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Autore: nullusetamoremred    01/08/2014    0 recensioni
Storia dedicata ad una delle coppie più belle nel mondo calcistico, ambientata poco dopo i Mondiali nella bella isola d'Ibiza, dove i campioni hanno deciso di prendersi una vacanza.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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*Nota d'autrice: Premetto che i personaggi di questa storia non mi appartengono, perché sono reali. Sono Marco Reus, giocatore al BVB, e Mario Goetze, giocatore al Bayern Monaco. Detto questo, vi abbandono.*

Il sole giocava sui capelli biondi del crucco, creando dei riflessi che gli illuminavano il volto dai lineamenti affascinanti. Stava aspettando Mario da quasi un’ora. “Sicuramente sarà a rifarsi le sopracciglia”, pensò Reus, quasi ridendo all’immagine di un Mario dall’estetista che spettegola con le amiche.
Era una bella giornata, il cielo ero più azzurro del solito, l’odore del mare viaggiava nel aria e c’era una leggera e piacevole brezza che continuava  a scompigliare i capelli di Marco, facendolo arrabbiare.
Nonostante le ciocche fuori posto, sorrise: era, decisamente, la giornata migliore per dire a Mario tutto ciò che aveva sempre provato. Ibiza, di giorno, sembrava così tranquilla e lontana dalla sua cara Germania. Ma era pure il luogo ideale dove fare dichiarazioni sotto la luce del sole perché, si sa, il sole riscalda i cuori. E poi erano tutti in vacanza lì, dopo la vittoria con l’Argentina ai mondiali. Pure Marco si era precipitato lì, con la gamba che era guarita. Giorni prima era andato a salutare i suoi compagni che lo festeggiarono e si festeggiarono. Non trovo il suo caro Mario ma non se ne fece una pena. Sapeva che, prima o poi, sarebbero usciti insieme, almeno per ringraziarlo del bel gesto della maglia. Mario non lo sapeva ma quel piccolo gesto aveva fatto sorridere Marco per giorni. Fu pure quel gesto a dare il coraggio necessario al tedesco di esprimere i suoi sentimenti verso il suo ex compagno.
Ebbe appena finito di fare una foto con una fan in preda dagli ormoni che vide Mario arrivare. Allontanò la fan e, facendo finta di non essere emozionato nel rivedere il suo campione, si avvicinò a lui. “Mario”, pensò con un sorriso celato, “dovrebbe mettersi più spesso i pantaloni così attillati.” E pensato ciò lo guardò come per saziarsene. Mario si sentì in imbarazzo ma fu felice che Marco fosse lì e, soprattutto, fu felice che lo stesse guardando in quella maniera, dolce e protettiva.
I due cominciarono a passeggiare, ammirando la spiaggia bianca e il mare cristallino che rifletteva il cielo sereno. La gente, quando gli vedeva insieme, pensava. Pensava a cose come “quei due sono Goetze e Reus!” oppure “dove ho già visto quelle facce?” o ancora “quanto sono carini insieme.”
Poi c’era chi li guarda e sorrideva, pensando “bella cosa l’amore”. Perché trai due c’era così tanto amore che si sarebbe potuto imbottigliare. Il fatto che rendeva tutto più divertente era che ognuno prova qualcosa per l’altro e nello stesso tempo era sicuro che l’altro non ricambiasse. Ma li sarebbe bastato guardarsi con gli occhi di uno sconosciuto per capire quanto stesero bene insieme: quando i loro compagni, amici, famigliari o sconosciuti li guardavano vedevano due persone felici e innamorate, ma innamorate per davvero. E tanto, così tanto che se si potesse misurare il loro amore in termini astronomici sarebbe una stella, e anche bella grande.
Marco, ad un certo punto, si fermò ad ammirare l’acqua che brillava sotto il sole e Mario ammirò le sue belle forme, invece. Era più che felice di rivederlo, Aveva fatto altro che pensare a lui in quei giorni. Anzi, non aveva fatto altro dal primo giorno che si erano conosciuti. Dal primo giorno, Mario capì che era fin troppo tardi per tornare indietro dagli occhi verdi e dal sorriso irresistibile di Reus.
Marco si girò a guardare Mario e trovo subito il suo sguardo. Sorrise teneramente e invitò Mario a continuare la passeggiata che, sì, continuò ma coi due ragazzi che non facevano altro che guardarsi negli occhi come alla ricerca di qualcosa, qualcosa che apparteneva solo a loro due. Ricordi, risate e qualcos’altro.
