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Autore: Lost on Mars    31/07/2014    14 recensioni
A diciassette anni non sai cosa sia la morte e perché debba capitare proprio a lei. Non sai perché il destino abbia deciso di fare questo scherzo proprio a voi. Perché tu debba soffrire così.
A diciotto capisci che non si può più cambiare nulla, allora provi ad uscire di casa, ma tutto ti ricorda troppo lei.
A diciannove ricominci a vivere, ma sei ancora legato ai fantasmi del passato,tant’è che non riesci più a legarti a nessuno, perché ti sembra di tradirla, perché la ami ancora, anche se è morta.
Ashton ha diciannove anni ed è convinto che il tempo che guarisce ogni ferita sia un gran cazzata: lei è morta da due anni, ma lui non smette di sanguinare dentro.
E se fosse una persona a guarire ogni ferita? Se il tempo non c’entrasse proprio niente?
-
«Non credo quanto possa interessarti la storia di un ragazzo depresso.»
«Oh, non credo che tu sia depresso. Non hai l’aria da depresso.»
«Allora devi essere una pessima osservatrice.»
«Hai l’aria da distrutto, a dir la verità, ma hai anche l’aria di uno che ne è uscito, da qualsiasi cosa tu fossi dentro. Hai un sacco di arie, in effetti.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 24
 
  
«It’s the way I’m feeling I just can’t deny, but I’ve gotta let it go. We found love in a hopeless place.»
(Rihanna – We found love)
 
