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Autore: Veruska Marija    29/07/2014    3 recensioni
"La prima volta che la vidi pensai che fosse solo una pazza, una fan che si spingeva al limite pur di incontrarmi, ma mi sbagliavo."
A New York durante una pausa dalle riprese di The Originals una ragazza entra nella vita prima tranquilla di Joseph Morgan. Lei ha un passato problematico che fatica a raccontare e Joseph vuole aiutarla. Vuole conoscerla e pian piano riesce a farle svelare i propri demoni, quelli che l'avevano fatta finire in una casa di cure dalla quale la ragazza è scappata.
P.S. In questa storia la relazione tra Joseph e Persia White non esiste.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joseph Morgan, Joseph Morgan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I can’t stand alone against my demons
 
1. And I met her
 
La prima volta che la vidi pensai che fosse solo una pazza, una fan che si spingeva al limite pur di incontrarmi, ma mi sbagliavo.
Era un pomeriggio di luglio e mi trovavo a New York, nella mia lussuosissima suite, ero appena uscito dalla doccia e indossavo solo un paio di pantaloni. Il mio unico desiderio era quello di stendermi a letto e rilassarmi un po’, ma la vidi fuori dalla mia finestra e tutto cambiò. Era di spalle, magra, aveva i capelli castani e lisci raccolti in una coda di cavallo. Indossava una maglia bianca che poi scoprii essere dell’Hard Rock Café, un paio di semplici jeans chiari e delle All Star nere. Per un attimo fui attratto dalla sua semplicità, ma poi la rabbia iniziò a crescere dentro di me. Come poteva essere così incosciente da arrampicarsi così in alto e rischiare la vita solo per incontrarmi?! Qualcuno si sarebbe sentito lusingato, io no. Feci per chiamare la sicurezza quando sentii una voce amplificata da un megafono che diceva “Stai calma e, per favore, non buttarti.”.
Realizzai che non era una fan che voleva colpirmi facendo qualcosa di eclatante, era una ragazza che voleva togliersi la vita e il caso, il destino, il fato o qualunque cosa fosse, l’aveva mandata al mio hotel, al mio piano, alla finestra della mia camera. Non sapevo cosa fare, avevo paura che se l’avessi spaventata si sarebbe gettata nel vuoto senza pensarci. Mi rassicurai quando da in piedi si mise seduta, anche se così aveva le gambe a penzoloni nel vuoto. Poi però si sporse in avanti e non potei che agire d’impulso. Aprii la finestra e le circondai la vita con un braccio, sussultò e cercò di dimenarsi, ma non aveva abbastanza forza per contrastarmi e fu facile portarla all’interno della camera. Ero lì, in piedi, con la ragazza tra le braccia che si contorceva dicendo che dovevo lasciare che si buttasse quando gli uomini della sicurezza dell’hotel fecero irruzione nella mia suite.
-Signor Morgan, deve scusarci per l’inconveniente e, soprattutto, perché non siamo intervenuti tempestivamente. Grazie mille per aver salvato la ragazza, ora ce ne occupiamo noi.
-No!
La ragazza urlò quel monosillabo e iniziò a piangere disperata cercando una via di scampo e provando a riavvicinarsi alla finestra. Ero confuso, ma non mi piaceva per niente il modo in cui quel gorilla aveva pronunciato l’ultima frase, quindi la decisione che presi fu quella di non lasciargli la ragazza.
-Tranquilli, può riposarsi un po’ qui nella mia stanza, potete anche mandare un medico e quando si sentirà meglio se ne andrà.
-Signor Morgan, questa ragazza ha rubato una carta di credito, non può permettersi la stanza di cui stava facendo uso, ha fornito all’hotel un documento falso e abbiamo appena scoperto che è scappata da un centro di cura fuori città circa due settimane fa.
-Pagherò io la sua stanza e la cauzione se la polizia vuole arrestarla, ma adesso uscite dalla mia camera, è tutto sotto controllo.
Usai il tono più sicuro e duro che potei e fui convincente, i tre uomini lasciarono la stanza ed io feci sedere la ragazza su una poltrona ben lontana da qualsiasi finestra.
Si sedette senza guardarmi, teneva le gambe unite e fissava i propri pugni appoggiati sopra le ginocchia, li stringeva così tanto che le nocche delle dita erano quasi bianche. Fui di nuovo indeciso sul da farsi, ma dopo qualche istante di esitazione mi sedetti per terra davanti a lei. Non parlava, non mi guardava e così mi presentai.
-Io sono Joseph, Joseph Morgan, tu sei?
Mi stupii della dolcezza che avevo usato nel pronunciare quelle parole, ma tutto quello che volevo era che si fidasse di me e che non avesse paura.
Esitò anche lei per un secondo e poi, per la prima volta, mi guardò in faccia. Aveva gli occhi scuri, un nasino alla francese e la bocca piccola. Non aveva niente di particolare che facesse in modo che rimanesse impressa nella mente di uno sconosciuto che la incrociava per la strada, ma questo non significava che non fosse bella.
-Jocelyn Demiens. So chi sei e… grazie per avermi fatto rimanere.
Le sorrisi e le chiesi se volesse qualcosa, accettò solo un bicchiere d’acqua e così glielo portai. La guardai bere e in quei secondi che mi sembrarono un’eternità la mente mi si affollò di domande su ciò che avevo appena fatto. Temetti che la ragazza fosse pericolosa, se voleva fare del male a sé stessa perché non avrebbe dovuto farne a me? Sembrava una persona dolce e tranquilla, ma non bisogna mai fidarsi dell’apparenza. La soluzione era indagare su di lei.
-Posso chiederti perché sei scappata dalla clinica? E perché ci eri ricoverata? Quanti anni hai? Vuoi chiamare dei parenti? I tuoi genitori? Hai fratelli o sorelle?
Alla sesta domanda mi fermai e aspettai le sue risposte, ma non arrivarono. Rimase lì in silenzio e mi accorsi che a ogni mia domanda si era raggomitolata sempre di più su quella poltrona cercando, invano, di scomparire. Avevo sbagliato e cercai di migliorare la situazione.
-Scusami per la mia curiosità, è comprensibile che tu non voglia rispondere. Se vuoi farti una doccia il bagno è da quella parte, dopo la camera da letto, il minibar è qui di fianco se avessi fame o sete, insomma fai come se fossi a casa tua. Io sarò di là.
Detto questo mi avviai verso il letto, dormire mi sembrava da maleducati, quindi abbandonai il mio piano iniziale e mi misi a ripassare il copione di The Originals: la mia pausa nella Grande Mela durava solo una settimana.

