È una storia, sai, vera più che mai
“Quando nasce un amore non è mai troppo tardi,
scende come un bagliore da una stella che guardi”.
Rumpelstiltskin è così avvolto
nelle tenebre, stretto nel potente abbraccio dell’oscurità, da non ricordare
più cosa sia la luce. L’oscurità è diventata la culla entro la quale dondola il
suo animo in pena, al sicuro da ogni traccia di bontà.
Il bene lo ha sempre tradito, il male invece lo ha rispettato: quando il
Signore Oscuro si avvicina, l’intero regno delle favole ne è al corrente e non
perché sia una presenza sgradita, bensì temuta.
«Sai, se continui a entrare nel castello con gli stivali infangati
finirò per pulire sempre una sola stanza. E non vorrai che ciò accada, mi
auguro».
Belle indica, con fare ammonitorio, in direzione del pavimento: non è una
novità, ormai, la sua presenza all’interno del Castello, non fosse altro per il
fatto che le loro discussioni procedono quasi quanto gli accordi che gli
propinano quotidianamente.
«Vai via e porta con te i tuoi stracci!», esclama Rumpelstiltskin, dandole le
spalle.
«Spiacente, proprio non posso. Ho ricevuto precise istruzioni».
«Posso benissimo annullare quelle istruzioni, magari trasformandoti in un
oggetto non parlante», asserisce Rumpelstiltskin, colorando le parole con una
sfumatura minacciosa.
«Ma gli oggetti sono non parlanti di natura, Rumpelstiltskin», Belle esibisce
con fermezza un sorriso che, per qualche oscura ragione, l’Oscuro preferisce
evitare.
«Hai capito il senso. E ora fai quel che ti ho ordinato!».
«Cioè, essere un oggetto non parlante oppure evitare di pulire la stanza? Temo
di non aver compreso».
A quel punto, in una normale circostanza, Rumpelstiltskin avrebbe teso le mani
e trasformato il soggetto parlante in un oggetto ornamentale, aggiungendolo
alla sua già innumerevole collezione.
«A volte temo di aver negoziato il peggior accordo di sempre, ragazzina»,
proclama e, infine, la frena sul tempo: «No, ti prego… Belle».
La sua interlocutrice asserisce soddisfatta, come se avesse appena proclamato
una vittoria: «Vi ringrazio. Ora, gli stivali».
A volte Rumpelstiltskin si chiede – perlopiù quando è certo che Belle stia
dormendo, temendo inconsciamente che lei possa leggergli nel pensiero – il
motivo per il quale si ostenta a dividere il castello con la ragazzina più
cocciuta e irritante di tutti i regni, ma allo stesso tempo preferisce evitare
di rimuginarvi, teme le risposte che potrebbe darsi.
≈
“Senza lei, non vivi più.
Dillo a lei, a lei che non sa com’eri prima di incontrare lei”.
Quando Rumpelstiltskin fila la paglia e la trasforma in oro, con
l’ausilio della magia, Belle si siede accanto a lui e legge ad alta voce.
Se qualche mese prima gli avessero fatto notare che un essere umano tanto
candido quanto Belle avesse potuto allietare quel che consisteva in un’attività
ormai abitudinaria, Rumpelstiltskin non avrebbe mai creduto a tali parole.
Eppure Belle non lo temeva, anzi, era riuscita a stabilire con lui un rapporto
basato sul reciproco rispetto.
I suoi occhi cerulei si levano al cielo di tanto in tanto, talvolta si ode un
sospiro tra una riga e l’altra, ma le parole procedono spedite e scandite. È un
piacere ascoltarla, a volte l’Oscuro perde il senso pragmatico della realtà e
si lascia incantare da un mondo che non pensava avrebbe rivisto ancora: è negli
occhi di Belle, quel mondo, Rumpelstiltskin non osa addentrarsi per non
rischiare di rimanervi intrappolato.
«Oh, temo che questa sia l’ultima pagina», afferma Belle, con gli occhi pieni
di sorpresa.
