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Autore: meiousetsuna    23/07/2014    6 recensioni
Questa storia si è classificata terza nel delizioso contest di adamantina: Shipwar: Wincest VS Destiel
Vincitrice del premio: Miglior film d'animazione ne Gli Oscar Efpiani 2016
Sfiga-premio“Awww, they are just two cupcakes” per la miglior scena fluff Nel Contest Le perle nascoste di Hiromi-chan
Il gatto Dean, un randagio dal pelo rosso incontrerà un amico fuori dal comune, un vero gatto dei “piani alti”!
Così, rimpinzato a dovere ma con un bel pezzo di pollo tra i denti, in caso di necessità di uno spuntino di mezzanotte, Dean si arrampicò fino al tetto di un basso caseggiato, quando il suo sguardo fu attratto dal più assurdo esemplare della sua specie che avesse mai incontrato.
Il gatto era magnifico a prima vista, col pelo color crema sul ventre che diventava sempre più scuro verso il dorso, fino ad un marrone bruciato; gli occhi erano spettacolari, azzurri quanto un ritaglio di cielo, come ci aspettava da un soriano qual era.
Ma c’era qualcosa di veramente strano, qualcosa che non avrebbe dovuto esserci: dai fianchi dell’animale spuntavano delle ali!

Amore felino,
Setsuna
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Furry | Contesto: Nessuna stagione
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Vincitrice del premio: Miglior film d'animazione ne Gli Oscar Efpiani 2016
Sfiga-premio“Awww, they are just two cupcakes” per la miglior scena fluff Nel Contest Le perle nascoste di Hiromi-chan
Questa storia si è classificata terza nel il bellissimo contest:
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Non c’era molto da fare nei caldi pomeriggi di fine estate, quando il Sole glorioso rendeva inutile la sottigliezza della vista, i topi più grassi se ne stavano nelle loro tane, tramortiti dall’aria torrida e immobile e nessuna signora di buon cuore si spingeva a recare doni in forma di croccantini, acqua pulita e moine finché la temperatura fosse stata più accettabile.
Il gatto dal mantello fulvo si lasciò andare a un poco elegante sbadiglio che deformò per un attimo i suoi bei tratti felini: cosa avessero da prenderlo in giro per la sua mancanza di finezza era tuttora una cosa incomprensibile per lui.
Se dal cestino dei rifiuti nel parcheggio di un grill rimediava un bel pezzo di hamburger succulento, non vedeva perché rischiare che qualche altro pretendente al bottino glielo soffiasse approfittando della sua distrazione mentre sbocconcellava la carne un briciolo alla volta!
Né per quale motivo al mondo non avrebbe dovuto arrampicarsi sulle lenzuola fresche di bucato stese ad asciugare; se le lasciavano incustodite poteva presumere che non avessero nulla in contrario che le usasse come amache, disseminando come ricordo un po’ di peli, qualche occasionale pulce e molte orme fangose.
‘Lascio il segno’, pensava Dean, il gatto del quartiere.

Era stata la figlia del macellaio a chiamarlo così, come il suo fidanzato delle superiori: forse perché ambedue erano di pelo rosso, piuttosto maleducati davanti a un piatto di cibo e oltremodo desiderosi di infilarsi a dormire nel suo letto, per andarsene la mattina successiva, insalutati ospiti.
Dean però non era un poltrone, anzi era un vero combattente, a suo modo.
Quando era cucciolo si era ritrovato a vagare di casa in casa insieme ad un fratellino, così differente da lui da metterlo in imbarazzo quando doveva spiegare che erano proprio della stessa cucciolata.
L’altro gattino era  di stazza molto superiore alla sua, marrone, con certi occhi pietosi che – con somma onta per la nobile stirpe dei gatti – erano solo definibili da cane bastonato!
Un giorno, mentre esploravano il quartiere, aiutando altri animali in pericolo, un’umana dai lunghi capelli biondi era uscita in giardino e si era invaghita del cucciolo, pretendendo assolutamente di portarlo a casa con sé.
Gli aveva messo persino un collarino con la medaglietta, sulla quale a quanto aveva capito c’era scritto ‘Sam’, evidentemente il ridicolo nome appioppato al gattino; questi però sembrava piuttosto felice, cresceva a vista d’occhio, così Dean aveva deciso di lasciarlo andare per la sua strada, almeno per un po’.
Lui non aveva bisogno di una dimora fissa, non era il suo stile: il rifugio preferito per la notte erano le vecchie e ampie automobili, lasciate con i finestrini aperti nei cortili della tranquilla cittadina di Lawrence; in particolare aveva passione per il sedile del guidatore di una macchina sportiva nera piuttosto datata, ma conservata con molta cura.
Ovviamente i fili tirati dalle sue unghie mentre si stiracchiava per cercare una posizione comodissima, andavano considerati abbellimenti artistici.
Era con questo spirito un po’ guascone che quando scesero finalmente le prime ombre della sera, Dean si preparò al consueto ‘giro ristorazione’, come usava definirlo.

