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Autore: SunVenice    29/07/2014    0 recensioni
Atreia è in subbuglio. Dai mortali due nuove classi di guerrieri stanno ascendendo verso Sanctum e Pandemonium a grandi battiti d'ali. La torre dell'Eternità trema dalle fondamenta gemelle. Ali spezzate tinte di rosso si pongono tra due eterni nemici. Una morte senza senso. Una risata antica e grottesca. "Il momento è giunto."
Intro. Arrivano i Mietitori!
01. Io spavento, tu annoia (Nhefti/Allegre) “Ma io non ho soldi…” I denti bianchissimi della maestra di spiriti si scoprirono in un ghigno.“Chi ha parlato di comprare?”
02. Fatti abbaracciare (Nohant/Raxelle) Raxelle esplose letteralmente in un pianto disperato.“Sigh…sob.. Che devo fare Alle?" [...] “Non sappiamo nulla di lei.” Continuò l’assassina, afferrando con gesto elegante, ma rigido, il bicchiere posto davanti a lei “Abbiamo una sola possibilità.”
03. Beneducato esibizionismo (Ledylight)
04. Due idioti ed una capanna (Kajan/Pamfile/Koichizenigata) Coming Soon!!
Raccolta partorita in onore dei miei amici di Legion!! Enjoy!
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Memorie del Sanctum:

Fatti abbracciare

 

“Dai Allegre. Fatti abbracciare da zia Nhef, su.” Sorrise melliflua Nhefti.

La barda scosse ancora una volta la testa, appiattendosi contro il muro più di quanto le sarebbe stato possibile, pronta a scappare di nuovo.

Lei non aveva mai avuto paura di Nhefti, ma in quel momento ne era terrorizzata.

Camminando lenta verso di lei, Fenice Rossa l’aspettava a braccia aperte, sfoggiando un sorriso così pulito e rilassato da risultare inquietante.

La musicista deglutì.

“No.” negò nuovamente e si spostò di lato, evitando quindi un altro abbraccio che, ne era certa, avrebbe ricongiunto definitivamente la sua anima ad Aion prima del tempo.

Tornò a premere la schiena contro la superficie fredda di un’altra parete e Nhefti continuò ostinatamente ad avvicinarsi con volto sorridente.

Ledy ridacchiò con voce argentina proprio mentre Nohant, braccia al petto e maschera come sempre calata sul viso, si frappose tra la musicista e la sciamana, pronta con un immediato scatto ad impugnare le proprie lame e far desistere Fenice Rossa dai propri malsani propositi.

Non che ci fosse mai riuscita.

Ledy sporse le labbra con fare infantile, assumendo un’espressione pensierosa che fece sbavare spudoratamente Koichi, il loro fulvo clerico nano, nascosto poco più in là dietro un muretto con gli occhi chiari illuminati da una luce sinistra.

Essere una legione composta da una netta maggioranza di donne aveva anche i suoi lati negativi, purtroppo…

A parte l’inquietante presenza del loro nano maniaco, più Ledy ci pensava più  si rendeva conto che Nohant, dall’alto della sua esperienza di assassina consumata, non fosse mai effettivamente riuscita a fermare quella furia di Nhef.

Il che la diceva lunga sul destino di Allegre…

Ridacchiò di nuovo, spostando la propria attenzione verso la punta delle sue scarpe nuove di zecca, sperando in cuor proprio che qualcuno se ne accorgesse e facesse dei bei complimenti a proposito del suo ineguagliabile buon gusto.

Si perse la scena di Nhefti che, incurante della presenza della Bianca e con uno slancio di pura rabbia omicida che avrebbe fatto esultare un’orda di asmodiani inferociti, superò abilmente la figura ben più alta dell’assassina, allargando le braccia verso la musicista in un modo che Nohant avrebbe più tardi paragonato alle zampe artigliate di un grosso felino.  

Il tintinnio del campanello nascosto nella punta dell’archetto precedette una fuga dallo scatto talmente epico e repentino che  per un istante Ledy si chiese se Allegre non avesse usato una qualche magia per smaterializzarsi e sottrarsi alla presa mortale della sciamana.

“Torna qui!!!”

Neanche a dirlo, la musicista era partita alla volta di una qualsiasi parte remota del santuario galleggiante con le ali ai piedi ed il diavolo, quasi in senso letterale, alle calcagna.

Ammutoliti da quanto successo, nessuno di loro si accorse dell’arrivo di altri due legionari, almeno finchè Kajan, sacerdote cantore e loro più recente acquisto dopo Allegre, non si fece avanti con un’uscita degna del suo soprannome.

“Buongiorno signore! La mattinata non sarebbe potuta iniziare meglio senza l’incantevole presenza dei vostri volti ad illuminarmi questa fredda aria invernale!”

“L’Adulatore” si beccò certamente un’occhiataccia da parte di Nohant, purchè nascosta dietro la maschera rossa, ed uno sbuffo mezzo esasperato e mezzo divertito da parte di Alby che da dietro un guanto di tessuto nero pregiato soffocò una risata che avrebbe potuto ferire i sentimenti del suo allievo.

