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Autore: _lexie_    23/07/2014    1 recensioni
19 luglio 2014, h. 4.45 a.m
Aeroporto
Chiara dice che le piacciono gli aeroporti.
Io non lo so.
Non so se mi piacciono.
Devo ancora capire se ho paura di andare o di restare.
Mi piace il verbo “restare”.
Mi piacerebbe di più se piacesse anche a te.
Ma tu vuoi andare.
Perché non vuoi che le cose cambino.
Tu sei felice così.
E sai, qui in aeroporto, forse lo sono un po’ anche io.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La mancanza

non è altro

che un’imposizione.

E a furia di volerci

(sentire più forti)

non facciamo altro

che autodistruggerci.



19 luglio 2014, h. 4.45 a.m

Aeroporto

 

Chiara dice che le piacciono gli aeroporti.

Io non lo so.

Non so se mi piacciono.

Devo ancora capire se ho paura di andare o di restare.

Mi piace il verbo “restare”.

Mi piacerebbe di più se piacesse anche a te.

Ma tu vuoi andare.

Perché non vuoi che le cose cambino.

Tu sei felice così.

E sai, qui in aeroporto, forse lo sono un po’ anche io.

 

Parte I - Realtà

Eravamo troppo stanche per continuare a studiare. Sofia mi guardava con quella faccia da cane bastonato che mi pregava in ogni maniera di chiudere quel quaderno con le mappe di storia e di scendere in spiaggia.

Io ero spaventata all’idea del mare.

Era quasi luglio e non lo avevo ancora visto.

E mi mancava, più del dicibile, più del possibile.

Ma non volevo guardarlo a distanza e poi ritrarmi nuovamente.

Era un pensiero stupido, lo ammetto, ma volevo attendere per goderne ogni istante quando finalmente quell’ultima estate di libertà sarebbe arrivata anche per me.

Alla fine decisi di acconsentire.

In spiaggia c’era una specie di festa con musica e gente che io non avevo mai visto prima. Anche gente un po’ strana, quei fattoni che si fanno vedere poco in giro, finti punkabbestia convinti.

Ero terribilmente annoiata, seduta sulla spiaggia con Sofia ad aspettare che il concerto di sua sorella iniziasse così da poter tornare poi a casa, sui libri, come era giusto che fosse. Come doveva essere.

E come invece non fu.

Perché non appena salì sul palco ed iniziò a cantare, Lisa ridiede vita all’intera spiaggia.

Non c’erano occhi che non fossero rivolti a lei.

Non c’erano orecchie che non ascoltassero la sua voce.

Però, questo, non posso assicurarlo. Perché per me svanì tutto. Anche il mare.

Tutto.

Ma non lei.

Lei, seduta sullo sgabello, sorrideva al pubblico. Era a suo agio, faceva ciò che amava di più al mondo, ciò che avrebbe sempre messo davanti a tutto il resto.

Questo, però, lo scoprii più avanti.

Lo scoprii quel pomeriggio al centro commerciale, quando ci sedemmo insieme a fumare. Eravamo state in libreria e questa è una cosa già di per sé meravigliosa.

Due persone che, seppur conoscendosi così poco, decidono di andare insieme in una libreria per bearsi del profumo di quella vastità di libri, per leggerne insieme i titoli, per poi decidere di farsi un regalo. Un regalo straordinario, perché in fondo non c’è niente di più profondo e maledettamente incauto di un libro.

E’ la maniera più pericolosa di conoscersi, di perforarsi a vicenda e poi, quando tutti i colori saranno sbiaditi, di mancarsi.

Mi porse due libri di poesie. Una scrittrice polacca che lei adorava e che avrei senza dubbio adorato anche io.

Già da quella sera, quando sedute su quel pezzo di storia dietro la cattedrale, immaginavamo situazioni che mai avrebbero avuto luogo.

E lei mi lesse quella poesia. Ad alta voce.

Ed io tremavo.

 

Si sono incrociati come estranei,

senza un gesto o una parola,

lei diretta al negozio,

lui alla sua auto.

 

Forse smarriti

O distratti

O immemori

Di essersi, per un breve attimo,

amati per sempre.

 

I suoi occhi poi si rivolsero a me, e poi di nuovo al vuoto.

“A cosa pensi?”

La mia curiosità, un giorno, mi porterà alla disfatta.

“Francamente?”

“Certo.”

“Sto pensando a come sarebbe.”

“Hai fatto qualche ipotesi?”

“Penso che sarebbe un’estate carina.”

“Un mese carino.”

“Un mese carino.”

Rise.

“Venti giorni carini.”

“Venti giorni carini.”

Rise ancora.

