Inferno
Il suono di uno sparo riecheggiò forte nell’aria e il vetro della finestra andò in pezzi.«Mapporca...!»
imprecò Semir scansando il proiettile giusto di qualche
millimetro «Giù, state giù!».
Tutti si abbassarono impauriti e Marie cominciò a
singhiozzare silenziosamente,
tenendo stretta la mano della mamma.
Ben e Semir si scambiarono un’occhiata veloce: i criminali
avevano deciso di
attaccare. La notte era passata tranquilla nonostante nessuno in quella
stanza
avesse effettivamente chiuso occhio ma a quanto pareva Schwarzer non si
era
affatto dimenticato di attuare la sua vendetta.
Max guardò l’orologio: le undici e venti, anche la
prima parte della mattinata
non aveva riservato sorprese, ma tutti sapevano che prima o poi quel
momento
sarebbe arrivato.
«Dobbiamo uscire dall’albergo!»
esclamò Ben.
Bronte annuì e sollevò appena la testa per
controllare la situazione fuori
dalla finestra quando un altro sparò risuonò
nell’aria.
«Commissario, si vuole far ammazzare?!» lo
rimproverò Semir estraendo la
pistola.
Ben prese per mano Rebecca, che aveva in braccio la bambina, e tutta la
comitiva raggiunse piano la porta per correre poi velocemente
giù per le scale
e raggiungere la hall dell’albergo.
Fu allora che li videro: erano sette, vestiti di nero e armati di
mitragliette,
stavano entrando dall’ingresso principale
dell’hotel e presto se ne sarebbero
aggiunti altri.
Max si guardò attorno, interdetto: dove era finito tutto il
personale
dell’albergo?
«Bastardi, erano d’accordo anche con
loro.» commentò mentre la rabbia gli
montava dentro a dismisura. Ogni attimo che passava si rendeva sempre
più conto
di che razza di persona fosse quell’uomo che lui da piccolo
aveva chiamato
“papà”.
«Svelti, usciamo dalla porta sul retro!»
esclamò Ben e tutti lo seguirono fuori
dall’hotel, mentre i criminali entravano e si guardavano
attorno. Ma non ci
volle molto perché capissero che gli sbirri erano fuggiti
dall’altro ingresso.
Cominciò un vero e proprio inseguimento, dove
però erano gli uomini di
Schwarzer a seguire i poliziotti e non viceversa come sarebbe dovuto
essere.
Corsero, corsero, corsero a perdifiato per le stradine strette di El
Fahim,
incuranti della pioggia, incuranti degli sguardi dei pochi passanti che
assistevano attoniti ma non intervenivano.
Corsero per un tempo che a loro sembrò interminabile, uno
dietro all’altro,
girandosi di tanto in tanto a sparare ai loro inseguitori.
Fino a che all’orizzonte non scorsero una struttura
rettangolare.
«L’aeroporto.» mormorò Max,
allo stremo delle forze.
Non avrebbero dovuto dirigersi lì, rischiavano di mettere a
rischio la vita di
persone innocenti, ma d’altra parte non avevano molta scelta
con i criminali
che li tallonavano a pochi metri di distanza. Almeno forse
lì ci sarebbero
stati degli agenti di sicurezza disposti ad aiutarli...
Andrea
atterrò in perfetto orario e si diresse in fretta
verso la sala principale dell’aeroporto, ma venne sommersa da
una marea di
persone. Cosa stava succedendo? Come poteva esserci così
tanta gente in un
aeroporto così piccolo e secondario?
Udì dei rumori che riconobbe come colpi d’arma da
fuoco e si sentì gelare il
sangue nelle vene: temette di essere arrivata troppo tardi.
~~~
Hartmut
si precipitò nella stanza trovando Kim Kruger
intenta in un fitto colloquio con suo cugino.
Aveva un’espressione dolorante sul volto e il viso era
particolarmente pallido,
segno che ancora la donna sentiva le conseguenze
dell’intervento subìto.
Ma il tecnico non fece caso a tutte queste cose, agitato
com’era.
«Commissario, abbiamo ripreso le comunicazioni. Ci ha
contattato l’aeroporto di
El Fahim, non può capire cosa sta succedendo!».
~~~
Il
delirio.
Era esattamente questo che si stava consumando nel piccolo ma affollato
aeroporto di El Fahim: il delirio.
Mentre
alcuni agenti di sicurezza dell’edificio tentavano di tenere
sotto protezione
la folla, che confusa gridava e scappava, gli uomini di Schwarzer si
avviavano sempre
più verso l’interno, ormai facendosi strada solo a
colpi di pistola.
Ben,
Semir, Max e Bronte correvano, gridando di tanto in tanto alla folla di
allontanarsi, mentre Rebecca e Marie erano riuscite a trovare riparo
dietro uno
dei banconi dove si effettuavano i check-in. Quando i quattro fuggitivi
furono
raggiunti, quello che era stato fino ad allora un delirio si
trasformò in un
vero e proprio inferno.
