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Autore: yelle    08/09/2008    3 recensioni
Questa oneshot è nata come seguito della mia precedente, True Love Takes Time. Eppure all'inizio l'avevo pensata in modo completamente diverso, più contorto e inutile. Poi oggi ho re-iscritto tutta la storia, ed ecco ciò che ne è venuto fuori.
Booth e Bones ora sono una coppia. Una nuova esperienza per entrambi, qualcosa che nessuno fra i due ha precedentemente sperimentato. Questo è un piccolo e breve momento, come lo spiare una scena dal buco della serratura, incapaci di lasciar cadere nel vuoto la propria curiosità.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Seeley Booth, Temperance Brennan
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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“Chi ci sarà dopo di te

La teneva stretta. Non voleva lasciarla andare. Non ora che l’aveva trovata. Trovata veramente.

 

Erano sdraiati sul letto, in casa di lei. Lui appoggiato alla spalliera, lei distesa contro il suo petto.

Il suo angolo di paradiso l’aveva trovato in quella casa, in quella donna, fra quelle braccia.

Chinò il viso e annusò il profumo inebriante della sua chioma.

Smettila, Booth.”

“Perché? Adoro farlo. Amo il profumo dei tuoi capelli appena lavati.

“Per fortuna i soldi che spendo per lo shampoo sono spesi bene...

Lui rise. “Non hai capito davvero nulla, se pensi che stia parlando dello shampoo che usi...

“Lo sai che non parlavo seriamente.”

Lei si voltò all’indietro per guardarlo. I suoi occhi non erano mai stati tanto belli, pensò Booth. Mai così luminosi, mai così innamorati. Era davvero merito suo tutta quella bellezza, quello splendore?

“Parlami” le ordinò gentilmente.

“Ti sto già parlando.”

“Parlami veramente, comunica con me. Dimmi cosa ti passa per la mente in questo esatto momento.

“Cosa sto pensando ora?” Lei sembrò pensarci un attimo, le fini sopracciglia aggrottate in un cipiglio solo fintamente pensieroso, per quell’operetta che stava mettendo in piedi con e per lui. Si girò completamente verso di lui, le sue gambe trattenute da quelle di lui, il corpo abbandonato contro quello mascolino di Booth. “Non lo so, credo di aver bisogno di una mano...”

“Mi spiace, dovrai cavartela da sola” rispose pronto lui. Non voleva stare al gioco. Doveva contenersi se voleva ricevere ciò che voleva da lei. Anche se doveva ammettere che era dura. Era difficile trattenersi ora che l’aveva, ora che era sua. Ed era dura riuscire a raccogliere i frutti di quel sentimento appena sbocciato.

“Come sei antipatico. Credo che andrò a riposarmi sul divano, allora. Lei fece per alzarsi.

“Cos’è, un ricatto?” le chiese, trattenendola, ma senza usare troppa forza, troppa convinzione.

“Bello e buono. Raccogli la sfida?”

“Non lo so. Tu vai, che io ti faccio sapere.” Aprì le braccia per permetterle di andarsene, ma lei non si mosse. Sembrava.... vagamente delusa?

“Stai dicendo sul serio?”

“Perché no?” Sì, lo era. Nella sua voce non sentiva altro.

“Sei un idiota, Booth.” gli inveì contro mentre si alzava dal letto e si dirigeva verso la porta. La tigre, offesa, stava tirando fuori gli artigli. Lui, combattuto tra il divertimento che la situazione gli creava e il disappunto per il fatto che lei ci cascasse tanto facilmente, non seppe se rincorrerla o lasciarla andare. Stavolta l’egoismo ebbe la meglio. Si alzò anche lui e la prese per un braccio. Lei voltò lo sguardo, tagliente come un coltello, e lo conficcò in quello di lui. Booth non se ne spaventò: sapeva bene che era quello il suo modo di piangere, il suo modo di sfogare il dolore, la delusione. Com’era facile ormai, per lui, leggerle l’anima.

“Lasciami...” sussurrò debolmente lei.

“No, Bones, non ti lascio. Non lascio che tu te ne vada via da me. Non ti abbandono. Non l’hai ancora capito? Ti bramo, ti voglio, ti desidero. Sei mia, ormai. E lo sai. Non puoi essere più di alcun altro uomo.”

