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Autore: MadLucy    31/07/2014    1 recensioni
[cosa succederebbe se il Vero Credente cominciasse a credere... nelle cose sbagliate?]
{evil!Henry/Grace | Henry/Gretel | hints Jefferlice | what if? | one shot | future!fic | angst}
-Il libro.- balbettò Emma. -Ha bruciato il libro.-
La verità non trovò spazio nel vuoto. Gretel, non appena venne sorretta per sollevarsi, ricadde esanime. Jefferson il cappellaio, qualche metro più in là, tastava basito la terra lì dove il portale s'era richiuso. Regina si portò una mano alla bocca, inorridita.
-Sembra grottesco doverlo dire,- bisbigliò Emma, -ma dobbiamo fermare Henry.-
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ava Zimmer/Gretel, Henry Mills, Paige/Grace, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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HenryGrace

magic is funny {and I believe in it}









Regina non sapeva precisamente cosa fosse successo. Una scaramuccia da Granny, l'aveva avvertita Emma al telefono, con una sorta d'imbarazzo nella voce, niente di grave, però Henry si è precipitato fuori dal locale, e sembrava molto arrabbiato. Se viene da te, forse si fermerà a cena e a dormire, è un problema? Regina, per buona misura, cominciò a preparare l'impasto della torta di mele. In effetti, mezz'ora dopo Henry aveva bussato alla porta. La madre aveva fatto finta di niente, tastando però il terreno per intuire il suo stato d'animo: sorprendentemente, lui non sembrava adirato nè nervoso. Salutò Regina con un discreto bacio sulla guancia, saggiando con le labbra la profumata vischiosità della sua costosa crema detergente, e tessè le lodi dell'aroma del dolce che si gonfiava nel forno. Si mostrava calmo, forse estenuato dal litigio, senza dare troppo a vedere quel che provava -giocherellava i pollici, tamburellava ritmi scoordinati con le suole delle scarpe sul pavimento, si guardava intorno con la placida padronanza di chi sente il tepore di un luogo sicuro dalle intemperie esterne. Regina non osò chiedere delucidazioni, anche se era sorpresa, visto che Emma e suo figlio di solito andavano d'amore e d'accordo. Non appena ebbero finito di consumare una cena leggera a base di bacon, uova e insalata, per finire con una bella fetta di torta, Henry assunse d'un tratto un'espressione grave e intrecciò le dita sulla superficie del tavolo, scrutando il volto di Regina, come se valutasse in anticipo la sua reazione rispetto a ciò che stava per dirle.
-Credo di essere pronto per imparare.-
La sua fronte s'increspò. -Cosa intendi?-
-Lo hai detto tu, alcuni anni fa, no? Che potevi insegnarmela. La magia.- le ricordò Henry.
Regina prese tempo, sfregandosi le labbra con un tovagliolo, poi tirò un sospiro. -Vedi, è più complicato di come sembra. È vero, ho detto così, ma... non funziona proprio in questo modo. Non basta volerlo con molta intensità. La magia è quanto ci sia di più simile ad un percorso interiore, un... viaggio per scoprire se stessi. Bisogna essere sufficientemente consapevoli e maturi per affrontarlo...-
-Mi è già successo.- disse Henry, imperscrutabile. -Se mi concentro e chiudo gli occhi, riesco a spegnere la luce della mia camera e a farla tornare quando li riapro. E un'ora fa ho fatto scoppiare un bicchiere da Granny. Io non voglio reprimere i miei poteri mamma, voglio solo imparare a controllarli.-
Regina lasciò calare fra loro una lunga pausa e lo fissò, incerta.
-Che c'è? È una cosa strana?- s'informò Henry.
-No, non molto.- mentì la donna, riflettendo rapidamente che, comunque, quel ragazzino discendeva dalla magia nera e dalla magia bianca, per non parlare del fatto che era cresciuto assuefatto da un maleficio -quindi era piuttosto naturale che avesse delle doti a sua volta. Però, delle manifestazioni così turbolente... e così presto. L'eccezionalità dell'albero genealogico di Henry rendeva lui stesso un'eccezione vivente, a quanto pare.
-Mi aiuterai?- Suo figlio la stava guardando. Le stava chiedendo aiuto. A lei. Non a Emma.
-Sì, Henry.- Regina piegò le labbra in un sorriso vermiglio. -Ti sei rivolto alla persona giusta, perchè ti posso aiutare.-
Il giorno dopo Rumpelstiltskin, serafico, incartava con cura un grosso tomo di magia dalla copertina usurata.
-Quasi mi dispiace separarmene. Ci hanno studiato tre allieve, sai? Lo devi trattare bene.-
Regina aveva fretta di concludere l'acquisto. -È ovvio che lo so, dato che una delle allieve ero io e le altre erano mia madre e mia sorella.-
Il signor Gold le tese il libro, senza trattenere un commento caustico.
-E quindi il giovane Henry inizia le sue lezioni di magia. Una decisione un po' incauta, se posso esprimere la mia opinione.-
-Si astenga, che è meglio.- tagliò corto la donna, bruscamente. -E comunque, dureranno solo quanto basta per insegnargli a gestire i poteri.-
Rumpelstiltskin la osservò uscire, giulivo.
-Dimentichi una lezione molto importante, dearie. Con la magia, sai quando inizi ma non sai quando finirai...- Lo sguardo cadde sul flauto di legno che gli era riuscito di recuperare l'ultima volta che era stato a Neverland, visto che il suo proprietario di certo non sarebbe venuto a reclamarlo. -Se finirai, beninteso.-
***
Emma l'aveva scoperto per caso. Si era trattato di un nonnulla, un bicchiere di Coca Cola che si svuotava e ricolmava quando lei distoglieva lo sguardo. Allibita, aveva dovuto arrendersi all'evidenza.
