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Autore: Manny_chan    31/07/2014    3 recensioni
Alejandro, maniaco del Natale, ha un pessimo difetto: E' letteralmente ossessionato dai regali. All'estero per studio, senza uno straccio di regalo, rischia di passare il Natale più brutto della sua vita. Insomma, senza regali che senso ha festeggiare?
(Partecipante al contest di Natale: "Il significato di un dono"; Prompt: Azzurro - Luci natalizie )
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Si poteva essere depressi a Natale?
Non c’era qualche legge cosmica, qualche misteriosa forza che fosse destinata ad intervenire in caso di depressione natalizia per riportare il buon umore?
Evidentemente no.
Anche se avrebbe dovuto esserci, insomma.
Alejandro si strinse nel giaccone, spostandosi per evitare di essere travolto da una famigliola carica di borse.
I parigini sembravano formiche impazzite e l’aria  era satura di luce, colori e atmosfera natalizia… Che si infrangevano inesorabili contro l’aura oscura che lo avvolgeva.
Il motivo di quel malumore?
Leon.
Leon, il suo ragazzo -e quindi obbligato per contratto a fargli un regalo a Natale- gli aveva fatto sapere che non avrebbe ricevuto nulla. Nada. Niet. Niente.
Che vita ingiusta.
“Mi dispiace”, gli aveva detto per telefono. “Ho avuto delle spese improvvise e non sono riuscito a mettere da parte qualcosa per comprarti un regalo.”
Alejandro aveva avvertito una fitta allo stomaco. “Ma come, nemmeno uno piccolo piccolo?”, aveva ridacchiato, sperando di nascondere la delusione nella sua voce.
“No, Al, mi spiace…”
Alejandro diede un calcio ad un sassolino che  schizzò via, sul marciapiede ghiacciato. Leon sapeva quanto fosse importante per lui il Natale ed il ricevere i regali; possibile che non si fosse preoccupato di tenere da parte qualche soldo per lui?
Sospirò, rendendosi conto che, se l’avesse detto ad alta voce, sarebbe sembrato solamente un ragazzino viziato e capriccioso.
In realtà non era così…
Era nato con una malformazione ai polmoni che per anni, unita alle cure assillanti di una madre ipocondriaca, gli aveva impedito di avere una vita normale.
Il Natale…
Beh, a lui non importava nulla del significato religioso; il Natale per lui era sempre stato l’unico giorno in cui aveva il permesso di fare una vita quasi normale. Sua madre gli permetteva di restare alzato tutto il giorno, non gli imponeva di andarsi a riposare ogni due per tre e soprattutto c’erano i regali. Il meraviglioso momento in cui afferrava un pacco era diventato qualcosa di solenne, il frusciare della carta lucida sotto le sue dita, la sua bocca che si seccava per l’impazienza di scoprire cosa contenesse quella scatola o quel sacchetto. Non era mai una delusione, per quanto inutile, brutto o non di suo gusto potesse essere il contenuto, per lui era sempre meraviglioso. Erano le uniche emozioni della sua grigia vita.
Crescendo le cose erano cambiate, certo. Si era irrobustito, le giornate trascorse a letto si erano ridotte sempre di più, fino al giorno dell’operazione. Il giorno più bello della sua vita.
Il giorno che rappresentava l’inizio di una nuova esistenza e che, quasi fosse un segno del destino, era coinciso con il periodo natalizio…
Aveva aperto gli occhi, dolorante dopo l’operazione, e la prima cosa che si era trovato davanti era stato il più bel paio di occhi che avesse mai visto. Non per il colore, un nocciola piuttosto anonimo. Ma per il calore e i sentimenti che trasmettevano. Si era innamorato di quegli occhi ancora prima di sapere a chi appartenessero…
“Sei un angelo?”
“No, solo il tuo infermiere”, aveva risposto il ragazzo, sorridendo; come se fosse la cosa più normale del mondo. Doveva essere abituato ai pazienti che, risvegliandosi dall’anestesia totale, sparavano cazzate immani.
