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Autore: mychela    30/07/2014    0 recensioni
{ sentimentale | romantico | longfic } { adolescenza | distanza }
Dal primo capitolo:
[...]«Mamma,» la fermai roteando gli occhi ed aprendo le braccia con i palmi delle mani rivolti al cielo. «A cosa vuoi arrivare, insomma?»
Mia madre sorrise, sebbene fosse abbastanza seccata. Avevo questo modo di fare, questo modo di parlare e di pormi nei suoi confronti che ogni volta che era in ansia, la calmava e la divertiva. Così riprese a parlare, apparentemente più tranquilla. «Tesoro di mamma, mi mancherai molto, sul serio!» esordì per poi scoppiare in una fragorosa risata, mentre si asciugava fugacemente qualche timida lacrima che le rigava le guance. «Sei cresciuta tantissimo, sul serio, mi sembra ieri che dormivi ancora nella culla… Ed ora invece eccoti qui, pronta a salire su questo treno e vai fuori a fare uno stage di danza, da sola… Sono così in ansia, dio santo! Divertiti amore, ma soprattutto impegnati e tieni gli occhi aperti, mi raccomando, non combinare pasticci! Se hai bisogno chiamami in qualsiasi momento, la mamma è sempre disponibile per te.»[...]
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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"penso mi mancherai per sempre"
capitolo 01 - new beginnings.
 

autrice: mychela
titolo: "penso mi mancherai per sempre"
sottotitolo: new beginnings
genere: romantico ; sentimentale
parole: 1361
eventuale dedica: //
note dell'autrice: boh, non so che dire. in questo periodo sono piena di ispirazione dunque.. eccomi qui, hehe. niente, spero vi piaccia gnaw♥.