Arrivati davanti una gelateria affollata, Mario chiese di farsi offrire un gelato da Marco ma Marco gli rispose con un secco e sarcastico << no, no che poi ingrassi. >> Si divertiva a parlare così a Mario perché poi lui faceva quella cosa che amava tanto: incrociava le braccia intorno al petto, metteva il broncio, impuntava i piedi per terra, acutizzava la voce e sporgeva il labbro inferiore che Marco guardava sempre con desiderio. E, come si aspettava, Mario compì il rituale, offendendosi pure, ma per poco perché con Marco non riusciva davvero ad essere offeso. E questo diceva già tanto visto che il carattere della principessina Goetze era molto permaloso e rancoroso. Marco risse e gli andò a prendere il gelato. Fragola e cioccolato con doppia panna, “e poi si lamenterà di essere ingrassato”, pensò, prendendosene uno anche per sé.
Mario, seduto su una panchina verde e fredda riparata dall’ombra, guardò Reus arrivare con il suo gelato. Aveva avuto molti ripensamenti sul dare la bella, ma non così tanto, notizia a Marco. Ma, in fin dei conti, era il suo migliore amico e prima o poi avrebbe dovuto saperlo. Gli salì un magone orribile e quando Marco gli porse il gelato a stento riuscì dire grazie. Reus percepì il disagio di Goetze e gli chiese, con evidente preoccupazione, se qualcosa non andasse. Mario, con una voce tremula e un sorriso sincero, disse << io e Ann Kathrin ci sposiamo. >>. Non si accorse di come la sua voce divenne piatta nel dirlo perché il pallore crescente del ragazzo davanti a sé lo spaventò.
Marco si alzò e guardò dall’altra parte, un po’ perché il panorama era meraviglioso e un po’ perché aveva bisogno di incanalare la bella notizia. Non pensava in quel momento, non ci riusciva. Vedeva solo le distese di cielo e mare, cielo e mare, cielo e mare. Mario non comprese la reazione dell’amico, aveva sempre pensato che avrebbe reagito festeggiandolo e, sinceramente, questo era ciò che lo spaventava. Ma vedere un Marco quasi rattristito dalla notizia lo fece un poco sperare e preoccupare.
<< Sai, noi ci amiamo. E poi io ho sempre desiderato avere una famiglia con tanti bambini e lei, insomma, è la mia ragazza>>, disse come per scusarsi, quasi pentendosene. In quel momento Mario Goetze si accorse di avere paura; paura della reazione di Marco, di quella dei suoi compagni che lo avevano sempre incoraggiato per Marco, di perdere Marco, di un futuro senza Marco, di non parlare più con Marco. Ma aveva dovuto farlo. Lui aveva davvero sempre desiderato una famiglia con dei bambini e sicuramente non l’avrebbe mai avuta con il Marco che gli raccontava di tutte le sue avventure notturne facendo solo arrabbiare per il resto della giornata. Non con un Marco che lo considerava solo un amico. Ripensò a tutte le volte in cui Marco aveva evidentemente mostrato la sua adorazione verso le ragazze e la sua vana speranza svanì.
Marco si girò a guardarlo e, con un sorriso forzato, gli disse << sono felice per te, amico >>, sputando acidità e cinismo sull’ultima parola. <>e fece una risata che inquietò Mario e delle bambine lì intorno che scapparono via.
<< Sicuro di stare bene? >> chiese preoccupato Mario vedendo che il suo migliore amico aveva un vena che gli pulsava spaventosamente sul collo. Marco cercò di sfoderare il suo miglior sorriso e prese Marco dalla maglia. I loro visi erano maledettamente troppo vicini, così vicini che Marco poteva sentire il respiro affannato di Mario. Marco gli parlò sulle labbra, quasi tentandolo a baciarlo o ad allontanarlo << ci vediamo qui alle otto di questa sera. Pago io, festeggi tu. >> e se ne andò ancora sorridendo.
Marco, invece, non sorrideva affatto. Non si era aspettato questa sua reazione così strana. “No, ma certo che è felice per me. Non può mica essere geloso. Non mi ama mica. Era ovvio che doveva reagire così. Sì, è tutto okay, tutto normale…”
Abbassò lo sguardo e si accorse che il suo gelato gli era caduto e che si stava sciogliendo in una poltiglia indefinita. Si accorse che pure lui si sentiva così, una poltiglia incolore.
