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Autore: freedomrauhl    02/08/2014    0 recensioni
"Io avrei ricostruito ciò che avevamo creato e che il destino aveva distrutto"
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.
 
 
A Stefano, l'unico sguardo che ho sempre
desiderato incontrare.

 

È incredibile come i giorni di vacanza passino in fretta.
Mi sembravano essere passate solamente un paio di settimane da quando presi l’ultimo autobus scolastico per tornare casa, tutto fradicio per colpa dei miei compagni di classe e con la custodia della chitarra in spalla.
Ricordo che prima di scendere salutai l’autista con un cenno di mano e lui di risposta mi disse che mi aspettava a settembre sul solito pullman delle sei e quarantacinque, il primo della giornata, a fargli compagnia parlando di gruppi rock e di pezzi intramontabili della storia della musica.
E quei novantuno giorni erano passati come un soffio, silenziosi , e tutto ad un tratto mi trovavo di nuovo lì, su quell’autobus, con le cuffiette nelle orecchie e la testa appoggiata sul finestrino.
L’autista dell’anno precedente non c’era più e allora mi ero limitato a stringermi nel mio cardigan e a guardare il paesaggio ancora iniettato di nuvole bluastre.
Una parte di me era sempre stata entusiasta all’inizio degli anni scolastici: mi ripetevo di cambiare, di non commettere sempre gli stessi errori e di trovare la mia strada.
O meglio, di ritrovarla.
Quella mattinata non andai in caffetteria a fare colazione come mio solito, continuai dritto per la strada che portava direttamente alla mia scuola, ancora deserta, poiché era troppo presto per aprire i cancelli agli studenti.
Mi appoggiai ad un muretto e continuai a guardare verso la direzione dalla quale ero appena passato e dalla quale solitamente passava anche lei, quella chioma rossa e quegli occhi verdi che in quei novantuno giorni mi ero accontentato di vedere in foto, attraverso uno schermo di uno stupido dispositivo.
I numeri del countdown si erano esauriti e mi sentivo in apnea, pieno di paura e di timore verso un cambiamento troppo drastico alla quale non facevo che pensare in tutto questo tempo.
Passarono minuti, ed il cortile della scuola cominciava a riempirsi sempre più di schiamazzi e di sorrisi.
Mi ero rifugiato dietro al cancello, dando le spalle ai miei compagni di classe che si raccontavano esperienze vissute in un’estate della quale io non mi ero nemmeno accorto di aver vissuto.
Sussultai quando vidi una delle sue amiche sorridere e salutare altre ragazze, fra le quali lei non c’era.
Avrei voluto chiederle dove fosse, perché non fosse in anticipo come suo solito, perché non era con lei con il caffè americano da asporto in mano.
Già sentivo i cambiamenti mangiare parte di me.
Mi strappai le cuffiette dalle orecchie nervoso e le appallottolai nella mano sinistra, continuando ad osservare chiunque avesse una minima somiglianza con lei, con la sua fisionomia, con i suoi lineamenti.
Quando scoprii di avercela di fronte, mi mancò il fiato e tutto intorno a me si fermò.
Il cancello verde che ci divideva non mi impediva di vedere una ragazza che non era assolutamente quella che avevo lasciato novantuno giorni prima.
I capelli mossi, lunghi e rossi erano stati sostituiti da un taglio cortissimo e castano, del suo colore naturale.
Il suo sguardo sembrava smarrito, spaventato e dubbioso e le sue labbra anziché essere idratate e rosse erano pallide e screpolate.
Le sue curve si erano affievolite, facendola sembrare non più burrosa bensì ossuta e gracile.
Sorrideva, ma non era il suo solito sorriso.
Sussultai non appena vidi il particolare più agghiacciante di tutti: una cicatrice sulla fronte.
Era ancora fresca e visibile, a contrasto con il colore della sua pelle così pallida.
Sentii le gambe cedere e le mia mani lasciarono tutto ciò che stavo afferrando fino ad un momento prima.
Mi avvicinai, sbattendo le palpebre il più possibile per cercare di risvegliarmi da questo brutto sogno.
Cosa le era capitato? Perché era diventata l’ombra di se stessa? Dov’era la mia Marianne che mi cercava con lo sguardo mettendosi sulle punte, vispa e viva come non mai?
Mi avvicinai finché il cancello fra di noi me lo permise: volevo ascoltare alcune parole per capire meglio cosa stesse succedendo.
Infilai le mie mani nelle griglie per tenermi in piedi e girai lo sguardo verso il gruppo di ragazze.
“Hey Marianne, questo look ti dona!” sentii dire da una mia compagna di classe verso di lei, vidi lo sguardo di Marianne scrutarla, senza risponderle, come imbambolata a pensare qualcosa.
C’era molta tensione nell’aria finche la sua migliore amica, Michelle, non intervenne.
“Lei… lei è Beatrice, Marianne.” Le sorrise, mettendole una mano sulla spalla.
Non capivo, se non si fosse ricordata il nome di una persona la Marianne che conosco si sarebbe scusata milioni di volte per poi finire per scoppiare a ridere.
Non capivo.
“Ohw si, certo, beh Beatrice, mi dispiace.” Si mortificò lei, guardando per terra, imbarazzata.
Vidi Michelle mimare qualcosa di incomprensibile verso Beatrice, facendola poi ricominciare a parlare.
“Mi…mi dispiace molto per l’incidente Marianne, se tu hai voglia farmi qualsiasi domanda per ricordare io… beh sono sempre qui” le sorrise per smorzare l’atmosfera.
L’incidente? Quale incidente? Perché non ne sapevo nulla?
Perché soprattutto Beatrice avrebbe dovuto ricordarle qualcosa?
Rimasi immobile a fissarla, finché i suoi occhi verdi non scontrarono i miei.
In quel momento capii tutto, da come i suoi occhi mi guardarono innocente.
No, non poteva essere, non era successo davvero.
 
  
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