 
Michael, da qualche settimana a quella parte, si era soffermato spesso a pensare alla sua vita e al suo futuro, agli alti e bassi che avevano costituito il suo passato e al fatto che si era ripromesso di iniziare una nuova vita, una volta uscito dal centro di riabilitazione.
Doveva dire che c’era riuscito. Non fumava più, nemmeno tabacco. Non si avvicinava a nessun tipo di alcolico – non che avesse quel problema, ma i dottori del centro l’avevano a dir poco terrorizzato sull’alcool -, aveva consultato tutti i depliant per le migliori università della città e aveva cominciato a studiare per i test d’ammissione. Continuava le prove con i ragazzi, dava il meglio di sé e scriveva canzoni a più non posso. Le parole sembravano fuoriuscire dalla penna e sembravano scriversi da sole dovunque Michael trovasse spazio. Su un biglietto della metro, un fazzoletto di carta, un pezzo di carta strappato e talvolta anche sulla pelle stessa.
Michael non poteva certo mettere in dubbio che l’abbandono di Lene, anche se gli aveva spezzato il cuore, avesse giovato molto alla sua capacità di compositore.
Quel pomeriggio era solo in casa. Calum e Luke avevano finalmente risolto i loro problemi di coppia e adesso avevano provato ad uscire insieme, Thalia e Ashton erano a casa di Thalia, a quanto gli pareva d’aver sentito, erano entrati nella fase dell’ufficializzazione della relazione. Ergo, Ashton era andato lì a conoscere la famiglia di Thalia.
Sentì suonare il campanello, e per un attimo pensò che fosse sua madre, ritornata dal lavoro. Poi guardò l’orologio e capì che era decisamente troppo presto, così andò ad aprire chiedendosi chi potesse essere, dato che tutti i suoi amici – almeno i più stretti – erano altrove e avevano ben altro da fare.
Quando aprì la porta, si ritrovò davanti l’ultima persona che si era aspettato di vedere. Pantaloncini, Vans bordò ai piedi, una canottiera larga, dei capelli biondi e un cappellino grigio, il solito strato di matita nera sotto gli occhi, il solito rossetto rosso, nessuna sigaretta tra le labbra, però. Lene.
«Ciao Michael.» disse, la sua voce delicata e sognante era diversa da come Michael se la ricordava, sembrava più spenta, ma allo stesso tempo era piena di vita.
«Che ci fai qui?» chiese Michael. Un attimo dopo si pentì d’essere stato così brusco, ma era da più di un mese che non vedeva Lene, e credeva d’averla persa per sempre. Lei soffocò una risata divertita, forse se lo aspettava.
«Sono venuta a rimettere in paro i conti. Volevo parlarti, sempre se a te andava...» rispose Lene, dondolandosi sui talloni.
«Va bene, accomodati.» le disse Michael aprendo completamente la porta.
«Grazie.» Lene sorrise ed entrò in casa, guardandosi attorno curiosa. Quella casa trasudava normalità ovunque, proprio come la sua: c’erano fotografie sui mobili, sulle pareti, era tutto in perfetto ordine. Su una porta c’era scritto KEEP OUT a caratteri cubitali e Lene pensò che quella fosse la stanza di Michael. Solo in quel momento si rese conto di quanto fossero simili, pur non assomigliandosi affatto. Giunsero proprio davanti quella porta e Michael l’aprì.
«Non fare caso al disordine... non metto a posto finché mia madre non mi minaccia.» disse Michael. Lene rise e rimase in piedi, mettendosi seduta sul letto, accanto a Michael, solo quando lui la invitò a farlo.
«Mi dispiace» esordì Lene, mettendo le mani sulle ginocchia. «So di essermi comportata da stronza, so che non avrei dovuto lasciarti quella notte, e so anche che non avrei mai dovuto trascinarti con me in quel giro. Non meritavi tutto questo e io non merito te. Sono venuta qui a chiederti scusa, anche se so che probabilmente non mi perdonerai mai per quello che ho fatto.»
Michael la osservò, non sapeva come rispondere. Teneva così tante cose dentro che gli risultava impossibile sceglierne una e dirla, anche perché erano così confuse e non inerenti al discorso che erano impossibili da dire.
«Ma io ti ho già perdonato.» mormorò lui, con un sorriso insicuro sulle labbra. Lene lo guardò rapita, con gli occhi grandi e sembravano pronti a piangere da un momento all’altro, le brillarono di una luce nuova, di un bagliore di speranza.
«Davvero?» chiese incredula.
«Sì.»
«Oh, Michael... io mi sento davvero una persona orribile. Tu mi hai sempre detto tutto, mentre di me non sai niente. Mi hai detto che mi amavi e io non ti ho mai risposto sul serio. Non credo di meritarmi tutto questo, ma tu sei una persona buona e... mi dispiace tanto.» disse ancora Lene. Michael si morse un labbro, era la seconda volta che ribadiva quel concetto e non era affatto da Lene. Lei non diceva mai le stesse cose due volte. Lene aveva cominciato a respirare affannosamente, e aveva tutta l’aria di una persona che stava per scoppiare a piangere. Michael le posò una mano sulla spalla, aspettando, ma Lene non versò una lacrima.
«Cosa hai fatto tutto questo tempo?» le chiese Michael.
«La domanda giusta sarebbe cosa non ho fatto... Non ho più visto Bobby. Quella sera non avevo preso nessuna sostanza, avevo solo fumato un po’, così mi hanno tenuta in commissariato solo la notte. La mattina dopo sono tornata a casa e ho cercato di parlare con mia madre, inutilmente. Me ne sono tirata fuori da sola, ho preso tutta l’erba che avevo e l’ho buttata via. È stato difficile, scoppiavo a piangere tutte le notti, non riuscivo a dormire. Sentivo il bisogno di farmi ad ogni ora, non so nemmeno io come ho fatto a resistere. Però ho deciso di ricominciare, andrò a comprare i libri e mi segnerò in una nuova scuola e rifarò l’ultimo anno, poi mi diplomerò e chissà...» lo disse senza alcuna punta di imbarazzo, andò spedita, come se fosse una recita scolastica. Era sempre pallida in viso e aveva gli occhi acquosi, ma non si scompose affatto.
«Sono venuta qui anche per dirti ogni cosa» riprese. «Tu mi chiedevi sempre della mia vita e io sono qui per raccontarti proprio come la mia vita mi ha portata in quel parchetto con Bobby e gli altri.»
«Lene... non sei davvero obbligata a farlo.» disse Michael.
«Ma io voglio farlo, capisci?» esclamò, poi fece un grande respiro. «Sento di doverlo fare, so che non riparerà mai gli errori che ho fatto, ma è il minimo.»
«Va bene, ti ascolto.»