 
Questa volta fu Marco ad arrivare in ritardo. Non si era cambiato, constatò Mario, e puzzava decisamente di alcool. Era ubriaco da far schifo. Mario lo portò a mangiare, sicuro che aveva passato il pomeriggio solo a bere, e si chiese che cavolo gli avesse preso da farlo ubriacare così alle otto e mezza di sera. Da ubriaco Marco diventava un docile ragazzino tra le mani di Mario. Andava ovunque lo portasse ma non si decideva a parlare. Non voleva aprir bocca se non per ridere dietro a pensieri invisibili o per infilarci del cibo, facendo creare inutili filmini mentali a Goetze.
Mario guardava Marco che mangiava la pizza ai funghi, quella che odiava di più, e si preoccupava sempre di più del suo strano comportamento. Il suo cuore batteva a mille perché sapeva che si stava allontanando dal suo ex compagno di squadra e che qualcosa stava succedendo. Rise, per poco, pensando alle interviste fatte insieme dove “faceva finta” che tra loro ci fosse una romance. Poi si rabbuiò di nuovo, ricordandosi che almeno lui non faceva finta, ma Marco sì. Appena ebbe finito di mangiare Marco si alzò e prese per mano Mario, stringendola un poco, come per non volerla più lasciare. << Andiamo a divertirci>> furono le prime parole che disse. Chissà come, un Marco ubriaco portò Mario in una discoteca. In fondo, ad Ibiza, ce ne erano tante. Appena entrarono Marco riprese a bere e a ridere, ma da solo. Poi scappò letteralmente da Mario. Corse via, scappando da colui che amava per nascondersi in mezzo alla gente che ballava al ritmo di quella musica improponibile.
Goetze lo ritrovò seduto per terra con una ventina di ragazze eccitate, a fare il gioco della bottiglia alcolico: consisteva nel baciare la persona che veniva indicata dalla bottiglia e poi bere un bicchiere di qualche alcolico. Appena Marco vide Mario fece per invitarlo ma poi si rifiutò, dicendo a se stesso che ora lui era fidanzato e che non poteva mica divertirsi come le persone col cuore spezzato. Gli venne quasi voglia di urlagliele in faccia quelle parole, ma un barlume di lucidità lo fermò nel farlo. Girò la bottiglia e beccò una ragazza dai seni tondi rinchiusi in un abito blu che non si abbinava per niente al suo colore di capelli scuro. La prese dalla schiena e la tirò a sé, guardò furtivamente Mario, con uno sguardo quasi colpevole, e la baciò. Ma il baciò durò più a lungo del solito: non che Marco provasse qualcosa nel farlo, ma provava un piacere freddo nel mostrare così tanta finta passione a Mario, come per dirgli << guarda che ti sei perso>>.
Pochi secondi dopo una mano gli strinse dolorosamente il braccio tatuato e lo tirò fuori da quel contatto di labbra e corpi. Marco urlò bestemmie e insulti mentre Mario lo trasportava fuori da quel locale. A Mario non erano mai piaciuti quei locali, erano luoghi più adatti a Marco. Il volto di Goetze era pieno di rabbia, le sue guance dolci divennero scarlatte e i suoi passi pesanti. Quando furono abbastanza lontani dai frastuoni della discoteca Mario urlò contro a Reus, che in quel momento si preoccupava solo dei suoi capelli. Gli urlò chiedendogli che stava facendo, gli urlò che era stupido il suo gioco e gli urlò che la stampa era sempre dietro ad ogni angolo a farsi beffe di personaggi famosi. Marco lo guardò come incantato, si aggiustò un ciuffo e si tolse la maglia che poi buttò in un tombino.<< La stampa, LA STAMPA! Cosa mi interessa della stampa se il mio migliore amico tra poco si sposa? Cosa mi interessa se una delle persone a me più cara si sposerà? Che la stampa mi ritragga pure nudo, ubriaco e in lacrime, se vogliono >>. E cominciò a piangere e a ridere, spaventando davvero Mario che fece un piccolo, quasi impercettibile, passo indietro. Poi Marco si arrestò e, senza preavviso, intrecciò la sua mano in quella di Mario. I loro battiti accelerarono all’unisono.