-Henry, sei stato tu?-
Suo figlio aveva sorriso in quella maniera storta e discola, che era la versione quattordicenne della sua paffuta e tonda espressione colpevole.
-Come hai fatto?-
-Magia.- aveva risposto lui, con un pizzico d'ironia. Emma aveva avvertito una stretta allo stomaco -non era stata avvertita di ciò. Come mai non era stata avvertita di ciò?
Ma i nervi le erano saltati anche dopo, nel momento in cui aveva visto la macchina di Regina fermarsi presso il marciapiede per far montare Henry a bordo, ed il ragazzo affacciarsi subito al finestrino per mostrarle quanto era diventato bravo nel cambiare il colore della giacca.
-Pensavo che gli avessi solo insegnato un trucco, non che volessi addestrarlo per mandarlo ad Hogwarts!-
Regina aveva assunto la tipica espressione accigliata da smettila-di-metterti-in-mezzo-fra-me-e-mio-figlio.
-Che cosa c'è di male, Emma? I poteri sono sempre stati parte di lui. Adesso si sono destati. Anzi, è molto meglio se impara a dominarli, piuttosto che subirli ed esserne dominato, e continuare a spaccare bicchieri per sbaglio. È un alunno estremamente talentuoso.- Aveva rivolto un sorriso deliziato a Henry, prima di scoccare un'ultima frecciata: -E poi ti ricordo che, quando ne hai avuto bisogno, non hai esitato a farti dare lezioni tu stessa.-
-Quella era una situazione di emergenza. Non appena il pericolo è passato, non li ho più usati.- sottolineò Emma. Ma Henry era già saltato in macchina, e nessuno dei due la stava ascoltando. Durante quel periodo, capitava che trascorresse un'intera settimana da Regina senza mai fare un salto da lei. Emma ne soffriva, anche se taceva per non rischiare di risultare opprimente. Era quell'età in cui i figli hanno bisogno dei loro spazi, no? Avrebbe aspettato che questa ossessione per la magia scemasse, come era accaduto con i succhi al pompelmo, la Playstation e la liquirizia di prima mattina. Era solo questione di tempo.
La storia, naturalmente, prometteva di finire meno presto di quanto lei desiderasse. Circa due mesi dopo l'inizio dell'apprendistato di Regina, Mary Margaret parlò con Emma in privato a proposito di Henry -a scuola era costantemente disattento, e più di una volta aveva cominciato a far levitare gli oggetti per noia. Un giorno era entrata in classe a ricreazione e l'aveva sorpreso nell'atto di scrivere alla lavagna a tre metri di distanza da essa, muovendo il gessetto con la magia, acclamato da un coro di compagni eccitati. L'ultima volta aveva compilato un questionario in elfico. Oh, Emma aveva provato a sgridarlo, ma non ne aveva cavato un ragno dal buco. Era come se suo figlio fosse diventato di vetro, una creatura di un altro universo che l'ascoltava ed annuiva senza comprendere una sola parola. L'adolescenza, si ripeteva nervosamente la madre, è l'adolescenza.
La goccia che aveva fatto traboccare il vaso giunse di sabato. Emma aveva organizzato una specie di cena di famiglia da Granny, così lei, Hook, Regina, Mary Margaret insieme a David e Rumpelstiltskin con Belle sedevano attorno ad un tavolo trangugiando hamburger e bevendo roba rigorosamente analcolica. Henry e Hook, com'era loro abitudine, giocavano a braccio di ferro, dilettandosi in partite in cui il pirata agitava mollemente la mano buona per consegnare all'avversario una felice vittoria. Ad un certo punto Henry, nel bel mezzo di una di esse, saltò fuori con un: -Ho imparato un sacco di trucchetti con la magia, sai?-
-Trucchetti per vincere la mia forza erculea?- Hook inarcò un sopracciglio, divertito.
Henry sorrise. La sua mano s'arroventò all'improvviso, e stringerla equivaleva a premere la carne contro una piastra. Hook tossicchiò qualche commento spiritoso, ma Henry strinse la presa. Emma fu distratta dalla sua conversazione e si voltò: realizzò che, anche se l'uomo avesse voluto liberarsi, non ci sarebbe riuscito. Il calore aumentava sempre di più e ormai Hook faticava a celare una smorfia di dolore, così come a sdrammatizzare.
-D'accordo, Henry, adesso basta.- borbottò Emma. Gli occhi di suo figlio erano rivelati dalle luci a neon, intenti a fissare qualcosa di lontano, come una stella, abbagliati dal fascino di quel potere incomprensibile che scorreva nelle sue vene, accelerandogli il respiro ed il battito cardiaco: Emma non poteva sapere fin dove arrivasse la curiosità e a che punto cominciasse la frenesia. Le sue dita si contrassero ancora, e Hook piegò il collo, con un'imprecazione.
-Ho detto smettila!-
Emma si rese conto dopo di essersi alzata in piedi ed avere sbattuto il palmo contro il tavolo. Le era parso di scorgere un bagliore avido nello sguardo di Henry, e si avvide con rammarico del fatto che non sarebbe mai riuscita a convincersi di averlo immaginato. Suo figlio scoppiò a ridere.
-Serviva agitarsi così, ma'? Cosa vuoi che sia. Era solo uno scherzo.-
-Solo uno scherzo...-
Emma si trovò senza parole. Hook stemperò la tensione con qualcosa tipo devi compiere almeno vent'anni prima di riuscire a farmi la pelle. Regina, che aveva assistito alla scena, commentò con un ghigno crudelmente allegro. Conosceva quel che il figlio stava provando, molto meglio di quanto potesse farlo la salvatrice.