«Davvero? Leggi troppo velocemente, cara».
Rumpelstiltskin sospende il suo officio solo per agitare le dita e far
comparire l’ennesimo libro tra le sue mani. Belle osserva il tutto con grande
stupore: dopo tutte le cose che ha visto in quel Castello dovrebbe esservi
abituata, eppure se ne meraviglia ogni volta.
«Un giorno mi dovrete spiegare come fate tutto questo».
«Si chiama magia, una cosa che nella guerra degli Orchi è stata d’aiuto al
vostro villaggio», ribatte Rumpelstiltskin, con una nota di sarcasmo.
Lo sguardo di Belle si incupisce per un istante – la guerra degli Orchi, il suo
villaggio, un’improvvisa fitta allo stomaco: nostalgia di casa, in un sol giro
di parole –, poi alla malinconia cede la curiosità.
«E voi… voi, quante guerre degli Orchi avete affrontato?».
«Come fate a saperlo, cara?».
Rumpelstiltskin rimane con le dita sospese a mezz’aria, arretrando leggermente
con il busto, prova una sensazione che non sa ben descrivere.
«Ogni volta che pronunciate quella parola sembra che i vostri occhi si spengano».
«Immagino di non avere stomaco per la guerra, allora», sentenzia
Rumpelstiltskin, cacciando dalla mente qualche pensiero spiacevole.
Belle nega fermamente con il capo, forte delle sue convinzioni: «Al contrario,
immagino che ne abbiate avuto sin troppo».
Rumpelstiltskin preferisce evitare una risposta, mentre qualche minuto dopo
Belle riprende la lettura ad alta voce, fingendo di dimenticare l’istantaneo
accaduto.
≈
“E strappo i fogli del mio passato ma non li getto via,
per non scordare quello che ho dato”.
Alla fine quel che resta è solo la sensazione, perlopiù amara, di
un’insolita, vaga e frammentaria traccia del passaggio di Belle. È come se le
sue orme fossero ovunque, ovunque egli le rifuggisse, si intende.
Le parole di Belle si disperdono ancora nell’aria, risuonano come onde
acustiche e si impregnano nelle stanze, sui vestiti, dentro se stesso;
curiosamente, è come se avesse lanciato un incantesimo, maledicendo di bontà
ogni singola briciola del Castello.
E Rumpelstiltskin l’aveva lasciata fare, perché quando si vive nelle tenebre a
volte si dimentica com’è fatto uno spiraglio di luce: si è negligenti nei
confronti stessi della natura, incuranti di apprezzare le meraviglie del
mondo.
Se Rumpelstiltskin volesse, potrebbe liberarsi di quel profumo e quella
sensazione in un sol incantesimo, schioccando magicamente le dita: i mesi
passati finirebbero in una voragine ed egli stesso non sarebbe mai stato
innamorato. Sarebbe l’ideale, sarebbe sicuramente meno doloroso.
L’Oscuro si rigira tra le dita una pozione che potrebbe causare la perdita
della memoria, è intenzionato a farne uso, non fosse altro per il fatto che più
avvicina la boccetta a sé tanto più le parole di Belle risuonano nella sua
mente, come un’eco.
Ed è in quel momento, nel preciso istante che oscilla tra la consapevolezza e il
rimpianto, che Rumpelstiltskin realizza quanto di più caro ha al mondo e,
nonostante le fitte di dolore al petto, non si tirerà indietro.
Stavolta la vigliaccheria non avrà la meglio, lo giura sul nome della stessa
Belle.
≈
“Ti porterò per sempre con me, ti stringerò, ti conquisterò, proteggerò
e senza pietà io ti amerò con tutto questo amore mio”.
È un giorno di pioggia a Storybrooke e sembra quasi un’impresa infilare le
chiavi nella serratura, mentre le goccioline d’acqua offuscano la sua visuale,
vien quasi da rimpiangere la Foresta Incantata.