“Oh, Kaji.” Sospirò con una mano all’altezza del cuore Ledylight con fare lusingato, allungando poi un manina guantata verso i capelli violacei ed ingellati del mulatto, accarezzandoglieli “Sei il solito tesoro.” 

Kajan non era quello che si poteva definire un normale sacerdote e questo, Nhefti ne era sempre stata malignamente certa, aveva influito molto sulla sua entrata in legione. 

Prima di tutto la sua condotta era tutto fuorchè modesta e semplice. 

Esattamente come Ledy, perennemente alla ricerca di qualche indumento che la facesse notare ed adulare dagli altri deva, Kajan adorava stare al centro dell’attenzione, specie di quella femminile.

“Allegre ha fatto arrabbiare Nhef un’altra volta?” chiese avventatamente Alby, osservando da lontano la sciamana richiamare con un fischio il suo drago da cavalcatura e ritornare all’inseguimento della biondina.

Kajan alzò di scatto la testa, allargando gli occhi in piena apprensione, lasciando così Ledy priva di attenzioni.

“Cosa?! Che ha fatto stavolta il mio dolce tesoro?”

C’era da precisare che l’Adulatore affibbiava a qualunque esemplare dell’altro sesso quel particolare appellativo e che mai, in nessuna occasione, aveva sentito Allegre aprire bocca. Per questo per lui la musicista appariva ancora come un esserino innocente e delicato.

Nella legione non ce ne era uno che non avesse scommesso su quale sarebbe stata la sua reazione dinanzi ad una sgraziata performance vocale della biondina.

Per il momento il suicidio era quotato 10:1… 

“Ha mandato a monte una missione cadendo da un dirupo.” spiegò Nohant.

“E per andarla a ripescare ci siamo fatti scappare la presa della fortezza di Roah” terminò Ledy ammirando le sue unghie smaltate in maniera impeccabile.

Albyone si bloccò per un istante, guardando il Cantore delle Ossa mentre si rimirava la manicure con fare non curante, quasi quanto appena detto non la toccasse minimamente.

Tutti i presenti, Kajan compreso, sapevano però che per la sacerdotessa dai capelli rosa farsi soffiare una roccaforte dell’Abisso era motivo di grande stress.

Non solo le altre legioni minori avrebbero colto al balzo l’occasione per beffarsi del loro insuccesso, ma la sacerdotessa delle ossa avrebbe dovuto fare personalmente rapporto alla loro prima ufficiale, la quale, in quanto figura più alta in carica delle loro file, avrebbe dovuto personalmente dare notizia del loro clamoroso fallimento al cospetto di Lady Ariel, accostata dai restanti primi ufficiali degli altri eserciti.

Albyone ebbe quasi paura a chiedere più dettagli:

“Chi ha conquistato la fortezza?”

“Gli Inviati.”

A quella risposta le spalle fasciate di nero dello stregone si rilassarono.

 Allegre aveva ancora una possibilità di sopravvivenza.

Per lo meno non erano stati i Vendicatori a soffiare loro la vittoria.

“Ehi, ma dov’è Raxelle?” si svegliò d’un tratto Ledy, tornando finalmente a guardare qualcosa di diverso dalle proprie unghie.

Tutti si guardarono reciprocamente, ma nessuno riuscì a dare risposta al Cantore delle Ossa.

Solitamente la loro più valida guaritrice accompagnava con la sua slanciata ed elegante presenza la Bianca e Ledylight, ma quel giorno non si era vista da nessuna parte e la cosa stava cominciando a preoccuparli.

 

 

Allegre si sporse con fare circospetto oltre il bordo scheggiato di una cassa dietro cui si era nascosta, oscillando le iridi tonde e nere da una parte all’altra della via degli ormeggi, facendo finta di non notare gli sguardi straniti dei vari Shugo intenti ad assicurare le loro preziose navi mercantili volanti al porticciolo secondario del Sanctum.

Ancora non riusciva a capacitarsi di come fosse riuscita a raggiungere sana e salva il dock esterno senza che Nhef la sorprendesse ad aggrapparsi disperata ad una delle gondole galleggianti che vagavano libere nell’abisso, separante in due la zona principale della capitale, ma non sarebbe certamente restata ferma ad aspettare che Fenice Rossa apparisse davanti alla statua di teletrasporto e la sorprendesse mentre cercava di mimetizzarsi in uno dei carichi illegali dei suoi mercanti pelosi “preferiti”.

Oh Lady Siel, ti prego, fammi arrivare a domani. - Pregò, inspirando una lunga boccata d’aria per farsi forza.

Accanto a lei uno Shugo più grande degli altri e dall’aspetto incattivito da alcune chiazze di pelo mancanti ed una benda sull’occhio, iniziò a grugnire nella sua direzione con l’espressione di chi ha un pelo sotto al naso che gli sta dando troppe rogne per i propri gusti.

La musicista decise in quel momento di levare le tende, prima di incappare nelle ire di qualcun altro oltre a quelle della compagna sciamana.

Fu proprio in quel momento che un fragore assordante la fece sobbalzare e ritirare nuovamente nel suo rifugio improvvisato con uno squittio tutt’altro che femminile.

