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Autore: missmpje_91    22/07/2014    1 recensioni
SPOILER CoHF
 
La one shot racconta di Simon subito dopo il suo ritorno da Edom.
 
"Eppure c'era qualcosa che non andava in quei ricordi, sembravano quasi sbagliati.
E poi perché si era svegliato così sconvolto?
Nemmeno si ricordava cosa aveva sognato, anche concentrandosi con tutte le sue forze, tutto quello che riusciva a ricordare era un muro di nebbia nera. Il nulla."
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Simon Lewis
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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MEMORIES – CITY OF HEAVENLY FIRE


Simon si svegliò di soprassalto, in un bagno di sudore.
Si guardò intorno.
Poteva scorgere delle sagome indistinte nel buio della sua camera da letto: la scrivania appoggiata ad un lato del muro e lo schermo del computer rivolto verso il suo letto, la sedia spostata, con accatastati sopra un mucchio di stracci, i suoi vestiti.
Allungò la mano verso il comodino e prese gli occhiali.
Le sue mani erano scosse da leggeri tremiti e il cuore gli batteva forte nel petto.
Si mise gli occhiali e guardò l'ora: le due e mezza di notte.
Non ricordava nemmeno come ci era finito a letto, dovette fare un enorme sforzo per potersi ricordare la sera precedente.
Ricordava.
Era stato a suonare in un locale con Eric, Kirk e Matt. Poi era tornato a casa esausto ed era crollato nel letto.
Eppure c'era qualcosa che non andava in quei ricordi, sembravano quasi sbagliati.
E poi perché si era svegliato così sconvolto?
Nemmeno si ricordava cosa aveva sognato, anche concentrandosi con tutte le sue forze, tutto quello che riusciva a ricordare era un muro di nebbia nera. Il nulla.
Si lasciò ricadere all'indietro sul cuscino e rimase fermo a fissare il soffitto.
Pensò al giorno prima, alle risate con i suoi amici ed a quanto si sentisse bene in loro compagnia e quanto amasse suonare. Aveva una vita felice e serena, il suo gruppo e una famiglia che lo amava.
Allora perché in quel momento si sentiva così triste?
No, triste non era la parola esatta.
Si sentiva vuoto, come se gli mancasse qualcosa, ma non sapesse cosa. Eppure lo sentiva, forte in fondo al suo cuore, quel vuoto. Si sentiva come se gli fosse stato strappato qualcosa di dosso in modo violento e lui lo rivolesse indietro.
Stava perdendo la testa, ne era certo. Solo i matti facevano quei pensieri così strani.
Datti una calmata Simon, si disse cercando di ritrovare un po' della sua sicurezza.
Era tutta colpa del sogno che aveva fatto, ne era certo. Avrebbe voluto ricordarselo, per poterne avere la certezza, per dire: visto? Non c'è niente di cui io debba preoccuparmi, la mia sanità mentale è al sicuro, è stato solo uno stupido sogno.
Invece non lo ricordava e l'unica cosa, che riusciva a sentire era quell'inspiegabile vuoto.
Decise di darci un taglio con le paranoie. Si tolse velocemente gli occhiali e li appoggiò affianco a lui e chiuse gli occhi cercando di dormire.
Quella notte la passò quasi insonne. Continuava a girarsi e rigirarsi nel letto, con la testa piena di dubbi su cose inesistenti, cercando risposte, che probabilmente non avrebbe mai trovato.

 
***


Simon vedeva terre desolate e distruzione intorno a sé.
I suoi muscoli erano leggermente intorpiditi, ma non gli davano fastidio o almeno non era fastidioso come il raspare della sua lingua contro il palato.
Aveva la gola secca ed aveva sete, molta sete.
Una ragazza, dai capelli corvini, accanto a lui gli porse una bottiglietta di acqua, ma lui scosse la testa. Non aveva bisogno di acqua, aveva bisogno di altro.
Percorse la ragazza con lo sguardo, ma non riusciva a vederla bene, era sfuocata.
Istintivamente si portò la mano agli occhi.
Dov'erano i suoi occhiali?
E poi com'era possibile, che vedesse così nitidamente l'orizzonte e così male la persona ad un passo da lui?
Simon — disse lei con voce dolce.
Lui però non rispose. Sentiva la voce di lei ovattata, come se fosse racchiusa in una bolla d'acqua.
Si mise le mani tra i capelli e si chinò verso la terra, che ora vorticava sotto i suoi piedi, mentre la sete cresceva sempre di più.
Sete di sangue.