Eppure è un bel giorno, nonostante le condizioni non proprio favorevoli, poiché
non pare farsi largo alcun tornado imminente – il quale, senza ombra di dubbio,
richiederà la sua attenzione – e la domenica sembra passare tra una passeggiata
e un immancabile appuntamento da Granny’s.
Hamburger e tè, come al solito, citando la proprietaria dovrebbero: “Inserire
nel menù tali accoppiamenti vincenti e sfidare coloro che avranno il coraggio
di provarli”.
Un’affermazione che Belle ha preso molto seriamente poiché, di tutta
risposta, ha obiettato: «Poi non sarebbero più nostri!».
Rumpelstiltskin ha cercato di inscenare una certa indifferenza, ma quando Belle
è nei paraggi il tè, gli hamburger e le domeniche noiose iniziano ad avere
tutt’altro profumo.
Fatto sta che al momento Belle è costretta a strizzare i propri capelli nel
lavabo, mentre Rumpelstiltskin si trattiene dall’imprecare in maniera molto
poco poetica; e anche in tale frangente, senza alcun apparente motivo, le
risate di Belle si perdono nell’aria in maniera cristallina e il suo animo ne è
ancora una volta toccato.
«Tutto questo potrebbe finire con l’ausilio
della magia», brontola Rumpelstiltskin, sfilandole la sua giacca ormai
inzuppata.
Belle si volta di scatto, lanciandogli di rimando una spruzzata di acqua
piovana: «No, è divertente, in fondo».
«Questo è un colpo basso», dichiara Rumpelstiltskin, sfregando la mano sul
viso.
Belle si avvicina, annullando la distanza minima, e poggia le labbra umidicce
sulle sue: i loro corpi si sfiorano e le mani di Rumpelstiltskin fanno presa
sui fianchi di Belle, decise.
Poi, respirando ancora con affanno, Belle afferra la sua mano tra le dita e lo
conduce al piano di sopra, in un chiassoso rumore di passi e di sospiri
concitati.
≈
“E mentre conto i miei errori che fino a poco tempo fa
sembravano soltanto amori eterni per un po’.
Cambierò, ho un’idea, ti saluto e vado via e se sbaglierò,
fatti miei… tanto non si cambia mai”.
Lacey non è Belle, è inutile
fingere che possa esserlo: Rumpelstiltskin ne è consapevole, ma d’altro canto
chi è mai riuscito a far ragionare il cuore?
Vederla giocare a biliardo, solitamente in un completo alquanto succinto,
trincare whisky tutto d’un fiato e perdere più e più volte il fragile
equilibrio, è qualcosa a cui non è abituato.
Eppure Rumpelstiltskin è profondamente convinto che Belle vi sia, pur in minima
e irrilevante parte, in lei: a volte Lacey esordisce con delle frasi di cui,
almeno sembra, essa stessa si stupisce. Non importa a quale maledizione si vada
incontro, non esiste alcun inganno che possa far dimenticare del tutto se
stessi. Forte di quella convinzione, Rumpelstiltskin si aggrappa alla stessa
speranza alla quale Belle, anni prima, si era stretta con fermezza.
«Mr Gold!», esclama Lacey, sventolando una mano in sua direzione. «Questo tipo
mi sta infastidendo, non vorrai certo fargliela passare liscia».
Ma quando gli occhi di Lacey, così simili a quelli di Belle, richiedono con
tanta indulgenza la sua attenzione, Rumpelstiltskin non riesce proprio a
restare sulla difensiva. Immagina che anche quello sia un sintomo di codardia,
in fondo.
≈
“Tu sei la confessione ad ogni canto e geme il godimento e gode il pianto.
Crediamo di creare i sentimenti, li leghiamo ai piaceri e ai tormenti, li
diciamo coi sospiri e coi lamenti”.
Svegliarsi in un comodo giaciglio, con il profumo del caffè nelle narici,
sembra ancora frutto dell’immaginazione. Tale illusione svanisce quando la
figura di Belle appare sullo stipite della porta, apparentemente persa quanto
lui in un certo qual sogno, con la tazzina del caffè e la mano sospesa a
mezz’aria.