Credo fossero passate due ore da quando avevo lasciato sola la mia ospite, se così potevo definirla, quando la vidi finalmente alzarsi per andare al bagno. Era rimasta pressoché immobile per tutto il tempo. Continuai tranquillamente ciò che stavo facendo finché non sentii il rumore di un bicchiere frantumarsi sul pavimento di marmo.
Bussai alla porta del bagno e parlai:
-Tutto ok? Era il bicchiere con lo spazzolino da denti, vero? Chiamo perché vengano a pulire e portarne un altro.
Ancora una volta non ottenni alcuna risposta e il mio istinto mi disse di aprire la porta. Quello che vidi mi scioccò. Non era stato un incidente, distrazione o goffaggine, il bicchiere l’aveva rotto di proposito. Teneva il pezzo più grande nella mano destra e con forza si lacerava la pelle del polso sinistro. I tagli, vicini ad altre cicatrici che prima non avevo notato, sembravano profondi dalla quantità del sangue che in quel poco tempo era sgorgato dalle sue vene e che sporcava il lavandino che da bianco era diventato scarlatto. Le presi il vetro dalle mani, attento a non ferirmi a mia volta, e lo gettai nel cestino. Subito presi un asciugamano e tentai di fermare l’emorragia. Fortunatamente le ferite che si era inflitta erano orizzontali, non verticali, e riuscii nel mio intento. Per tutta la durata dell’operazione nessuno dei due aveva proferito parola ed io, onestamente, non avevo intenzione di dire più nulla, l’avrei ospitata fino alla mattina seguente e poi l’avrei riportata al suo centro di cura. Per il momento la cosa più sensata da fare era tenerla sotto controllo costantemente per evitare che si facesse del male per l’ennesima volta.
Chiamai per far pulire il bagno e intanto era arrivata l’ora di cena. Jocelyn era ritornata sulla sua poltrona ed io non avevo nessuna voglia di convincerla a seguirmi al ristorante dell’hotel, in quel momento il potere di soggiogare le persone di Klaus mi sarebbe stato davvero utile, ma non possedendolo nella vita reale dovetti optare per il servizio in camera.
-Chiamo per farci portare la cena, tu cosa vuoi?
Silenzio. Quella ragazza iniziava ad irritarmi seriamente, tutta la mia bontà e la mia pazienza si erano esaurite con la storia del bagno.
-Senti, potresti collaborare almeno un po’?
Annuì con la testa e aprì la bocca per poi dire con un soffio di voce:
-Scegli tu.
Non conoscendo i suoi gusti ordinai un po’ di tutto sperando che qualcosa le piacesse.

Dopo nemmeno un’ora arrivò la cena, ci sedemmo uno davanti all’altro e le dissi di servirsi per prima, io avrei mangiato quello che lei non voleva. Mi sorrise sinceramente, aveva uno di quei sorrisi che raramente si vedono nelle persone e la mia rabbia nei suoi confronti si placò quasi totalmente, ero come ipnotizzato da quella sua espressione di gratitudine. Grazie a quel suo sguardo arrivai persino a pentirmi di essermela presa precedentemente.
Ovviamente per tutta la durata della cena aprì la bocca solo per mangiare, ancora nessuna parola dopo la presentazione.
Finita la cena avrei avuto voglia di uscire, ma con Jocelyn sarebbe stato tutto molto complicato per un’infinità di motivi, così mi gettai sul divano e accesi la tv. Anche lei si alzò da tavola, credevo sarebbe tornata a quella che ormai era la sua poltrona, invece, si sedette per terra davanti a me e iniziò a parlare.

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Salve a tutti!
Spero che il primo capitolo di questa storia vi sia piaciuto e che continuate a seguirla! Se poi lasciate una recensione, anche con qualche consiglio o ciritica, mi rendete davvero felice.
Grazie mille per aver letto fino a qui. :)
Veruska Marija
   
 
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