Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    29/07/2014    4 recensioni
Sono passati ormai tre mesi dalle ultime avventure dei nostri protagonisti e molte cose sono cambiate: Semir non è più in polizia, Clara aspetta un bambino e Ben ha un nuovo collega. Ma cosa succederà quando un nuovo caso piomberà tra le mani della polizia autostradale? Una storia di viaggi in terre lontane, di ricerche, amori e tradimenti, di amicizia, di fiducia e di paura. Un turbinio di fatti che sconvolgerà le vite degli ispettori toccandole una per una, questa volta forse con troppa violenza.
Consiglio, nonostante non sia necessario, di leggere prima di questa le altre storie della serie per comprendere meglio alcuni punti della trama.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Jager, Kim Kruger, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dieci ritagli di Cobra 11'
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Inferno

Il suono di uno sparo riecheggiò forte nell’aria e il vetro della finestra andò in pezzi.

«Mapporca...!» imprecò Semir scansando il proiettile giusto di qualche millimetro «Giù, state giù!».
Tutti si abbassarono impauriti e Marie cominciò a singhiozzare silenziosamente, tenendo stretta la mano della mamma.
Ben e Semir si scambiarono un’occhiata veloce: i criminali avevano deciso di attaccare. La notte era passata tranquilla nonostante nessuno in quella stanza avesse effettivamente chiuso occhio ma a quanto pareva Schwarzer non si era affatto dimenticato di attuare la sua vendetta.
Max guardò l’orologio: le undici e venti, anche la prima parte della mattinata non aveva riservato sorprese, ma tutti sapevano che prima o poi quel momento sarebbe arrivato.
«Dobbiamo uscire dall’albergo!» esclamò Ben.
Bronte annuì e sollevò appena la testa per controllare la situazione fuori dalla finestra quando un altro sparò risuonò nell’aria.
«Commissario, si vuole far ammazzare?!» lo rimproverò Semir estraendo la pistola.
Ben prese per mano Rebecca, che aveva in braccio la bambina, e tutta la comitiva raggiunse piano la porta per correre poi velocemente giù per le scale e raggiungere la hall dell’albergo.
Fu allora che li videro: erano sette, vestiti di nero e armati di mitragliette, stavano entrando dall’ingresso principale dell’hotel e presto se ne sarebbero aggiunti altri.
Max si guardò attorno, interdetto: dove era finito tutto il personale dell’albergo?
«Bastardi, erano d’accordo anche con loro.» commentò mentre la rabbia gli montava dentro a dismisura. Ogni attimo che passava si rendeva sempre più conto di che razza di persona fosse quell’uomo che lui da piccolo aveva chiamato “papà”.
«Svelti, usciamo dalla porta sul retro!» esclamò Ben e tutti lo seguirono fuori dall’hotel, mentre i criminali entravano e si guardavano attorno. Ma non ci volle molto perché capissero che gli sbirri erano fuggiti dall’altro ingresso.
Cominciò un vero e proprio inseguimento, dove però erano gli uomini di Schwarzer a seguire i poliziotti e non viceversa come sarebbe dovuto essere.
Corsero, corsero, corsero a perdifiato per le stradine strette di El Fahim, incuranti della pioggia, incuranti degli sguardi dei pochi passanti che assistevano attoniti ma non intervenivano.
Corsero per un tempo che a loro sembrò interminabile, uno dietro all’altro, girandosi di tanto in tanto a sparare ai loro inseguitori.
Fino a che all’orizzonte non scorsero una struttura rettangolare.
«L’aeroporto.» mormorò Max, allo stremo delle forze.
Non avrebbero dovuto dirigersi lì, rischiavano di mettere a rischio la vita di persone innocenti, ma d’altra parte non avevano molta scelta con i criminali che li tallonavano a pochi metri di distanza. Almeno forse lì ci sarebbero stati degli agenti di sicurezza disposti ad aiutarli...

 

Andrea atterrò in perfetto orario e si diresse in fretta verso la sala principale dell’aeroporto, ma venne sommersa da una marea di persone. Cosa stava succedendo? Come poteva esserci così tanta gente in un aeroporto così piccolo e secondario?
Udì dei rumori che riconobbe come colpi d’arma da fuoco e si sentì gelare il sangue nelle vene: temette di essere arrivata troppo tardi.

~~~

Hartmut si precipitò nella stanza trovando Kim Kruger intenta in un fitto colloquio con suo cugino. Aveva un’espressione dolorante sul volto e il viso era particolarmente pallido, segno che ancora la donna sentiva le conseguenze dell’intervento subìto.
Ma il tecnico non fece caso a tutte queste cose, agitato com’era.
«Commissario, abbiamo ripreso le comunicazioni. Ci ha contattato l’aeroporto di El Fahim, non può capire cosa sta succedendo!».

~~~

Il delirio.
Era esattamente questo che si stava consumando nel piccolo ma affollato aeroporto di El Fahim: il delirio.