«Più o meno un  anno fa andai ad una festa con una mia amica, in riva al lago. Quando arrivammo era tardi, perché per convincere i miei ci avevo messo dei secoli, ed erano già quasi tutti ubriachi. La mia amica era fidanzata, ora non ricordo con precisione il nome del suo ragazzo, ma dopo aver ballato un po’ e bevuto qualche birra, rimasi da sola di fronte al falò. Non ricordo quanti ragazzi ci provarono con me, so solo che li rifiutai tutti, mi mettevano... a disagio. Allora andai a recuperare la mia amica, ma lei mi disse che avrebbe passato la notte lì con il suo ragazzo, dato che avevano allestito delle tende e allora feci dietrofront e me ne ritornai al falò. Chiamai mio fratello e gli chiesi se poteva venirmi a prendere, il coraggio di chiamare mia madre o mio padre non ce l’avevo, dopo averci quasi litigato per poter andare...» Lene s’interruppe all’improvviso e chiuse gli occhi, per poi fare un altro respiro profondo.
«Mio fratello si chiamava Tyler » continuò. Michael aggrottò le sopracciglia. Si chiamava? Come mai Lene aveva usato il passato? «Lui era... è la cosa più importante della mia vita. Mi è venuto a prendere e io mi sono messa sui sedili di dietro perché sul posto del passeggero c’erano degli scatoloni che dovevamo portare a casa da giorni, ma ci dimenticavamo sempre e ogni volta rimanevano lì. – rise tristemente – Gli raccontai della mia amica e del suo ragazzo e lui ci scherzò sopra, dicendo che se mai avessi avuto un ragazzo, prima di passarci la notte in tenda avrei dovuto farglielo approvare – Lene mimò le virgolette con le dita – Eravamo non molto lontani da casa quando andammo a sbattere contro un’altra automobile. Il guidatore era ubriaco e mio fratello non ha fatto nemmeno in tempo a fare inversione o a cercare di evitarlo che ci fu addosso. Io finii in ospedale, perché ero seduta dietro. Mi ruppi non so che osso e rimasi a letto per due mesi. Mio fratello invece... lui non l’hanno nemmeno ricoverato perché... c’era sangue ovunque e non c’era più niente da fare.»
E poi eccola, un’unica lacrima silenziosa solcò la guancia marmorea di Lene. Se l’asciugò in fretta e tirò su con il naso. Si appoggiò involontariamente alla spalla di Michael e lui lasciò fare.
«Mi dispiace tanto.» le sussurrò contro i capelli. Rimasero così per qualche minuto, poi Lene si tirò su e ricominciò a parlare, mentre Michael si chiedeva dove la trovasse, tutta quella forza.
«Mia madre non mi parla da quel giorno. Crede che sia io la causa della morte di Tyler e lo credo anche io. Mio padre non c’è quasi mai a casa, credo che tradisca mia madre e credo anche che lei lo sappia, e vederli mentre fingono di fare i genitori fa più male che saperli separati, ma mia madre si ostina ad andare avanti con la storia della famiglia perfetta, anche se Tyler è morto e dal quel giorno non c’è più nessuna famiglia. Tenevo un diario prima di iniziare a drogarmi. Più che un diario era una raccolta di lettere a Tyler, gli parlavo della mia giornata e delle settimane che si susseguivano tutte uguali. Gli raccontavo che avevo smesso di studiare, che un giorno avevo conosciuto un tipo strano in un parco abbandonato, che lui mi faceva stare bene. C’è stato un momento in cui ho smesso di scrivergli, ma quando ti ho incontrato ho ricominciato a farlo. Gli ho parlato di te, di quanto fosse strano per me riavere qualcuno a cui importava quello che facevo, gli ho detto che eri a cosa più vicina ad un amico che avessi avuto in tutto quel tempo. Gli ho detto che eri diverso e che mi piacevi, ma che avevo paura di mandare tutto all’aria, come ho fatto con il resto della mia vita. Michael, tu mi hai salvata mentre io ti trascinavo giù con me e non sai quanto ti sono grata per questo.»
«Lene...» provò Michael. Lui si immaginava ancora cosa gli avrebbe detto un mese prima. Gli avrebbe detto che lui era forte per entrambi e solo in quel momento si rendeva conto di cosa volesse veramente dire. Michael non se ne accorgeva nemmeno, pensava di essere una persona con dei problemi da dimenticare e da lasciarsi alle spalle, ma Lene gli stava dicendo che il vero eroe, in quelle quattro mura, era proprio lui.
E avrebbe voluto contraddirla, perché riteneva che nessuno potesse avere più coraggio di Lene, in quell’istante. Gli venne voglia di abbracciarla e sentirla di nuovo vicina, cuore contro cuore, ma tutti i suoi muscoli sembravano non rispondere agli impulsi. Era paralizzato e tenuto prigioniero da quegli occhi grigi che, anche senza volerlo, avevano un incredibile potere su di lui.
Ricordò le parole di Lene una volta al parco. «Hai degli occhi particolari.» le aveva detto lui. Lene aveva sorriso tristemente.
«Il grigio spegne il sole, Michael.» aveva risposto lei, con i capelli sparsi sull’erba e gli occhi chiusi. E Michael non aveva capito, così come non capiva gran parte delle risposte enigmatiche ma belle che Lene gli dava ogni volta.
«Non chiamarmi Lene. Da oggi chiamami col mio vero nome. Non voglio più avere niente a che fare con le vecchia me. Sono Shailene Kingston e voglio ricominciare tutto dall’inizio.» La voce di lei lo riportò alla realtà e Michael la guardò. Si era alzata in piedi e aveva aperto la porta.
La seguì fino alla porta di casa, la seguì fino alle scale della veranda, le seguì fino al marciapiede. Michael sapeva che ci sarebbe stato un addio se avesse continuato a comportarsi così passivamente, come se fosse un osservatore esterno, come se fosse estraneo a tutto quello, mentre il cuore gli balzava in gola e gli diceva di non lasciarla andare.
«Grazie per avermi ascoltata, non potevo sparire dalla tua vita senza farti sapere tutto questo. Ora posso farlo, ti auguro il meglio, ti meriti ogni cosa bella.» disse lei, si sforzò di sorridere, Michael lo capì che quello non era un vero sorriso.
«Non voglio che tu sparisca dalla mia vita» disse lui, senza nemmeno pensarci un po’. Fu istintivo. Shailene aggrottò le sopracciglia. «Non dico di ricominciare da dove abbiamo interrotto, ma almeno dall’essere amici. Così capiremo veramente se quello che c’era tra di noi era vero oppure era tutto un sogno, un’allucinazione. Ricomincia con me, Shailene. Ti prometto che andrà tutto bene.»
La ragazza aprì la bocca per rispondere, ma non riuscì a produrre un suono. L’unica cosa che disse, dopo attimi che sembrarono infiniti, fu: «Sul serio?» Il suo sguardo era lo specchio dell’incredulità.
Michael annuì. «Sì, sul serio.»
«Ma tu... tu non mi odi?» chiese ancora Shailene.
«Dovrei?» Michael sorrise e le si avvicinò.
«Sì! Io... ti ho trascinato in un giro in cui non saresti dovuto finire. E l’ho fatto solo perché mi sentissi meno sola. Tu hai detto di amarmi e ho sempre evitato quel discorso. Io non provo sentimenti, Michael. Il mio cuore è morto con Tyler... io non ne sono capace. Non voglio ferirti, voglio che tu sia felice, perché io non ti merito.» esclamò, nascondendosi il visto tra le mani, i capelli biondi le ricaddero sulla fronte quando il cappellino le scivolò dalla testa.
«Smettila di dire fesserie» Michael le prese la mano. «Forza, andiamo ad iscriverti a scuola.»
 

