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Autore: Im that boy    01/08/2014    3 recensioni
Passai i trenta minuti successivi con una leggera ansia a stringermi le viscere: non ero eccessivamente geloso nonostante lui fosse bello, bello come il sole con quegli occhi azzurri che quando era eccitato per qualcosa diventavano di un blu intenso e talvolta anche grigi, spesso nascosti dai folti capelli mossi, color carota, di una tonalità più scura rispetto alla barba quasi onnipresente che gli incorniciava le labbra morbide e sottili, e quella pelle candida che tanto mi faceva impazzire, ma la paura che potesse accadergli qualcosa di male mi accompagnava ogni volta che non eravamo insieme.
Lasciai sfuggire un sospiro di sollievo dalle mie labbra quando il cellulare vibrò, segnalando un nuovo SMS.

Ed e Joe stanno insieme da ormai quasi due anni, sono liberi, spensierati e innamorati... o almeno così vogliono farci credere.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Joe Jonas
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Dedico questa storia a Viola,
con la speranza che non si fermi mai davanti a niente
e che non perda la sua gioia e l'irrefrenabile voglia di vivere.
Ti voglio bene, stronza.


 

‹‹Amore, vado a prendere da bere.›› Urlai per sovrastare il volume della musica, sorridendo a quegli occhi azzurri davanti a me, vedendoli cambiare colore ogni volta che venivano colpiti dalle luci stroboscopiche. Lui annuì facendo così danzare la cesta di morbidi capelli rossi che tanto amavo toccare, così mi guardai frettolosamente intorno per accertarmi che nessuno si stesse interessando a noi prima di lasciare un lieve bacio sulle sue labbra morbide e sparire tra la folla asfissiante di quella discoteca.
Passai almeno cinque minuti a cercare il bancone del bar con lo sguardo, facendo a spallate con chiunque mi capitasse a tiro pur di passare: quel locale era decisamente troppo affollato e claustrofobico per i gusti di chiunque, ma tutti i miei amici, compreso lui, erano decisi ad andarci, perciò mi ero ritrovato costretto ad accettare. Dopo aver finalmente trovato ciò che stavo cercando, dovetti aspettare quelli che parvero altri venti, interminabili minuti prima di poter ordinare un Tequila Sunrise per me e un Negroni per lui. Esattamente i due opposti: il cocktail più gay che esistesse contro il più virile… e questo spiegava molte cose.
Intrapreso un percorso a ostacoli degno di Moses*, trovai finalmente gli altri cinque membri del nostro gruppo: Rebecka, Matt, Peter, Violet e Greg, chi impegnato a ballare, chi a scolare il proprio drink e chi – Matt non si smentiva mai – a cercare di far colpo su alcune ragazze.
«Dov’è Ed?» Urlai quando Violet mi si avvicinò, gli scuri capelli ricci che le incorniciavano il volto paffuto illuminato da un sorriso sortito dalla mia comparsa.
Era bella, Violet, fasciata da un vestitino beige, il trucco mai eccessivo intorno agli occhi e sulle labbra. Nonostante non avesse il fisico da modella, quello “perfetto”, per via dei chili di troppo, lei piaceva ai ragazzi ugualmente: bellezza, simpatia e timidezza; dopo aver passato ventiquattro anni della mia vita con ragazzi etero, avevo imparato che erano quelli i requisiti che cercavano nelle donne, e lei li aveva tutti.
Uscivamo nello stesso gruppo da ormai qualche anno, ma ancora non potevamo definirci amici per due motivi: prima del college ci odiavamo a vicenda e dopo aver creato il gruppo legò molto di più con la ragazza di Greg, che durante la nostra vacanza era in viaggio a Londra, che con me.
Scrollò le spalle alla mia domanda, così il mio sguardo vagò tra la massa di corpi attorcigliati e sudati di quella famosa discoteca, fin quando una mano calda si posò sul mio ventre, facendomi aderire con la schiena al petto del proprietario. M’illuminai subito di un enorme sorriso nel riconoscere le lunghe dita pallide e affusolate e il braccio pieno di tatuaggi colorati – non che l’altro fosse da meno.
Stavamo insieme da quasi due anni e ancora, ogni volta che mi toccava, baciava o semplicemente mi guardava era come la prima: puramente magica.
Voltai il capo in modo da poter incontrare i suoi occhi, contento di averlo ritrovato, senza però non far caso all’occhiata di puro disgusto lanciataci da Matt.
Non scorreva buon sangue tra me e quel biondo per il semplice motivo che lui era l’omofobia fatta a persona, e questo portava a enormi dosi di disprezzo reciproco, ma gli altri del gruppo erano amici con entrambi e non se l’erano sentita di dover scegliere chi dei due buttar fuori, perciò, per non perdere le amicizie, entrambi eravamo giunti ad un tacito accordo: avremmo sopportato la presenza dell’altro fingendo che non esistesse. Tutto ciò non mi dispiaceva per niente, anche per il fatto che come cuoco non era male e ahimè, avevamo trovato anche rivalità in quel campo.
Peter invece era stato una vera e propria sorpresa: era in vacanza con noi sotto invito di Rebecka, sua amica da una vita, e si era rivelato favorevole alle coppie gay nonostante fosse etero senza ombra di dubbio, ancor prima di venire a sapere di Ed e me. Non che ci facesse il tifo, per carità, ma almeno potevamo avere un rapporto civile e allegro.
Greg invece era l’esatto contrario: non troppo entusiasta dell’omosessualità, ma nonostante ciò faceva, nel vero senso della parola, il tifo per noi; ma lui era il mio migliore amico dai tempi delle elementari e si sa: i migliori amici non contano, no?
«Dov’eri?» Domandai al mio bellissimo ragazzo, inclinando lievemente il capo.
«Ti stavo cercando.» Mi rispose lui con un sorriso mentre gli porgevo il bicchiere stracolmo di ghiaccio e liquido rosso scuro.
Gli sorrisi di rimando e subito dopo le nostre labbra combaciarono, facendomi sorridere con più convinzione. Era estremamente enigmatico in quel campo, dovevo ammetterlo: quando eravamo in luoghi simili, non capivo mai quando mi fosse permesso baciarlo e quando no, ma effettivamente era comprensibile, con tutte le adorabili persone che, come Matt, passavano il tempo a condannarci.
Chiusi gli occhi baciandolo con tutto l’amore che potevo donargli con quel semplice gesto, portando la mano libera sulla sua ancora sul mio ventre mentre l’altra reggeva il cocktail, ormai intorpidita per il freddo.
 