-Cosa vuoi che sia.- ripetè Henry, prima di addentare il suo panino. Emma notò che aveva ancora quell'espressione distante, mille miglia oltre Storybrooke, mille miglia oltre il bambino di quattro anni prima.
***
Regina tornò nella cripta con un vassoio fra le braccia: c'erano tramezzini, bicchieri di limonata e qualche barretta energetica. Lanciò un'occhiata critica a Henry, che, abbandonato su un piccolo divano di stoffa comparso per l'occasione, riprendeva fiato a braccia spalancate, inalando respiri lunghi e lenti, passando in rassegna le ampolle variopinte degli ingredienti per le pozioni.
-Se vuoi, possiamo fermarci un attimo.- suggerì sua madre, poggiando il vassoio.
-Oh, no. Sto benissimo, adesso.- replicò subito Henry, rivolgendo uno sguardo cupido ai tramezzini. -Qual è il prossimo step?-
Regina esitò: aveva riflettuto a lungo, la sera prima, se era il caso d'insegnare quell'incantesimo al figlio oppure no. Anche lei si era accorta ch'egli tendeva a prendere la magia come un gioco divertente, senza essere forse pronto per affrontarne i meandri più erti e dirupati. Però c'era anche da dire che era spesso in pericolo, preda della propria stessa debolezza, ed imparare a difendersi gli sarebbe potuto tornare decisamente utile.
-Vedi, fino a qualche anno fa Emma aveva il problema opposto al tuo: i poteri c'erano, ma non riusciva ad esprimerli.- premise Regina, sedendosi accanto a lui.
-Questo perchè non ci credeva fino in fondo.- aggiunse Henry.
-Sì, è così.- confermò lei. -La magia è istinto, fondamentalmente. Per sfogarne il pieno potenziale, bisogna sollecitare l'istinto più primigenio: quello di sopravvivenza.-
Il figlio inclinò la testa in modo curioso. -Intendi farmi penzolare sopra un pozzo?-
-Ma Henry, che dici!- esclamò Regina, fra il serio e il faceto. -Ti stavo solo spiegando il meccanismo. Per innescarlo, non è necessario che il diretto interessato si trovi sul serio in pericolo: basta che si senta in condizione di doversi proteggere. Questo vale sia sul piano fisico, che semplicemente emotivo. Capisci?-
-Suppergiù.- annuì Henry. -Quindi, quest'incantesimo mi permetterà di difendermi?-
-Esatto. In qualsiasi modo la situazione lo richieda, con qualsiasi mezzo, in qualsiasi espressione. Con fuoco, acqua, qualsiasi cosa ci sia a disposizione o tu abbia l'energia di evocare in quel preciso momento. Una specie di sistema di sicurezza.- spiegò Regina. -È un incantesimo basilare, che non richiede particolare sforzo o impegno, visto che nella maggior parte dei casi si esprime spontaneamente, però è bene attivarlo in modo artefatto, all'inizio, così che poi risulti più semplice in futuro controllarlo.-
Henry si colpì le ginocchia con le mani. -Bene. Possiamo provare?-
Si alzarono in piedi. Regina frappose un po' di distanza fra loro, almeno una decina di passi.
-Adesso devi pensare a qualcosa che ti fa davvero arrabbiare.- lo istruì. -Concentrati. La cosa che in assoluto ti fa più arrab-
Poi avvertì solo l'onda d'urto di un'intensa corrente di potere colpirla in pieno, prima che potesse avere il tempo di arginarla: la sbalzò fino alla parete della stanza, travolgendo alcune mensole e facendo cadere un corredo di ampolle blu, che se non fossero state protette da un incantesimo avrebbero combinato un bel disastro. Regina si puntellò su un braccio per rialzarsi, immediatamente soccorsa da Henry.
-Scusami.- implorò il ragazzino, stringendole la mano ed aiutandola a sollevarsi. Aveva un'espressione turbata. -Non so cos'è successo, io ho fatto come hai detto tu e...-
-Non preoccuparti, tesoro, stai tranquillo. Non l'hai fatto apposta.- lo rassicurò Regina, con un sorriso flebile. Cosa vuoi che sia? Non potè fare a meno di provare uno strano presentimento. Quanto stramaledetto potere sopito doveva esserci dentro di lui? Per quel giorno, la sessione magia venne rimpiazzata senza rimpianti da quella film-e-popcorn.
Da quando aveva cominciato a dedicarsi alla magia, Henry appena sveglio balzava giù dal letto con singolare impazienza. Infatti alle otto meno dieci, nel cortile dentro i cancelli della scuola, poteva mostrare quello che mano a mano imparava con Regina a Gretel. Da bambina scaltra e assennata qual era stata, era diventata una fanciulla piuttosto introversa, ma con un'argentea risata capace di diffondere il buonumore, che dispensava soltanto in presenza di coloro ch'erano riusciti nell'ardua impresa di conquistare la sua amicizia. Era di temperamento schivo, seppur non scostante. Non si truccava mai, eccetto che per un velo di burrocacao che le evitava il supplizio delle labbra screpolate in inverno. Henry la trovava molto graziosa, anche se lo aveva ammesso solo con Emma, perchè girava voce che suo fratello Hansel fosse terribilmente geloso e, per quanto sembrasse quieto e timido, azzannava quanto si trattava di Gretel e i suoi pretendenti. Non che lei, portandoselo sempre appresso a braccetto, facilitasse gli incontri.