“Micio-micio-micio bello, vieni qui a fare la pappa!”
‘Non mi faccio pregare due volte!’ Rispose tra sé e sé il felino.
“Mrr, frrr…”
“Oh, che dolce questo gatto, si strofina sempre sulle gambe, lo porterei a casa ma mio marito non lo sopporta, non capisco perché. Sembra geloso di un animaletto”.
‘E fa bene, donna!’ Pensò Dean. ‘Dammi una settimana e lui dormirebbe in un cestino, io sul divano, vicino al telecomando’.
“Non date da mangiare sempre prima a lui, ci sono gli altri che aspettano”. Obiettò una ragazza dai capelli castano cenere.
“Ha parlato lei! Intanto le scatolette non le compri, lo sappiamo che le rubi dal mio garage, Bela, poi sei la prima che corre a cercarlo, guarda non è il caso di litigare, invece controlliamo che mangino tutti”.
La giovane scrollò lo spalle, curvandosi a grattare le orecchie del gatto, che passò da una all’altra delle volontarie per ricevere lo stesso trattamento.
‘Piaccio, è normale’.
Così, rimpinzato a dovere ma con un bel pezzo di pollo tra i denti, in caso di necessità di uno spuntino di mezzanotte, Dean si arrampicò fino al tetto di un basso caseggiato, leccandosi poco meticolosamente i baffi, quando il suo sguardo fu attratto da qualcosa.
Il più assurdo esemplare della sua specie che avesse mai incontrato si trovava con le spalle contro un comignolo, minacciato da un vecchio micione di sua conoscenza, coperto di solchi e cicatrici, ricordo di numerose lotte vinte.
Il gatto era magnifico a prima vista, col pelo color crema sul ventre che diventava man mano più scuro verso il dorso, fino ad un marrone bruciato; gli occhi erano spettacolari, azzurri quanto un ritaglio di cielo, come ci aspettava da un soriano qual era.
Ma c’era qualcosa di veramente strano, qualcosa che non avrebbe dovuto esserci: dai fianchi dell’animale spuntavano delle ali !
Dean rimase a bocca aperta, finché un colombo un po’ intontito, che era rimasto schiacciato contro la struttura di mattoni dall’improvviso movimento del felino, si liberò, volando via; era il suo giorno fortunato.
‘Ovvio, non esistono pennuti tra noi, ho fatto indigestione’, pensò Dean con sollievo, mentre avanzava con passo felpato in direzione dei due contendenti.

“Balthazar, lascia stare il nuovo arrivato, non ha fatto nulla di male”.
Il gatto più anziano si girò con un’espressione ironica e crudele, poi con l’aria di chi non si abbassa a litigare con degli inferiori, abbandonò il campo, non senza marcarlo con i suoi feromoni.
“Esibizionista! Come stai, amico?”
La risposta furono quegli occhioni azzurri puntati nei suoi, come se guardassero un essere sovrannaturale; stelline argentee brillavano nelle iridi e lacrime di commozione stavano spuntando a peggiorare il tutto.
“Mi hai salvato, te ne sarò riconoscente. Io mi chiamo Castiel e non so come sono finito qui. Abitavo col mio padrone in un attico bellissimo, ma sono uscito per conoscere il mondo fuori di lì e mi sono perduto; non so se potrò tornare a casa”.
Nella mente di Dean balenarono molte tristi storie di animaletti abbandonati, ma riuscì a non spifferare tutto, per quella volta; non sapendo come trarsi d’impaccio si diede una lavata di circostanza sotto il mento.
“Hai il pelo arruffato”.
Castiel si era avvicinato timidamente a lui, pettinandolo sulle scapole con una delle sue zampine soffici.
“Speli un po’, Cas, mi hai lasciato un’impronta”.
All’altezza della spalla, la forma dei cinque cuscinetti del soriano si era disegnata perfettamente, bianco avorio su rosso.