Lanciai un’occhiata al display acceso del mio iPhone appena tirato fuori dalla tasca dei jeans aderenti e scuri per controllare l’ora: erano le tre di notte ormai, le ore erano trascorse serenamente e ancora nessuno aveva intenzione di rincasare, io compreso.
Un ultimo sguardo mi servì per constatare che avevo la batteria quasi morta, dopodiché riposi l’apparecchio al suo posto giusto in tempo per vedere Ed farsi largo tra la gente, diretto verso di me con due bicchieri in mano.
«Messaggi a quest’ora, Jonas?» Domandò mentre me ne porgeva uno con cipiglio divertito.
«Controllavo l’ora, scemo.» Risposi ridendo, dandogli una leggera pacca sul petto mentre mi cingeva i fianchi con un braccio per attirarmi a lui.
«Certo, dicono tutti così.» Replicò lasciando un bacio a stampo sulle mie labbra. «Vado a casa, piccolo, sono esausto.»
Amavo quando mi chiamava in quel modo malgrado fossi più grande di lui di due anni, anche se non sembrava affatto, ma nonostante il nomignolo non potei nascondere il leggero velo di disappunto che comparve sul mio volto.
«Oh… vuoi che venga con te?»
«Ma no, resta con i tuoi amici, tranquillo.»
«Sicuro?» Insistei mordicchiandomi il labbro inferiore, titubante nonostante il suo sorriso. Se dovevo essere sincero non volevo ancora andarmene, ma non sopportavo l’idea di lasciarlo solo.
«Certo che sono sicuro, resta pure qui a divertirti.» Esclamò ampliando il sorriso, così cedetti sospirando.
«Va bene… scrivimi quando arrivi, promesso?»
«Promesso, amore. Tu mi prometti di scrivermi quando parti?»
Annuii in risposta e ci baciammo per un istante decisamente troppo breve prima di vederlo sparire tra la folla, così sospirai impercettibilmente e tornai dagli altri, poco distanti da noi, sorseggiando il mio drink.
Passai i trenta minuti successivi con una leggera ansia a stringermi le viscere: non ero eccessivamente geloso nonostante lui fosse bello, bello come il sole con quegli occhi azzurri che quando era eccitato per qualcosa – o quando eravamo a letto – diventavano di un blu intenso e talvolta anche grigi, spesso nascosti dai folti capelli mossi, color carota, di una tonalità più scura rispetto alla barba quasi onnipresente che gli incorniciava le labbra morbide e sottili, e quella pelle candida che tanto mi faceva impazzire, ma la paura che potesse accadergli qualcosa di male mi accompagnava ogni volta che non eravamo insieme.
Lasciai sfuggire un sospiro di sollievo dalle mie labbra quando il cellulare vibrò, segnalando un nuovo SMS:
 
