Chapter 2
“Allora, come sono andate le tue prime
lezioni da liceale?”
Sussultai,
voltandomi immediatamente verso quella voce spuntata all’improvviso alle mie
spalle, sorridendo in modo quasi stupido nel rivedere il ragazzo di questa
mattina.
Come
d’istinto portai una mano a sistemarmi il ciuffo di capelli davanti al volto,
rispondendogli frettolosamente e nel modo più impacciato possibile: “Ehm, bene credo!”
Vic
sorrise, esaminando il mio volto per diversi secondi con aria curiosa,
riprendendo successivamente a parlare: “Toglimi
una curiosità… Come mai sei così nervosa quando ti rivolgo parola?” mi
chiese tutto d’un tratto, cominciando a camminarmi affianco in quei lunghi
corridoi.
Immediatamente
scossi il capo e, arrossendo sulle guance dopo essermi accorta del suo sguardo
indagatore, cominciai a balbettare: “Io..
Io non sono nervosa, davvero.”
Il
ragazzo si bloccò improvvisamente, sgranando proprio come la prima volta che lo
vidi i suoi grandi occhi scuri. “Non devi
essere così timida con me, non voglio farti nulla di male!” disse,
rivolgendomi poi un dolce occhiolino. Aveva uno sguardo così sincero che faceva
quasi male.
Mi
irrigidii leggermente alle sue parole, voltandomi verso di lui con aria quasi
persa.
“Non ho mai pensato tu volessi farmene, non
ci conosciamo.” asserii con un tono di voce piuttosto confuso.
Lui
mi rivolse un enorme sorriso e continuò a guardarmi con quei suoi grandi occhi
da cerbiatto per una manciata di secondi, prima di rispondermi: “Allora dato che non ci conosciamo, ti
aspetto domani dopo la scuola. Non mancare, ti prego.”
Non
feci in tempo a rispondergli che sparì verso l’uscita di quell’immenso edificio
ed io, ancora più confusa dal suo comportamento, presi a camminare a passi
incerti verso la sala professori, per ritrovare mio padre e poter andare
finalmente a casa.
Il
tragitto scuola-casa col mio vecchio ovviamente non mancò di domande e, una
volta arrivata a casa la situazione non migliorò. All’interrogatorio prese
parte persino Matisse, il mio enorme gatto grigio scuro, che ad ogni domanda
posta da mia madre, miagolava con insistenza.
“Allora tesoro, come ti sembra la scuola?
Hai fatto qualche nuova conoscenza? Come sono i tuoi compagni di classe? Alla mensa
mangi bene? Lo sai che se preferisci preparo qualcosa per te ogni mattina!”
domandò a raffica mia madre tutta indaffarata nel preparare la cena.
Mi
limitai a fare spallucce, rispondendo con sufficienza ad ogni domanda nonostante
lo sguardo truce di Matisse che, appollaiato accanto a mia madre, attendeva
impaziente risposte più articolate.
“L’ho vista più volte parlare con un ragazzo
dell’ultimo anno.” esordì dal nulla mio padre, mentre con grandissima
nonchalance guardava la posta ricevuta, dopo aver scagliato la bomba con mia
madre.
Lo
fulminai con lo sguardo, alzando successivamente quest’ultimo al soffitto,
preparandomi per le mille domande di mia madre.
“Ah… E come si chiama il ragazzo?”
chiese in modo quasi pacato mia madre.
“Non ne ho la minima idea…” affermai con
insolita sicurezza data la mia poca teatralità, facendo spallucce.
“Victor Vincent Fuentes, classe 1983.”
disse papà, quasi interrompendomi. “E’ un
mio allievo, gran chitarrista ed ottima voce, peccato che non sfrutti appieno
il suo talento.” terminò, sparendo in camera sua, sghignazzando come un
bambino.
Come
da programma, mia madre cominciò a riempirmi di domande su questo Vic, con cui
avevo appena scambiato qualche parola. Ad ogni sua domanda mi limitavo a
rispondere con dei “non lo so” di
circostanza, cercando di fare la vaga il più possibile.
Dopo
tutto non era successo nulla, no?
Improvvisamente,
immersa in quel mare di domande, sentii vibrare il mio telefono nella tasca dei
jeans.
In
quei pochi secondi che impiegai nell’estrarlo e guardare il messaggio pregai
più e più volte che fosse qualcuno pronto a salvarmi da quella sottospecie di
inferno.
Jaime
– “Sei tornata da scuola vero? Sappi che è una domanda retorica perché ti ho
vista entrare in casa!”
Avrei voluto mettermi
a piangere dalla gioia alla vista di quel messaggio. Frettolosamente gli
risposi, continuando a fare brevi cenni col capo in direzione di mia madre ad
ogni sua domanda, per farla contenta.
Mia – “Interrogatorio in corso, ti
prego salvami.”
Presi un lieve
sospiro appena inviato il messaggio, sentendo improvvisamente suonare il
campanello di casa. Mia madre si zittii velocemente, guardando subito fuori dalla
finestra.
Successivamente la
sentii sospirare per poi schiarirsi la voce: “Dai… Esci a giocare tesoro.” asserì con tono quasi rassegnato dopo
aver visto Jaime tutto sorridente salutarla con la sua finta aria innocente
dalla finestra.
“Grazie mamma, sei la migliore!” dissi con tutta la felicità che
avevo in corpo, avvicinandomi a lei per schioccarle un enorme bacio sulla
guancia prima di sparire dal mio migliore amico.
Corsa fuori di casa,
non diedi il tempo materiale a Jaime di accorgersi della mia presenza che mi
buttai letteralmente tra le sue braccia, stringendolo più forte che mai.