 
***


Simon era fermo di fronte al garage nel quale faceva le prove con la band. In quei giorni non si sentiva totalmente in sé, per via di alcuni sogni che stava facendo, ma aveva deciso di passarci sopra e di andare avanti con la sua vita.
Aveva smesso di farsi domande su quei sogni inspiegabili.
Probabilmente stava giocando troppo a Dungeons & Dragons.
Tutto quel sognare però gli aveva dato un'idea per il nome del gruppo. Non ne trovavano mai uno azzeccato ed ogni volta lo cambiavano. Era impossibile per i loro fan – se ne avevano – riuscire a seguirli.
Spalancò la porta del garage e vi entrò, guardando gli altri ragazzi, che erano già là ad aspettarlo.
— Hai fatto un pisolino Simon? — chiese Eric ridacchiando.
— Niente del genere — rispose lui di rimando.
I pisolini erano l'ultimo dei suoi pensieri in quei giorni. Dormire non era il suo passatempo preferito, soprattutto a causa di quei sogni strani, che infestavano la sua mente. Alcuni sogni erano anche piacevoli, ma immensamente confusi e più erano confusi, più lui impazziva per cercarvi un senso.
— Ho pensato ad un nome per il gruppo — annunciò con un lieve sorriso sulle labbra.
— Anche io ne ho pensato uno — esordì Eric con un ghigno — cosa ne dite di Ninja Fruit? —
— Come il gioco per Android? — chiese Kirk ridendo.
— Certo che no, quello è Fruit Ninja — Eric sembrò quasi offeso per il paragone con il gioco.
— Fa lo stesso — replicò l'altro, passandosi una mano sotto un occhio, come per asciugarsi una lacrima — sembreremmo un branco di sfigati nerd. —
— Noi siamo un branco di sfigati nerd — puntualizzò Simon con un ghigno sul volto — comunque sono d'accordo con Kirk, il nome fa schifo. Cosa ne dite invece di The Mortal Instruments*? — si morde l'interno della guancia, rivolgendo loro un sorriso. — So che è un po' stravagante, ma sono giorni che ci penso e mi sembra un ottimo nome. Magari potremo tenerlo come definitivo. —
Si strinse nelle spalle e scrutò gli altri, da dietro le lenti dei suoi occhiali. Per qualche motivo quello gli sembrava il nome più azzeccato e se conosceva un minimo i suoi amici come credeva, l'idea li avrebbe stuzzicati e forse avrebbe potuto convincerli a mantenere quel nome per sempre o almeno per un po'. Era stufo di cambiare in continuazione nome e dover sforzare la sua fantasia per trovarne di nuovi, perché gli altri non andavano bene.
Guardando i suoi compagni corrugò leggermente la fronte. C'era qualcosa che non andava in quella formazione, ma non sapeva cosa. Mancava qualcuno là dentro, qualcuno di importante, ma non capiva chi. Scosse la testa, per scacciare quel pensiero e tornò a focalizzarsi sui suoi amici e sulla risposta che avrebbero dato, sperando che fosse positiva.
— Cavolo amico, questo nome spacca — disse Eric quasi esaltato — sicuramente è meglio del mio, mi dispiace solo di non averci pensato io. —
Un coro di assensi provenne dagli altri due e Simon fu invaso da un senso di sollievo, come se si fosse tolto un peso dalle spalle, come se quel vuoto, che sentiva dentro per un istante si fosse colmato.