Da: Amore
Arrivato. Ci vediamo dopo, ti amo.
Ora: 03.32 a.m.
 
Riposi il cellulare in tasca e finalmente potei rilassarmi e tornare a godermi la serata con gli amici, ballando e ridendo. Non passò molto che una ragazza mi si avvicinò, ballandomi quasi addosso in modo provocante, e fui costretto a mordermi il labbro inferiore per non rischiare di scoppiare a riderle in faccia mentre la osservavo: capelli lunghi e scuri, magrissima, stretta in un tubino nero che le metteva in risalto il seno non troppo prosperoso e viso affilato che le donava un’aria da stronza. Cercai subito Violet con lo sguardo e lei, accolta al volo la mia supplica silenziosa, si avvicinò a noi e mi cinse il collo con le braccia, costringendomi a ballare con lei. Notai lo sguardo disgustato della ragazza che subito cambiò bersaglio: Peter, così avvicinai le labbra all’orecchio della mia salvatrice, urlando tra le risate per sovrastare la musica: «Grazie!»
Erano ormai le quattro quando decisi di tornare all’appartamento che condividevo con Ed e gli altri, vinto dalla stanchezza, così dopo aver sbadigliato indecentemente avvertii i miei compagni di quella scelta, accolta da alcune repliche.
«Basta che non scopate sul mio letto.» Decretò Matt, velenoso.
Finsi di non averlo sentito nel mentre che il mio cervello elaborava un elogio funebre alla grammatica, incapace però di trattenere un sorriso dato dal fatto che, per ripicca, sul suo letto avevamo già fatto cose delle quali si sarebbe vergognato il più audace dei pornostar.
Salutai gli altri con un sorriso prima di uscire finalmente dal locale, diretto alla fermata della navetta mio malgrado affollata, che arrivò pochi minuti più tardi. Fui costretto a fare a spintoni per salire sul lungo mezzo arancione che riprese la sua corsa dopo pochi istanti, e con uno sforzo non indifferente riuscii a recuperare il cellulare per avvertire Ed del mio rientro, invano, constatando infatti che mi aveva ufficialmente abbandonato.
Esalai l’ennesimo sospiro della serata mentre ritagliavo un angolino per me tra l’ammasso di corpi ubriachi, collassati o impegnati a far casino o pomiciare, aggrappandomi ad un palo in alluminio posto in verticale come se fosse un’àncora. Chiusi gli occhi cercando di pensare a qualcosa che potesse distrarmi dal puzzo di alcol e sudore che mi invadeva le narici, nauseabondo, mischiato a miriadi di essenze diverse che insieme andavano a creare un gas letale, ma mi ritrovai arreso ancor prima che mi rendessi conto di aver cominciato.
Il viaggio sarebbe dovuto durare dai venti ai trenta minuti che senza un orologio o distrazione alcuna, come la musica, parevano determinati a non passare più, e ogni fermata era una vera Odissea: neanche i marinai del buon vecchio Ulisse correvano e spingevano così tanto per raggiungere le sirene! In un primo momento non potei non pensare che la mia fermata, alla quale il bus si stava avvicinando, fosse un miraggio, ma quando finalmente i miei mocassini toccarono l’asfalto e potei inspirare aria pulita e fresca sorrisi, soddisfatto.
Una volta entrato nell’appartamento mi diressi verso l’ultima camera in fondo al corridoio, quella che condividevo con Ed, senza aver bisogno di accendere le luci per via dell’alba prossima ad arrivare e cercando di essere il più silenzioso possibile per non disturbarlo nel caso che stesse dormendo.