-Oh, Henry, è molto carino.- sorrise la ragazza anche quel giorno, stringendosi nel cappotto bianco, quando lui sollevò all'altezza del suo viso un ciclamino, che schiuse e riserrò i suoi petali a comando. -Però ti consiglio di lasciar perdere.-
Henry studiò il disagio sul suo volto, che sotto la luce obliqua del primo mattino appariva tempestato di chiare efelidi dorate.
-E per quale motivo?-
Gretel scrollò le spalle, tentennante. -Per quel che ne so io, la magia rovina sempre tutto. Non vorrei che succedesse anche a te.- La franchezza disegnò un sorriso stanco sulla sua bocca. -La tua vita è così perfetta che sarebbe un crimine volerla cambiare.-
Henry osservò il fiore scendere sul palmo di lei, senza fretta, avvizzire su se stesso, quasi si vergognasse del proprio deperimento, e morire annerito.
-Lo dici perchè hai paura di me?- Impossibile decifrare il suo contegno.
Gretel indugiò, tormentando l'estremità della sua florida treccia bionda. -Lo dico perchè ti voglio bene.-
La tensione dei lineamenti del ragazzo s'ammorbidì, e fu come se tutto il resto della conversazione fosse stata dimenticava. Fu illuminato da un pensiero repentino.
-Senti, pensavo...- si lambiccò, spostando il peso da un piede all'altro.
Gli occhi di lei, che con il riflesso del loro baluginìo ceruleo attribuivano qualcosa di azzurro a tutta la sua figura, sbattevano ripetutamente le palpebre, facendo frullare come ali di colibrì le ciglia trasparenti.
-Sì?-
Henry cercò di appiattire tutte le parole in un sol fiato. -Che potremmo andare a bere qualcosa in caffetteria, un pomeriggio di questi, magari...-
La mano di Hansel calò rapace come l'artiglio di un'aquila sul braccio esile della gemella.
-Andiamo, Gretel, non hai sentito la campanella?- domandò, petulante, riservando a Henry un'occhiataccia carica d'avversione, che rese inevitabilmente manifesti i suoi intenti.
Lei annuì, completamente all'oscuro del loro silenzioso scambio, ed assestò la cartella sulla schiena. Salutò l'amico vivacemente e si avviò. Soltanto poco più tardi si accorse di avere stretto fra le dita il ciclamino, e, schiudendole, di una cosa ancora più sbalorditiva: si era trasformato in una caramella ai frutti di bosco. Sbirciò Henry da sopra la spalla, sorridendo perplessa, e lui le fece l'occhiolino. Cosa vuoi che sia.
Nel frattempo, dall'altra parte del cortile, una ragazzina osservava Henry schermando la luce del sole con una mano. Dalla grande borsa che indossava provenivano striduli miagolii di protesta, e una testolina soffice, grigia e tigrata emerse: lei la ricacciò nel suo cantuccio con un buffetto bonario.
-Sì, Cheshire. È proprio quello che stavo pensando. Lui può aiutarci, ci scommetto.-
***
Quando Emma lo trovò, Henry stava creando una pozione per ricordare i sogni. Era già abbastanza esperto da poterlo fare senza la supervisione di Regina; sapeva qual era il coltello migliore per tagliare le radici e per quanto tempo andassero schiacciate con il pestello le erbe aromatiche, così come quante gocce di acqua diluissero il veleno dei funghi della Foresta Incantata. Lanciava occhiate distratte alla pagina delle istruzioni, mentre affettava quello che aveva tutta l'aria di essere un osso umano e controllava con il movimento rotatorio dell'indice il mestolo, in un calderone, poco lontano sul focolare. Emma avvertì qualcosa di simile al panico. La contaminazione era già giunta ad uno stadio così avanzato? Come aveva fatto l'Henry che conosceva a diventare... così?
-Henry, ascoltami.-
Il ragazzino sollevò lo sguardo, con qualche istante di ritardo. -Oh, ciao. Non ti ho sentita arrivare. Tutto a posto?-
-No, non è tutto a posto.- Sua madre tentò di esprimere quel che provava, di esporgli la situazione e la surrealtà e il dolore, di fargli comprendere, ma notò che il prolungato silenzio stava sortendo l'unico effetto di distogliere l'attenzione di Henry. -Sono qui per vietarti la magia.- concluse Emma, infastidita.
Lui parve non averla ascoltata.
-Per vietarti la magia.- ripetè la donna, a voce più alta.
Henry parve rifletterci un attimo. Non sembrava troppo preoccupato. -Aspetta, perchè?-
-C'è bisogno di dirlo? Oggi hai trasformato Pongo in un chihuahua.-
Lui gettò qualche zolletta non identificata nel calderone, annoiato. -L'ho anche riportato alla sua forma normale, mi sembra di ricordare.-
-Henry, la magia non è un sollazzo!- Emma cominciava ad arrabbiarsi sul serio. -Non puoi abusarne ogni giorno per riderci su con i tuoi compagni di classe!-
Finalmente il figlio si decise, dopo una pausa arresa ed un sospiro stizzito, a poggiare mestoli e ingredienti per concentrarsi solo sulla conversazione.
-Fintanto che si tratta di magia innocua, che problema c'è? Non faccio male a nessuno.- dichiarò, contrariato. Emma scosse la testa.
-Non si tratta di questo.-
-E allora di cosa si tratta?-
-La magia provoca dipendenza, Henry. Se continuerai a servirtene ogni giorno... ho paura che non riuscirai più a farne a meno.- concluse Emma. Confessare i timore che da un pezzo la affliggevano la fece sentire più leggera. -Pensa al signor Gold... a tuo nonno. E suo padre prima di lui...-
Henry non parve gratificato dall'allusione. -Mi stai paragonando a quel mostro?! Credi davvero che potrei diventare come lui?!-
Emma cercò di sottrarsi al lampo di ostilità nel suo sguardo.