 
***


Era in un luogo, che non riconosceva, sembrava una caverna. Sulle pareti erano disegnati alcuni simboli che non aveva mai visto, o forse si, non ricordava.
Sentiva del calore umano accanto a lui, così si volse a guardare la sagoma di una ragazza dai capelli corvini.
Quando lei aprì gli occhi, lui li vide. Erano neri e lo fissavano in un modo strano, nessuno l'aveva mai guardato a quel modo.
Si immaginò mentre si chinava su di lei e la baciava, la teneva stretta e le sussurrava parole dolci.
Voleva tenerla tra le braccia e cullarla finché il sole non fosse sparito dietro la linea dell'orizzonte e poi coricarsi affianco a lei e dormire, col respiro di lei sulla pelle.
Sentì delle parole nascere nella sua mente.
Ti amo

 
***


Quella sì che era una giornata strana. Prima aveva ricevuto una telefonata da una sconosciuta, Clary, così aveva detto di chiamarsi ed ora Simon aveva deciso di mettere un po' d'ordine nella sua stanza. Quasi non riusciva a camminare senza inciampare, tanto era il disordine regnava in quel posto.
Aveva cominciato raccogliendo i vestiti sporchi e li aveva buttati tutti in un cestone nel bagno. Quelli puliti erano stati ripiegati con cura ed infilati ordinatamente nei cassetti.
Aveva raccolto tutte le cartacce degli snack, che aveva buttato per terra e le aveva infilate in un sacco nero, insieme a delle vecchie scatole vuote ed impolverate.
Quando ebbe finito anche con quelle cose si guardò intorno, piacevolmente sorpreso di quanto la stanza fosse già migliore in quel modo.
Si spostò verso la scrivania e prese tra le mani un pacco di fogli stropicciati e lasciati lì, senza nessuno scopo.
Cominciò a farli scorrere tra le sue lunghe dita, decidendo cosa valeva la pensa di essere tenuto e cosa invece non serviva più a niente.
La maggior parte erano volantini della band, con scritti sopra i nomi dei componenti, quello della band e luogo e orario dell'esibizione. Non si stupì nel vedere, che su ogni volantino il nome del gruppo cambiava.
Siamo proprio strani, pensò, mentre osservava un volantino, su quello si chiamavano Sexist Pigs, rabbrividì all'idea, che avessero potuto avere un nome tanto ridicolo. Si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito, ripensando a tutti i nomi strambi, che avevano avuto. Strani come lo erano loro.
Torno a sfogliare quei foglio, finché uno in particolare attirò la sua attenzione.
Non ricordava di averlo mai visto prima.
Era un disegno fatto a carboncino.
Il soggetto del disegno era indubbiamente lui.
Riusciva a riconoscere i suoi tratti spigolosi e gli zigomi sporgenti del viso. Aveva i capelli arruffati e gli occhiali dalla montatura nera e spessa, che ricadevano sul naso. Era seduto in maniera scomposta ed in mano aveva un joystick. Solo lui poteva tenerlo in quel modo.
Era strano, non ricordava quel disegno, eppure sentiva come vi fosse sempre stato affezionato, anche se non sapeva perché.
Ed eccolo ancora. Quel vuoto incolmabile.
Si sedette, tenendo ancora il disegno tra le mani. Era confuso.
Probabilmente qualcuno lo aveva infilato nel suo zaino a scuola e lui non si era mai accorto della sua presenza. Forse una ragazza. Forse qualcuna aveva una cotta per lui. Quell'idea lo fece arrossire fino alla punta delle orecchie, anche se una vocina dentro di lui gli diceva, che era sbagliato sentirsi in quel modo per una ragazza.
Pensò di buttarlo.
Stava per stracciarlo, ma poi ci ripensò.
Lo appiattì con le mani e lo mise in cima alla pila dei fogli da tenere.

 
***


Simon si trovava a scuola. Era l'ora di inglese del professor Price e si stava annoiando a morte.
Si mise a scarabocchiare cose senza senso sul banco. Erano strani simboli stilizzati, che non aveva mai visto, eppure nella sua mente avevano qualche significato, che però non riusciva a ricordare.
La ragazza di fronte a lui si girò per guardarlo e fece una faccia annoiata, per poi tornare a voltarsi e dargli le spalle.
Aveva i capelli rossi come il fuoco e gli occhi verdi, ma oltre a quei particolari non riusciva a scorgerne i lineamenti, eppure aveva indosso i suoi occhiali.
Si sporse in avanti, per poterci vedere meglio, ma lei si girò di colpo e gli sorrise, mentre gli porgeva qualcosa.
Un disegno.
Era un disegno di lui, seduto, con un joystick in mano.