Con i suoi enormi denti bianchi. E quando sorrideva.. quando sorrideva era un’onda improvvisa che si scagliava contro la scogliera, era una farfalla che riprendeva a volare, era una bambina davanti all’ingresso di un lunapark.

Quando lei sorrideva, era la natura che riprendeva vita.

“La verità fa sempre dormire.” Disse.

“No. Se è una brutta verità, non riesci a dormire.”

“Ma te ne fai una ragione.”

Non me ne feci una ragione. Non l’ho mai fatto, in realtà.

E questa mia – e sua – maniacale attenzione per i dettagli che ci avrebbe fregato.

Insieme alle catene che ci intrappolavano in una forzata lontananza che poi, una sera, abbiamo ignorato.

Un errore madornale.

Quando le nostre fronti si sfiorarono ed i nostri occhi che – come il ferro con la calamita – non riuscivano a ritrarsi.

Tranne quando poi, le nostre labbra così pericolosamente vicine, la terrorizzarono.

E tutto in quel momento sarebbe stata un’utile distrazione, persino quegli strani individui che con la torcia sulla testa decidevano di prendere un minuscolo gommone per andare chissà dove.

Quanto rise, lei, per quella torcia.

“Puoi scriverci una storia.”

“Sui gommoni?”

“Certo. Guarda, ce n’è un altro. Un altro gommone, un'altra storia.”

 

Una volta mi mando un messaggio che probabilmente fu causa di una mia paralisi facciale.

La galera, le catene, l’Alzheimer ogni volta che parli

Che dentro hai la poesia e non puoi non usarla

Ed io avevo i brividi.

I brividi lungo ogni centimetro di questa pelle.

Pelle che lei sfiorò, di nascosto, quella sera sul divano.

Pelle che adesso brucia al pensiero della distanza che seguì quel gesto.

Fu breve l’attesa che ci divise. Poco dopo tornammo a stringerci, ancora più forte, ancora più intensamente e dolorosamente.

“Non guardarmi.” Mi disse.

In realtà me lo diceva spesso.

Ma io volevo guardarla. Non potevo perdermi nemmeno un istante di lei. Non era un lusso che potevo permettermi perché sapevo che, a distanza di settimane, avrei trascorso mesi a pensare a quegli occhi e ad immaginarmeli addosso. A sentirli su di me come quando cantava.

Come quando la sera prima di un concerto mi disse:

“Non so come farò, domani, a non guardare solo te.”

Ma il gelo, il gelo fu qualcosa che si intromise in quello straordinario legame clandestino.

Il gelo lo avvertii prima fuori, quando mi allontanò lentamente e allo stesso tempo nel modo più brusco che possa esistere.

E poi lo sentii dentro. Quando niente riusciva a distogliermi da quel nefasto pensiero che poi non era altro che una donna. Una meravigliosa, particolare, bellissima donna dagli occhi a mandorla e con la testa tra le nuvole.

Una donna dalla quale io mi sentivo irrimediabilmente attratta.

Mentalmente.

Fisicamente.

Era un miscuglio di dolci e amare sensazioni che riuscì paradossalmente a farmi sentire viva, ma morta.

Sarei un’idiota a cercare qualcosa in più. Sono felice. Non so come sarebbe, ma so come sto ora. E so che non voglio cambiare nulla.

Odiose e maledettissime parole che mai, da quella sera, cessarono di ronzarmi in testa.

Ronzarmi? No, era un lacerante urlo.

Era un muro di felicità e certezze che lei aveva abbattuto. Lo stesso muro che lei aveva creato.

Non hai mai pensato di farlo. Le risposi.

Non negò mai.

Perché, allora, mentirmi?

Sto pensando a come sarebbe.

Sto pensando a come sarebbe.

Sto pensando a come sarebbe.

Sto pensando a come sarebbe.

Sto pensando a come sarebbe.

Sto pensando a come sarebbe.

 

Bugie. O forse no.

Sarà che mi ostino ancora ad immaginarmela perfetta e pura nei suoi dolci difetti.

Sarà che non ho mai voluto darle nessuna colpa.

Sarà solo che adesso mi manca. Mi manca da morire.

E mi uccide il pensiero che stringerà un’altra persona, ma non ho mai fatto in modo che lei lo capisse.

“Non sei gelosa nemmeno un po’?”

“Anche se lo fossi, non te lo direi.”

“Sapevo che avresti risposto così.”

 

Sarà libera e lontana da me. Da questi miei occhi dai quali voleva sfuggire, dalle labbra che guardava e da cui stava sempre un centimetro distante, da queste mani che stringeva e che accarezzava voluttuosamente e insopportabilmente.

Sarà libera da ogni catena.

E sarà felice.

 

E so che non voglio cambiare nulla.

   
 
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