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Autore: Janta    31/07/2014    2 recensioni
Dal testo:
Leo avanzó all'interno della villa. In quel silenzio che sapeva soltanto di morte, i suoi passi rimbombarono nei corridoi. Si sforzó non guardare i quadri e le poche foto appese ai muri, perchè sapeva che non avrebbe retto, nel rivangare quei ricordi perduti. Finchè non si trovó davanti ad una porta. La conosceva bene, la stanza che si celava lì dietro.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Leo Baskerville
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La cancellata di villa Nightray stava lì, di fronte a lui. Dava accesso all'imponente giardino di quella casata ducale ormai disintegrata, e aveva inciso un inquietante stemma sotto cui torreggiava il nome "Nightray", in leggero rilievo rispetto alla porta. Tutto, di quella casata, dava l'idea di grandezza e imponenza. Come se fosse già un segnale dell'importanza che dava quella famiglia all'onore. Dopo essersi fatto coraggio, Leo aprì la cancellata, e, appena l'ebbe oltrepassata, si lasció scappare un sospiro. Sapeva che certamente quell'ultima visita nella villa avrebbe messo a dura prova la sua forza d'animo. Si sforzó di non piangere al ricordo di Elliot, perchè sapeva che lui non avrebbe voluto che il suo servitore si facesse vedere così debole e vulnerabile. Leo avanzó all'interno della villa. In quel silenzio che sapeva soltanto di morte, i suoi passi rimbombarono nei corridoi. Si sforzó di non guardare i quadri e le poche foto appese ai muri, perchè sapeva che non avrebbe retto, nel rivangare quei ricordi perduti. Finchè non si trovó davanti ad una porta. La conosceva bene, la stanza che si celava lì dietro. Sapeva la collocazione dei mobili a memoria, a differenza di molte altre stanze di cui quasi ignorava l'esistenza. Sapeva perfettamente anche la vista che si godeva al di fuori delle finestre, sapeva benissimo a che angolo di giardino corrispondevano quelle grandi vetrate. Era anche l'unica stanza della villa ad avere le finestre grandi. Senza pensarci, si ritrovó con una mano sulla maniglia, ma a quel punto venne investito da una valanga di ricordi. Sentiva che il dolore stava tornando a serrargli la gola, e i suoi occhi violacei si erano fatti acquosi. Ma no, lui non poteva cedere. Non l'avrebbe mai fatto. Avrebbe vinto quest'ennesima battaglia contro la sofferenza. Per lui, era un modo per ritrovare ancora Elliot dentro di sè. Il suo padrone non si era piegato nemmeno di fronte alla morte, quindi lui non poteva piegarsi davanti a dei ricordi. Spalancó la porta quasi con rabbia, come se avesse paura che presto la paura sarebbe tornata a fargli cambiare idea. Ed eccolo lì, il pianoforte. Leo si avvicinó piano, e inspiró a fondo l'odore di legna e d'inchiostro che ancora impregnava la stanza. Era ormai arrivato a pochissima distanza dallo strumento, quando venne scosso da un tremito. Non se ne curó, e andó a sedersi sulla poltroncina che un tempo aveva potuto definire "sua". Avvicinó le dita ai bianchi tasti, ma non riuscì a sfiorarne nemmeno uno. Inizió a sudare freddo, e fissó i gelidi tasti che stavano al di sotto di lui, come in trance. Era arrivata un'altra ondata di ricordi, tutti legati a quell'odioso strumento che un tempo aveva amato a tal punto da preferirlo quasi ai libri, ai suoi amati libri. Era sicuro che almeno quelli non l'avrebbero mai tradito. E ora Leo sedeva lì, su quella poltroncina che improvvisamente era diventata fredda e dura come il marmo. Sedeva e improvvisamente quello spazio ampio gli sembrava troppo stretto. Si sentiva soffocare. Si alzó di scatto, urtando il tavolo che si trovava lì vicino, e così facendo alcuni spartiti che si trovavano lá sopra caddero e si sparpagliarono per terra. Si voltó, e subito trovó "Statice" con lo sguardo. Lo prese, e fece scorrere le note sotto le dita, facendo attenzione a non sciupare nulla dello spartito creato da Elliot per lui. Anzi, per loro. Tutti gli spartiti che creavano erano esclusivamente da fare in due. Come se l'uno non potesse fare a meno di stare con l'altro. Si sedette nuovamente su quella poltroncina, e lasció fluire fuori il dolore che lo attanagliava. Pianse e pianse, in silenzio. E suonó, per l'ultima volta, per il suo padrone... Il suo amico. Suonó "Lacie". Suonó, finchè anche l'ultima nota non si spense, nel silenzio.
   
 
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