Nitori Aiichiro sapeva due cose per certo. La prima era che non era innamorato di Matsuoka Rin. La seconda era che, nonostante tutto, non riusciva a non sentire niente. 

Sentiva il suo senpai rigirarsi nel letto della stanza che condividevano nel dormitorio della Samezuka Academy. Sentiva il suo sguardo addosso mentre si allenava in piscina. Aveva sentito il suo respiro accelerare e i muscoli contrarsi mentre lo aiutava con gli addominali serrandogli i polpacci con tutte le sue forze. Pensare che a breve non avrebbe più sentito nulla minacciava seriamente di ucciderlo. 

Eppure, dopo un anno trascorso insieme, Ai e Rin non sarebbero più stati compagni di stanza. Da Ai si sarebbe trasferito un kohai del primo anno, Mikoshiba Momotaro, mentre Rin avrebbe occupato una nuova stanza insieme al suo amico d’infanzia, Yamazaki Sousuke. 

Per quanto Ai si fosse sforzato, Yamazaki non riusciva proprio a piacergli. Non gli piaceva che fosse così alto, mentre lui non raggiungeva neppure il metro e settanta. Non gli piaceva che anche lui avesse gli occhi azzurri, ma dal taglio così diverso dal suo. Non gli piaceva che fosse così veloce in acqua. Ma soprattutto non gli piaceva che fosse per Rin ciò che lui avrebbe voluto essere. Voluto sì, ma potuto… potuto mai. 

Mentre Rin – Ai lo chiamava sempre così nei suoi pensieri, ma ad alta voce si riferiva a lui come “Matsuoka senpai” – finiva di raccogliere le proprie cose, Ai si disse per l’ennesima volta che non era la fine del mondo: lui e Rin avrebbero continuato a vedersi, a frequentare la stessa scuola e ad allenarsi insieme in piscina. E poi erano amici, no? Non dividere più la stanza non significava che la loro amicizia dovesse avere fine. Una parte di lui però non era convinta dalle rassicurazioni della sua metà razionale. La vita senza Rin gli sembrava una nebulosa nera di tristezza infinita. Qualcosa che, semplicemente, gli pesava vivere. 

È così, si chiese, essere innamorato di qualcuno? Non poterne più fare a meno…?

Non voleva conoscere la risposta. Osservò Rin – il metodico, ordinato Rin – ripiegare i costumi da bagno in una sacca e si chiese se Yamazaki fosse preciso come il ragazzo con i denti di squalo oppure caotico come lui. Gli sfuggì un sorriso al ricordo del pomeriggio in cui Rin lo aveva aiutato, esasperato, a rimettere a posto la stanza, a suo dire troppo sporca e disordinata. Come avrebbe fatto, senza Rin a prendersi cura di lui?

Qualcuno bussò alla porta socchiusa. “Avanti” rispose Rin prima che potesse farlo Ai, che si irrigidì non appena si rese conto che a bussare era stato Yamazaki. La sua imponente presenza bastava a riempire la stanza. Alto e forte, Yamazaki superava il metro e ottantacinque e i suoi occhi azzurri e freddi ben si accordavano all’espressione severa e alle labbra che raramente si piegavano in un sorriso. 

“Rin” disse seriamente il ragazzo, senza degnare Ai di uno sguardo. “Sei pronto?”

“Ho quasi finito Sou” rispose il senpai. “Dammi un minuto e poi andiamo, ok?”

Persino nel suo disagio Ai si accorse che Rin aveva cercato di mantenere un tono leggero, ma in qualche modo Yamazaki non se la bevve. Lo scrutò per un lungo istante, poi annuì.

“Ti aspetto qui fuori” disse. Ai si sentì gelare mentre Yamazaki rivolgeva per un attimo lo sguardo su di lui. Deglutì ma non distolse lo sguardo. Si chiese cosa vedesse Yamazaki quando lo guardava. Aveva capito che lui… sentiva la presenza di Rin? Ne era infastidito? Ai stava quasi per dire qualcosa ma all’improvviso Yamazaki distolse lo sguardo, si girò e sparì nel corridoio, lasciando Ai e Rin soli nella stanza, nella loro stanza, per l’ultima volta. 

Il tempo per Ai sembrò fermarsi. Forse era meglio così. Non avrebbe più trascorso notti insonni a interrogarsi sulla natura dei sentimenti che provava per Rin, a chiedersi se era normale ammirarne il fisico mozzafiato e desiderare di stare con lui sempre e se era destinato a restare solo, con una fame d’amore che non si sarebbe mai saziata. Guardò Rin, cercando di imprimersi nella mente i particolari del suo volto e del suo corpo sinuoso: il fisico asciutto e le spalle larghe, i denti affilati e il sorriso furbo, la voce profonda e i capelli lisci e morbidi. Indossava come sempre una canotta che evidenziava i muscoli delle spalle.

“Matsuoka senpai.” Rin. “Io… Tu mi man…”

“Nitori” lo interruppe Rin con un sorriso. “Anche tu mi mancherai”. 

Il cuore di Ai prese a battere fortissimo mentre Rin, in canotta e con la sacca buttata su una spalla, allungava un braccio verso di lui e gli scompigliava i capelli. Poi la mano di Rin scese alla guancia, raccogliendo con le dita una lacrima che era sfuggita all’occhio di Ai. 

Lo accarezzò con il palmo della mano, poi gli sfiorò le labbra con il pollice.

“Rin…” mormorò Ai, incapace di trattenersi e di trattenere le lacrime. Come attirato da una forza magnetica a cui non riusciva a opporsi, Ai baciò il dito di Rin che gli sfiorava le labbra. Guardando il suo senpai negli occhi, Ai si chiese cosa Rin stesse pensando. Era sorpreso? Disgustato? 

Ma Rin sembrava sereno, quasi felice. Gli permise di baciare e leccare il suo dito prima di sfilarglielo dolcemente dalla bocca con un’ultima carezza. Poi Rin si mise il suo stesso dito in bocca come a succhiare l’essenza di Ai che vi era rimasta appiccicata. 

“A presto, Aiichiro” disse a voce bassa, facendogli un occhiolino. Poi gli diede le spalle e uscì dalla stanza.