Poi, come risvegliata mediante un
incantesimo, il suo volto imbambolato si scuote con vigore; così come non è
facile per Rumpelstiltskin entrare nuovamente in confidenza con la realtà
quotidiana, altrettanto non lo è per Belle, abituata com’era a guardare la
sagoma di un uomo invisibile.
E non servono certamente parole, sospiri e lunghi silenzi per carpire l’uno i
pensieri dell’altra: Belle avanza con fermezza in prossimità del letto,
porgendogli la tazzina; Rumpelstiltskin prende la stessa tra le mani,
constatando qualcosa che precedentemente non aveva avuto l’accortezza di
notare.
«Tra tutte le tazzine…», replica, lasciando volutamente la frase in sospeso.
«Non importa a cosa va incontro, questa tazzina resiste a tutto. Mi pare appropriata
all’occasione».
≈
“Non ti lasciai un motivo né una colpa,
ti ho fatto male per non farlo alla tua vita”.
«Tu… tu mi hai sposata, Rumple. Mi hai fatto delle promesse, ma inizio a
credere che tu non le abbia pensate davvero».
I pugni di Belle sono serrati con fervore, intesi a far prevalere la rabbia
affinché non sia la fragilità a trionfare. Non può permetterlo in quel momento,
se così fosse i suoi sentimenti avrebbero la meglio sopra ogni cosa e l’unica
persona a risentirne sarebbe lei.
«Belle, non dire così».
«No!», inveisce Belle, arretrando di qualche passo. «È sempre così con te, non
è vero? Tu giochi con le parole, i gesti, la mia vita»
«Ascolta, ascolta», le mani di Rumpelstiltskin si muovono meccanicamente verso
di lei, come protese in direzione di un’ancora di salvezza, «Dobbiamo parlarne».
«Dovevamo parlarne prima, forse», sottolinea Belle, risentita.
«Tu non sai cosa significa perdere un figlio, sangue del tuo sangue, cosa vuol
dire avere delle voci in testa e sentirle, ancora, a distanza di tempo. La voce
di tuo figlio…».
Rumpelstiltskin china il capo, arrendendosi all’evidenza dei fatti: un padre
non dovrebbe mai assistere a tanta sofferenza, un genitore non si perdonerà mai
la morte di un figlio.
«L’ho perso anch’io, sai?», evidenzia retoricamente Belle, lasciandosi sfuggire
una lacrima. «Ma non ti avrei mai e poi mai fatto del male».
«Non volevo farlo», ammette Rumpelstiltskin, in tono sommesso.
«Finché non l’hai fatto», l’ennesima lacrima sgattaiola sui suoi zigomi, troppo
tardi anche stavolta.
«Ma il problema non è neppure questo, Rumple. Il problema è che per non far del
male, ci facciamo del male a vicenda».
Ecco, finalmente lo ha ammesso: Belle è sempre stata il fiammifero che accende
la luce della speranza, forse l’unico riverbero nella vita di Rumpelstiltskin.
Ma ogni qual volta che provano a essere ben più di cerino rischiano di
provocare un incendio e, di fatto, ustionarsi.
«Tu non potresti mai farmi del male, Belle», sentenzia Rumpelstiltskin, con estrema
franchezza.
«Non intenzionalmente, forse. Ma ogni volta che arriviamo ad un punto
d’incontro, distruggiamo ogni cosa. Non è farsi del male, questo?».
«Si chiama matrimonio, lo affrontano milioni di persone».
«Lo affrontano partendo dalle fondamenta, Rumple. Dove sono le nostre
fondamenta?».
Il tempo sembra essersi fermato, il silenzio è una scusa accomodante: riempirlo
significherebbe avanzare verso l’orlo di un precipizio quanto mai profondo. Ma
a cadervi è solo uno dei due, generalmente il più fragile.
«Cosa stai dicendo esattamente, Belle?».
