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Autore: LeoValdez00    29/07/2014    4 recensioni
Leo ha otto anni e ha appena perso sua madre.
Nessuno sembra capire cosa prova.
Sarà costretto a nascondersi dietro il suo sarcasmo, le sue battute.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Leo Valdez
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Leo Valdez'
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Leo stava fermo immobile, con uno sguardo fisso.
Gli venivano fatte un mucchio di domande, ma era come se non le sentisse.
Era chiuso in una bolla e, di quello che avveniva al di fuori di questa, non gliene importava nulla.
Aveva già troppo da fare ad occuparsi di quello che succedeva nella sua testa e nel suo cuore.
Non aveva ancora aperto bocca da quando la polizia era venuto a prenderlo dopo l' incendio, in cui era rimasta uccisa Esperanza, sua madre.
Non aveva pianto, non aveva gridato, non aveva mostrato alcun sentimento.
Ma lui ne provava di sentimenti...
Dolore, rabbia, rimprovero...
Questi i principali.
Dolore per la perdita, rabbia contro la donna che gli aveva portato via l' unica persona che tenesse a lui, rimprovero per se stesso e per non essere riuscito a salvare la donna che più amava al mondo.
"Cos' hai fatto a tua madre?" chiese sbrigativo un poliziotto, forse per la decima volta.
Era la prima volta che Leo lo sentiva per davvero, anche se un po' ovattato, ma non sapeva come rispondere. Come si pronunciavano le parole? In che modo bisognava muovere la bocca?
Il ragazzo non lo sapeva, non lo ricordava.
Non riusciva nemmeno a guardare l' uomo, il suo sguardo era fisso contro il muro bianco sporco della centrale.
"Ehi ragazzo! Mi hai sentito o no?" chiese visibilmente irritato.
Cosa poteva rispondergli? Che una donna di terra aveva incendiato l' officina? Non gli avrebbe mai creduto.  Pensava che fosse lui il colpevole.
Il dolore lo riportò alla realtà.
Il poliziotto gli aveva dato uno schiaffo in pieno viso.
Più per istinto che per altro, gli occhi fiammeggianti di Leo si posarono furiosi sull' uomo.
"Sei vivo allora" disse lui sghignazzando.
Il ragazzo si alzò dalla sedia su cui era seduto e diede un pugno al poliziotto.
Dritto sul naso.
L' uomo urlò di sorpresa, mentre il sangue iniziava a macchiargli la camicia.
Leo si guardò le mani.
Cos' aveva fatto? Ma, soprattutto, perché l' aveva fatto?
Il poliziotto lo prese per il bavero e lo sollevò di dieci centimetri da terra.
"Stupido ragazzino, chi ti credi di essere?" grugnì, alzando il braccio, pronto a restituirgli il colpo.
All' improvviso, la porta della stanza si aprì con un gemito, e Leo vide entrare una donna in divisa.
"Agente, non si azzardi a toccare quel bambino!" disse con un tono che non metteva in discussione la sua superiorità di grado.
"Questo teppistello mi ha rotto il naso" rispose furibondo l' uomo.
"Vedo, ma non lo tocchi neppure con un dito, e vada a farsi medicare in infermeria" riprese la donna.
Il poliziotto uscì velocemente dalla stanza sbattendo violentemente la porta.
"Grazie" mormorò Leo.
Era la prima parola che pronunciava da quando era arrivato.
"Bene, abbiamo scoperto che non sei muto" disse lei con un finto sbuffo di sollievo.
"Cosa è successo?" gli chiese dopo qualche secondo.
Già, tutti volevano sapere cosa fosse successo.
Solo lui sembrava voler dimenticare.
Voleva fare finta che non fosse accaduto nulla di male, che una volta tornato a casa, sua madre lo stesse aspettando in officina per lavorare a qualcosa di nuovo.
Ma non poteva.
Sua madre non c' era più, di lei rimaneva solo cenere.
Leo pianse, davanti alla donna impassibile.
Le lacrime gli rigavano il viso, mentre lui abbassava la testa.
Un ragazzino.
Era soltanto un ragazzino spaventato che aveva appena perso sua madre.
La bolla esplose e lui iniziò a sentire distintamente tutti i suoni che lo circondavano, dalla macchinetta del caffè nella stanza affianco, allo strombazzare dei clacson in strada.
"Hai finito?" gli chiese la donna, mentre ancora singhiozzava.
"Non sono stato io" disse, tirando su con il naso.
"Ok... Come è andata allora?"
"Stavo uscendo dall' officina per tornare a casa e..." Leo non riuscì a finire la frase, poiché stava ancora singhiozzando.
"E cosa?" chiese lei, incitando il ragazzo a continuare.
"Ho visto una donna che ha dato fuoco a tutto. Ho provato ad aprire per entrare da mia mamma, ma era tutto sbarrato" disse con gli occhi lucidi.
"Come poteva essere sbarrato? Tua madre non si sarebbe mai chiusa dentro" disse la donna accondiscendente.
"Non lo so!" urlò Leo, in preda ad una crisi isterica.
Nessuno riuscì a cavargli qualcosa di più.
Lo mandarono all' assistenza sociale, dove cercarono di contattare i suoi parenti.
Zia Rosa fu la prima che incontrarono.
Lo chiamò 'Diablo' e lo cacciò immediatamente di casa.
I vari zii e parenti lontani non ne volevano sapere di quel ragazzino piantagrane.
I vicini di casa dissero che era strano, raccontarono anche che c' erano le impronte del bambino marcate a fuoco sul loro tavolo da giardino.
All' assistenza sociale, decisero di non farne parola, quando cercarono una famiglia affidataria.
Nella prima, Leo non durò un mese.
Scappò dopo che il fratellastro acquisito lo aveva chiamato idiota, e lo incolpava per la probabile futura separazione dei suoi genitori.
Il ragazzino scappò di casa una notte, dormendo vicino ad un cassonetto.
Le altre famiglie durarono massimo un paio di settimane.
Leo non si sentiva a suo agio con loro, si vedeva che avrebbero preferito non averlo in casa.
Piuttosto che restare con persone che non lo sopportavano, preferiva stare da solo.
Un giorno, dopo l' ennesima fuga, l' assistenza sociale decise di mandarlo alla "Scuola della natura", scuola dove i ragazzi problematici dovevano imparare le "regole della società".
Leo sapeva che era la fine.
Sapeva che sarebbe rimasto solo un' altra volta, che a nessuno sarebbe importato di quel ragazzino che creava solo problemi.
Decise di prendere in mano la situazione.
Non voleva più soffrire, così da quel momento si nascose dietro quello che meglio gli riusciva, il suo sarcasmo e le sue battute.
Riuscì a convincere tutti, anche se stesso, che stesse bene.
 
   
 
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