Mentre alcuni agenti di sicurezza dell’edificio tentavano di tenere sotto protezione la folla, che confusa gridava e scappava, gli uomini di Schwarzer si avviavano sempre più verso l’interno, ormai facendosi strada solo a colpi di pistola.
Ben, Semir, Max e Bronte correvano, gridando di tanto in tanto alla folla di allontanarsi, mentre Rebecca e Marie erano riuscite a trovare riparo dietro uno dei banconi dove si effettuavano i check-in. Quando i quattro fuggitivi furono raggiunti, quello che era stato fino ad allora un delirio si trasformò in un vero e proprio inferno.
Il gruppo si fermò davanti alla sala di attesa dell’aeroporto, che venne sgombrata ad una velocità incredibile, e i criminali diedero inizio ad un vero e proprio conflitto a fuoco, che durò un’infinità di tempo.
Ben si riparò dietro una fila di sedie cercando di riprendere fiato e da lì controllò la situazione: alcuni dei pochi agenti della polizia turca che erano intervenuti in loro aiuto, forse i pochi non ancora corrotti da Schwarzer, erano a terra, feriti. Fuori dal grande cerchio immaginario che si era costruito autonomamente attorno a loro, una valanga di gente assisteva gridando spaventata alla scena a distanza di sicurezza. In lontananza già si udivano le sirene delle ambulanze che accorrevano, probabilmente chiamate dal personale dell’aeroporto.

Max, Semir e Bronte erano ancora in piedi e sparavano schivando i colpi dei criminali.
Quella in cui erano coinvolti sembrava una gara a chi avrebbe ammazzato prima l’avversario, una scena orribile.

Ben rimase immobile al sicuro ancora qualche secondo: aveva bisogno di riprendere fiato e capire come e quando agire.

 

Quando un agente addetto alla sicurezza spiegò ad Andrea il motivo per cui non si poteva passare, la donna si sentì mancare. Una sparatoria... Semir doveva essere coinvolto. Il terrore si impadronì di lei e nel giro di pochi secondi si ritrovò a dover supplicare la guardia perché la lasciasse passare.
«Signora, è troppo pericoloso, è in corso un conflitto a fuoco, rischia di essere colpita.» spiegò l’uomo per l’ennesima volta, in inglese.
«La prego... lei non sa... voglio solo sapere se mio marito è vivo, la prego!» gridò Andrea ormai con le lacrime agli occhi.
«Suo marito preferirebbe che lei stesse al sicuro, ne sono certo. Stia qui, tra poco sarà tutto finito.» la rassicurò l’uomo addetto alla sicurezza.
La donna scosse in capo piangendo disperata.
Poi successe l’imprevedibile.

 

Ben tentò di capire quale fosse il momento ideale per entrare in campo. Molti erano a terra, feriti, ma forse la polizia stava finalmente cominciando ad avere la meglio.
Fu allora che vide. Vide Semir che, distratto dal grido di un agente turco appena colpito, si voltò leggermente per guardare. Vide Carl Schwarzer, che aveva notato solo ora essere tra gli inseguitori, approfittare della situazione e colpire... sì, Schwarzer in persona.
Semir si voltò nuovamente giusto in tempo per notare le dita dell’uomo che premevano il grilletto, ma non ebbe il tempo di reagire.
Sentì un forte dolore al braccio destro e la pistola gli cadde di mano.

 

Andrea riuscì finalmente a sfuggire al controllo della guardia e si fece strada tra la folla impaurita. Doveva raggiungerlo, doveva a tutti i costi, aveva un presentimento orribile. Spinse le persone che la ostacolavano, superò uomini e donne urlanti e piangenti, mentre sentiva gli spari sempre più vicini.
Qualche metro dietro di lei l’agente cercava di seguirla.

 

Semir strinse i denti portando la mano sinistra sul braccio sanguinante: era stato colpito solamente di striscio. Vide Carl Schwarzer sorridere beffardo.
«Lurido bastardo...» sibilò osservando come il criminale si metteva nuovamente in posizione per sparare, per finirlo.
Ben nel frattempo uscì dal suo nascondiglio per fermare Carl ma un altro dell’organizzazione gli tagliò la strada. Un combattimento corpo a corpo, rapido, violento, e il criminale fu a terra.

 

Finalmente Andrea riuscì a superare la marea di gente che aveva davanti e arrivò a quella che un tempo era stata la sala di attesa e che adesso sembrava essere diventata un semplice campo di morte. Numerosi agenti tentarono di fermarla, ma lei riuscì ad avanzare, in preda al panico: alcuni poliziotti e alcuni criminali giacevano inerti a terra, altri erano feriti. In piedi ormai rimanevano quattro o cinque persone.
Si fermò ed esattamente davanti a lei, che le dava le spalle, vide il marito, ferito e disarmato, nel mirino di un uomo.