 
***


Simon aprì la porta del Java Jones e si accostò al bancone del bar.
Era stanco, quella notte aveva dormito poco, come tutte le notti. Sognava, si svegliava e i suoi sogni lo tormentavano anche da sveglio.
Alcuni sogni erano piacevoli. Sognava di baciare una ragazza dai capelli neri e gli occhi dello stesso nero intenso. Alle volte invece c'era una ragazza dai capelli rossi, che in qualche modo gli ricordava casa sua. Sognava amici immaginari ed avventure impossibili.
Altre volte i sogni lo angosciavano. C'erano terre desertiche e odore di sangue. Alcune voci lo minacciavano. Il marchio di Caino. Diurno. Morte.
Rabbrividì ripensando a quelle voci striscianti.
La barista si avvicinò e gli rivolse un sorriso.
— Un caffè macchiato e un caffè d'orzo grande da portare via. — disse con la voce ancora assonnata.
— Dormito po? — chiese la tizia con un sorriso — Arrivano subito —
Simon si appoggiò stancamente al bancone, guardandosi intorno, per poi spostare nuovamente l'attenzione alla barista dietro il bancone.
Dopo qualche istante lei si avvicinò nuovamente, con le ordinazioni in mano. Lui allungò i soldi sul bancone e lei li mise nella cassa.
Mentre sorseggiava il caffè macchiato si accorse, che lei lo stava ancora guardando.
— Dov'è finita la tua amica carina? — chiese lei sempre con un sorriso.
— Amica carina? — ribatté lui confuso.
— Certo, quella che viene sempre con te. — rispose lei, come se fosse ovvio.
— Non credo di avere nessuna amica carina — affermò lui ripensando alle sue amiche. Lui non aveva amiche e sicuramente nessuna amica carina.
— Come no? — lei fece una faccia sconcertata e poi aggiunse — Quella che beve sempre caffè nero. —
Simon ne aveva abbastanza di tutte quelle stramberie.
Lui non aveva nessuna amica carina.
Finì di bere il caffè macchiato ed appoggiò delicatamente la tazzina sul piattino abbinato. Si alzò dallo sgabello su quale si era seduto poco prima e rivolse un'ultima occhiata alla barista.
— Mi dispiace, deve avermi scambiato per un altro — concluse lui.
Detto questo girò sui tacchi ed uscì dal locale.
Era tutto così strano da farlo quasi impazzire.
Stava succedendo qualcosa nella sua vita, qualcosa di assolutamente inusuale, che confondeva le sue idee, ma soprattutto lo spaventava l'idea di essere sul punto di perdere la testa.
Era certo che le sorprese non sarebbero finite lì ed aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Aveva la sensazione che stesse per succedere qualcosa, qualcosa che avrebbe stravolto la sua vita.

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Note dell'autrice: Ho finito ieri sera Shadowhunters – City of Heavenly Fire e questa mattina mi è venuta la tremenda voglia di scrivere questa one shot su Simon. Amo il suo personaggio ed ho veramente detestato il fatto, che tra tutti proprio lui dovesse sacrificarsi, ancora una volta aggiungerei. Tra tutti Simon è il personaggio che ho odiato ed amato di più. Inizialmente non potevo sopportarlo, ma poi pian piano ho cambiato idea, fino ad innamorarmene perdutamente. È diventato il mio personaggio preferito ed ho sperato fino alla fine che non morisse. Non è morto, fortunatamente, ma quello che gli è capitato mi ha davvero sconvolta e spezzata in due. Ho pianto da quando gli è stata tolta la memoria, fino a quando Isabelle e Magnus non mi hanno dato la speranza.
Comunque bando alle ciance. Come avrete capito questa one shot riguarda il periodo in cui Simon è stato lasciato solo nel mondo umano a vivere la sua vita fasulla.
Note extra:
*"The Mortal Instruments": So che molti hanno letto il libro in italiano, quindi penseranno che ho sbagliato il nome della band, ma questo è il vero nome, quello, che la Clare ha dato al gruppo di Simon e mi sembrava molto più di impatto, che nemmeno “I cacciatori di ombre”. Sicuramente anche quello era moto carino, ma la traduzione non rendeva nessuna giustizia al nome originale.


Spero vi sia piaciuto questo capitolo sulla vita di Simon, ditemi cosa ne pensate.
Un bacio,
Je
   
 
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