiti cardiaci che
sembrano essersi fusi in un cuore solo perdono la loro sincronia. Un minuto
soltanto.
Lo
stesso lasso di tempo che serve alla causa di tanto trambusto per svegliarsi
appena, voltandosi su un fianco in posizione fetale, l’innocenza di un bambino
a contrasto con l’alito che manda un forte olezzo alcolico.
«Edo?»
«Che
c’è?»
Gli
occhi di Matteo stentano nel rimanere aperti, prossimi ad un cedimento che,
senza ombra di dubbio, durerà più di qualche minuto.
«Sei il
mio migliore amico, vero?»
Eccolo. Il
momento in cui potrei rispondere negativamente. Ma anche stavolta mi gioca un
brutto tiro, facendo riemergere quella parte di me che alla luce preferisce il
buio. Che alla verità preferisce una bugia dolceamara, un segreto sporco.
«Certo,
che domande fai?» rispondo, mentre sento un groviglio pesante crescere nella
gola, spezzandomi il fiato, troncando seconde opportunità.
Al
sentire l’ovvietà di quella risposta, Matteo chiude nuovamente gli occhi e, con
un sorriso etereo stampato sul viso, affonda la testa nel cuscino e crolla
addormentato.
Senza
pensare troppo, esco dalla mia camera sbattendo la porta. Mi trovo faccia a
faccia con mia madre che, sbigottita, è accovacciata all’altezza della
serratura della mia porta. L’aria colpevole accentua incredibilmente le rughe
d’espressione che le incorniciano il viso senza appesantirla troppo, diventando
poi più profonde in prossimità degli angoli degl’occhi. Quegli stessi occhi che
non è riuscita a tramandarmi, di quel verde chiaro che nelle fredde giornate
d’inverno sembrano piccoli cerchietti d’oro puro, adesso schizzano in ogni
direzione con frenesia. Come a voler trovare una buona scusa, un nascondiglio,
in poco tempo. Ma perché?
«Tutto
bene, mamma?»
«Sì,
certo. Mi era caduta una molletta e mi sono chinata a raccoglierla. Tutto
bene?»
Noto
subito che in mano non ha assolutamente niente. Distolgo lo sguardo.
«Sì,
Matteo sta dormendo. Ieri ha bevuto
troppo. Devo uscire, ci vediamo dopo.»
E per
tranquillizzarla, consapevole di ciò che ha appena visto accadere tra me e
Matteo, sfodero il più falso dei sorrisi, uno di quelli talmente forzati da
risultare credibili a chiunque.