PROLOGO
La
strada era buia e umida. Il cielo coperto da nuvoloni più scuri della notte
nascondeva la maggior parte delle piccole stelle, alcune se ne riuscivano a
scorgere se si guardava attentamente. La luna era piena, quella notte di giugno,
e la sua luce fioca veniva riflessa dalla sottile striscia d’acqua presente
sull’asfalto ruvido. Gli alberi che affiancavano la strada gocciolavano, e ogni
goccia che lasciavano cadere veniva catturata dalla fine erba, che copriva le
radici robuste. La strada era deserta, nessun tipo di rumore si udiva, solo il
motore di una macchina che passava di tanto in tanto. Il silenzio regnava in
quell’enorme spazio aperto. Quel silenzio che smise di essere tale quando dei
passi svelti percorsero quel tratto di strada. Erano passi delicati ma decisi,
come quelli di una ballerina.
Sempre
con lo stesso ritmo imboccarono l’ingresso del parco e lo attraversarono fino a
rallentare quando trovarono un’aiuola piena di piante e fiori di ogni genere.
Sembravano passi esperti quando entrarono in quel piccolo spazio nascosto, e si
fecero strada tra le piante. Sembravano passi sicuri, passi vissuti, ma tutto
ciò apparteneva a una ragazza che di sicuro non aveva nulla. Continuò a
camminare velocemente fino a trovare il posto più nascosto di tutti, respirò a
fondo e fissò il suo sguardo oltre quella muraglia di piante. Osservò la strada
buia in cerca di qualcosa, di qualcuno.
Quando si accertò che non ci fosse nessuno si sedette sull’erba bagnata, si
appoggiò al tronco di un albero, il più grande, e spostò il suo sguardò verso
il cielo. Restò ferma per un tempo breve, chiudendo gli occhi, fece un respirò
profondo e sobbalzò quando sentì un fruscio poco distante da lei. Aprì gli
occhi di scatto e si portò le ginocchia al petto aspettandosi il peggio. Spostò
lo sguardo velocemente verso destra, sinistra e poi di fronte a lei, ma tutto
era tornato silenzioso. Quel silenzio che mette inquietudine, che fa paura e
lei di paura ne aveva tanta. Troppa. Ritornò a fissare quelle poche stelle che
non erano coperte dai nuvoloni, e si chiese se quello che aveva fatto era stato
giusto, se tutto ciò che aveva progettato era stato solo uno stupido errore. Si
chiese se tutto ciò l’aveva fatto per rabbia o perché, davvero, voleva avere
una vita. Una vita vera che fosse gestita da lei e non dagli altri. Una vita
che fosse piena di sogni realizzati e da realizzare, una vita che fosse piena e
non vuota. Voleva riempirla quella vita, voleva averne una sua, diversa, e non
uguale a quella degli altri. Voleva sognare, sbagliare, rimediare, provarci e
riprovarci. Voleva tutte quelle cose che fino adesso le erano state negate.
Voleva
ricominciare da capo e lasciarsi alle spalle quello che ormai faceva parte del
passato. E ci sarebbe riuscita, a ricominciare. Fino a quel momento non si
accorse di star fissando due stelle più grandi e più luminose delle altre,
erano due stelle vicine; continuò a tenere lo sguardo fisso su di esse, sorrise
tristemente e si portò la mano al collo, dove se ne stava appoggiata un collanina
con un ciondolo a forma di stella. Prese il ciondolo tra le dita, lo osservò e
se lo strinse tra la mano, lo strinse forte come se qualcuno avesse potuto
portarglielo via, come se qualcuno avesse portato via un altro pezzo della sua
vita e lei non voleva. Non voleva più perdere niente, perché la vita le aveva
già portato via gran parte della sua esistenza.