≈
“Sento che ci stiamo cercando, è inutile che dici di no,
stavolta a compromessi non scendo, sei l’unico diritto che ho”.
Se l’intera Storybrooke sta letteralmente ghiacciando, è facile intuire la
causa di tale maleficio: ben presto le temperature inizieranno a diventare
polari, la magia si indebolirà e il mondo delle favole sarà nuovamente
soggiogato dall’oscurità.
Il primo pensiero di Belle è andato ai suoi preziosi libri, naturalmente, non
potrebbe mai permettere che sopportino un tale flagello. In senso pratico non
può far nulla, invero, per il momento cerca solo di coprirli e prendersene cura
con la massima attenzione, anche se questo magari dovrebbe essere l’ultimo
pensiero sulla sua personale lista.
Ma, d’altro canto, cosa le è rimasto davvero? I rimasugli di un matrimonio che
non ha mai conosciuto solide basi e gli sguardi sentenziosi di suo padre ogni
qual volta incrocia il suo cammino. Questo è quanto le spetta, dopo aver speso
l’intera vita a seguire l’intuito del cuore.
«La biblioteca è chiusa, sono spiacente - », Belle frena le parole sul nascere
quando riconosce la sagoma del suo interlocutore.
«Come dicevo, la biblioteca è chiusa», afferma, stavolta in tono alquanto
autoritario.
Rumpelstiltskin avanza in sua direzione, consegnandole una pila di libri
dall’alto di una scala sulla quale è poggiata. Belle accetta quell’insolito
aiuto con freddezza, il suo cuore è ancora troppo fragile per cedere a tali
lusinghe.
«Tra poco Storybrooke gelerà e, per la prima volta, non credo di poter far
nulla al riguardo», sentenzia Rumpelstiltskin, rassegnato.
Belle continua a infilare le rigide copertine dei libri in ordine alfabetico,
per poi scendere dalla scala e ricominciare tale operazione con l’ennesima
mensola.
«Sono passato solo per assicurarmi che tu sia al sicuro».
«Sono al sicuro, grazie della preoccupazione», asserisce Belle, prendendo le
distanze.
«Intendevo dire… quando Storybrooke sarà completamente ghiacciata, il posto più
sicuro sarebbe in un luogo confortevole. Una casa, ad esempio».
L’allusione è molto chiara, non richiede alcun tipo di sforzo da parte di
Belle, ma le sue posizioni sono altrettanto evidenti.
«Non tornerò a casa, se è questo che pensi».
«Voglio solo assicurarmi che tu non sia da sola, quando ciò avverrà», dichiara
Rumpelstiltskin, suonando premuroso.
«Non lo sarò», assicura Belle, rasserenando un po’ il tono di voce; per un sol
momento i loro occhi sono l’uno lo specchio dell’altro, «Grazie».
È come se le parole volessero seguire la stessa direzione, ma non potessero
poiché sospese sul fragile filo di un rasoio. Ora che Belle sta passando un po’
di tempo da sola, forse per la prima volta nella sua vita, si sta rendendo
conto di quanto il loro equilibrio sia fragile e di come le parole siano lame
affilate, pronte a decretare la disfatta.
≈
“Sarò un angelo per te, quella donna che puoi stringere sul cuore,
ma se occorre come il sole i tuoi sensi accenderò e pian piano poi li
spegnerò”.
«Tra tutti i posti in cui potevi gelare in santa pace, questo è stato l’unico
a venirti in mente?», domanda Belle, stringendosi nel suo plaid.
«Dal momento che il mio arcolaio è diventato un blocco di ghiaccio…».
Belle ridacchia vivacemente, il che è veramente insolito in una situazione del
genere, non riesce neppure a ricordare quanto tempo sia passato dall’ultima
volta. Curioso, nonché anomalo, il fatto che a farla sorridere sia proprio
l’oggetto – o, meglio, il soggetto – delle sue stesse pene.
