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Autore: clifforvds    22/07/2014    4 recensioni
Alessandra stava cantando e stava fingendo di suonare una chitarra, smise di cantare per urlarmi di andare da lei, ma io avevo paura, sono sempre stata una fifona in situazioni come quella, lei scivolava tranquillamente sul lago ghiacciato e stava ancora cantando quella canzone dei the script che tanto adorava, decisi di raggiungerla e in quel istante diventó tutto più confuso, sentii quel sonoro CRAC, Alessandra che urlava il mio nome, Evelyn, e poi il nulla.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Un po' tutti
Note: Cross-over, Lime, OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Quel suono non la smetteva di rimbombare nella mia testa, ogni notte prima di andare a dormire, quando ero sotto la doccia, quando lavavo i piatti, quando provavo a studiare, cercavo di non pensarci, di concentrarmi su altro, ma non ci riuscivo, la mia mente non ci riusciva. 
Un grande e forte CRAC un urlo e poi il silenzio.
Aprii gli occhi, anche questa volta non era la sveglia ad interrompere il mio sonno, ma gli incubi che tormentavano la mia mente da circa due settimane. Quando tutto era accaduto, quando la mia vita non era semplicemente cambiata, ma è stata fatta a pezzi, distrutta. Dalla luce che filtrava dalle fessure delle serrande riuscivo a capire che mancavano pochi minuti all'arrivo di mia madre con la colazione; dal giorno dell'incidente mia madre mi trattava in modo diverso, prima litigavamo tutti i giorni, non mi lasciava uscire dopo le nove di sera, non potevo mettere piede fuori casa senza aver prima studiato e fatto tutti i compiti, prima mi guardava come si guardava una semplice ragazza di diciassette anni che come unico problema ha cosa mettersi il venerdì sera per uscire, è inutile dire che tutto questo oramai è solo un ricordo, ora mi porta addirittura la colazione a letto, in camera, dove prima non potevo nemmeno bere la Coca Cola perché aveva paura che sporcassi tutto, so che se ora volessi uscire il mercoledì sera alle due di notte per andare a ballare lei non farebbe problemi, ora mi guarda come si guarda un cucciolo di cane che hai appena trovato in autostrada e che tieni solo perché ti fa troppa pena.
Non riuscivo a non pensare a quello che era successo, nella mia mente era tutto così confuso, ma comunque quelle immagini rimbombavano nella mia mente; Alessandra stava cantando e stava fingendo di suonare una chitarra, smise di cantare per urlarmi di andare da lei, ma io avevo paura, sono sempre stata una fifona in situazioni come quella, lei scivolava tranquillamente sul lago ghiacciato e stava ancora cantando quella canzone dei the script che tanto adorava, così decisi di raggiungerla e in quel istante diventó tutto più confuso, sentii quel sonoro CRAC, Alessandra che urlava il mio nome, Evelyn, e poi il nulla. Ricordo di essermi svegliata all'ospedale, dove dopo che mi fui leggermente ripresa mi dissero che Alessandra, la mia migliore amica, la ragazza più bella, gentile a questo mondo, l'unica persona che riusciva a farmi stare bene era morta annegata.
Sentii mamma bussare alla porta, mi asciugai gli occhi sulla federa del cuscino e le dissi di entrare, sapeva benissimo che ero sveglia nonostante fosse molto presto, mi diede il buongiorno e io le sorrisi,  mise la colazione nel comodino di fianco al letto, mi guardó per qualche secondo, ancora quello sguardo carico di pena, e poi uscì dalla mia stanza.
 Non riuscì a mangiare, al solo pensiero di Alessandra mi si chiuse lo stomaco, così mi alzai per andare in bagno.
Fissai il mio riflesso nello specchio, avevo l'aspetto di una ragazza che non dormiva da giorni, e gli occhi marroni gonfi di chi ha passato la notte a piangere, i capelli, neri come la pece, lisci come spaghetti mi cadevano dolcemente sul viso stanco, le labbra finissime che avevo sempre odiato tanto, era tutto così imperfetto e triste.
Mi lavai il viso e i denti, misi un filo di mascara e della matita nera nella lima interna dell'occhio, mi legai i lunghi capelli e tornai in camera per togliere il pigiama.
Aprii le ante dell'armadio e presi le prime cose che mi capitarono davanti, un paio di pantaloni neri, aderenti e una t'shirt bianca, indossai le vans blu scuro, mi misi lo zaino in spalla e andai verso la cucina.
Trovai solo mio fratello al piano di inferiore, si stava preparando un caffè, mi fece un cenno con la testa e io ricambiai allo stesso modo; io e lui abbiamo un carattere molto simile per questo non andavamo per niente d'accordo, preferivamo non parlarci,  ma negli ultimi tempi aveva lo stesso sguardo di mia madre, e cercava di essere gentile.
Esteticamente non ci assomigliamo tanto, lui ha gli occhi leggermente a mandorla come quelli di nostro padre, mentre io gli ho presi da mia madre, lui ha i capelli ricci ma tenendoli corti riesce facilmente a controllarli, è molto più alto di me nonostante abbiamo solo due anni di differenza, secondo le ragazze della nostra scuola è 'affascinante'.
"oggi vengo in macchina con te per andare a scuola, mamma è già andata e papà è ancora a New York" dissi mentre mi appoggiai al 
bancone della cucina, lui si giró e sospirando rispose "se proprio devo" mi fece il sorriso finto peggiore della storia, lasció la tazza vuota sul tavolo della cucina, prese lo zaino e uscimmo  dalla porta principale. 
Le prime due ore di matematica del lunedì erano sempre state noiose e ovviamente non capivo nulla, ma non era un problema, la scuola era l'ultimo dei miei problemi.
Mentre il professore spiegava qualcosa che c'entrava con i sistemi delle equazione di secondo grado, pensavo a come solo due settimane prima Alessandra mi sorrideva dal banco davanti al mio, ci facevamo forza a vicenda, con lo sguardo, a noi bastava uno sguardo e tutto andava bene, i miei pensieri vennero disturbati quando un ragazzo poco dopo l'inizio della seconda ora di matematica si sedette al posto di Alessandra, dove nessuno aveva ancora osato sedersi, per rispetto, pensavo io, così sussurrai "cosa stai facendo?" lui sembró non avermi sentito così ripetei a voce leggermente più alta, lui si giró, mi fisso per qualche secondo e poi rispose sussurrando "mi sono seduto, non vedi?" Poi si giró verso il professore.
Ero rimasta sconvolta da quella risposta, nessuno da settimane mi rispondeva normalmente, senza trattarmi con i guanti, non mi ero mai accorta quanto mi mancasse essere trattata così, non smettevo di pensare agli occhi di quel ragazzo, marroni chiari, profondi, tendente al verde, mi avevano rapita non riuscivo più a pensare ad altro. Finita anche la seconda ora di matematica uscii dall'aula di matematica pronta a scoprire chi fosse quel ragazzo, così lo seguii.
   
 
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