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Autore: Soqquadro04    01/08/2014    1 recensioni
[Eleven/Clara + implied!Doctor/Rose | Big Fluff | What if?/Missing moment | possibilissimo OOC]
Trattiene il fiato per un secondo, poi sospira e butta fuori anche la domanda, prima che le passi il coraggio.
«Chi era?» non le risponde subito, tanto che arriva a pensare che non lo farà – un minuto, due, sospetta che a breve semplicemente sembrerà svegliarsi da un sogno e ripartiranno verso qualche altro posto, accantonando il momento (invece la stupisce, è sempre bravo a farlo, anche se fatica a udirlo, le pare che parli molto più a se stesso che a lei).
«Rose Tyler. Si chiamava Rose Tyler.» alza lo sguardo, le sorride «Posso raccontarti una storia, Clara?»
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clara Oswin Oswald, Doctor - 11
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Soqquadro04
Disclaimer: non mi appartengono, non guadagno nulla da questa cosa e ci scrivo sopra solo per divertimento e quando ho voglia di strapparmi i capelli dietro alle caratterizzazioni.
Generi: Fluff, Sentimentale, Malinconico
Avvertimenti: possibilissimo OOC, What if?/Missing moments,
Rating: Verde
N/A - Note dell'Autrice:
Non ho niente da dire, se non che Clara è un cupcake, lei e Rose si sarebbero adorate, sono probabilmente riuscita ad andare OOC in modo spettacolare e sono in crisi perché voglio il 23 agosto, dopo un chiusone da tot puntate al giorno l'astinenza è atroce. ATROCE.
Dovrei disintossicarmi, ma non ci sarebbe più nessun divertimento u.u

A presto,
la vostra Soqquadro

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It's a love story

Ricordare l'amore è come evocare un profumo di rose in una cantina. Si può richiamare l'immagine di una rosa, ma non il suo profumo.
Arthur Miller

Amare è così breve, e dimenticare così lungo.
Pablo Neruda

Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti che ti vedo, direi “ti amo” e non darei scioccamente per scontato che già lo sai.
Gabriel Garcìa Márquez

 

Non sa molto, Clara, su chi l'ha preceduta – non è facile far parlare qualcuno di chi ha perso lungo la strada, e se quel qualcuno è il Dottore si tratta di un'impresa pressoché impossibile (persino per lei che dell'impossibile ha fatto uno stile di vita).

Qualcosa è riuscita a scoprire, a spizzichi e bocconi – un accenno a qualche vecchio viaggio, istanti d'ombra che di tanto in tanto gli attraversano il viso, oggetti dimenticati nel TARDIS (ricordi di altri volti e altre vite, altri occhi stupiti per la prima volta davanti alla sala dei comandi, altri abbracci – altre lacrime, altri sorrisi) –, non molto.
Non se ne stupisce troppo, quindi, se il giorno in cui trova il pezzetto di sé che Rose Tyler si è lasciata dietro non ha mai sentito parlare di lei.

 

È un periodo relativamente calmo, da un paio di giorni non ci sono pianeti da salvare o stravolgimenti storici da evitare o mondi da ricostruire – siccome non durerà a lungo, ovviamente, darsi da fare coi soufflé sembra un'ottima idea, anche considerato che con la ricetta originale è abbastanza certa che nulla potrebbe andare storto. Quindi spedisce il Dottore a comprare il latte (per tre volte, tre è sempre stato il suo numero fortunato, dopo avergli spiegato che il latte dev'essere di mucca, mucca terrestre possibilmente, e non di capra gigante né di un altro animale non meglio specificato della galassia a fianco, fra l'altro terribilmente irritabile quando si parla di mungitura e con un sacco di denti, troppi denti) e decide di andare a prendere qualcosa da leggere, per ingannare il tempo nell'attesa – riporta indietro anche i due libri della settimana passata, il TARDIS diventa peggio della bibliotecaria della sua vecchia scuola (una donna orrenda, e molto più spaventosa di qualsiasi altra cosa abbia mai visto in vita sua – i nemici del Dottore sono veramente nulla al confronto, può giurarlo) se lascia in disordine dopo essere andata, e loro due hanno già un così brutto rapporto.