Si aspettò di vedere gli occhi di ghiaccio di Nhefti comparire dal nulla e lanciarle una fattura del terrore, ma, invece di dover fare i conti con i propri fantasmi, la bionda si ritrovò nuovamente adocchiata da un’orda di Shugo interdetti. 

Si rese conto con un certo imbarazzo di essersi agitata solo per un po’ di frastuono proveniente dalla taverna Dionysia. Non era strano che qualche deva troppo brillo si mettesse ad incoraggiare cori stonati, o peggio, che venisse risposto con altrettanto entusiasmo, ma, nonostante non fosse la prima volta che le sue orecchie si ritrovassero costrette a sopportare simili scempi musicali, seppur lontani, notò, forse con un po’ troppo di ritardo, una sottile nota melodica, delicata…femminile.

Con la fronte corrugata e le labbra rosse strette, Allegre si concentrò per poi spalancare di scatto le palpebre, inorridita e dimentica della propria situazione.

Un’attimo dopo la era sparita con la stessa velocità con cui era venuta, lasciandosi alle spalle un mucchio di mercanti pelosi confusi e sbuffanti.

 

Raxelle “Tocco di Luce” era sicuramente una delle più pacate e deliziose guaritrici di tutta Elysea.

Bionda, slanciata e con un carattere degno di una principessa delle fiabe mortali, era uno dei molteplici sogni proibiti dei rampolli meno ambiti della società elisiana. Non c’era un solo deva sano di mente che non sognasse di rivolgerle la parola almeno una volta nella vita, benchè fosse ben nota a tutti la sua appartenenza alla sgangherata combriccola dei Mietitori .

Il problema sorgeva quando la dolce Raxelle accettava suo malgrado da bere da uno di suddetti sconosciuti.

Non che quella volta la guaritrice fosse stata così avventata da compiere lo stesso errore di qualche mese prima, durante il quale Nohant era intervenuta dando al colpevole un motivo per camminare verso casa con andatura a dir poco equivoca e dopo il quale, purtroppo, Genon il barista aveva decretato che non avrebbe più servito alchol per un paio di settimane, grugnendo, ogni volta che intercettava una minima occhiata supplichevole da parte dei suoi più fedeli tracannatori di sidro, qualche appassionata invettiva contro il “veleno degli dei”. 

No…

Quella volta “Tocco di Luce” non aveva avuto bisogno di essere lusingata dai modi convincenti di un  seduttore dagli evidenti doppi fini, per lasciarsi andare al richiamo di un boccale di Lisheri, opportunamente corretto.

“Avanti Ganoooon!hic! Non fare il tirchio! Un altro giro per i miei amiciiii!!!”

Sconsolatamente immobile all’entrata della taverna Allegre guardò la sua maestra guaritrice sgambettare in modo provocante e far volteggiare per aria quello che una volta doveva essere il suo mantello di legione, oramai spiegazzato ed imbevuto di chissà che tipo di sugo, con un sorriso da ebete stampato sul viso, arrossato ed evidentemente brillo, il tutto nel mentre era intenta a cercare di dar voce ad una malinconica e romantica canzoncina che di melodico aveva solo il suo timbro vocale, risaputamente gradevole e dolce.

“Just be frieeeends!! All we gotta dooo! Just be frieeends! It’s time to say goodbyeee! Just be frieeends!!!Just be frieeeeends!!!!! Just be frieeeeeeeeeeends!!!!!!”

Si ritrovò a soffrire nell’ascoltare quello scempio. Certo, lei non avrebbe potuto fare di meglio, anzi, una sua performance vocale avrebbe probabilmente frantumato le ultime fondamenta che sorreggevano e trattenevano i due poli di Atreia dal disgregarsi del tutto, ma, essendo votata alla musica, aveva orecchio per certe cose ed udire una canzone tanto bella cantata tra i fumi dell’alchol in quella maniera, mise a dura prova il suo povero cuore d’artista.

Attorno a lei un’orda di ubriaconi sbavanti si godeva lo spettacolo, aspettando pazientemente che la sua compagna iniziasse, come da copione, ad accennare ad uno spogliarello “di beneficenza”.

“Vogliamo -hic- movimentare la giornata ragazziii??”

Un boato entusiasta esplose per il locale.

Ecco. Appunto.

Si spalmò una mano in faccia, sospirando affranta.

Tra tutti i momenti possibili Rax aveva scelto proprio quello in cui lei stava rischiando di essere stritolata da uno spirito di terra di Nhef, per annegare i propri dispiaceri sentimentali in un boccale di liquore.

Si fece coraggio ed avanzò verso il bancone. Venne accolta da un lungo fischio di apprezzamento da parte di uno dei commensali, ma non ci fece caso.

Arrivata ai piedi della guaritrice, ancora presa dal dar sfogo alla sua anima di ballerina mancata, anche se con un repertorio non proprio vasto, Allegre prese un respiro profondo e cominciò a sventolare una mano per attirare l’attenzione della bionda, senza però avere successo.

“Rax!” esclamò infine ad alta voce, sconvolgendo sul nascere un altro fischio di apprezzamento che morì assieme a quello del rumore generale fino a sparire.

Sigh… quando parlava davanti a dei deva sconosciuti quella reazione era anche una delle migliori.