“Oh…”, non c’erano parole per descrivere quanto si era sentito stupido. Fortunatamente si era riaddormentato un attimo dopo, risparmiandosi così di morire di vergogna.
Al suo risveglio aveva trovato sul letto un pacchetto colorato, non ricordava che giorno fosse, ma era certo che nessuno si sarebbe offeso se anche avesse aperto un pacchetto in anticipo.
L’aveva scartato con impazienza, con quella frenetica emozione che lo prendeva sempre quando si trattava di regali.
Dal pacchetto emerse una morbida sciarpa multicolore. Non di quelle in lana grezza, che pungevano il viso, era un sciarpa di lusso, meravigliosamente morbida. Aleandro l’aveva indossata, crogiolandosi nel suo tepore; chi aveva avuto quel pensiero gentile? Sua madre? O sua sorella?
Andò alla ricerca del bigliettino che, come al solito, aveva ignorato per dedicarsi al pacchetto.
“Un piccolo regalo per ricordarti di non prendere freddo”, diceva il biglietto. “Il tuo angelo, Leon.”
Alejandro aveva sentito un calore, che non centrava nulla con la sciarpa, farsi sempre più intenso, all’altezza del petto. Era sicuro di essere arrossito oltre misura; che carino, avrebbe dovuto ringraziarlo…
E pensare che era cominciato tutto quasi per caso, quasi come un gioco. Ed avevano finito per innamorarsi.
Alejandro si strofinò un occhio con forza, le ciglia scure si erano inumidite. Non poteva piangere a Natale… era vietato dalla legge! O almeno avrebbe dovuto esserlo.
Calciò per l’ennesima volta il sassolino, che tormentava ormai da mezz’ora, più forte del solito. Lo osservò schizzare via a razzo e scivolare inesorabilmente oltre il bordo del ponte e finire nelle acque scure della Senna.
Con un sospiro si appoggiò alla balaustra, osservando le luci delle decorazioni natalizie riflettersi in un marasma di riflessi cangianti sull’acqua scura della Senna. La gente attorno a lui camminava carica di pacchetti e pacchettini, senza nemmeno notarlo.
Buffo, doveva avere l’aria di uno che medita di buttarsi di sotto eppure loro erano troppo presi ad affrettarsi verso casa, per incontrare i loro amici e dedicarsi al cenone di Natale.
Sospirò, riprendendo a camminare, non poteva biasimarli, anche lui avrebbe fatto lo stesso se avesse avuto qualcuno con cui passare il Natale.
Certo, la nostalgia di casa e di Leon erano una presenza costante nelle sue giornate da quando diciotto mesi prima aveva deciso di partire per Parigi per iscriversi alla scuola d’arte. Però quando gli arrivava quel pacchettino natalizio dalla Spagna era una piccola parentesi di assoluta perfezione.
Camminò fino al Champ de Mars, fermandosi per un attimo a guardare la Torre Effeil. Era il suo soggetto preferito, amava ritrarla da ogni angolazione; peccato che il freddo intenso rendesse impossibile tenere in mano una matita senza congelarsi le dita, altrimenti avrebbe provato a riprodurla così, la notte di Natale, illuminata dalle decorazioni festive, da quelle luci azzurre che le davano un aspetto etereo, quasi ultraterreno. Si sedette su una panchina, cercando di imprimersi nella mente ogni dettaglio per tentare poi di riprodurla a casa.
Dopo qualche minuto di contemplazione si rese conto che c’era una persona, dall’altro lato del viale, che sembrava osservare lui.
Lo esaminò, per un attimo, prima di guardarsi intorno, allarmato. C’era meno gente, ma alcuni passanti c’erano ancora. Si sforzò di tenere lo sguardo sul viale. Regola numero uno delle grandi città: Mai incrociare lo sguardo di uno sconosciuto, specie se si è soli e quando fa buio.
Ci mancava solo di tirarsi dietro qualche maniaco parigino…
Sospirò, cercando di inviare messaggi telepatici alla figura molesta, che non sembrava volersi muovere, per convincerla  ad andarsene…
Cosa…?
Si avvicinava?
Perché si avvicinava?!