Ero ormai a tre passi dalla camera quando dei rumori mi fecero bloccare e accapponare la pelle. Dietro quella porta, i gemiti sommessi di una ragazza mi perforarono le orecchie mentre percepii un groppo incastrarsi nella mia gola, bloccandomi il respiro.
Fa’ che sia solo un porno. Ti prego, ti prego fa’ che sia solo un porno, ti giuro che verrò in chiesa tutte le domeniche… – Pensai, incapace di ragionare con lucidità, mentre una vocina nella mia testa mi rassicurava dicendomi che certo, era ovvio che fosse solo un porno, e che ero un idiota.
Solo quando altri sospiri raggiunsero le mie orecchie, però, vidi la mia mano tremante afferrare la maniglia e aprire la porta come se agisse di sua spontanea volontà, perché quella voce, quei gemiti… dio, li avrei riconosciuti tra mille.
C’era una ragazza sul nostro letto, semicoperta da lui che teneva il viso nascosto contro il suo collo, carezzato da quei capelli rossi, avvinghiata alla schiena pallida ormai deturpata da segni che si ostinava a imprimere con le unghie quando il diritto di fare cose del genere, di ricevere quelle spinte tra i reni e stare tra le sue braccia doveva essere solo mio.
Non seppi dire quanto tempo restai impalato lì, cercando  di reprimere i conati di vomito che imperterrito cercava di uscire e riversarsi sul pavimento, ma quando percepii le prime lacrime calde rigarmi le guance l’unica cosa che seppi fare fu scappare. E corsi, corsi a perdifiato per le scale del condominio e poi via, nel sottopassaggio umido e silenzioso della stazione che collegava quella strada al viale principale; correvo sull’asfalto, incurante del fatto che fossi nel mezzo di strada, delle poche persone che mi guardavano passare sconvolte o spaventate. Non mi fermai, non svoltai da nessuna parte: sempre dritto, incapace di capire dove fossi, senza neanche accorgermi di aver urtato una prostituta nella mia fuga disperata fin quando i piedi non urtarono la sabbia umida e allora mi lasciai cadere a terra, sul bagnasciuga. Per un istante mi domandai se quella ragazza fosse una  di loro, se lui fosse arrivato al punto di pagare profumatamente pur di tradirmi in quel modo, senza ritegno o se l’avesse conosciuta da qualche parte, magari proprio in quella discoteca.
Mi rannicchiai su me stesso e nascosi il viso tra le ginocchia portate al petto mentre le lacrime si facevano più insistenti ed io venivo scosso da singhiozzi, incapace di scacciare quelle immagini raccapriccianti che mi martellavano in testa o, semplicemente, fare qualsiasi altra cosa che non fosse stare lì seduto, immobile.
Era finito tutto in un batter d’occhio, e chissà quante altre volte mi aveva tradito quando invece io credevo nella nostra storia e in quello che provava per me. Non che sognassi di portarlo sull’altare, ero un tipo piuttosto realista in fin dei conti, ma potevo ben dire che quella fosse la prima, vera storia nella quale avevo riposto un po’ di fiducia riguardo al futuro e soprattutto, a quel bellissimo ragazzo dagli occhi chiari quanto la pelle avevo donato tutto il mio cuore, che avevo appena visto fare a macabri brandelli dalle sue stesse mani.
 
