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Autore: flood    31/07/2014    1 recensioni
Se invertissi i ruoli di Callie e Arizona? Se fosse quest'ultima a venire per la prima volta a contatto con l'omosessualità nelle corsie dell'ospedale di Seattle? Se fosse lei la novellina nel campo e Calliope, invece, una rinomata sciupafemmine? Scopriamo insieme le risposte di questi quesiti, tracciando una riga sul primo incontro delle due e ripartendo da zero.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres, Mark Sloan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
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Era una serata come tutte le altre.
Ero da Joe insieme a Mark e il nostro passatempo preferito era dare un voto a ogni donna che varcasse la porta di quel bar.
Chi a fine serata riusciva a rimorchiare quella con il voto più alto poi, rimaneva in debito con l'altro per il primo giro di drink della serata successiva.
Infantile forse, ma piuttosto divertente.
Soprattutto visto che finivamo quasi sempre entrambi nel letto di una bella sconosciuta, da dove puntualmente scappavamo la mattina seguente.
Eravamo uguali in questo: sciupafemmine d'eccellenza.
Nel momento in cui posai gli occhi sul fisico mozzafiato di una bionda mai vista prima, sapevo che sarebbe stata la preda più succulenta in assoluto e che anche il mio amico l'avrebbe considerata tale.
Ma secondo il mio gayradar sarei stata io la fortunata, vedevo davanti a me il gran bottino.
Approfittai del momento in cui Mark stava fissando una rossa al bancone per sgattaiolare dal nostro tavolo in cerca della biondina.
Doveva essere entrata nei bagni.
La porta scricchiolò al mio passaggio e appoggiata al lavandino c'era proprio lei, intenta a specchiarsi.
Dopo essermi soffermata a dovere sul suo sedere, notai le lacrime che le rigavano le guance deviare il loro percorso allo spuntare di un gran bel sorriso sul suo volto, probabilmente una copertura.
"Ciao", si limito a dire, evitando il mio sguardo.
Decisi di mettermi subito all'opera, una ragazza che piange nel bagno di un bar è sempre in cerca di una distrazione.
"Ciao a te", risposi avvicinandomi a lei, sfoggiando il famoso ghigno Torres.
Lei sembrò incuriosita dalla mia presenza e si girò dando le spalle allo specchio.
"È colpa di chi?"
Lei sembrò stupita dalla mia domanda e temetti fosse una di quelle che cercano la spalla di qualunque su cui piangere e ti riversano addosso le loro storie di una vita appena le mostri un pò di interesse, invece rispose solo: "Lascia stare, il mio ex".
Oh oh, donna etero.
Avevo supposto male, ma ci ero già passata infinite volte e non avevo mai fallito, potevo farcela comunque.
"Sai, gli uomini fanno schifo".
"Ben detto, ehm...?"
"Callie"
"Callie. Piacere, Arizona."
Le strinsi la mano e, avvenuto il primo contatto, mi decisi ancor di più ad agire subito.
"Le donne sono molto meglio" sussurrai mantenendo la presa.
Ciò che ricevetti in risposta fu del tutto inaspettato: si mise a ridere di gusto.
"Le donne sono anche peggio!" Si spiegò lei e, a quel punto, smisi di pensare, decisa a convincerla del contrario.
"Non tutte, sai?"
Le accarezzai l'avambraccio, avvicinandomi a lei il più possibile senza dare troppo peso al suo sguardo stranito.
"Ti offro un drink", aggiunsi.
Sembrò indecisa sul da farsi, ma non trascorsero che trenta secondi prima che uscisse da lì e si avviasse al bancone.
Mi guardai intorno, niente Mark.
Aveva probabilmente già trascinato la rossa fuori dal locale.
Mi concentrai così sulla bionda al mio fianco e cominciai a farle bere una quantità spropositata di alcool.
Quando sembrò abbastanza brilla, bastò un lieve incoraggiamento per condurla sulla pista da ballo.
Era una di quelle canzoni che mi permettevano di dare il meglio di me.
Scossi i fianchi, piantai gli occhi in quelli azzurri di lei, e questo bastò per far sì che si avvinghiasse a me volontariamente.
Percorsi il suo corpo senza chiederle in permesso e, come immaginavo, non sentii lamentele.
Al contrario, una mano indiscreta mi sollevò la maglietta e mi sfiorò la pelle, scatenando un brivido lungo la mia schiena.
Da lì in poi ricordo solo le mie mani nei suoi capelli, la sua bocca sulla mia e la pelle lattea che baciai ininterrottamente dal momento in cui mettemmo piede nel suo appartamento a quando ci addormentammo sfinite, ma pienamente appagate.