“Ehi, così mi soffochi!” disse lui, abbracciandomi al meglio che
poteva dato il poco fiato.
Immediatamente
allentai la presa, continuando però a trovare rifugio tra le sue braccia.
“Non volevo!” sussurrai, ridacchiando come una bambina per poi
prenderlo per un braccio.
“Andiamo al parco come quando eravamo piccoli? Devi raccontarmi tutto!”
ripresi io, sorridendogli.
Scosse la testa, come
fanno i genitori senza speranza coi figli, per poi seguirmi, sorridendomi a sua
volta.
“La scuola è bella, sai? Ho conosciuto un sacco di belle ragazze grazie
al mio nuovo amico Tony! Tu invece, come ti trovi? Era così tragica come
pensavi?” disse, cominciando a incamminarsi accanto a me verso il nostro parchetto
infondo alla strada.
Risi del suo enorme entusiasmo, stringendomi nelle spalle: “La scuola è
molto bella, ci sono un sacco di corsi interessanti, ma contrariamente a quanto
ho detto a mamma, non ho parlato praticamente con nessuno.” asserii, assumendo
un’espressione impacciata.
Jaime sospirò alle
mie parole. Mi conosceva fin troppo bene e sapeva quanto fosse difficile per me
rapportarmi con nuove persone.
“Mia, Mia, Mia… Vuoi dirmi che in un intera giornata nessuno si è
innamorato del tuo bel visino?” disse col suo classico tono da genitore
amorevole, cingendomi le spalle con un braccio per poi scoppiare in una tenera
risata. “Devi scioglierti tesoro,
davvero! Pensa di avere me accanto, ad ogni ora del giorno come abbiamo sempre
fatto, ti verrà più facile.”
A quelle parole
sentii un leggero tuffo al cuore. “Jaime…”
sospirai, abbassando lentamente lo sguardo. “Per
me non è facile… Poi tu non ci sei e anche se ci fossi io non cambierei, perché
starei solo con te oppure aspetterei una giornata intera, come oggi, per
vederti. Sei l’unica persona di cui mi voglio fidare, sembra stupido ma ho
paura che qualche estraneo possa ferirmi e nel frattempo allontanarci…”
Immediatamente mi
mostrò un enorme sorriso, quasi commosso. “E’
per questo che sei la mia migliore amica.” sussurrò, stringendo il braccio
attorno alle mie spalle. E lui era indubbiamente il migliore degli amici che
potesse mai capitarmi.
Fatti gli ultimi
pochi passi, finalmente arrivammo al parchetto e, velocemente, prendemmo
posizione sulle due altalene libere, lui rimase fermo mentre io cominciai a
dondolarmi.
“Ma l’esibizione com’è andata? Ricevuto complimenti?” mi chiese
improvvisamente, sgranando i suoi dolci occhi furbetti.
Annuii brevemente,
tentando di nascondere il lieve rossore sulle guance. “Uno dell’ultimo anno.”
Lui subito scattò in
piedi, guardandomi con stupore: “Ma cosa
stavi aspettando a dirmelo? Devo davvero farti il terzo grado come tua madre?
Suvvia, chi è?”
Scoppiai a ridere. “Ti prego, mia madre no!” dissi,
schiarendomi appena la voce. “E’ un
allievo di papà, si chiama Vic. E’ un musicista come me a quanto ho capito…” sussurrai,
arrossendo sempre più in volto nel pronunciare il suo nome.
Ci fu qualche secondo
di silenzio prima che la sua voce fosse pronta a riempire nuovamente il
silenzio di quel parchetto: “E’
dell’ultimo anno Mia… Stai attenta, mh?” disse con tono serio.
Mi voltai velocemente
verso Jaime, ma lui teneva lo sguardo fisso a terra, come se qualcosa detto o
fatto da me l’avesse spaventato o ferito.
“Non.. Non capisco cosa vuoi dire.” ammisi in un sussurro, alzando
lo sguardo al cielo.
Lo guardai fare
spallucce e sorridere in modo quasi malinconico “Sei arrossita, tu non arrossisci mai.”
Mi portai
istintivamente una mano alla guancia, trovandola quasi rovente. Scossi
velocemente il capo, portando dunque il discorso da tutt’altra parte,
cancellando il viso ed il nome di quel ragazzo dalla mia testa… O almeno, ci
provai.
Riprendemmo a parlare,
ridere e scherzare nella più totale tranquillità fino al tramonto,
dimenticandoci totalmente di quella strana conversazione avuta poco prima. Era
così bello essere spensierati insieme a lui.
Pronti per tornare a
casa, scattai in piedi da quell’altalena, avvicinandomi al mio migliore amico
per un breve abbraccio pieno d’affetto fraterno.
“Mi prometti che continuerai ad esser
presente nella mia vita?” gli chiesi, col sorriso sulle labbra sicura di
cosa avrebbe risposto.
“Assolutamente.” disse lui in tono più che convinto, ricambiando il
mio sorriso mostrando in modo fiero le sue fossette. Immediatamente ci affondai
un dito, come spesso facevo da piccola, per poi scoppiare a ridere insieme a
lui.
“Ti voglio bene, non smetterò mai di dirtelo.” gli dissi in tutta
sincerità.
“Anche io te ne voglio, e non smetterò mai di dimostrartelo.”
concluse lui, cingendomi le spalle col braccio per poi incamminarsi accanto a
me.
Eravamo davvero
inseparabili.
Tengo a ringraziare
di cuore Layla e CarapherneliaAi per le recensioni sempre gradite! J