Il
gruppo si fermò davanti alla sala di attesa
dell’aeroporto, che venne sgombrata
ad una velocità incredibile, e i criminali diedero inizio ad
un vero e proprio
conflitto a fuoco, che durò un’infinità
di tempo.
Ben si riparò dietro una fila di sedie cercando di
riprendere fiato e da lì controllò
la situazione: alcuni dei pochi agenti della polizia turca che erano
intervenuti in loro aiuto, forse i pochi non ancora corrotti da
Schwarzer, erano
a terra, feriti. Fuori dal grande cerchio immaginario che si era
costruito
autonomamente attorno a loro, una valanga di gente assisteva gridando
spaventata alla scena a distanza di sicurezza. In lontananza
già si udivano le
sirene delle ambulanze che accorrevano, probabilmente chiamate dal
personale
dell’aeroporto.
Max,
Semir e Bronte erano ancora in piedi e sparavano schivando i colpi dei
criminali.
Quella in cui erano coinvolti sembrava una gara a chi avrebbe ammazzato
prima
l’avversario, una scena orribile.
Ben
rimase immobile al sicuro ancora qualche secondo: aveva bisogno di
riprendere
fiato e capire come e quando agire.
Quando
un agente
addetto alla sicurezza spiegò ad Andrea il motivo per cui
non si poteva passare,
la donna si sentì mancare. Una sparatoria... Semir doveva
essere coinvolto. Il
terrore si impadronì di lei e nel giro di pochi secondi si
ritrovò a dover
supplicare la guardia perché la lasciasse passare.
«Signora, è troppo pericoloso, è in
corso un conflitto a fuoco, rischia di
essere colpita.» spiegò l’uomo per
l’ennesima volta, in inglese.
«La prego... lei non sa... voglio solo sapere se mio marito
è vivo, la prego!»
gridò Andrea ormai con le lacrime agli occhi.
«Suo marito preferirebbe che lei stesse al sicuro, ne sono
certo. Stia qui, tra
poco sarà tutto finito.» la rassicurò
l’uomo addetto alla sicurezza.
La donna scosse in capo piangendo disperata.
Poi successe l’imprevedibile.
Ben
tentò di capire
quale fosse il momento ideale per entrare in campo. Molti erano a
terra,
feriti, ma forse la polizia stava finalmente cominciando ad avere la
meglio.
Fu allora che vide. Vide Semir che, distratto dal grido di un agente
turco
appena colpito, si voltò leggermente per guardare. Vide Carl
Schwarzer, che
aveva notato solo ora essere tra gli inseguitori, approfittare della
situazione
e colpire... sì, Schwarzer in persona.
Semir si voltò nuovamente giusto in tempo per notare le dita
dell’uomo che
premevano il grilletto, ma non ebbe il tempo di reagire.
Sentì un forte dolore al braccio destro e la pistola gli
cadde di mano.
Andrea
riuscì
finalmente a sfuggire al controllo della guardia e si fece strada tra
la folla
impaurita. Doveva raggiungerlo, doveva a tutti i costi, aveva un
presentimento
orribile. Spinse le persone che la ostacolavano, superò
uomini e donne urlanti
e piangenti, mentre sentiva gli spari sempre più vicini.
Qualche metro dietro di lei l’agente cercava di seguirla.
Semir
strinse i denti
portando la mano sinistra sul braccio sanguinante: era stato colpito
solamente
di striscio. Vide Carl Schwarzer sorridere beffardo.
«Lurido bastardo...» sibilò osservando
come il criminale si metteva nuovamente
in posizione per sparare, per finirlo.
Ben nel frattempo uscì dal suo nascondiglio per fermare Carl
ma un altro
dell’organizzazione gli tagliò la strada. Un
combattimento corpo a corpo,
rapido, violento, e il criminale fu a terra.
Finalmente
Andrea
riuscì a superare la marea di gente che aveva davanti e
arrivò a quella che un
tempo era stata la sala di attesa e che adesso sembrava essere
diventata un
semplice campo di morte. Numerosi agenti tentarono di fermarla, ma lei
riuscì
ad avanzare, in preda al panico: alcuni poliziotti e alcuni criminali
giacevano
inerti a terra, altri erano feriti. In piedi ormai rimanevano quattro o
cinque
persone.
Si fermò ed esattamente davanti a lei, che le dava le
spalle, vide il marito,
ferito e disarmato, nel mirino di un uomo.
Ben
corse verso Carl
Schwarzer, ma questo già stava premendo il grilletto.
«Semir, sta’ giù!»
gridò con quanto fiato aveva in gola. Ma non
riuscì a
fermare il criminale prima che il colpo partisse dalla canna di
quell’arma
maledetta.