«Bene eccoci qui, siamo arrivate.» sussurrò mia madre trascinando le mie valigie nei corridoi della stazione, le cui rotelle producevano un rumore estremamente fastidioso per me. Si fermò davanti una panchina e ci si sedette sopra, asciugandosi la fronte col dorso della mano; con l’altra nel frattempo mi aveva fatto segno di sedermi accanto a lei.
“Oh cavolo, ci risiamo.” pensai annoiata, capendo che stava per farmi uno dei suoi soliti discorsi su cosa potevo e non potevo fare.
«Lidia, piccola di mamma…» iniziò, torturandosi le mani con fare inquieto e lo sguardo assorto nel vuoto. «Ormai ti stai facendo grande… Hai ben quindici anni, cioè, sei diventata una ragazza ormai: abbiamo messo da parte bambole e sciocchezze per cose più serie, giusto? Ora frequenti il liceo linguistico, programmiamo viaggi all’estero e tutto, e soprattutto adesso aspiri a molto più della semplice esibizione in una modesta saletta della scuola di danza, non è così?»
«Mamma,» la fermai roteando gli occhi ed aprendo le braccia con i palmi delle mani rivolti al cielo. «A cosa vuoi arrivare, insomma?»
Mia madre sorrise, sebbene fosse abbastanza seccata. Avevo questo modo di fare, questo modo di parlare e di pormi nei suoi confronti che ogni volta che era in ansia, la calmava e la divertiva. Così riprese a parlare, apparentemente più tranquilla. «Tesoro di mamma, mi mancherai molto, sul serio!» esordì per poi scoppiare in una fragorosa risata, mentre si asciugava fugacemente qualche timida lacrima che le rigava le guance. «Sei cresciuta tantissimo, sul serio, mi sembra ieri che dormivi ancora nella culla… Ed ora invece eccoti qui, pronta a salire su questo treno e vai fuori a fare uno stage di danza, da sola… Sono così in ansia, dio santo! Divertiti amore, ma soprattutto impegnati e tieni gli occhi aperti, mi raccomando, non combinare pasticci! Se hai bisogno chiamami in qualsiasi momento, la mamma è sempre disponibile per te.»
Si alzò in piedi, e mi strinse forte a lei. Io socchiusi gli occhi, inspirando lentamente il suo profumo: sapeva di vaniglia, sapeva di casa, di sicuro. Ricambiai forte la stretta, mentre le lacrime di mia madre mi bagnavano le spalle.
«Dai mamma, è il 13 luglio, si muore di caldo, mi stai soffocando, lasciami!» esclamai per cercare di sollevarle il morale e strapparle un ultimo sorriso.
«Si avvisano i gentili passeggeri che il treno diretto a Scalea è in arrivo sul binario 04, siete pregati di recarvi tutti lì.» sibilò la voce gracchiante dell’altoparlante.
«E si avvisano inoltre, le mie gentili ballerine, di formare un unico gruppetto e salutare i proprio accompagnatori!» aggiunse una donna sulla trentina in una mise sportiva, in piedi su una panchina, con un sorriso rassicurante.
Sentii le mani di mia madre poggiarsi sulle mie spalle, ed io abbassai lo sguardo.
«Mi mancherai, mamma..» ammisi tristemente. Non era nel mio carattere confessare i miei punti deboli e cose del genere, quelle mie parole mi stupirono davvero. Mamma mi abbracciò di nuovo, ed io la strinsi forte di nuovo per un’ultima volta.
«Beh, ci si vede il mese prossimo, dolcezza. Prendi le valigie, su, non perdere tempo.» sussurrò. Poteva sembrare che con le sue ultime parole me ne stesse cacciando, ma in realtà stava di sicuro per scoppiare, e di certo non voleva farlo davanti a me, così le ubbidii e mi avviai con le valigie in una mano ed il cellulare nell’altra. Mi avvicinai al gruppo delle mie compagne di danza con un bel sorriso, ed in pochi minuti tutte mi piombarono addosso per salutarmi e chiedermi cosa avessi fatto durante il periodo di pausa dopo il saggio. Una ragazza però rimase in disparte, aveva i capelli rossi, gli occhi verdognoli fissi sul pavimento e una spruzzata di lentiggini sul volto. Era palesemente nuova, così mi avvicinai a lei lasciando le altre in disparte.
«Ehi!» esclamai alzandole il volto con una mano. «Piacere, sei nuova vero?»
La ragazza mi fissò negli occhi e per un momento un brivido mi percorse la schiena. Aveva gli occhi lucidi, evidentemente anche lei risentiva della lontananza dalla sua famiglia; non sembrava accennare alla minima risposta, così continuai a parlare io.
«Io mi chiamo Lidia, piacere.» dissi lasciandole il volto e porgendole la mano, la quale lei strinse con titubanza.
«Rebecca.» si limitò a rispondere, a voce bassa. Sembrava di poche parole ed abbastanza timida, così decisi di darle una mano ad ambientarsi e tutto.
«Quanti anni hai, Reb? Ah, ti spiace mica se ti chiamo “Reb”?» domandai osservando con curiosità le sue lentiggini. Erano davvero belle, ed avrei voluto farglielo presente, ma non lo feci per paura di sembrare troppo invasiva o chissà che.
«Ho quattordici anni e no, non mi spiace, mi piace quando mi si affibbiano soprannomi!» rispose, e finalmente sorrise. Ero felice di esser riuscita a farla sorridere in qualche modo, così sorrisi anch’io. «Scommetto che invece tu ne hai diciassette di anni, vero?»
«Eh?» feci stupita. «No no, macché! Ne ho quindici, sembro così grande?»
«…Dici sul serio?» Reb mi guardò stupita, squadrandomi dalla testa ai piedi. Un altro brivido mi percorse la schiena. Odiavo essere squadrata, mi faceva sentire dannatamente sbagliata e fuori posto, come se avessi qualcosa che non va bene, e questo fatto non mi piaceva affatto. «Cavolo sembri più grande, scusami!»
«Oh, figurati. Perlomeno ti ho spinta a parlare!» esclamai con aria soddisfatta, e la rossa arrossì leggermente. «Comunque, se vuoi possiamo sederci vicine nel treno, ti va?»
«Mh, va bene, mi farebbe piacere.» affermò allegra. «Ti darebbe fastidio se all’hotel chiedessimo di metterci nella stessa camera? Sai, non conosco nessuno… E poi tu mi sei simpatica, davvero…»
«Oh, che carina!» esclamai dandole un pizzicotto sulla guancia che era arrossita pesantemente, con fare affettuoso. «Per me non ci sono problemi, ne parlerò con Olivia, l’insegnante.»
«Va bene!» esclamò e i suoi occhi parvero illuminarsi. Sembrava davvero felice di avermi conosciuta, ed è una cosa che fa sempre piacere.
«Lidia, che fai, stai con le novelline?» rise fragorosamente Chantal, una ragazza altezzosa e di origini francesi. Di solito eravamo sempre andate d’accordo, ma quando iniziava a “criticare” gli altri, la prendevo in odio.
«Beh, sempre meglio di stare con le ochette, no?» ribattei alludendo alle sue fidate amichette che, assorte nei loro stupidi discorsi com’erano, non si resero conto della frecciatina. Chantal, però la capì, e si limitò a sbuffare e lanciarmi un’occhiata maligna.
«Ehm, ti spiego un po’ la situazione. La vedi quella biondina lì? Bene, lei è Chantal. Penso tu abbia intuito dal suo accento e dal nome, che abbia origini francesi. È una ragazza dal cuore d’oro, il problema è che devi trovarlo. Io ci sono riuscita, tuttavia abbiamo spesso screzi e ci lanciamo frecciatine, ma ci vogliamo bene, in fondo.» spiegai mentre ci avviavamo nel treno a Rebecca, che sembrava abbastanza disorientata. Nel frattempo si era avvicinata a me un’altra ragazza, dagli inconfondibili capelli azzurri e l’aria allunata.
«Buongiorno Lidia cara!» mormorò inclinando il volto da un lato. Notai subito che Rebecca osservava i suoi capelli con curiosità, e non potetti fare a meno di ridacchiare.
«’Giorno, Luna! Ti vedo allegra, neh?» feci io mentre lei guardava il cielo stringendo le labbra.
«Ho l’impressione che oggi pioverà… comunque sì, abbastanza.» rispose, per poi rivolgersi a Reb. «Tu sei nuova!»
«Ehm, sì.» confermò lei, porgendole la mano. «Sono Rebecca, lieta di conoscerti.»
Luna fissò la sua mano con aria pensierosa, quasi come se la stesse analizzando. Si limitò a rispondere solamente “Luna”, senza neanche rivolgere un’occhiata. Reb sembrava estremamente a disagio, così io m’intromisi.
«Vabbe Luna, noi andiamo, ci si vede quando arriviamo!» tagliai a corto, e portai via la rossa con me, mentre l’altra rimase in silenzio a fissarci mentre ci allontanavamo. «Non far caso a Luna, è abbastanza stramba, ma è una brava persona.»
«Non ne dubitavo, solo che aveva un’aria familiare…» rispose lei, posando le sue valigie sopra al portabagagli nella cabina.
«Mh.» mi limitai a borbottare posando anch’io le valigie. Mi sedetti sul mio sedile e m’infilai le cuffiette del cellulare nelle orecchie, mettendo la riproduzione casuale del lettore multimediale, mentre invece Reb si poggiò al finestrino osservando ciò che c’era fuori con aria afflitta. Sarebbe stato un luungo viaggio.

 
   
 
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