La giornata è incredibilmente, miracolosamente tranquilla, in effetti, una di quelle in cui il viaggio è stato sorprendentemente turistico e c'è quel loro accenno di quotidianità nell'aria, e allora proprio non sa perché quella maledetta nave decide che è il momento ideale per una ristrutturazione totale della biblioteca, che comporta il lasciarla vagare disperata per corridoi sconosciuti – forse proprio perché è un giorno così e... si annoia, suppone. O qualcosa del genere.

Sbuffa, esasperata, quando si ritrova sulla soglia dell'ennesima saletta estranea, dopo l'altrettanto ennesima svolta – scocca un'occhiata minacciosa al soffitto, ricevendo in cambio solo il pulsare leggero e costante di luci soffuse (non che si aspettasse altro, in realtà – di certo non una grande freccia rossa a indicarle la strada per l'ingresso) –, poi si limita a sospirare, un paio di volumi stretti al petto, e a dirigersi verso l'unica poltrona – bella, di pelle e anche piuttosto comoda, come constata mentre ci si lascia cadere sopra, spostando distrattamente un golfino violetto appoggiato sulla seduta.

La stanza non è molto grande, circolare, raccolta – accogliente, a dirla tutta, con una scrivania e una lampada accesa e le pareti tappezzate di libri –, quasi un rifugio, un nido (si guarda intorno, stancamente, le pare di camminare da ore).

Poi lo sguardo cade sulla felpa leggera che si è appoggiata in grembo, e aggrotta la fronte – non ci aveva quasi fatto caso, in un primo tempo, ma esclude che possa essere del Dottore, non tanto per il colore, in parte perché il viola le piace e davvero non sarebbe male scambiare quella giacca da professore con qualcosa di diverso e in parte perché si aspetta di tutto da un uomo che quando è in vena se ne va in giro con un fez, ma è troppo piccola per lui, dal taglio decisamente femminile (è consumata, un po' scolorita, sicuramente non nuova, abbandonata come se dovessero tornare a riprenderla da un secondo all'altro – sorride appena, incuriosita e con una punta di malinconia, realizzando che è di qualcuno che non tornerà più, in tutta probabilità).

Quando si rialza, borbottando qualcosa d'indefinito – un qualcosa di poco carino verso il TARDIS e il suo comportamento infantile, sì –, la porta con sé (se è fortunata, il Dottore avrà voglia di raccontare).

 

Quando riesce – per miracolo – a uscire dalla biblioteca, lo trova nella sala dei comandi, il sacchetto con la spesa appoggiato a terra con noncuranza – gli si avvicina da dietro, la giacca fra le mani, e lui la vede quando ormai gli è a poco più di un metro, con la coda dell'occhio.

Si volta, un saluto già sulla punta della lingua e un sorriso che si spegne quasi prima di nascere, quando scorge la stoffa rovinata dagli anni – per un attimo Clara quasi si pente di averla presa, forse non avrebbe dovuto, dopotutto c'è un motivo per cui non gli piace parlare del passato e fargli del male è l'ultima cosa che vuole (è solo un attimo, però, il tempo di leggergli il dolore sul viso e già ha cambiato espressione, un qualcosa a metà fra una tenerezza profonda e una nostalgia tanto devastante da far spavento – le si avvicina lentamente, come se fosse molto stanco, tutta la leggerezza persa in un istante).

Non la guarda negli occhi mentre sfila con delicatezza l'indumento sue dita, rigirandolo fra le mani, esitante, come se potesse sgretolarsi all'improvviso – è evidentemente sorpreso, stranito, e sembra così fragile e davvero, davvero non può contenere l'istinto a rassicurarlo (una carezza leggera, un ci sono qui io, anche se lei non c'è più – non che abbia la minima idea di chi sia, lei, ma sente che è stata importante, veramente importante e chissà, magari le sarebbe pure piaciuta).

Lui si schiarisce la voce, la ringrazia con un cenno, ma non è sicura che stia bene, comunque (rettifica immediatamente, quando lo sente parlare – non sta bene, per nulla).

«Dove l'hai trovata?» glielo chiede a bassa voce, sempre con quel volto un po' triste, un po' addolcito – si appoggia alla console, senza più distogliere gli occhi dalle cuciture consumate.
Lei rimane ferma, indecisa se avvicinarsi o meno – prima di rispondere conclude che lasciarlo solo ora è fuori discussione, quindi ignora il latte che non dovrebbe stare fuori dal frigorifero e si lascia cadere su una delle quattro poltroncine.