-Non stavo dicendo questo.- ribattè. -Però la magia-
-Si può sapere perchè la odi così tanto?!-
La madre spostò lo sguardo sul calderone, da cui proveniva un ruggito sommesso, poi sulle fialette colme di essenze vaporose, e ancora ricordò l'espressione di Regina quanto le aveva chiesto come andava le lezioni. Lei si era morsa il labbro inferiore. Henry... non ha più bisogno di lezioni. Fa da solo. Mi ha detto così. Emma, nonostante la paura, cercò di far suonare la propria voce più salda e autoritaria possibile.
-Non c'è niente di male nella magia in sè,- obiettò, stringendo gli occhi, -ma credo che tu la stia affrontando nel modo sbagliato.-
E a quel punto il suo universo si distorse, come in uno psichedelico incubo in cui si piegano le pareti. Tutto quello che aveva faticosamente conquistato si spezzò con il rumore secco di un tavoletta di cioccolata, la razionalità si staccò e gravitò nello smarrimento. Henry aprì la bocca e, quando parlò, distrusse.
-Cosa ne sai tu, di me? Non te ne sei interessata per i primi dieci anni della mia vita, e avresti continuato a fregartene beatamente per altri dieci, o per altri venti.-
Emma rimase quasi intontita dall'impatto di quelle parole. Poco dopo essere arrivata a Storybrooke, aveva spesso temuto che il bambino potesse rivolgergliele e farle simili domande, che fosse troppo giovane per capire le sue ragioni, che non l'avrebbe mai perdonata. La sua comprensione l'aveva sinceramente rincuorata. Ormai quella era una storia chiusa. Lei non ci pensava nemmeno più. I falsi ricordi di Regina contribuivano a darle l'impressione di non aver mai abbandonato il fianco di Henry. Emma deglutì.
-Credevo che io e te avessimo già chiarito questo... questo discorso.-
-Le scuse non ti autorizzano a dirmi cosa devo fare della mia vita.- Henry strinse i pugni. Emma vide una singolare luce rossa sprigionarsi dalle sue dita serrate. -E, per la cronaca, io non morirò com'è successo a mio padre.-
Sua madre non riuscì a collegare consequenzialmente i due avvenimenti, ma dopo aver detto così Henry cadde sulle ginocchia, colpito da qualcosa d'inindovinabile. Soltanto incrociando lo sguardo ferito del figlio capì di essere stata lei a respingerlo.
Henry rimase a terra, senza rialzarsi. Prima che Emma potesse preoccuparsi, 
-Mi sgridi perchè trasformo i dalmata in chihuahua, e poi attacchi il tuo stesso figlio con la magia?!- La sua voce echeggiava distorta, come se ci fossero delle interferenze fra le sue corde vocali e l'aria. Il dolore sul suo volto era una punizione che Emma non sarebbe riuscita a sopportare oltre. -Non ti è bastato abbandonarmi... Vuoi proprio liberarti di me a tutti i costi, eh? Magari non avresti nemmeno voluto essere trovata. Magari quella sera, quando mi hai visto davanti alla tua porta, hai desiderato soltanto chiudermela in faccia.- Le parole s'incrinarono.
Emma si chinò di fianco a lui, scoprendo terrorizzata di avere gli occhi lucidi.
-Henry, che diavolo stai dicendo?! È solo che credevo che tu stessi per...-
Nemmeno lei sapeva cosa avesse creduto. Aveva intravisto quella luce rossa, poi aveva sentito mio padre, e morire... aveva perso completamente la testa. Forse il potere che aveva inavvertitamente rilasciato era l'equivalente magico di uno schiaffo. Allungò una mano per aiutare Henry, ma lui la respinse con una smorfia.
-Non toccarmi, Emma. Vattene.- In quattro anni di vita insieme, non era mai stato così freddo con lei. Il suo sguardo esprimeva il medesimo distacco. -Per un attimo mi stavo dimenticando che tu non hai alcun diritto di vietarmi qualcosa.-
Assaporando sulla pelle come una lama il rancore di suo figlio, Emma presentì che da quel giorno niente sarebbe più stato come l'aveva conosciuto. Quando venne per riconciliarsi con lui, il giorno dopo, tutto quel che ottenne furono un'assente occhiata apatica e qualche neutra parola di congedo. Henry sfumava via della sua vita con la lenta inesorabilità di un tramonto che si converte in buio, e Regina non poteva fare altro che guardare con inquietudine la sottile linea di luce che rimaneva nitida sul pavimento tutta la notte, davanti alla porta della sua camera da letto, mentre nella casa s'udiva l'unico sussurro delle pagine sfogliate. Cosa vuoi che sia, cosa vuoi che sia...
***
Dlindlindlin, fece il sonaglio a prova di magia quando Henry spinse contro la maniglia ed entrò nel banco dei pegni di Rumpelstiltskin. Le tenebre che premevano contro i vecchi vetri, confondendosi con la polvere, sapevano vagamente di muffa e si arrotolavano ovunque, attorno agli espositori di liuti d'argento e tiare stregate -Henry non aveva avuto molto interesse di entrarci, da bambino, ma negli ultimi mesi non avrebbe chiesto che un pretesto per poter dare un'occhiata. Eppure, in quel momento, era lì per un motivo preciso. Bighellonò con le mani affondate nelle tasche, valutando con sguardo impassibile intere armature di cavaliere e un fischietto con incise rune intraducibili. Sopra un piccolo cuscino di velluto rosso, c'era persino una palla completamente forgiata d'oro. Allungò una mano per sfiorare una spilla d'antracite a forma di ragno, con due rubini fiammeggianti al posto degli occhi, ma una voce lo fermò.
