Noi due facevamo parte di due mondi diversi, vero? Due mondi diversi, ma legati tra loro in un profondo legame. Un legame indissolubile, profondo e molto stretto – da soffocare -.
Questo è quello che credevo, prima di assistere a ciò che avrei preferito non vedere: il tuo corpo, disteso, ricoperto di sangue, il tuo cuore che non batteva ormai più. Non potevi averlo fatto veramente, non tu. Ti chiamavo per nome, in tutti i modi che conoscevo, ma nulla. Era tutto invano.
Le mie lacrime ormai si erano mescolate con il tuo sangue, ma purtroppo non erano purificatorie. Erano piene di dolore, tristezza, perdita.
Eri morto per me, avevi sacrificato la tua vita per me che ero il tuo servo primo amico. Un tuo eguale, come dicevi te. Mi dispiace, è colpa mia se ora sei… sei morto. Tu, tu che criticavi tanto Edgar di quel libro che avevi rovinato il finale al povero Oz, tu che dicevi che era uno sciocco perché era morto sacrificandosi, per proteggere le persone che amava. Eppure, eppure è quello che hai fatto tutto quello che, in passato, criticavi. Lo sapevo però che non eri crudele come volevi apparire, certo sbuffavi e ti lamentavi, ma dopo eri sempre lo stesso di sempre. Il tuo apparire arrogante e scorbutico, in realtà, l’ho capito: era uno scudo per difenderti dalle persone.

Scusami.

Ehi, ricordi questi pianoforti? Ora mi sono seduto sulla sedia del mio, ma sto continuando a guardare il tuo. Vuoto, come ormai il mio cuore e la mia vita senza di te. Ti amo, ti ho sempre amato. No, non è quell’amore dovuto all’innamoramento, il mio è solo affetto e fedeltà.
Non sono mai riuscito a dirtelo, perdonami. Perdonami per amarti e non avertelo detto prima.
Ora che sei morto, non avrò più il coraggio di suonare il pianoforte. Non senza di te.
Mi avvicino al pianoforte che suonavi. Non mi siedo, non potrei mai farlo. Le mie mani percorrono velocemente la superfice, ma non i tasti. Non voglio cancellare la tua esistenza, voglio che rimanga intatta ed incolume.
Voglio che tutto resti come era, prima della tua morte.
Mentre torno a sedermi, cercando di suonare qualcosa, realizzo che suonavamo solamente brani componibili in due e basta. Niente da soli. Noi due siamo destinati a essere insieme, siamo complementari, tu eri la mia metà che combaciava perfettamente. Come due frammenti di cuore, la sinistra era la tua e la destra era la mia. Così capivamo che non potevamo vivere senza dell’altro.
In quel momento, mi pare di sentire un suono accompagnarsi al mio e, voltando la testa, ti vedo. Sorridi, come sei solito fare mentre suoni, con uno sguardo rassicurante. Ti accompagno, suonando in tua compagnia, mentre istintivamente ti regalo un sorriso a mia volta.
A fine canzone, poggi una tua mano sulla mia spalla sempre sorridente e, mentre i tuoi occhi diventano luci, mormori.
« Mi dispiace, Leo. »
Il tuo spirito si dissolve nell’aria, insieme al tuo sorriso, mentre cercavo di impedire ciò. Le lacrime, oramai, sono terminate. Non ne ho più, né la forza di piangere.
« Mi dispiace, Elliot… »

Angolo autrice:
Questa fiction, in teoria, doveva essere descritta dal POV di Elliot e non di Leo. Ma non so come... poof! Eccola dal POV di Leo.
No, non serve scrivermi di farla anche dall’altro POV, so che devo farla e lo farò. Promesso. Non farò la pigra.
Ma se volete scrivere una recensione, purché non sia troppo pesante (ugh), mi sta bene. uvu
See ya, neh!