Poi, qualcosa sul collo.
Erano i suoi capelli, che mi svegliarono di soprassalto.
Cosa ci facevo ancora in quel letto?
Raccattai di tutta fretta i miei vestiti e me la diedi a gambe levate.
Non vedevo l'ora di raccontare tutto a Mark e guadagnarmi un giro di techila dopo il turno che mi aspettava in ospedale.

Quella sera mi ritrovai infatti nuovamente da Joe, con Mark e una bottiglia mezza vuota.
Passò poco tempo prima che entrambi trovassimo una donna e, mentre ripetevo le mosse della sera precedente con la mia nuova preda, sentii qualcuno picchiettarmi la spalla.
Mi girai e mi ritrovai faccia a faccia con la bionda proprietaria dell'ultimo materasso su cui avevo dormito.
Sembrava incazzata e me lo dimostrò ringhiandomi addoso un "Funziona così con tutte, eh?", riferendosi al ballo sensuale in cui mi stavo cimentando.
Feci un segno alla donna al mio fianco, per poi correre dietro ad Arizona.
"Aspetta, scusa!"
"Per cosa?" gridò mentre tornava a guardarmi rabbiosa negli occhi. "Per essere scappata questa mattina o per avermi appena rimpiazzata spudoratamente?"
"Senti, non so come spiegarti..."
"Io non sono nemmeno gay, tanto! Ero tornata qui sperando di trovarti e poterti spiegare che non poteva funzionare, che era stato un errore dettato dalla sbronza, perchè mi illudevo che stamattina fossi dovuta andar via per un'emergenza, in quanto ti ho vista in ospedale!"
"Mi hai vista? Cosa ci facevi lì?"
"Ci lavoro Callie, proprio come te!"
"E da quando?"
"Che ti importa, c'è qualcuno che ti aspetta, và!"
Capii che si rivolgeva alla donna spazientita ancora in mezzo alla pista da ballo.
Non feci in tempo ad aggiungere altro che Arizona scomparii dalla mia vista.

Più tardi mi ritrovai, per la prima volta dopo molto tempo, nella stanza dell'appartamento che condividevo con Cristina, sola, nel mio letto.
E, distesa a fissare il soffitto, pensavo a come, per la prima volta, avessi appena rifiutato una donna perchè troppo impegnata a pensarne un'altra.
Arizona.
Avevo impressi i suoi occhi azzurri, la potenza con cui mi aveva affrontata e la frase sulla sua eterosessualità che faceva fortemente a pugni con i ricordi che avevo di lei, di noi, della notte scorsa.
Non mi ero mai sentita così, la mia sete di conquista era solita svanire una volta passata la notte, mentre ora, con Arizona, era un'altra storia.
Qualcosa di diverso, nel suo carattere, mi aveva conquistata.

Raccontai tutto a Mark, la mattina seguente, e lo lasciai piuttosto sconvolto.
"Callie Torres che rincorre una donna..." esordì sogghignano, e non potei fare a meno di restare io stessa stupita da questa sua affermazione.
Dovevo trovarla, nessun'altra aveva avuto questo potere su di me.
Fui sopraffatta dal pensiero che ci trovassimo nello stesso posto, ma subito disperata quando ricordai di non sapere nemmeno il suo cognome, tanto meno il reparto in cui poterla trovare.