Iniziò a sudare freddo mentre a passi incerti l’uomo si avvicinava a lui.
Altri due passi e sarebbe scappato; se si fosse avvicinato di altri due passi sarebbe schizzato via, fregandosene di fare la figura dell’idiota con qualcuno che magari voleva solo chiedere l’ora.
Uno…
Du…
“Cazzo, che razza di freddo. Spiegami come fanno i parigini a non congelarsi, Al. Perché di questo passo tra due minuti sarò completamente ibernato.”
Alejandro sollevò di scatto la testa, tornando ad osservare l’uomo davanti a lui. Incontrò i suoi occhi, il suo sguardo color nocciola che portava con sé il calore delle coste spagnole. I capelli ricci che sbucavano da sotto il berretto e…
Bah, nient’altro, perché era completamente imbacuccato dalla testa ai piedi.
“Leon!”, esclamò, con un gridolino poco virile, alzandosi di scatto e raggiungendolo. “Per la miseria, mi hai fatto prendere un colpo, pensavo fossi un maniaco che mi puntava…”, disse, abbassandogli la sciarpa per vederlo in viso.
Leon scoppiò a ridere e Alejandro sentì i brividi freddi che gli scorrevano lungo la schiena, trasformarsi in qualcosa di caldo e piacevole. Era l’effetto della risata del compagno.
“Chiedo scusa”, sospirò infine. “Non ero sicuro che fossi tu, ho girato mezza Parigi, visto che all’indirizzo che mi hai lasciato non c’era nessuno, e importunato mezza dozzina di persone scambiandole per te. Non volevo essere preso a calci o qualcosa di simile.”
Alejandro soffocò una risatina, rigirandosi tra le dita uno dei ricci castano dell’altro. “Ehi! Che fine hanno fatto le spese improvvise?”, domandò ad un tratto. “Il mio regalo…”
“Be, un viaggio fino a Parigi è sia una spesa imprevista che un regalo. Comunque sapevo che avresti gradito qualcosa di più materiale”, disse, allunga dogli un pacchetto.
Un.
Pacchetto.
Alejandro trattenne un gridolino di gioia. Lo afferrò, scartandolo frenetico. La mezzanotte era passata, quindi era ufficialmente Natale. Era autorizzato ad aprirlo.
“Non aspettarti granché, non mi erano rimasti molti soldi.”
Una volta rimossa tutta la carta, trattenne una risata; era un portachiavi a forma di Torre Effeil, di quelli da pochi centesimi. “L’hai... Preso all’aeroporto. Vero?”, chiese, stentoreo.
Leon deglutì, sudando freddo. “Sì… Lo ammetto”, mormorò.
Ah, lo sapeva…
Ora come minimo lo avrebbe preso a calci…
“Sai una cosa?”, disse ad un tratto Alejandro. Il suo viso corrucciato si distese, aprendosi in un sorriso. “E’ il regalo più bello che abbia mai ricevuto…”
Gli circondò la vita con le braccia, appoggiando la testa al suo petto. Il freddo scomparve improvvisamente quando le braccia forti del compagno lo avvolsero.
“Mi stai prendendo in giro?”, chiese Leon perplesso. “Ti ho visto dare di matto per molto meno…”. Alejandro, il maniaco dei regali, che non lo prendeva a calci per avergli regalato quella schifezzina indegna? Il mondo stava per finire.
“Guarda che non parlavo della pessima imitazione cinese di un souvenir parigino”, rispose Alejandro. “Parlavo di te…”.
Era la prima volta che davvero comprendeva il significato di regalo. Non doveva per forza essere qualcosa di materiale; avere Leon lì con lui, dopo più di un anno che non lo vedeva, gli dava la stessa emozione che provava nell’aprire i pacchetti. Forse anche più forte.
“Andiamo a casa?”, domandò Leon, accarezzandogli i capelli.
“Aspetta, solo un altro po’…”, lo pregò, stringendosi a lui ancora di più. La gente continuava a passare accanto a loro senza vederli, ma non importava più. Per Alejandro era come se fossero solo loro due sotto le luci azzurre della Torre Effeil…
 
   
 
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