Al suono della sua voce l’altra bionda abbassò lo sguardo smeraldino, esplodendo in in urletto estasiato.

“Allleeeeeeegreeeeee!” esultò lanciando le braccia in aria “Sei venuta a vedermi cantare! Dai fammi da accompagnamento musicale!! Daaaaaiiiii!”

Ti prego Rax.” Rispose la musicista mettendo le mani avanti e senza mai smettere di tenere conto dei propri dintorni, certa che presto o tardi Nhefti si sarebbe fatta viva. Sfoggiò il migliore sguardo da cucciola del proprio repertorio e con voce naturalmente strozzata dall’ansia si rivolse alla guaritrice supplichevole:

“Nhef mi sta cercando.”

“Ma è stupendoooooo! Così facciamo un coro a tree!”

Ci mancò poco che non si mettesse la testa tra le mani, disperata. Quanto diamine aveva bevuto per ridursi così?

Doveva cambiare tattica.

Con quanta più cautela possibile si sporse sul bancone, allungando con lentezza ponderata le mani verso la bionda che, oltre ad essere ancora convinta di essere la più brava ballerina del Sanctum, sembrava sul punto di crollare.

“Dai Raxelle, adesso scendi, ti siedi e bevi qualcosa. Così parliamo un po’, va bene?”

La guaritrice le rivolse un sorriso mal assemblato e le si gettò letteralmente addosso, rischiando di trascinarla con sé sul pavimento e dare così un nuovo motivo agli ubriaconi lì attorno per esplodere in un rinnovato coro di fischi esultanti.

Allegre non capì come, ma, nonostante l’amica non fosse di grande aiuto facendole da peso morto, riuscì a trascinarla ed a piazzarla sulla sedia più vicina senza inciampare neanche una volta.

Mugolando come una bambina a cui le era stata appena negata una fetta di torta, Raxelle, si a accostò al bancone con la testa sulle braccia, nascondendo così il volto e la cosa non lasciò indifferente Allegre, che le si sedette accanto, domandandole preoccupata.

“Che cosa è successo Rax? Pensavo tu bevessi solo a casa tua.”

A risponderle fu un altro mugugno da parte della guaritrice.

Accigliandosi leggermente la musicista le si accostò ancora più vicino a lei, poggiando anche lei le braccia sulla superficie legnosa del banco, per poi domandare con quanta più morbidezza nella voce le fu possibile:

“Si tratta di El?”

Non l’avesse mai detto, Raxelle esplose letteralmente in un pianto disperato.

Allegre scattò all’indietro, non aspettandosi una reazione tanto estrema. 

Rax singhiozzava vistosamente a testa bassa, la fronte calcata quasi con rabbia sul legno umidiccio del banco, senza accennare a volerla alzare.

“Siigh. Mi tratta come un’ignorante totaleeee!” proruppe infine con una voce tanto acuta che qualche cliente riuscì a trovare la forza di arricciare il naso e scuotere la testa infastidito.

Allegre si ritrovò le braccia della maestra guaritrice intorno al collo e la sua testa immersa nella sua spalla, inzuppandole il vestito singhiozzo dopo singhiozzo.

“Su Rax su…” tentò di consolarla con qualche pacca di conforto sulla schiena, ma persino lei, che solitamente dispensava consigli, si ritrovò senza niente di buono da dire.

Sapeva perfettamente a chi si stesse riferendo Rax, biascicando lamentele pietose tra i singhiozzi.

Dopotutto, pensò amaramente, solo una persona riesce a ridurla in questo stato.

Si trattava di Elra, suo fratello minore.

Erano anni che Raxelle cercava, inutilmente, di far rinsavire il fratello dai suoi malsani propositi di ricercare quante più formule, reliquie ed amuleti di origine oscura riuscisse a rintracciare, al solo scopo di accrescere il proprio potere. Allegre sospettava un complesso di inferiorità di fondo, ma non aveva mai esternato questa possibilità alla guaritrice, temendo una sua brusca reazione. Si sapeva che “Tocco di Luce” era particolarmente sensibile quando si parlava del suo dolce ed adorabile fratellino.

Il problema era che Elra non era nè dolce, nè tantomeno adorabile.

Le era già capitato di parlargli, un uomo alto e slanciato, per nulla corrispondente alla descrizione approssimativa e parziale fornitale da Rax, che le aveva fatto inizialmente pensare ad un ragazzino basso, ma particolarmente vivace e brillante.

Fatta eccezione per il suo aspetto, Allegre aveva speso poche ore a conversare con lui e si era presto ricreduta su ogni aggettivo che l’amica  guaritrice aveva dispensato in suo onore: non c’era nulla di innocente nei modi di Elra.

Certo, sapeva parlare e i suoi modi erano a dir poco impeccabili, ma la sua era una gentilezza dettata da malizia ed interesse.

Le dispiaceva per Raxelle, ma la realtà, per quanto dura da accettare, era una ed una soltanto: Elra era una serpe dal viso d’angelo.

Affascinante, pelle diafana, occhi di un colore paragonabile solo all’acqua cristallina delle coste di Verteron, capelli candidi, lineamenti del viso praticamente perfetti, ma la sua anima era nera.