 

Ben corse verso Carl Schwarzer, ma questo già stava premendo il grilletto.
«Semir, sta’ giù!» gridò con quanto fiato aveva in gola. Ma non riuscì a fermare il criminale prima che il colpo partisse dalla canna di quell’arma maledetta.
Il suono sordo rimbombò nell’aria chiusa dell’aeroporto.
Semir si gettò a terra appena in tempo.
Mentre Andrea non ebbe il tempo di accorgersi di nulla: sentì il suono dello sparo, vide il marito davanti a lei accasciarsi e temette che l’avessero colpito.
Ma nel giro di un attimo sentì un dolore lancinante in pieno petto.
E cadde a terra.

 

Ben gridò mentre Carl Schwarzer se la dava a gambe aiutato da Igor Kallman e da un altro criminale rimasto in piedi. Non provò a fermarli, era sconvolto. Andrea... perché Andrea era lì? Perché? La pistola gli cadde di mano mentre la donna davanti a lui, a qualche metro di distanza, cadeva a terra.
Semir non vide la scena. Si rialzò dolorante tenendosi il braccio e guardò Ben per ringraziarlo. Ma il ragazzo aveva gli occhi fissi su un punto alle sue spalle e il terrore dipinto sul volto. Il turco si voltò seguendo lo sguardo del collega.
E un intero mondo gli crollò addosso.
Rimase per un attimo come paralizzato prima di correre verso la moglie stesa a terra e inginocchiarsi accanto a lei, sollevandole la testa e tenendola tra le sue braccia.
«Andrea...» mormorò «Andrea, rispondimi...».
La donna mosse appena il capo e provò a dire qualcosa ma dalla sua bocca uscì solo un sussurro confuso.
Semir rimase immobile, non capiva. Non capiva come tutto ciò potesse essere vero, non capiva come sua moglie potesse trovarsi lì, a duemila chilometri da casa, non capiva. Era nel panico più totale, non capiva cosa stesse succedendo, dove si trovasse, cosa dovesse fare.
Fu Ben a togliersi la maglietta usandola come un fazzoletto per tentare di fermare l’emorragia mentre Max si avvicinava di corsa, senza curarsi del padre ormai lontano.
Ben tamponò la ferita cercando di rimanere freddo e lucido, cosa che in quel momento non riusciva a fare Semir, che osservava la scena come incantato.
«L’ambulanza sta arrivando.» esclamò Max tentando di tenere a bada con l’aiuto di Bronte e di alcune guardie la folla di curiosi e giornalisti che si era avvicinata.
Il commissario dell’LKA prese un giornalista per la manica del giubbotto e lo spinse violentemente indietro: «Allontanatevi, non c’è nulla da vedere, andate via.».
«S-Semir» chiamò Andrea mentre i sensi lentamente la abbandonavano. L’uomo si chinò per sentire.
«Semir... volevo... io volevo vedere se... se stavi bene.» tossì e ricominciò a parlare «io... io volevo...».
«Shhh» sussurrò Ben al posto del collega, continuando a tamponare la ferita «Andrea, non parlare... non ti sforzare... l’ambulanza sta arrivando. Andrà tutto bene, vedrai.».
Semir invece non disse niente, non fece niente. Era troppo sconvolto, non capiva, non riusciva a capire. Si limitò ad accarezzarle piano la testa sperando che tutto ciò non fosse vero.
Non proferì parola quando Andrea venne messa su una barella e caricata sull’ambulanza, niente quando Ben lo aiutò ad alzarsi. Non sentì le parole dell’amico, tutto gli appariva sfocato, i suoni erano ovattati e distanti.
«Semir... Semir, dobbiamo andare.» gli disse ancora Ben, trascinandolo letteralmente sulla prima macchina disponibile presente là fuori, chiesta in prestito dalla polizia locale.
Fu il viaggio peggiore della loro vita.
Ben, alla guida, seguiva l’ambulanza senza perderla d’occhio un istante, sfrecciando per le vie della città ad una velocità folle. Max, sul sedile posteriore, controllava Semir che invece, accanto a Ben, sembrava ancora completamente in trance. Era pallido come non lo avevano mai visto, gli occhi lucidi da cui però non sgorgava nemmeno una lacrima.
«Semir...» fece Max toccandogli una spalla e l’ispettore sembrò svegliarsi per qualche istante. Aprì la bocca per dire qualcosa ma non ne uscì alcun suono. Tornò a guardare fuori dal finestrino e poi chiuse gli occhi.
Non poteva essere vero: Andrea non aveva mai lasciato Colonia, non poteva essere vero.

 

Ed ecco a voi la tempesta prevista.
Grazie davvero a chi mi ha seguito fino a qui, ancora un capitolo e potremo mettere la parola “fine” a questa storia. Chi mi legge da tempo sa già che normalmente scrivo due finali per le mie storie e solo all’ultimo decido quale dei due pubblicare... quindi vedremo!
Un bacio
Sophie :D

  
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