Per un attimo sembrò quasi che qualcuno facesse il mio nome, ma non me ne curai dal momento che tutto ciò che desideravo fosse stare da solo. Speravo che ignorando quei richiami, i quali forse erano solo frutto della mia immaginazione, chiunque stesse cercandomi si convincesse che non fossi io. Avrei desiderato confondermi tra la sabbia, esservi risucchiato dentro pur di sparire.
«Joe…» Mormorò la voce ormai vicina mentre una mano delicata si posava sulla mia spalla, facendomi sussultare e alzare il capo verso la figura imponente davanti a me. «Ti abbiamo cercato dappertutto, cosa…»
Le parole di Violet si spensero quando finalmente poté vedere il mio volto e subito si sedette al mio fianco così che potessi abbracciarla.
«Cos’è successo?» Sussurrò con dolcezza, carezzandomi i capelli e la schiena.
«Ed… V-Vio, lui…» cominciai a raccontarle tra i singhiozzi ciò che fosse successo realizzando come avesse organizzato tutto: era andato via prima, mi aveva convinto a non seguirlo e ad avvertirlo del mio rientro per non essere scoperto, ed io ci cero cascato come un perfetto idiota. Era come se un enorme coltello mi pugnalasse infinite volte, facendo urlare e bruciare tutte le mie cellule dal dolore.
Dalle labbra della mora sortì una sequela di insulti che mi fecero, mio malgrado, rabbrividire e singhiozzare con più vigore.
«Stava guardando la tv quando siamo arrivati noi.» Mormorò non appena le chiesi cosa fosse successo nell’appartamento. «Ci ha chiesto dove fossi, e quando gli abbiamo detto che eri tornato prima ci ha detto che non gli era arrivato nessun messaggio e che sarebbe andato a cercarti perché temeva che ti fosse successo qualcosa, così siamo andati tutti con lui.»
«Ho il cellulare scarico… Vio, non voglio che mi trovi.» Mormorai debolmente, spaventato dall’idea di un possibile confronto con lui.
Avevo fatto ciò in cui riuscivo meglio: ero scappato. Non ero affatto un tipo coraggioso, non lottavo ma al contrario fuggivo, come se ciò potesse risolvere tutto. E sarei fuggito ancora: avrei fatto le valigie e preso il primo treno per casa sperando di non vedere l’artefice di quel mio dolore, perché sapevo che non avrei retto davanti a lui e quei suoi dannatissimi occhi azzurri.
«Non glielo dico, tranquillo.» Mi rispose mentre muoveva velocemente il pollice sullo schermo del suo Galaxy prima di tornare a stringermi con forza, sussurrando: «Sta arrivando Greg.»
Annuii impercettibilmente, troppo distrutto per pensare a qualsiasi cosa ormai, voltando il viso ancora rigato dalle lacrime verso l’orizzonte.
E restammo così, io e Violet, abbracciati a guardare il sole sorgere pigramente oltre lo strato d’acqua frastagliato dalle onde che si distendevano a neanche un metro dai nostri piedi, prendere il posto ceduto dalla luna mentre un nuovo giorno aveva inizio.





*Edwin Moses: campione olimpionico di 400 m ostacoli nel 1976 e nel 1984.
Wo wo wo wo ma cos'è 'sta cosa? HELP.
Va bene, devo una spiegazione a me stessa, figurarsi a voi!
Premettendo che ormai sono entrata in fissa con la Joed (JoexEd), anche per colpa di quella stronza di Samia ergo 
Samii , l'amore mio (Se leggi, sappi che tvb), l'idea per questa... cosa mi è venuta durante una vacanza con gli amici a causa di un episodio spiacevole in cui è coinvolta un'adorabile personcina di nome Mattia. *tossisce*
Effettivamente non c'entra un cazzo la vicenda con questa storia, ma la mia mente ha cominciato a divagare, sooo...
E no, non dirò quali scene ho immaginato (Ne sono già a conoscenza le altre due merdine che se non leggeranno questa schifezzuola la pagheranno cara dato che NON SI RICORDANO LA DATA DEL MIO COMPLEANNO, quindi bastano e avanzano, aha).
Prima che me ne dimentichi, ringrazio le due tipe citate sopra, le stronze del compleanno (
bitchplease e _MiRmA_  <- e no, non so linkare quindi se qualcuno me lo spiega avrà un biscotto come segno della mia eterna gratitudine), che mi hanno aiutata con il titolo perché senza di loro, avrei fatto ambarabà cici cocò almeno un miliardo di volte con le merdate i titoli ai quali avevo pensato io.
Conclusi i miei scleri delle 02:54 che sicuramente nessuno leggerà vi saluto, e sappiate che se mi lascerete una recensioncina ina ina troverete Ashton Irwin a ballare "I Will Survive" nudo sulla scrivania della vostra camera. :D
Adios,
-Giuls.
   
 
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