Le mise una mano sulla guancia. Un contatto agognato quanto la pioggia d’estate, quanto il riverbero di un’emozione in un cuore malato.

“Ho lottato per averti. Ho sfidato me stesso per giorni e ore, per interminabili settimane. Ho vissuto come un fantasma senza vedere altro che te. Non ti lascio andare ora che sei mia.”

La prese per mano e tornò a distendersi sul letto insieme a lei.

Bones, ormai rassicurata dalle parole di lui, gli si accoccolò vicino, il suo fianco premuto contro quello di lui, un contatto fisico che non credeva si sarebbe mai potuta permettere. Non con Booth, il suo Booth dal cuore d’oro e dall’armatura scintillante. Se fosse stato un gatto, in quel momento la stanza si sarebbe riempita del suono delle sue fusa. Invece si accontentò di poggiare il capo sul suo petto, in pace con sé stessa e con il mondo.

“Alla fine non mi hai detto a cosa stavi pensando” le ricordo all’improvviso lui.

Lei non rispose, ma lui non si arrese.

“Dimmelo. Bones, dimmi a cosa stai pensando in questo momento.

“Sto pensando che chi ci sarà dopo di te

respirerà il tuo odore

pensando che sia il mio.”

“Che pensiero malinconico...

“Non è un pensiero, è una poesia.”

“Che poesia malinconica, allora. Non riesco ad ispirarti altro?”

“Non essere così suscettibile. E’ romantica. La certezza che il pensiero dell’amato sopravvivrà anche agli amori che seguiranno, senza che il profumo di questi riuscirà mai ad intaccarne il ricordo. Un profumo che s’insinua nella pelle così a fondo da non riuscire più a distaccarsene. È malinconico, ma anche estremamente romantico, vivo e reale.

Booth la guardò meravigliato per qualche secondo. La stanza si immerse in un completo silenzio.

“Che c’è?” rise lei.

Lui ancora non rispose, ma un lieve sorriso si accese sul suo volto.

“Cosa c’è? Booth, dì qualcosa” si spazientì lei.

“Non c’è nulla da dire, Bones. Solo... non ti facevo assolutamente così dedita al romanticismo.

“E perché? Non è così che funziona il cervello di una donna, secondo il ragionamento maschilista ed egocentrico di ogni uomo?

“Adesso sei ingiusta e troppo generica. Io non sono maschilista.”

A Bones in quel momento sembrava di trovarsi davanti un bambino troppo cresciuto.

“Oh, sì che lo sei” esclamò allora con l’unico intento di provocarlo. Si alzò dal letto, agile come un felino, appena in tempo per evitare il cuscino che lui le aveva tirato addosso.

“Ripetilo, se ne hai il coraggio!” la provocò lui, con un secondo guanciale pronto fra le mani.

“Pensi che abbia paura di te e della tua mira, maschio alfa individualista e presuntuoso che non sei altro?” rispose lei, pronta al gioco.

Stavolta il cuscino la beccò in pancia, intaccando il suo equilibrio e facendola ruzzolare sul pavimento. Booth non perse occasione e le fu subito addosso. Si mise a cavalcioni sulla sua pancia, cercando di non schiacciarla con il suo peso da uomo palestrato, e seguitò a provocarla, deciso a superare il punto limite e scoprire finalmente cosa ci fosse oltre.

“Cosa stavi dicendo?”

“Dicevo che continuo a non avere paura dei tuoi muscoli, prepotente. Levati di lì.”

“Non ci penso nemmeno” rise lui, iniziando a stuzzicarla cercando di provocarle il solletico.

“E allora muoviti a fare quello che devi fare e poi levati” rise lei, ormai alla completa mercé dell’uomo.

“Perché?” le chiese gentile, con una luce maliziosa negli occhi. “Mi sto divertendo così tanto.” Così dicendo, si chinò a posarle un bacio su una palpebra chiusa, lieve quanto un fiocco di neve. “Che fretta c’è?” continuò, mentre posava un altro bacio, altrettanto delicato, sulla seconda palpebra. “Abbiamo tutta la notte.”

“Allora usala” rispose lei, con uno strano sentimento a infiammarle la voce.

Booth non aspettava altro che un invito. Con un movimento repentino quanto elegante si voltò sulla schiena trascinandola con sé, per finire sdraiato supino sul pavimento. Bones ora era sopra di lui.

“A te l’iniziativa, ora.”