 
 
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Angolo di Marianne
IL MIO CUORE. Lo avete sentito? Ha fatto crack. Ebbene, mi pareva strano che nessuna di voi si fosse chiesta come avesse fatto Lene a finire in quel giro. Be', ecco qua la risposta ouo. Prima che me lo facciate notare, ehm, ammetto che non avevo la più pallida idea di come far morire questo Tyler, e non volevo che fosse una cosa troppo elaborata, quindi diciamo che potrei essermi ispirata alla morte dei genitori di Elena in Tne Vampire Diaries. Spero non me ne vogliate ç__ç
E sì, questo era ufficialmente l'ultimo capitolo. Ora c'è rimasto solo l'epilogo. Oh mio Dio, mi viene da piangere. Però non disperate (soprattutto, non mi dispero io), ho una piccola sorpresina che mi frulla per la testa  e quando pubblicherò l'epilogo ve lo dirò ;)
Ora, vi ringrazio infinitamente per tutte le splendide recensioni che mi lasciate ogni volta. In particolare, grazie a: Letizia25, ashton_irwin94, Silversa, shakjra, DarkAngel1, Annachiara99, animanonimy, FreeSpirit_ (ma tu cambi continuamente nick, moglie?), Aletta_JJ, cjnnamon, Eleobelieber99, Alex_Horan, KleineJAlien e xitsmaj siete tutte fantastiche.
Prima che me ne vada a deprimermi perché questa storia è quasi finita, volevo dirvi che ne ho pubblicata un'altra! :D Non riesco a stare ferma io, che volete farci? u.u Si chiama Indaco ed è  - ovviamente - di nuovo sul nostro Ashton. E' il mio primo esperimento di pseudo-thriller (dico pseudo perché non so se sono all'altezza ahaha), quindi niente, se volete darci un'occhiata vi basta cliccare lì, sul titoletto in blu u.u Mi farebbe molto piacere.
Ora scappo. Ci risentiremo presto :c
Baci,
Marianne







 
 


 
   
 
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