-Io non lo farei, se fossi in te.-
Henry completò il gesto passandosi le dita fra i capelli, con disinvoltura. Poi si voltò. Il signor Gold, le mani giunte sul pomello del proprio bastone, lo osservava senza discrezione nè meraviglia, con cipiglio quasi condiscendente.
-In quanto padrone del negozio, ho l'obbligo professionale di chiederti se cerchi qualcosa in particolare.-
Henry scandagliò la sua espressione, alla ricerca di scherno e derisione, ma evidentemente non ne trovò, perchè disse:
-Dammelo.-
-Mi sembra di essere stato piuttosto eloquente, l'ultima volta.- ribattè Gold. -Non-hai-ancora-abbastanza-potere.-
Il ragazzino sollevò l'indice, come un avvocato che sorprenda un cavillo nel contratto. -Questo valeva l'ultima volta.-
Rumpelstiltskin riflettè senza premura, mentre Henry guardava se stesso dentro un piccolo specchio dal manico di corno e, per qualche oscura ragione, ridacchiava. La vita di Storybrooke e dei suoi abitanti sarebbe stata messa a soqquadro da un suo sì -così come da un suo no. Persino tentare di scandagliare il futuro risultava nebuloso. Per qualche istante sospeso, gli sembrò addirittura che fosse Henry stesso ad offuscare le visioni. Quando formulò questo pensiero, il ragazzo si voltò e gli sorrise con innocenza.
-A che cosa ti serve?- domandò Gold. Henry schioccò la lingua, trionfante, ticchettando l'unghia su una campanella di cristallo.
-Diciamo, una festa di Halloween... ma puoi rassicurare Regina, non c'entra nulla con il voyeurismo. Accetti?-
L'uomo alzò le spalle, garbatamente spiacente. -Sai come funziona in questo negozio.-
Lui sospirò e si mise a braccia conserte. -Allora dimmi cosa vuoi.-
-Una risposta. Chi hai intenzione di controllare?-
Henry rimase zitto per diversi secondi, valutando quanto fosse conveniente dirglielo.
-Ho il tuo silenzio?-
-Non scherziamo, ragazzino. Hai solo l'oggetto che sei venuto qui a cercare.-
Lui sospirò, esasperato. -Benissimo. Voglio verificare dove si trova una donna di nome Alice Kingsley. E poi tenere d'occhio Emma, così che non mi venga fra i piedi.-
Rumpelstiltskin realizzò. -Stai per viaggiare fra un mondo e l'altro, non è così? A quale scopo?-
-Tu hai già una risposta, mentre io non ho nessun oggetto.- s'infastidì Henry.
L'altro si rassegnò. Si spostò dietro il banco, aprì uno fra la ventina di sottili cassetti pressochè invisibili che si succedevano e ne trasse qualcosa, che posò sul palmo del nipote. Non era altro che un cellulare a conchiglia, grigio, decisamente passato di moda, senza neanche la fotocamera. Henry l'aprì e guardò i tasti, lo schermo squadrato.
-Vi compare la figura della persona di cui viene digitato il nome, giusto?-
-Il limite è proprio questo. Puoi verificare le condizioni di una persona in tempo reale, ma esclusivamente lei compare nell'obiettivo, quindi ci possono essere soltanto degli indizi per esplicitare il luogo in cui si trova.- precisò Gold.
Henry sollevò lo sguardo. -Questo non è un problema. E se la persona è morta?-
-In quel caso, non comparirà nulla. Lo so che sembra un'affermazione abusata, ma quell'affare è molto pericoloso.-
-Ma pensa. A me sembrava così insospettabile.- scherzò Henry, rigirando il cellulare fra le dita.
Rumpelstiltskin rimase serio. -È l'oggetto magico più impregnato di magia nera che tu abbia mai affrontato.-
Il ragazzo s'adombrò. -È tutto okay. Posso gestirla.- garantì, seccato. Infilò in tasca il telefono, girò i tacchi e si diresse verso la porta. Aveva già la mano sulla maniglia, quando il signor Gold parlò ancora.
-A che gioco stai giocando, ragazzino?-
Di spalle, Henry sorrise.
-Un gioco più pericoloso del solito, presumo.-
Suo nonno fece qualche passo in avanti, fissandolo come se sperasse di riuscire ad estirpare i suoi pensieri.
-Che ne è stato del vero credente, Henry? Ha perso la fede?-
Il ragazzo si voltò un'ultima volta. -La domanda giusta non è se credo ancora o no. È in che cosa credo.-
Quando il dlindlindlin e il tonfo della porta assicurarono che se n'era andato, Belle uscì allo scoperto da dietro la tenda del magazzino.
-Non avresti dovuto farlo, Rumple. Sei impazzito? È troppo giovane per viaggiare fra i mondi, e... ti sei già dimenticato della profezia?-
Rumpelstiltskin rigirò il pomello del bastone fra le mani.
-No,- rispose, tranquillo, -ma assecondarlo mi sembrava rischioso e imprevedibile. E se non sono io, in questa città, a fare qualcosa di rischioso ed imprevedibile... beh, dearie, chi sarà a farlo?-
***
-Tesoro, sei sveglia?-
Grace rinvenne da una catasta di cuscini arancioni, rigirando sulla lingua un sapore amarognolo di sonnellino pomeridiano e pescando una manciata di popcorn gialli da una terrina di plastica.
-Sì, credo di sì.- sbadigliò indolente, tirando inavvertitamente un calcio al telecomando.