Marco tirò con se Mario attraverso una strada che diventava sempre più piccola e desolata. Durante tutto il tragitto nessuno dei due parlò e chiunque gli notasse avrebbe visto un ragazzo biondo senza maglia che trasportava per mano un ragazzo tremante in una strada che si faceva sempre più deserta e nascosta, sotto la luce della luna, delle stelle e dei lampioni. Sarebbero sembrati due semplici ragazzi persi che cercavano di rimanere uniti fino a trovare la strada giusta, che brillavano di luce propria insieme, senza che mai dicessero una sola parola. Marco era sicuro di sé, forse per l’alcool, forse perché non aveva nient’altro da perdere e Mario tremava stringendo forte la mano del biondo.
Arrivati in una spiaggia deserta, Marco lo guardò con stanchezza e malinconia. << Spero ti piaccia, perché era qui dove avrei voluto sempre portarti…>>
Mario ammirò ciò che lo circondava: una spiaggia immacolata che veniva accarezzata dalle onde nere del mare, un cielo pieno di stelle che non veniva coperto dal manto di luce artificiale, piante e arbusti verdi che circondavano le dune e gli scogli. La natura, in quel paesaggio, ce l’aveva davvero messa tutta: tutto ciò lì sembrava un intreccio divino dove tutto era al suo posto e dove la mano del uomo non aveva ancora avuto il permesso di toccare tutto quel creato, rovinandolo. Mario rimase davvero a bocca aperta. <> disse con una voce impastata e pesante Marco.
Mario si girò, stupito da quelle parole, appena in tempo per vedere Marco cadere sulla sabbia, ronfando.
La prima cosa che notò Marco, risvegliandosi, era il profumo di Mario che lo circondava. La seconda cosa era il doloroso mal di testa che lo trafiggeva e la terza era la sabbia sui suoi capelli. Si alzò, forse troppo velocemente perché subito dopo ricadde a terra, colpito dall’emicrania. Mario corse subito a sorreggere l’amico. Reus notò che Mario non stava indossando la maglia, la stessa maglia che era scivolata da dosso Marco quando si era alzato.
Marco cercò di capire cosa stesse succedendo, e sinceramente, niente gli tornava in mente: era nella sua spiaggia segreta, con Mario, aveva dormito sulla sabbia coperto dalla maglia dell’amico e la testa gli doleva tantissimo.
Mario lo guardò con due occhi così colmi di dolcezza che Marco, come attratto da una calamità, ricambiò lo sguardo. Il sole non era ancora nato e l’aria intorno si stava riscaldando man mano che passavano i minuti. L’alba era vicina e l’acqua cominciava ad essere più agitata, spinta da un vento nato da chissà dove.
C’era così tanto in quello sguardo, così tanto da raccontare, così tanto nato dal passato e così tanto che sarebbe dovuto essere e diventare futuro. C’era dolcezza timidezza imbarazzo allegria rabbia tristezza e amore. C’erano i ricordi le risate le partite i dopo partita i profumi i giochi la neve e le piogge. Si poteva dire che in quello sguardo, trai due, c’erano tante parole e tanti fatti che non sarebbero bastate settimane per trascriverli.
<< Mario…>>, quasi sussurrò il calciatore, << ho sognato che ti sposavi con Ann Kathrin. >> Mario si morse distrattamente il labbro e cercò di guardare altrove. Marco, avendo dei flash back della serata prima, ricordò che quello non era un sogno ma la fredda verità. Si alzò, semplicemente, in piedi e corse nell’acqua fredda e agitata, trovandola perfettamente abbinata al suo umore. Aspettò che delle onde gelate lo risvegliassero e si sdraiò letteralmente in acqua, con il movimento marino che lo cullava e ancora la maglia di Mario in mano. Mario lo raggiunse lentamente, senza avere il coraggio di dire qualcosa: si sentiva dannatamente in colpa. Ed arrabbiato. Perché doveva sentirsi in colpa? Il suo migliore amico avrebbe dovuto gioire per lui, non comportarsi come si comporterebbe Mario quando non trova dei vestiti della sua taglia.