Allegre ne aveva conosciuta di gente come lui: Daeva accecati dalla propria immortalità, tronfi, ottusi, avidi

Il santuario elisiano era pieno di certi esemplari.

Persino la grande biblioteca che dava su Divine Road pullulava di tomi contenenti resoconti in merito. 

La più eclatante che la barda riusciva a ricordare era quella di cui più di tutte le era stato difficile reperire informazioni: il caso della truffa delle ascensioni. 

Si trattava di una serie di atti orribili perpetrati da elisiani ascesi e più preoccupati a mantenere un tenore di vita degno di un immortale, truffando i mortali con false promesse di dar loro accesso al segreto dell’immortalità in cambio di denaro, che a difendere Atreia, gettandosi sul campo di battaglia. 

Addirittura, in una nota volante lasciata forse per sbaglio da un altro lettore dedito all’argomento,  si narrava di un deva elisiano asceso e della sua compagna mortale, la quale, presa dalla disperazione dall’essere stata abbandonata dall’uomo che amava, per giunta incinta di suo figlio, si era buttata da un dirupo.

La cosa che aveva fatto accapponare la pelle di Allegre non fu tanto leggere dell’atto disperato ed insensato della donna, quanto della reazione del deva asceso alla notizia della morte della propria compagna:

«Che sciocca. Come poteva anche solo pensare che un deva scelto da Aion potesse abbassarsi a convivere ed accettare una discendenza mortale?» citava il foglio, scandendo le parole esatte pronunciate dal meschino.

Il nome del porco in forma elisiana non figurava sul documento, ma se mai le fosse capitato tra le mani, Allegre non avrebbe esitato a presentarsi sulla sua soglia e trascinarlo senza pietà oltre un Rift privo di qualsivoglia tipo di indumento od arma per proteggersi da eventuali attacchi asmodiani.

A parte i suoi desideri di vendetta verso quel particolare caso, non le era mai stato tanto difficile tenersi a dovuta distanza da simili individui, cambiando strada, facendo finta di non considerarli, o meglio, non vederli, ma poi Rax le aveva presentato Elra, forse nella speranza che il fratello, nel conoscere un’adepta di Siel, sarebbe in qualche modo tornato sulla retta via, e le sue vecchie tattiche avevano perso ogni efficacia.

Elra non si lasciava mai scoraggiare.

A costo di braccarla per mezza Sanctum, riusciva sempre a sorprenderla ed a strapparle suo malgrado qualche informazione in più sull’Ordine dei Musicisti.

Non era ancora riuscita a scoprire a cosa gli servissero quelle poche e scarne notizie sul suo ordine, ma il suo intuito le diceva che non doveva trattarsi di nulla di buono.

Sigh…sob.. Che devo fare Alle? Sono anni che provo a farlo ragionare… ma lui continua a…a…BLEAHRG!

Allegre avrebbe volentieri incitato l’amica a continuare quell’interessante monologo incentrato sulle attività del fratello, se non fosse stato che avesse appena vomitato l’anima sul bancone della taverna, provocando l’urlo esasperato di Ganon.

Ormai il girone dei tracannatori era crollato scompostamente sotto il peso dei fumi dell’alcol, quindi i testimoni non furono molti, ma ciò non tolse che alla musicista toccò interporsi tra il taverniere e l’amica, succedendo con prontezza scuse e promesse di risarcimento che certamente non avrebbero trovato riscontro coi fatti, essendo il suo portafogli vuoto come non mai.

Si erano trovate infine, loro malgrado, a sedere fuori sul grande tappeto musicale a forma di pianoforte, con il loro nome sulla lista nera del locale almeno per i successivi 3 mesi.

Un lamento pentito grattò la gola di Raxelle, ora avvolta in una corperta di lana ruvida prestatale da una delle cameriere particolarmente solidale con il suo dolore.

“Mi dispiace Alle.”

Allegre alzò un sopracciglio biondo.

“E di cosa Rax?”

“Ti ho fatto bandire dal Dyonisia e ti ho trattenuta con la storia di mio fratello, proprio mentre Nhef sta cercando di farti la pelle.”

La musicista rammentò la propria situazione, ma non ne fece una tragedia: ormai erano passate ore dacché l’inseguimento era iniziato e se Nhef non si era ancora fatta vedere da quelle parti, voleva dire che aveva trovato cose più importanti da fare.

E poi Rax sembrava troppo sconvolta: il suo viso impallidito, puntellato naturalmente da un velo di lentiggini, era in quel momento solcato da sfoghi venosi e violacei, i suoi capelli si erano come spenti, assumendo una colorazione malsana e le spalle le tremavano violentemente. Probabilmente tra il malessere del doposbornia ed il vento invernale il suo corpo stava soffrendo l’equivalente di un’influenza umana.

Le circondò le spalle con un braccio, cullandole la testa verso l’incavo della sua spalla.

Non se la sarebbe sentita comunque di abbandonarla lì.

Passarono un po’ di tempo ad ascoltare in silenzio l’ululare dell’inverno, finchè Rax, ormai prossima a crollare addormentata non si decise a sussurrare un’ultima cosa: 

“Alle… El non è così cattivo, io lo so.”

El proprio non si meritava una sorella come Raxelle.

Da qualche parte avrebbe riservato un Rift anche per lui.