-C'è quello. È tornato a trovarti.- La voce di Jefferson, dal piano di sotto, era evidentemente scocciata. -Ma sei sicura che non sia il tuo moroso?-
Grace trattenne un sospiro, scagliando la testa con tutta la chioma sotto il letto per recuperare il telecomando. -Fallo entrare, papà.-
Quando sentì la porta aprirsi e Henry proferire un ciao disinvolto, interruppe un episodio di Doctor Who, scacciò via dall'asola un bottone della camicetta e appese al collo un auricolare rosa fosforescente.
-Hey,- lo salutò briosamente, annodando le gambe in una posizione comoda, -non ti aspettavo.-
Henry sorrise di fronte al mascara che le colava semiliquido dall'occhio destro, la stesura dello smalto lasciata a metà per pigrizia -la boccetta seccava svitata un po' più in là- e l'impronta del guanciale stampata come un taglio verticale su uno zigomo. Era davvero l'unica sedicenne a mondo che riusciva a rimanere sexy, in qualsiasi situazione fosse sorpresa.
-Mi dispiace, ma non è colpa mia se il tuo telefono è ancora nell'acquaio.- ribattè.
Grace inarcò le sopracciglia, stupita. -Ah, sì? Davvero?-
-Non avevo tempo che te ne accorgessi.- tagliò corto Henry, impaziente. -Dovevo mostrarti una cosa.-
-Cosa?-
-Basta che non ti spaventi.-
All'inizio Grace non capì, poi Henry allungò la mano. La prima cosa che lei pensò fu: vuole baciarmi. La seconda fu: no, vuole uccidermi.
Avvertì la sua mano penetrarle nel petto, come un rampino si fa strada nel ghiaccio, ma a salvarla dal dolore fu l'indignazione frastornata dello sconcerto, e sentì le sue dita attorno al cuore, e poi tirare. Sarebbe caduta per terra, in avanti, se Henry non l'avesse sostenuta con l'altro braccio: per qualche secondo, Grace dimenticò cosa fosse l'equilibrio. Guardò il proprio cuore pulsare orribilmente sul palmo del ragazzo, ma fu assalita da un conato di disgusto e dovette chiudere gli occhi. Le pareva di riuscire a trattenere respiri troppo brevi.
Henry taceva, assorto in qualche pensiero strano ed alienante, con una calma portentosa. La sua mano non tremava, e non tremò nemmeno quando -con una spinta decisa ma trattenuta- premette il cuore contro la sua gabbia toracica fino a che Grace non percepì il battito dentro di sè ed emise un gemito soffocato, un po' di sofferenza e un po' di sollievo. Infine, dopo una pausa inorridita, scoppiò a ridere eccitata.
Anche Henry distese le labbra in un sorriso, più rilassato. Sbuffò la propria ansia rumorosamente. La ragazza gli saltò al collo, affondando il naso nell'incavo della gola.
-Ce l'hai fatta.- sussurrò.
-Ce l'ho fatta.- confermò Henry.
-Sei fantastico.- cinguettò, guidando la mano di lui attorno ai propri fianchi. Una consapevolezza ardente esplose fino a riverberarsi alle punte dei suoi polpastrelli. Quello era il segnale: adesso avrebbero potuto aprire un portale, cercare sua madre a Wonderland, riportarla da suo padre. E fare tutto ciò che Henry aveva in progetto per loro, ovviamente. Il ragazzo aveva ancora un'espressione assente, come se la magia lo catturasse in una bruma impalpabile di ragnatela.
-Ce l'hai?-
Grace battè le mani sottili in un gesto fluido di stravagante grazia. -Certo.-
Quando emerse dal grande armadio dalle ante spalancate, stringeva fra le braccia un'enorme cappelliera ovale a righe bianche e rosa. La posò sul letto, schiacciando inavvertitamente qualche popcorn incrostato di smalto rosa. Vi tamburellò le dita, animata da un'allegria spettrale.
-Quando incominciamo?-
-Subito.- dichiarò Henry, con fermezza, prima di sistemarsi fra le sue cosce e baciarla con impeto.
***
Gretel non sentiva più niente. Il mondo era diventato rumore. Le immagini si frantumavano e stridevano cozzando in una tempesta elettrica, impedendo di formulare un quadro d'insieme; la terra sussultava sotto i suoi palmi scorticati, un ringhio nasceva fra germogli di fiamme. Poi colse qualcosa, una certezza dritta nelle orecchie che andò a colpire la mente con puntualità, seppur schermata dallo smarrimento: Hansel stava gridando. Provò il suo stesso dolore, nella morsa del panico. Cercò di trascinarsi sulla nuda terra, poi ansimò e socchiuse le labbra, inspirando sposmodicamente una boccata d'aria asciutta e rovente, come alito di lava. Sputò, disgustata, e cercò di alzare la testa per guardare oltre la caligine sulfurea degli incendi.
Henry si stagliava là, irradiato d'un dolce bagliore ambrato, che faceva intendere due cose -che era immune dal fuoco e che lui l'aveva appiccato. Portava una lunga giacca nera, dallo strascico logoro, che non gli aveva mai visto indosso. Contemplava la scena con sguardo cogitabondo, meditativo, quasi indifferente. Gretel avrebbe voluto protendere la mano, gridare, fermarlo: poi Hansel gemette di nuovo, e la sua lucidità cadde in pezzi.