Passai una giornata lunga e sfiancante e una volta finito il turno premetti il pulsante dell'ascensore con estremo sollievo.
Una volta al suo interno, mi appoggiai alla parete e chiusi gli occhi, in attesa di raggiungere il piano terra.
L'asconsore si fermò però quasi immediatamente, non poteva averci impiegato così poco.
Aprii gli occhi e mi accorsi infatti che qualcuno l'aveva prenotata al terzo piano.
Si aprirono le porte e dovetti riconsiderare la parola 'qualcuno'.
Non era decisamente una persona qualunque, anche se dallo sguardo impassibile che mi rivolse sembrava che io, per lei, non fossi proprio nessuno.
Realizzai in fretta di trovarmi nella posizione ideale.
L'avevo trovata e per qualche secondo ancora non avrebbe potuto scappare.
Ero decisa a non sprecare questa occasione unica.
'Callie Torres, Ortopedia' , fu la prima cosa che mi venne in mente di dire.
A quanto pare funzionò per lo meno a farla voltare.
'Lo so già', rispose.
'Ma volevo che contraccambiassi la presentazione. Ricominciamo da capo, per favore.'
Immaginavo già Mark pronunciare con il suo solito tono 'Callie Torres che supplica?!' e sapevo che aveva ragione, ma ne valeva la pena.
"Arizona Robbins, Pediatria."
Non potei fare a meno che sorridere, ma un secondo dopo eravamo giunte al pian terreno e rimasi immobile a fissare la sua schiena in lontananza.
Era già qualcosa.

Passarono infiniti giorni, mi ritrovai spesso ad appostarmi nel corridoio di pediatria, ma con Arizona non ebbi più contatti.
Finchè... sempre da Joe, un giovedì sera, la vidi in compagnia di una specializzanda.
Provai una fitta alla stomaco e non riuscii a staccarle gli occhi di dosso per gran parte del tempo.
A un certo punto percepii il fatto che lei se ne fosse accorta, perchè si alzo e se ne andò verso il bagno, proprio come quella sera di ormai troppo tempo fa.
Ovviamente, la seguii.
Sembrava mi stesse aspettando.
Non fece in tempo a proferire parola che le dissi: "La super-etero Arizona Robbins con una donna?"
Volevo sembrasse una frase detta ironicamente, ma evidentemente trapelò parte della mia gelosia.
Infatti mi si avvicinò e sorrise, prima di lasciarmi di stucco riutilizzando la battuta che era uscita dalle mie labbra la prima sera che ci incontrammo: "Sai, gli uomini fanno schifo."
Bastò questo per far sì che il mostro dagli occhi verdi prendesse il sopravvento.
Le presi il viso tra le mani e la spinsi verso il muro più vicino per poi poggiare il mio corpo contro il suo e baciarla con tutta la passione che avevo in corpo.
Le feci dimenticare della giovane specializzanda, della sua presunta inclinazione sessuale, del fatto che l'avessi usata la prima sera.
Traformai tutto il resto in uno sfondo, solo noi eravamo le protagoniste.
E quando per la prima volta portai una donna nel mio di letto, eravamo così impegnate a dimostrarci l'un l'altra i nostri sentimenti, che mi sembrò la cosa più naturale del mondo.
E il solito innato bisogno di fuggire non si ripresentò nel cuore della notte, ma soltanto quando sorse il sole.
Fui presa dal panico quando mi accorsi che la persona con cui avevo condiviso le lenzuola si era alzata prima di me.
Non era mai successo.
Ma ecco che ricordai: non era un persona qualunque, era Arizona.
E non ci fu bisogno di riflettere quando lei varcò la porta con due caffè tra le mani, non potei far altro che rispecchiare il suo sorriso sul mio volto e riconoscere che lei mi aveva cambiata.
Che l'amavo.
Che l'amore è quella cosa che quanto più si crede di conoscere per sentito dire, tanto più quando lo si vive si trova estremamente nuovo, inaspettato, inedito; quella cosa straordinaria per chi n'è venuto a contatto, ma non meno per chi si riserba la fortuna di farlo nelle condizioni migliori per gustarlo.
E che, dopotutto, amare significa 'stare con'. Significa emergere da un mondo di fantasia in un mondo in cui è possibile un amore sostenibile a faccia a faccia, ossa contro ossa, un amore fatto di devozione. Amore significa restare quando ogni cellula dice: scappa!*

*la citazione in corsivo è di Clarissa Pinkola Estés, da 'Donne che corrono coi lupi'

  
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