 

 

 

“Quando riuscirò a metterle le mani addosso…”

Nhefti continuava a sibilare la stessa cosa da ormai una buona mezz’ora, spronando con secchi colpi di redini il proprio drago da cavalcatura a procedere più velocemente. 

Dietro la fontana nei pressi del molo delle Areonavi? Nulla.

Nelle gabbie del Colosseo? Nulla.

Sotto le sottane di Myrtil? NULLA.

Gli occhi gelidi della sciamana si ridussero a due fessure.

C’era un solo posto che non aveva ancora controllato.

Rischiando di mozzare il respiro al proprio drago con un paio di potenti speronate ai fianchi, Nhefti fece voltare la propria cavalcatura, indirizzandola verso il molo dell’Areonave, che puntualmente, oscillava pigramente tra l’isola principale del Sanctum ed il Molo Esterno, sul quale si adagiava la Taverna Dionysia.

Si premurò di lasciare al suo adorabile cucciolo carnivoro uno Shugo da tormentare, in modo tale che si tenesse occupato mentre lei partiva alla volta di una sessione di torture a scapito di una certa musicista inetta, prima di dirigersi a passo militare verso il molo.

Purtroppo non andò come previsto.

Ferma come come una statua, e con quella stramaledettissima maschera rossa a forma di drago calata sul viso, Nohant l’aspettava a braccia conserte, spade accortamente lasciate dentro le proprie fodere ed un piede che tamburellava allo stesso ritmo della propria impazienza.

“Che vuoi Nohant?” ringhiò a denti stretti. In altre circostanze la sciamana non avrebbe esitato a distribuire incantesimi del terrore come caramelle e saltare senza troppe remore sulla prima areonave a propria disposizione, ma Nohant era un caso particolare.

“Non puoi andare alla taverna Dionysia. ”

Ah. Allora era lì che si nascondeva l’inetta bestiolina!

“Balle. Fammi passare. Ora.” 

Nhefti.”

In un attimo il petto le si congelò.

Erano poche le volte in cui l’assassina la chiamava col suo nome per intero, senza diminutivi informali o vezzeggiativi melensi, partoriti da quella malata di Ledy appositamente per farla incazzare. Anche se col volto coperto, Nohant sapeva benissimo come farle intendere di essere mortalmente seria. 

Dobbiamo parlare.

Il suo corpo agì istintivamente: dopo aver strappato dalle mascelle del suo draghetto uno Shugo terrorizzato, oramai con più chiazze di pelo mancanti che altro, e riprese le redini del rettile, invocò automaticamente un portale per la sua dimora ad Oriel.

“Andiamo.” E facendo cenno alla Bianca di seguirla, saltò oltre la sagoma elegante del passaggio, drago al seguito e dimentica dei propri propositi vendetta.

 

La casa di Nhefti occupava uno dei pochi posti privilegiati della Sunset Coast, tra le tenute signorili del rinomato villaggio di Silverspire, “cuspide d’argento”, un nome che la diceva lunga su quanto al mese i proprietari dovessero sborsare per mantenere il proprio tenore di vita.

Personalmente Nhefti non aveva mai trovato difficile pagare la retta mensile imposta dalla comunità di Oriel: i suoi affari andavano a gonfie vele e i suoi fidi Shugo non mancavano mai di chiamarla ogni giorno consegnarle l’importo dovuto della giornata.

Fu la prima a sedersi al tavolo posto in un angolo della stanza, intimando con un’occhiataccia eloquente il proprio maggiordomo peloso di starsene zitto e levare cortesemente le tende. 

Quando Nohant arrivò lo shugo si era già defilato e la conversazione potè inziare quasi immediatamente, dopo aver opportunamente chiuso a chiave il portone principale, ovviamente.

“Allora, di cosa volevi parlarmi Nohant?” Chiese con fare tra il seccato e l’annoiato.

“Lo sai bene, Nhefti.”

Fenice Rossa, sospirò, avvertendo un grosso peso poggiarlesi sulle spalle.

“Ti ho già detto che è inutile che tu ti preoccupi, Nohant. Sono io quella che rischia di essere stata scoperta, non tu.”

L’assassina alzò un braccio e scostò seccamente la maschera che fino ad allora aveva sempre coperto il suo viso.

Indubbiamente Nohant era una splendida creatura: oltre a possedere un incarnato perfettamente chiaro ed uniforme, i suoi occhi erano di un viola strabiliante, paragonabile solo alle ametiste più pure di Eltnen, taglienti ed attenti come quelli di un felino, ed i suoi capelli, forse un po’ ispidi per via della sua continua negligenza sul fatto di spazzolarli, si presentavano candidi come la neve, interrotti da un’unica ciocca rosata che spuntava dalla cima della testa, dove lei li aggrovigliava ed assicurava in un unica funzionale coda.

La prima volta che Nhefti vide in viso Nohant era stato nell’Abisso: erano entrambe occupate a resistere ad un paio di asmodiani in cerca di rogne, quando d’improvviso l’assassino avversario che era occupato con lei, decise improvvisamente di cambiare obbettivo, andando a colpire con un secco colpo di pugnale il volto della Bianca.