Il suono sordo rimbombò nell’aria chiusa
dell’aeroporto.
Semir si gettò a terra appena in tempo.
Mentre Andrea non ebbe il tempo di accorgersi di nulla:
sentì il suono dello
sparo, vide il marito davanti a lei accasciarsi e temette che
l’avessero
colpito.
Ma nel giro di un attimo sentì un dolore lancinante in pieno
petto.
E cadde a terra.
Ben
gridò mentre Carl
Schwarzer se la dava a gambe aiutato da Igor Kallman e da un altro
criminale
rimasto in piedi. Non provò a fermarli, era sconvolto.
Andrea... perché Andrea
era lì? Perché? La pistola gli cadde di mano
mentre la donna davanti a lui, a qualche
metro di distanza, cadeva a terra.
Semir non vide la scena. Si rialzò dolorante tenendosi il
braccio e guardò Ben
per ringraziarlo. Ma il ragazzo aveva gli occhi fissi su un punto alle
sue
spalle e il terrore dipinto sul volto. Il turco si voltò
seguendo lo sguardo
del collega.
E un intero mondo gli crollò addosso.
Rimase per un attimo come paralizzato prima di correre verso la moglie
stesa a
terra e inginocchiarsi accanto a lei, sollevandole la testa e tenendola
tra le
sue braccia.
«Andrea...» mormorò «Andrea,
rispondimi...».
La donna mosse appena il capo e provò a dire qualcosa ma
dalla sua bocca uscì
solo un sussurro confuso.
Semir rimase immobile, non capiva. Non capiva come tutto ciò
potesse essere
vero, non capiva come sua moglie potesse trovarsi lì, a
duemila chilometri da
casa, non capiva. Era nel panico più totale, non capiva cosa
stesse succedendo,
dove si trovasse, cosa dovesse fare.
Fu Ben a togliersi la maglietta usandola come un fazzoletto per tentare
di
fermare l’emorragia mentre Max si avvicinava di corsa, senza
curarsi del padre
ormai lontano.
Ben tamponò la ferita cercando di rimanere freddo e lucido,
cosa che in quel
momento non riusciva a fare Semir, che osservava la scena come
incantato.
«L’ambulanza sta arrivando.»
esclamò Max tentando di tenere a bada con l’aiuto
di Bronte e di alcune guardie la folla di curiosi e giornalisti che si
era
avvicinata.
Il commissario dell’LKA prese un giornalista per la manica
del giubbotto e lo
spinse violentemente indietro: «Allontanatevi, non
c’è nulla da vedere, andate
via.».
«S-Semir» chiamò Andrea mentre i sensi
lentamente la abbandonavano. L’uomo si
chinò per sentire.
«Semir... volevo... io volevo vedere se... se stavi
bene.» tossì e ricominciò a
parlare «io... io volevo...».
«Shhh» sussurrò Ben al posto del
collega, continuando a tamponare la ferita
«Andrea, non parlare... non ti sforzare...
l’ambulanza sta arrivando. Andrà
tutto bene, vedrai.».
Semir invece non disse niente, non fece niente. Era troppo sconvolto,
non
capiva, non riusciva a capire. Si limitò ad accarezzarle
piano la testa
sperando che tutto ciò non fosse vero.
Non proferì parola quando Andrea venne messa su una barella
e caricata
sull’ambulanza, niente quando Ben lo aiutò ad
alzarsi. Non sentì le parole
dell’amico, tutto gli appariva sfocato, i suoni erano
ovattati e distanti.
«Semir... Semir, dobbiamo andare.» gli disse ancora
Ben, trascinandolo
letteralmente sulla prima macchina disponibile presente là
fuori, chiesta in
prestito dalla polizia locale.
Fu il viaggio peggiore della loro vita.
Ben, alla guida, seguiva l’ambulanza senza perderla
d’occhio un istante,
sfrecciando per le vie della città ad una
velocità folle. Max, sul sedile
posteriore, controllava Semir che invece, accanto a Ben, sembrava
ancora
completamente in trance. Era pallido come non lo avevano mai visto, gli
occhi
lucidi da cui però non sgorgava nemmeno una lacrima.
«Semir...» fece Max toccandogli una spalla e
l’ispettore sembrò svegliarsi per
qualche istante. Aprì la bocca per dire qualcosa ma non ne
uscì alcun suono.
Tornò a guardare fuori dal finestrino e poi chiuse gli occhi.
Non poteva essere vero: Andrea non aveva mai lasciato Colonia, non
poteva
essere vero.
Ed
ecco a voi la
tempesta prevista.
Grazie davvero a chi mi ha seguito fino a qui, ancora un capitolo e
potremo
mettere la parola “fine” a questa storia. Chi mi
legge da tempo sa già che
normalmente scrivo due finali per le mie storie e solo
all’ultimo decido quale
dei due pubblicare... quindi vedremo!
Un bacio
Sophie :D