“Scusami”. Il musino esprimeva vera desolazione, il miagolio aveva un timbro gradevole e buono, ma il gorgoglio dello stomaco era quanto di più rilevante in quel momento.
Dean valutò di aver decisamente mangiato abbastanza e senza ulteriori riflessioni depositò il pezzo di carne che aveva conservato davanti al suo nuovo amico.
“Coraggio, è pollo arrosto, puoi fidarti”.
Castiel gli regalò un’altra di quelle occhiate estasiate che dovevano costituire il suo punto forte quando voleva compiacere qualcuno; eppure, le sue non sembravano mosse studiate: se l’istinto non lo tradiva, avrebbe giurato che ogni espressione, ogni frase di quel gatto  fossero sincere e spontanee.
Il soriano si avvicinò al cibo, annusandolo con delicatezza, poi staccò un piccolo boccone.
“È buonissimo! Davvero vuoi cederlo a me?”
“Certo, amico! Sembra che tu non abbia mai assaggiato del  pollo, ti davano solo roba in scatola, eh?”
“Veramente sono confuso, non mi ricordo più cosa mangiavo, sai? Era come se quello di cui avevo bisogno si materializzasse per magia… il mio padrone non lo incontravo da tempo, però la casa era sempre perfetta e pulitissima, con la moquette bianca, le tende bianche, il mio divano preferito, a forma di nuvola. Tutto sempre uguale”.
‘Finché hai fatto qualcosa che non va e ti hanno scaricato’, pensò Dean, che non nutriva una buona opinione degli umani troppo altolocati.
“Hai bisogno di svagarti un po’, Cas, posso insegnarti tutto del quartiere. E come prima cosa, un benvenuto coi fiocchi”. Dean valutò l’avvenenza del suo nuovo compagno di scorribande tale da non farlo sfigurare.
“Seguimi!”
Il gatto rosso balzò agilmente su di un ballatoio, per poi correre fino al terrazzo di una palazzina vicina, seguito dal gatto bruno, poi preso lo slancio saltò fino ad un tetto coperto di tegole di argilla, fermandosi accanto ad un piccolo lucernaio.
Non erano soli; sul tetto ancora surriscaldato per la prolungata esposizione al Sole, molti piccoli felini si stavano rotolando, facendo le fusa ed emettendo dei versi gutturali, a tratti quasi strazianti.

Castiel era il ritratto della compassione.
“Senti come si lamentano, Dean! Potrebbero essere feriti, dobbiamo soccorrerli!”
“Sono femmine, vecchio mio. Con l’estro”.
“Sono estrose? A me sembrano soltanto in difficoltà, non credo che si atteggino per attirare attenzione”.
Dean sospirò contrariato: molte volte gli rimproveravano di essere volgare, adesso il suo linguaggio era troppo eufemistico.
“Voglio dire, in calore”.
“Hanno tanto caldo da piangere? Poverine, come possiamo aiutarle?”
In due gatti rimasero qualche attimo in un silenzio denso di significato, il capo del soriano inclinato di lato, lo sguardo ingenuo e limpido.
“Castiel, il tuo umano ti ha portato dal veterinario da cucciolo? Ricordi di esserti svegliato, diciamo… col mal di pancia, come alleggerito di qualcosa?”
“Non mi è mai servito il veterinario, ho una salute quasi sovrannaturale. Perché lo chiedi? Sono quelle povere gattine che hanno bisogno di cure, credo”.
Il gatto fulvo spostò lo sguardo dalla scena delle micie di ogni colore e razza che si producevano in un repertorio da resuscitare i morti – un modo di dire che gli sovveniva spesso – alla serena ingenuità di Castiel.
“Siete molto strani da queste parti, Dean. Guarda quel gatto nero, ne sta afferrando una per la collottola, come potrebbe rinfrescarla così, non capisco. Ma lei non sembra triste”.
“Per stasera lasciamo perdere, ok? Deve essere stata un giornata difficile per te, che ne pensi di cercare un bel posto per dormire? Ne riparleremo un’altra volta”.
“Sì, questa è una buona idea”.

Poco dopo i due gatti si stavano accomodando sul dondolo del portico di un trasandato signore con la barba, all’apparenza burbero e poco socievole, ma in realtà di animo buono; numerose bottiglie di birra vuote mostravano la tendenza dell’uomo ad alzare un po’ il gomito per aiutarsi a prendere sonno.
Castiel si sedette come una perfetta piccola sfinge, invitando Dean ad acciambellarsi con la testa sulle sue zampine morbide, lavandogli un orecchio per farlo rilassare.
Delle fusa leggerissime testimoniarono l’approvazione di Dean per quelle coccole.
“Di solito non amo questa smancerie, ma puoi continuare, Castiel. Passa una buona notte”.
“Tu dormi tranquillo, Dean”. Rispose ad alta voce il gatto scuro.
‘Ti proteggerò io, andrà tutto bene’. Sussurrò in modo inudibile, mentre le piume candide delle alucce tornate visibili, si piegavano in cerchio intorno al musetto di Dean.

FINE

N.d.A. = Ovviamente il titolo è quello del dramma di Tennessee Williams, “La gatta sul tetto che scotta”








 

  
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