Dominato dalla rabbia, Mario mise le sue mani sul petto nudo di Reus e lo spinse sott’acqua. Marco riemerse dall’acqua fredda ansimando, guardò con rabbia Mario e gli urlò << perché cazzo l’hai fatto? >> In quella domanda c’era tale rabbia che a Mario parse più che ovvio che non stava chiedendo del gesto appena compiuto. Guardò prima il cielo che si stava tingendo di rosa e poi gli occhi verdi di Marco. Poi, semplicemente, disse << io, a te, non devo nessuna spiegazione. >>
Marco gli lanciò addosso la sua maglia che, imbevuta d’acqua, fu abbastanza pesante da fargli male. Non troppo, ma abbastanza da mandare Mario su tutte le furie. Lo guardò con odio, si avvicinò e fece per tirargli uno schiaffo che fu subito fermato da Marco. << Tu non puoi sposarla >>, disse a denti stretti. Mario fece un risolino nervoso, anche se dentro una piccola speranza stava rinascendo. << Con che diritto tu mi dici questo?>>, dette queste parole Goetze cercò di liberare il braccio dalla presa di Marco, ma lui la strinse, facendogli quasi male.
<< Mario, cazzo, come hai fatto a non accorgerti di quello che io provavo per te? Il modo in cui ti guardavo, in cui sorridevo o parlavo di te non ti hanno mai suggerito niente? Non hai mai visto uno di quei cavolo di blog dedicati a noi, dove si sottolineava come io fossi innamorato di te? >>, disse Reus sull’orlo delle lacrime e dell’isteria.
Mario non riuscì a credere ciò che il bel biondo gli aveva appena detto. << Ma tu continuavi a raccontarmi di tutte le ragazze che conquistavi. E poi, a me, eri sempre sembrato attratto da Lewa >>, disse come un’idiota scettico.
<< Lewa? Mario, ma che cazzo, sei sempre stato così cieco o cosa? >>e ad ogni parola colpiva il povero Mario finchè non lo catapultò in acqua. Marco gli diede le spalle e andò a sedersi sulla sabbia granulosa. Marco, con un sorriso incredulo, lo seguì subito. Arrivato sull’asciutto, Marco, con la testa fra le mani, gli disse << sei davvero un cretino, Mario.  >>
<< Lo so >>, fu la risposta giuliva di Mario.  Aveva stampato un sorriso ebete sulla sua faccia dolce.
<< Sei pure una reginetta favolosa, Mario >> , ribatté Marco, alzando lo sguardo e sorridendo per essersi liberato di un peso consistente nella sua vita.
Mario, felice, si sdraiò sulla sabbia con le braccia aperte. Marco, senza nemmeno pensarci, appoggiò la testa sul braccio del ragazzo. Tutto era così calmo e tranquillo, tutto era al suo posto anche sei due erano decisamente bagnati e a petto nudo. Mario mise l’altro braccio sul corpo caldo di Reus e infilò la testa fra i suoi capelli che odoravano di acqua marina.
Marco, decisamente non soddisfatto, ribaltò la situazione con un movimento d’anca, permettendo che le sue gambe cingessero i fianchi rotondi di Mario e che le sue mani gli tenessero ferme le spalle. Marco fece una risata divertita che si trasformò in un’esclamazione quando Reus cominciò a baciargli il collo.
<< Marco, sai che ho passato tutta la notte a guardarti dormire? >>, disse con una voce stanca ma al contempo eccitata.
<< Si? >>, chiese Marco distrattamente mentre cominciava a scendere coi baci.
<< Si. E quando dormi sei tanto…tanto…>>
Cosa Marco fosse non lo venne mai a sapere perché, in quell’istante, Mario chiuse gli occhi e cominciò a russare. “In fondo”, pensò Marco con un sorriso, “ha passato tutta la notte sveglio vicino a me”.
Marco, con una punta di dispiacere, si scostò dal corpo di Mario e lo guardò mentre si raggomitolava. Sorrise, gli accarezzò i capelli e guardò il sole che nasceva davanti a loro, donando un colore aureo a tutto ciò che li circondava.
 
Mario si risvegliò tra le lenzuola candide di un letto matrimoniale di un hotel di lusso. Il suo primo pensiero fu che aveva sognato tutto, il secondo che qualcuno si stava facendo la doccia e che probabilmente era Ann Kathrin.
Quando Marco uscì dalla doccia senza nemmeno un asciugamano a coprirlo, Mario rimase a bocca aperta contemplandone il corpo perfetto.
<< Mario, se sei sveglio vai a farti una doccia che la sabbia sulla pelle non è un cazzo comoda. >> Poi vide la faccia di Mario e fecce un mezzo sorrisetto, si leccò il labbro superiore e disse << dovrò aspettarmi sempre uno sguardo così quando esco dalla doccia? Guarda, se vuoi mi metto un’ accappatoio >>.