La maschera le volò via e l’espressione furente dell’assassina fu solo il preludio del massacro a senso unico che ne seguì… 

“E io ti ho già detto come la penso.” L’apostrofò, senza però dare segno di volersi sedere insieme a lei “Voglio sapere quanto stiamo rischiando.”

“In che senso?” Non capiva.

Fu la volta di Nohant di sospirare, alzando la testa al soffitto ad occhi chiusi, probabilmente imponendosi un po’ di calma.

“Ti ricordi il giorno che scopristi chi ero?”

Oh. Eccome se lo ricordava.

Aveva guardato Nohant ricoprirsi di scaglie e maciullare senza pietà i due asmodiani, sventolando una coda e un paio d’ali draconiche nell’aria sulfurea dell’Abisso, prima di vedersela arrivare con un braccio artigliato alzato nella sua direzione.

Quella volta credette davvero di stare per essere spedita da Aion in persona senza possibilità di ritorno, ma poi la Bianca si era bloccata, gli occhi larghi nella consapevolezza di chi stesse effettivamente attaccando e, storcendo il naso, le aveva detto con una nota di disgusto nella voce stupefatta.

“Puzzi di asmodiano.”

Ed era iniziata così la loro segreta alleanza. Lei teneva la bocca chiusa sulla natura mezza-Balaur di Nohant e lei faceva altrettanto riguardo le sue origini asmodiane.

A seguito di quel piccolo incidente Nohant era arrivata addirittura a confidarsi con lei sulle vicissitudini che l’avevano condotta al Sanctum.

Non era stata inviata come spia, come molti idioti elisiani avrebbero potuto pensare: sua madre era una di quelle Gladiatrici elisiane ufficialmente perse in battaglia nell’Abisso, durante uno dei primi scontri con il popolo delle tenebre.

Victoria Hancock. Conosciuta per essere stata una delle migliori guerriere del santuario galleggiante, oltre che la più misteriosa. Nessuno aveva mai scoperto dove si recasse nel proprio tempo libero, nè cosa la spinse di punto in bianco a ritirarsi dal campo di battaglia, e questo portò alla nascita alcune voci che la ritraevano in combutta con gli asmodiani, oppure alla ricerca di qualche fantomatica vendetta personale. Nohant le confidò che sua madre fu la prima elisiana in assoluto a mettere piedi a Balaurea e che per amore di suo padre, un draconico che l’aveva protetta e salvata dai suoi simili quando più ne aveva avuto bisogno, aveva abbandonato la vita da guerriera per non dover più entrare in conflitto con altri Balaur. In seguito era nata lei, ma sua madre fu richiamata sul campo di battaglia - Nohant ipotizzava che fosse stata addirittura minacciata - e lì aveva trovato la sua fine per mano di un asmodiano. I rapporti col padre e la sua gente si inasprirono col passare degli anni, tanto che Nohant giurò al padre che, se mai se lo fosse trovato davanti in battaglia, non avrebbe esitato a piantargli una spada in gola. Al Sanctum venne accolta con tutti gli onori, essendo per nome e per aspetto la degna figlia di Victoria, e nessuno sospettò mai che potesse essere una figlia meticcia di stirpe Balaur.

“Certo che me lo ricordo.” Asserì con un poco di stizza Nhefti, afferrando un calice di vino e portandoselo alla bocca, avvertendo la gola improvvisamente secca. “Scopristi che ero per metà asmodiano con una sola annusata. Ed io non puzzo, sia chiaro.” Puntualizzò, scolandosi un lungo sorso di vin brulè.

Nohant scosse la testa.

“Non è questo il punto Nhefti. Io e te funzioniamo perché nessuna delle due può tradire l’altra senza esporsi. Ci conosciamo da così tanto tempo che sarebbe impensabile che una di noi due vendesse l’altra. Capisci? Noi possiamo fidarci l’una dell’altra.”

La sciamana inarcò un sopracciglio scuro.

“E con Allegre?”

“Ho qualche dubbio.” Ammise incerta, dondolandosi un po’ sulle proprie gambe. 

Era nervosa.

“Ti ho già spiegato che non c’è nulla di cui preoccuparsi. Allegre è innocua.”

“Vorrei crederti, Nhefti. Ma mi serve molto più di una tua semplice speculazione.” Detto questo la Bianca si sedette con lei al tavolo.

Finalmente. Iniziava a darle sui nervi vedersela lì impalata come un obelisco sentinella.

“Che cosa sappiamo veramente di Allegre?”

La gola le si seccò nuovamente, intuendo dove l’altra volesse andare a parare.

“Non sappiamo nulla di lei.” Continuò l’assassina, afferrando con gesto elegante, ma rigido, il bicchiere posto davanti a lei “Non sappiamo da dove viene, le sue origini, dove abbia imparato l’asmodiano… In tutti questi mesi è stata una compagna di legione perfetta… fatta eccezione per alcune gaffe da novellina…” si corresse prontamente intercettando una sua occhiata dubbiosa.

Ciononostante la maestra di spiriti non poteva darle torto.

Allegre si era sempre resa disponibile verso gli altri, propensa ad imparare ed a rasserenare gli animi quando necessario, ma non si era mai aperta completamente. Quando si trattava degli altri le sue orecchie erano sempre aperte, ma riguardo se stessa teneva la bocca ben cucita.