«In biblioteca – mi sono persa e sono finita in questa stanzetta tonda, carinissima, fra l'altro, anche se non credo saprei ritornarci mai più. Era sulla poltrona.» si morde le labbra, in attesa – c'è una parte di lei che vuole chiedergli di quella lei che adesso sembra aleggiare come un fantasma fra loro, e un'altra che si dice che sarebbe meglio evitare, che in quello sguardo c'è molto più di quel che crede di vedere (è quello che ha quando ricorda e i ricordi sono qualcosa che custodisce gelosamente – forse perché ha avuto una vita così lunga, forse perché ce ne sono stati più di brutti che di belli, non lo sa).

Trattiene il fiato per un secondo, poi sospira e butta fuori anche la domanda, prima che le passi il coraggio.
«Chi era?» non le risponde subito, tanto che arriva a pensare che non lo farà – un minuto, due, sospetta che a breve semplicemente sembrerà svegliarsi da un sogno e ripartiranno verso qualche altro posto, accantonando il momento (invece la stupisce, è sempre bravo a farlo, anche se fatica a udirlo, le pare che parli molto più a se stesso che a lei).

«Rose Tyler. Si chiamava Rose Tyler.» alza lo sguardo, le sorride «Posso raccontarti una storia, Clara?»

 

Il Dottore parla per quelle che sembrano ore – e probabilmente sono ore, non che dentro al TARDIS se ne possa mai essere certi – e Clara capisce molte cose, capisce anche quello che lui non dice perché non è il tipo di persona che lo fa ad alta voce, se si fa attenzione c'è così tanto dietro alle parole di un uomo come quello che le sta davanti (un uomo che cambia espressione da un secondo all'altro, che un momento sta mimando una fuga rocambolesca e quello dopo è immobile, paralizzato da un ricordo troppo vivido).

Rose Tyler è molto più di quello che le rivela – per un qualche motivo si sente incredibilmente vicina a questa sconosciuta, forse anche soltanto perché è stata così determinata a prendersi cura di lui (checché ne dica lui, che si arrampica sugli specchi e si colpevolizza e quanto, quanto dolore può leggere in quello sguardo lontano, era lei a preoccuparsi che non perdesse la strada) e anche se sa che prima di lei ci sono stati altri e dopo di lei ce ne saranno ancora si sente in qualche modo improvvisamente responsabile, come se Rose le avesse passato il testimone, raccomandandosi di fare tutto il necessario (tutto quello che serve, che servirà in futuro, per non lasciarlo solo). E non si tratta di qualcosa da prendere alla leggera, ha quasi paura che se mancasse alla promessa, anche se sono passati tanti, troppi anni e sa benissimo che razionalmente è molto più che improbabile, lei troverebbe il modo di comparire e trascinarla via per un orecchio – parecchio arrabbiata. E con una pistola.

Perché ha capito anche qualcos'altro, Clara, e un po' vorrebbe chiederglielo, esserne sicura perché potrebbe anche avere frainteso tutto e sarebbe un peccato, come una bambina con il finale della sua fiaba preferita, ma si rende conto quasi immediatamente che sarebbe una domanda inutile – lui non lo dice, ovviamente, si fa solo immensamente più triste, solo la voce sfuma in qualcosa di amaro, ma è così chiaro, così palese (abbastanza da intristire anche lei, le storie d'amore la rendono sempre malinconica – soprattutto se non c'è nessun lieto fine).

Lancia un'ultima occhiata alla giacca viola, ora è semplicemente appoggiata alla ringhiera e sa benissimo che non è cambiato nulla – eppure è cambiato tutto, ora ha come l'impressione che non sia stata semplicemente dimenticata (che Rose l'abbia lasciata lì quasi di proposito, un regalo, un ricordo).
Allora solo si alza, lamentandosi per le gambe indolenzite, e decide che è stata una giornata abbastanza pesante e che è ora di chiudere il rubinetto del passato – o qualcosa di simile, non è mai stata brava con le frasi ad effetto.

Dopotutto, le serve un assistente per preparare quel soufflé.

 

«Forza, basta compiangersi – prendi il latte e deciditi a capire com'è fatta la tua cucina, in quasi mille anni ti sei mai posto il problema di avere un forno funzionante?»

   
 
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