Poi puntò lo sguardo verso le lenzuola, compiacendosi. << Mario, se tu non fossi una checca isterica saresti decisamente l’uomo nella coppia >>, disse avvicinandosi al letto e ridendo delle sue stesse parole.
Mario, con un sorriso da ebete, rispose << io non sono una checca isterica. E, Marco, stai bagnando dappertutto. Non vorrei che dopo mi toccasse asciugare tutto >>.
Mettendo una mano sulla testiera del letto, poco sopra dalla testa di Mario, Marco disse, in un tono quasi naturale ma molto seducente, << chissà se riesco a far bagnare altro >>.
Ridendo della sua battuta, il numero dieci si infilò tra le lenzuola, avvolgendo il suo corpo con quello della diciannovesima maglia del Bayern. Subito cercò le labbra del ex compagno, quasi con impazienza, e sorridendo. Fu un bacio lento, condotto dalla sicurezza di Marco e dalla tenerezza di Mario.
Mario si accorse di essere stato davvero cieco: tutte le interviste, i flirt, i scherzi, gli abbracci, gli sguardi, le preoccupazioni o il semplice fatto che lui lo vedesse molto di più che come un semplice compagno avrebbero dovuto avvertire. Avrebbe dovuto capirlo dalle chiamate fattegli alle tre di notte per ricordargli di prendere le medicine quando stava male, l’avrebbe dovuto capire per i regali che ogni due settimane gli arrivavano a casa o l’avrebbe semplicemente dovuto capire dal fatto che, in fondo, Marco c’era sempre stato, anche quando Mario diventava altamente insopportabile.
E Marco, un po’ o forse tanto, si pentì dei comportamenti idioti che aveva sempre avuto nei suoi confronti: ogni volta che poteva gli ricordava che poteva portarsi a casa tutte le donne che voleva, molto spesso, quando accennava solo lontanamente ad Ann Kathrin, lo allontanava e diventava freddo. Si pentì anche quando Marco passò al Bayern e per un lungo periodo divenne freddo nei suoi confronti, guardando dall’altra parte quando gli parlava, non ricambiando i suoi saluti e allontanandosi dai suoi abbracci.
Mario procurò delle piccole cicatrice bianche sulla schiena muscolosa di Reus, facendolo ridere. Aveva infilato le unghie nella sua schiena come in un impeto di passione, una passione trattenuta per anni e trattenuta anche in quel momento così bello e delicato.
“Mario”, pensò Marco in quel momento, “profuma ancora di mare” e si fermò un attimo, appoggiò il viso nel collo di Marco e cominciò ad assaporarne il profumo caldo. Rimase in quella posizione a lungo, con la testa di Marco appoggiata sui suoi capelli bagnati, le gambe incrociate e le braccia del suo compagno a proteggerlo.
Il sentimento provato in quel momento, dai due ragazzi, era indescrivibile: non era amicizia, era troppo complicato per essere semplice amicizia, e non era amore, era troppo puro per essere amore o, almeno, l’amore dei giorni d’oggi. Era un senso di magnifica comprensione tra i due, reciproco rispetto e totale benessere. I due erano, come dire, fatti per stare insieme: come fratelli, come amanti, come amici non importava. Erano semplicemente legati, dalla nascita, forse, o dal primo sguardo. Erano due pezzi perfetti di un puzzle, due metà di una mela. O erano, in realtà, diversi come il cielo e il mare: due personalità diverse, contrastanti, un poco, ma quando la gente li avrebbe guardati avrebbe pensato semplicemente che insieme erano belli, di una bellezza naturale, una bellezza che si prova e sente quando si vedono due cose che, per natura, sono perfette nel loro insieme. La stessa bellezza che si vede guardando un tramonto dietro le montagne, un’ ape su un fiore o un lampo in mezzo una tempesta. La stessa bellezza che ti fa credere e capire che tutto, in quel momento, è al suo posto.
Lì vicino un telefono squillò. Mario sapeva già chi lo stava chiamando e per cosa. Aprì controvoglia gli occhi e lanciò il telefono in mezzo alla stanza. Si accorse che in quella stanza c’era un solo letto, un solo letto per due. Guardò Marco con un sorriso dolce e lo sentì dire, con la faccia ancora appoggiata alle sue spalle , << quando dormi sembri un criceto. Sei di una tenerezza impossibile. >> Mario lo strinse più forte, sorrise e chiuse di nuovo gli occhi permettendo che la luce del sole entrasse  dalla finestra e riscaldasse i loro corpi abbracciati.


   
 
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