-Devi scegliere.- Henry era fra le fiamme, la guardava dall'alto, senza alterigia. Il suo tono tradiva quella sordida speranza. -Vieni con me. Lascia perdere tutto questo. Altri mondi, altre possibilità... Permettimi di mostrarti cosa possiamo diventare insieme.-
Insieme. Quanti mesi -giorni- prima aveva ancora l'abitudine di alzarsi dal letto, al mattino, immaginando che suono avrebbe avuto la parola insieme fra le labbra di Henry? Quanti giorni -ore- prima esisteva quell'entità utopica, lieta e distante, quell'insieme da realizzare? Gretel morse la cenere. Un sapore di bile le aveva invaso il palato. Si sentiva contagiata dall'agonia senza voce dei corpi che bruciavano. La lieve mitezza del fuoco cancellava il mondo. Allungò il collo fino ad incrociare lo sguardo di Henry. Non riusciva a vederlo bene: le prudevano gli occhi, percepiva le scintille arderle le ciglia. Ma non aveva bisogno di guardarlo per sapere com'era: nella sua mente sarebbe apparso nitido e fulgido anche ad occhi chiusi, sulla parete rossa delle palpebre. Era in bianco e nero, come un ritratto a carboncino, i capelli gli invadevano la fronte e la nuca, gli occhi erano profondi recessi sconosciuti in cui tante volte aveva sbirciato senza mai trovare una risposta.
Gretel si puntellò sui gomiti: la treccia bionda urtò la schiena.
-No, Henry.- rispose, consapevole che l'avrebbe sentita a dispetto del frastuono. -Non a queste condizioni, non così. Non posso... non possiamo permetterci di seguirti, là dove vuoi andare.-
Il ragazzo non parve sorpreso. L'espressione s'irrigidì, e uno spasmo di dolore mosse la linea delle sue labbra. Hansel la chiamava nel buio, e Gretel ebbe la riprova di aver fatto la cosa migliore.
-Molto bene.- disse Henry. -Se è lui che scegli.-
-Scelgo ciò che mi sembra più giusto. Come ho sempre fatto.-
Per quanto possa fare male, pensò. Per quanto possa fare male ammettere che tu non sei la cosa più giusta.
Henry combattè con i suoi occhi ancora per qualche istante, poi vi lesse una triste ostinazione che lo fece desistere. La magia ha sempre un prezzo, e lui aveva appena scoperto qual era il suo. Il sospiro fu così lieve che a malapena arricciò una lingua di fuoco. Henry, ti prego...
-Andiamocene. Lascia questa bimba a pettinare le sue bambole.- intervenne una ragazza alta e smilza, vestita di troppi colori, con una gonna di tulle e calze a pois, la fronte ombreggiata dalla falda larga di un vecchio cilindro smesso, dal quale scivolava una cortina di lisci capelli biondi, striati di ciocche rosa e verdi ormai stinte; Gretel la riconobbe a fatica come Grace. Poi, la ragazza si tolse il cappello, lo fece roteare e lo lanciò a terra, dove si sgranò una vorticosa voragine argentea, che pareva avvilupparsi all'infinito. Camminò fino ad immergercisi dentro con un passo, con la spontaneità di un gesto abituale; la noia e l'esaltazione si avvicendavano distrattamente sulle sue labbra piene. Henry la seguì. L'ultima cosa che Gretel percepì fu il suo sguardo crudo d'amarezza -tornerò a prenderti, e quella volta farai la scelta giusta- e la presa tremante di Hansel sul suo braccio. Sentiva il cuore duro come un sasso.
Dopo un po', percepì il trambusto dei soccorsi attorno a sè. Un brusio agitato rompeva il silenzio doloroso dei feriti, il fuoco era stato progressivamente inaridito in cumuli di cenere e torri di fumo. Un paio di grossi stivali di gomma si fermarono vicino a lei, e Gretel trovò la forza di sussurrare mio fratello...
-L'abbiamo già portato in salvo.- la tranquillizzò una voce familiare, a cui non riuscì per via dello stordimento a dare un volto. -È sotto shock, ma le ferite sono di poco conto. Adesso ti portiamo in ambulatorio, e se ne sarai in condizione ti riaccompagneremo a casa. Ascolta, Gretel, è importante: hai visto che cosa Henry ha bruciato?-
Emma dovette ripeterle la domanda un paio di volte, prima che la ragazzina, piangendo lacrime in silenzio, raccogliesse dalle macerie un pezzo di carta arricciato dalle fiamme e glie lo porgesse, senza parlare. Emma lo esaminò. Quando riconobbe le parole, impallidì.
-Cosa?- Regina era accanto a lei.
-Il libro.- balbettò Emma. Once upon a time. -Ha bruciato il libro.-
La verità non trovò spazio nel vuoto. Gretel, non appena venne sorretta per sollevarsi, ricadde esanime. Jefferson il cappellaio, qualche metro più in là, tastava basito la terra lì dove il portale s'era richiuso. Regina si portò una mano alla bocca, inorridita.
-Sembra grottesco doverlo dire,- bisbigliò Emma, -ma dobbiamo fermare Henry.-


































Note dell'Autrice: Sì, anch'io sono spaventata, ma gli headcanon sono pur sempre headcanon, e ti tormentano finchè non li butti giù. u.u E Grace come co-antagonista non poteva mancare. Perdonate il finale apertissimo, ma questo era ciò che è passato nella mia mente e non ho la forza di dedicarmi a cose più lunghe ed elaborate, come una long. In teoria, una continuazione c'è, ma non ho nessuna intenzione di stare a scriverla per pura pigrizia. XD Quel che volevo esprimere l'ho espresso. L'aggiunta di Alice (non la Alice di OUAT in Wonderland... per carità! o.O) ci voleva per spiegare il motivo per cui Grace decide di fare la villain con Henry a parte la sua futura ed innegabile sexyness e perchè la shippo tanto con Jefferson <3
Grazie per avere letto questa robina, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. ^-^
Lucy
  
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