Voleva provocarla, voleva spingerla a superare quel confine, quella barriera limitativa auto-imposta, a superare sé stessa, a farsi vedere da lui come nessuno ancora l’aveva vista. Voleva avere tutto di lei, voleva essere trascinato in quel suo vortice fino a che di lui non fosse rimasto più nulla.

Lei sembrava titubante, indifesa e ancora bambina in quei panni apparentemente a lei così poco congeniali. Ma si fece forza, Booth lo vide nello sguardo e nei movimenti. Avvicinò il viso a quello di lui, e iniziò a baciargli le guance, il naso, la fronte, il viso intero.

Come sembrava naturale, quel lento progredire delle proprie emozioni l’uno verso l’altra. Com’era spontaneo e per nulla forzato quell’amore che ora li legava indissolubilmente. Come fosse già stato scritto nella volta notturna che, sopra al tetto di quella casa sicura, li sovrastava, illuminata fievolmente da quei puntini luminosi chiamate stelle.

Quando Bones raggiunse finalmente la bocca, lui perse di vista il filo dei suoi pensieri, inebriato da quel contatto ancora nuovo ai suoi sensi ormai in balia delle emozioni. Il bacio fu dolce, ma deciso e possessivo. È mio, sembrava gridare lei con ogni fibra del proprio essere. D’altronde l’aveva sempre saputo che Bones era una donna possessiva, tanto nel pubblico quanto nel privato.

“Ehi...” ridacchiò lui quando si staccarono. “Vacci piano.... vorrei arrivarci vivo, a vedere il domani.”

“Non sai cosa ti perdi, allora” sussurrò lei.

La voce roca che arrivò al suo udito destò la sua attenzione. La guardò meglio in viso e vide esattamente ciò che voleva vedere. Ce l’aveva fatta. Anzi, aveva fatto tutto da sola. Ma il risultato era stato raggiunto.

Le guance rosse e accaldate e gli occhi lucidi erano un sintomo abbastanza chiaro del tumulto che scuoteva Bones dall’interno. Mai l’aveva vista così visibilmente scossa, mai aveva lasciato trapelare un’emozione così grande al di fuori del cuore e dell’anima.

“Bones...” sussurrò il suo nome, avvicinandola ancor di più al suo petto. Anche lui, ormai, aveva ben poca coscienza dei suoi stessi gesti. “Bones, vieni qui e dimmi qualcosa per cui morirei.”

Lei voltò il viso verso l’interno del suo collo, prendendo a baciargli il profilo del mento, della gola, della scapola. Ed erano così dolci, quei baci, così delicati, e nel contempo così urgenti, che dalla gola di Booth uscì un gemito flebile senza che lui stesso se ne rendesse realmente conto. Bones a quel suono reagì in maniera inaspettata. Alzò il viso e lo espose allo sguardo di lui, a cui non sfuggì quell’unica lacrima che silenziosa varcava il confine tra coscienza e ispirazione. L’animo di Bones aveva appena trovato la via per quei sentimenti cristallini e naturali che ogni essere umano compie nell’ordinario splendore di tutto ciò che al mondo è improvvisato e naturale.

“Bones, piangi per me?”

“No, scemo” gli sorrise. “Piango per entrambi. Per noi due. Perché è una felicità, questa, che non ho mai raggiunto in vita mia. È più di quanto potessi sperare di raggiungere.

La baciò di nuovo, e ancora, e ancora. E ancora, e di nuovo. Non si stancava di quel contatto, non se ne saziava, non se ne sarebbe soddisfatto finché non fosse riuscito a completare sé stesso.

“Credo di amarti, Booth.”

Il sussurro di lei, timido e schivo quanto il sorriso di un bambino, era ciò che aveva cercato di raggiungere, ciò che agognava di avere da quella donna a cui aveva iniziato a dedicare tutto sé stesso, anima e cuore.

“Credo che per il momento mi accontenterò di questo” le rispose altrettanto amabilmente, ben sapendo invece che se ne sarebbe saziato fino a che gli fosse stato possibile, fino a che le sue ossa avrebbero avuto la forza di muoversi.

Si alzò dal pavimento troppo freddo, la prese fra le braccia e con lei si tuffò su quelle coperte, su quel materasso, su quei cuscini che aspettavano solo di vedere l'alba di una nuova era. Di una nuova vita. E sarebbe stata tutta loro.

   
 
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