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Autore: WrongandRight    02/08/2014    2 recensioni
Anche se tutti lo reputano folle (e forse un po' lo è) il suo sorriso è una della migliori protezioni al mondo.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Komui Lee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eeeeee salve! Torno su D.Gray-man con una storia dedicata a Komui un personaggio che, ogni tanto fa la sua randomica comparsa, e che mi ha sempre ispirato simpatia. Insomma, rallegra un po' quell'aura cupa che è presente in tutto il manga. Una corta one-shot su di lui che spero possa piacere. ^_^ Ovviamente sono accettatissimi commenti, opinioni e correzioni. xDD

I diritti vanno alla Hoshino che spero riprenda e concluda la storia di D.Gray-man U_U

 

Sorriso


La porta si chiuse lentamente, lasciando dietro di se quell'enorme ed ebete sorriso indossato perennemente dallo scienziato folle ed iperprotettivo. Le persone che lasciavano quel posto, perlopiù ricercatori, ne uscivano sempre con una strana sensazione di affetto ed irritazione che li rendeva confusi, incapaci di comprendere come quell'uomo potesse creare sentimenti così contrastanti. Esattamente come era lui: infantile e saggio, permaloso e protettivo.
Certamente, comunque, nessuno di loro era uscito provando odio indiscriminato nei suoi confronti: era quello il suo potere, riuscire a trovare il giusto equilibrio. Sapeva mettere il pepe dove serviva e sapeva rasserenare gli animi inquieti.

Forse proprio per questo il pazzo, ingestibile, riccioluto cinese dell'ordine Oscuro, Komui Lee, era diventato IL Supervisore, quello più vicino ai piani alti ed alle informazioni più succulenti. A parte il fatto di disporre di un discreto cervello e di una irrefrenabile fantasia, ovviamente. Generava invidia ed ammirazione e, delle volte, anche voglia di strozzarlo per i guai in cui metteva tutta la sede centrale. A volte veniva da chiedersi cosa passasse in quella mente contorta, cosa succedeva una volta che la porta si chiudeva lasciando l'uomo da solo in mezzo alle sue scartoffie che inondavano il pavimento e si moltiplicavano come funghi.

Una piccola crepa s'insinuava sulla sua maschera lieta e quella linea piegata all'insù abbassava gli angoli per lasciare all'attore un'espressione seria e angustiata. Il bagliore nei suoi occhi si offuscava e tornava a vedere il mondo per quello che veramente era: un ricettacolo di guerre ed ossessioni, in cui l'essere umano, preda delle sue ambizioni, lasciava che l'istinto guidasse le sue azioni.
E Komui Lee si trovava nel luogo più alto per assicurare pace alle persone dotate di buon senso, ma nel luogo più basso per far cambiare idea agli spiriti bramosi di sangue e vendetta. Il suo lavoro era quello di fermare il Conte ad ogni costo; il suo obiettivo, proteggere gli impavidi che versavano sudore in aiuto del prossimo.

Non era un compito facile, non era una situazione felice, dover fingere la propria perenne follia per custodire innanzitutto sua sorella e poi gli altri esorcisti, gli scienziati, i finder... Dover dare l'addio a uomini di cui nessuno avrebbe ricordato il nome, di cui i parenti avrebbero per sempre pianto la scomparsa senza sapere della loro tragica fine. Obbedire ad ordini di uomini senza scrupoli per i quali la vita valeva meno di un soffio e la gloria contava più di ogni sforzo.
Così compilava schede, firmava documenti, esaminava rapporti sempre sorseggiando da quella sua tazza il caffè che lo teneva in piedi. E continuava a chiedersi dentro la sua testa: “Cosa posso fare? Come posso aiutare...?” Ma l'unica risposta che aveva trovato era il silenzio interrotto dal frusciare dei fogli e dal ribollire dei suoi esperimenti. E sapeva che tutto ciò che poteva fare era reprimere l'amaro nella sua bocca, le lacrime nei suoi occhi e indossare continuamente quella maschera fasulla di dolci e caramelle che diffondeva gioia alle persone a cui voleva bene.

E quando era con loro, con la sua famiglia, era veramente felice. Quel sorriso usciva spontaneo perché poteva vederli davanti a sé, sani e salvi e, magari, ancora pieni di sogni e la speranza di poter uscire di lì, di poter avere una vita normale, di poter camminare alla luce del sole. Avrebbe desiderato poter vedere sua sorella indossare i vestiti che le sue coetanee si contendevano nei negozi e ridere come quando erano bambini. Avrebbe pagato per poter scorgere un accenno di sorriso sul volto di Kanda, per udire una bella melodia da Marie, una di quelle allegre, da campagna, che trasmettono libertà. Sognava il giorno in cui Bak, togliendosi il cappellino, avrebbe svelato di essere calvo ed avrebbe ammesso la sua inferiorità al confronto con lui, il folle supervisore. Sicuramente questo fatto era il più improbabile, ma gli piaceva fantasticare su una giornata simile.
Sicuramente Allen avrebbe intrattenuto tutti con i suoi numeri circensi e Lavi avrebbe fatto la corte a tutte le giovani pulzelle di passaggio mentre il suo vecchio lo rincorreva col pugno alzato. Persino Miranda si sarebbe goduta la meravigliosa giornata e Crowley con un “invero” avrebbe chiesto un brindisi in onore di Jerry e della sua insuperabile cucina, mentre tutta la sezione scientifica avrebbe fatto confusione per un'intera nazione. E forse se erano fortunati Tiedoll avrebbe fatto un magnifico ritratto a quel ritrovo pittoresco sotto i tiepidi raggi del sole.

Poi la sua mente tornava lì dove doveva trovarsi. Nel suo ufficio, tra quattro opprimenti pareti, e mai come allora la nausea di quella esistenza prendeva il sopravvento e lo portava allo sconforto. Amaro sconforto.
Ma proprio perché conosceva quel sapore, avrebbe combattuto per sostituirlo con uno dolce dal profumo di scorza di arancia che la sua mente associava ad un pianeta in pace, ad una esistenza pacata. Forse pazzo lo era davvero, ma a lui andava bene così. Il suo lavoro qualcuno doveva pur farlo e, modestia a parte, si considerava davvero uno dei migliori.

Ed alla prossima persona che sarebbe entrata da quella portata avrebbe sfoggiato uno dei suoi più ammalianti e sfolgoranti sorrisi. 

   
 
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