«Non che il pozzo sia il luogo più confortevole ove subire una maledizione del
genere», ironizza Rumpelstiltskin, poggiando una mano sull’estremità del bordo
dello stesso.
Nient’altro che una cortina di ghiaccio, in ogni dove, creata dalla regina in
persona deputata a tale officio: una magia talmente potente da non poter
essere nemmeno arginata, forte quanto basta da indebolire ogni sorta di incantesimo.
«Sono una sentimentale, in fondo, lo sai. E lo sei anche tu», ammette Belle,
anticipandolo. «Eppure dovresti avere qualche asso nella manica, Storybrooke ti
starà dando la caccia ora come ora».
«L’ennesimo motivo per essere qui con te».
Le ultime due parole suonano come una confessione, Belle lo percepisce ma ciò
non la distrae: «Non hai riposto, comunque».
Rumpelstiltskin si avvicina, prossimo quanto basta per incrociare i passi di
Belle: «Oh, sai come andranno a finire queste cose. Generalmente fornisco le
domande, le risposte, le soluzioni e i Charmings si prenderanno gli onori».
Belle sorride per l’ennesima volta, stavolta Rumpelstiltskin è abbastanza
vicino da udirla chiaramente e, proprio come in un sortilegio riuscito alla
perfezione, il contagio è istantaneo. Sulle labbra di Rumpelstiltskin indugia
la bozza di un sorriso, solo uno degli innumerevoli motivi per cui sente la
mancanza di Belle nella sua vita.
E forse Belle possiede davvero la capacità di leggere nel pensiero, o forse è
uno specchio d’acqua ai suoi occhi, dal momento che sa esattamente di cosa ha
bisogno. Il sostegno che reggerà il basamento, forte quanto basta affinché gli
elementi che lo compongono non si perdano e siano complementari con le sue
stesse fondamenta. Perché si tratta di essere unitari, in fondo, di tutto una
parte e di una parte il tutto: lo chiamano matrimonio, di solito.
Le labbra di Belle, pur gelide, sfiorano per qualche nano secondo quelle di
Rumpelstiltskin e si ha come la sensazione che a sciogliersi sia qualcosa di
ben più profondo.
«E ora che facciamo?», chiede Belle, stringendosi nelle spalle.
«Ora… esprimiamo un desiderio», annuncia Rumpelstiltskin, puntando in direzione
del pozzo.
Poi, Belle cerca qualcosa nelle proprie tasche e alla fine ne estrae una
fialetta trasparente: «Guarda caso possiedo qualcosa che potrebbe fare al caso
nostro».
«Tu lo sapevi…».
«Che l’amore è la magia più potente e può sciogliere un cuore, quindi perché
non un’intera città? Sì, ne avevo un vago sentore».
Sulla bocca di Rumpelstiltskin è disegnato un ovale di stupore, in contrasto
con il sorriso vittorioso di Belle mentre gli porge la fialetta.
«Insieme», dichiara infine, stringendo la presa in quella di Belle, «Come
dovrebbe essere ogni cosa».
«Insieme», ripete Belle, versando il contenuto dell’ampolla nel pozzo, sperando
che la magia sia la speranza che si nutrirà dell’ennesima maledizione.
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Le canzoni che ho usato, nell’ordine, sono: “Quando nasce un amore”, “A
lei”, “Storie”, “Senza pietà”, “Cambierò”, “Processo a me stessa”, “Mille
giorni di te e di me”, “Ti pretendo”, “Donna con te”. Sono tutte di Anna
Oxa, infatti la storia era partita come un tributo a questa cantante e poi si è
evoluta in una sorta di raccolta che vorrebbe calcare le fasi più importanti
della storia dei Rumbelle.
I riferimenti sono facilmente intuibili, nelle ultime storie ho aggiunto solo
un po’ di mio e ho immaginato come si potrebbe evolvere la situazione nella
quarta stagione.
Grazie a tutti per aver letto, per chi segue la mia long-fic Rumbelle: non l’ho
dimenticata, è solo in fase di stesura. J
Kì.