“…,ma non abbiamo niente su di lei.”

Nhefti si morse le labbra, accorgendosi di quello che le era appena uscito di bocca.

Ne seguì un lungo silenzio pregno di tensione.

“Che cosa proponi?”

Nohant sospirò.

“Abbiamo una sola possibilità.”

Gli occhi azzurri di Fenice Rossa saettarono verso la Bianca.

No. Assolutamente no. Non l’avrebbe accettato.

Si alzò di scatto e si diresse alla finestra, rifiutandosi fisicamente di prestare orecchio ad una proposta tanto abbietta. Poteva anche essere il deva più cinico del Sanctum, ma una cosa simile non l’avrebbe neanche lontanamente potuta concepire…

“Cerchiamo quante più informazioni possiamo su Allegre.”

Si girò, stupita.

“E da lì decideremo cosa fare. Nel frattempo la terremo d’occhio.”

Rimase in piedi a fissare l’assassina con espressione ebete, per poi scoppiare in una risata derisoria verso se stessa.

Che idiota che era stata. Nohant non si sarebbe mai sognata di arrivare ad uccidere una propria compagna così, solo per uno stupidissimo dubbio.

“Pensavi che avrei proposto di ucciderla??” le arrivò la voce scandalizzata dell’altra.

Ah. Allora c’era arrivata.

Si asciugò gli occhi dalle lacrime e si massaggiò la pancia dolorante.

“Per uno stupidissimo istante, Nonnina, ma stai tranquilla. Ero sotto l’effetto del vin brulé.”

“Allora, riuscirai a tirarle fuori qualche informazione?” sbuffò l’altra, non curandosi del proprio nomignolo dovuto alla propria capigliatura nivea.

“Puoi scommetterci.” Sghignazzò lei di rimando, per poi tornare mortalmente seria “Dobbiamo comunque stare attente a come muoverci Nohant. Un conto è che abbia veramente capito chi sono, un altro sarebbe vuotare il sacco senza rendermene conto. Dovrò andarci con i piedi di piombo.”

Nohant annuì e si ricalcò la maschera sul viso, a simboleggiare che il loro colloquio era terminato.

“Nhefti!Nhefti!”

Al suono di una voce fuori dall’uscio, accompagnata da una serie di colpi sulla porta, le due sobbalzarono.

Nhefti si accostò alla porta.

“Chi diavolo è che scassa le ampolle??” sbraitò con le mani sui fianchi.

Assurdo. Teneva quella maledettissima porta aperta e non veniva mai nessuno. La volta che invece si decideva per necessità a sprangarla, si decidevano a venirla a molestare!

“Sono Pamfile! Ti scongiuro, apri!”

Lei e Nohant si scambiarono uno sguardo preoccupato.

Non era tanto il fatto di avere fuori dalla porta uno dei loro chierici migliori ad averle messe in allarme, quanto il tono strozzato ed incline al pianto che aveva assunto la voce della loro compagna.

Nhefti spalancò la porta, ritrovandosi dinnanzi la loro piccola deva guaritrice nana dai capelli rossi fiammanti, il viso solcato da righe inesauribili di lacrime.

“Oh Nhef! E’ un disastro! Un disastro!” singhiozzò la ragazzina con il volto tra le mani.

“Che succede Pam?” si alzò Nohant, correndo ad abbracciarla.

La più bassa non perse l’occasione, gettandosi tra le braccia dell’assassina e affondandole il viso nel petto.

“La spedizione per Tiamaranta! Sono stati attaccati da un un Signore Dragone! E Lady Veille…Lady Veille!”

Una nuova cascata di pianti le proruppe dal petto, mettendo a dura prova i nervi di Nhefti.

“Che cosa, Pam?!” la incitò, seccata.

“Lady Veille è rimasta indietro! Non sanno nulla. L’hanno abbandonata a terra sul campo di battaglia!”

“Oh Aion…” sussurrò esterrefatta Nohant da dietro la maschera.

Lady Veille era una delle Incantatrici elisiane più potenti, sotto il comando diretto di Kaisinel in persona. 

Il suo potere non aveva eguali.

Com’era stato possibile?

“A quanto ammontano le perdite?”

La graziosa nana si scostò da Nohant, notevolmente più calma rispetto a prima, e si asciugò le guance.

“Più di metà esercito.”

Aion, era stata una fortuna che a seguito dell’ultimo insuccesso la loro legione fosse stata esonerata dal partecipare alla missione.

“L’altra metà… sniff…è stata messa in salvo su un’areonave da … una strana popolazione.”

Una strana… cosa??

Intuendo la loro confusione Pam si affrettò a puntualizzare.

“La lettera che mi ha inviato la mia conoscente parla di uomini e donne con occhi rossi e capelli bianchi…e delle strane ali spezzate rossicce sulla schiena.”

Ali spezzate di colore rosso?!

“Dicono di chiamarsi…”

Rovistando tra le proprie tasche la rossa tirò fuori un pezzo di pergamena spiegazzo e lo sondò con lo sguardo scuro fino a che non trovò quanto cercato.

Reians.”

   
 
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