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Autore: roro    09/09/2008    17 recensioni
«InuYasha, ho una domanda sciocca».
«Se è sciocca allora non porgermela».

Niente di che. Solo InuYasha, Kagome e una domanda stupida.
Genere: Romantico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le stelle.
 
 
(Cielo sordo, che scende senza un soffio,
Sordo che udrò continuamente opprimere
Mani tese a scansarlo...)
G. Ungaretti - Gridasti: Soffoco


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Faccio vagare un po’ lo sguardo tra i presenti – chi dorme, chi sospira, chi parla.
Era da tempo che non facevamo una simile rimpatriata. Era da tempo che non dormivamo tutti all'aria aperta.
Io, Kagome, Miroku e Sango. Solo noi quattro. Senza bambini, senza cuccioli di kitsune opprimenti, senza vecchie antipatiche. Solo noi, semplicemente noi. Come una volta, come durante il nostro viaggio, come nei nostri ricordi più belli.
A quel tempo, nulla era più noioso di quelle serate intorno al falò.
Eravamo insieme, ma al contempo eravamo soli. Soli insieme… Kagome mi ha detto che questo genere di accostamenti si chiamano paradossi, o qualcosa del genere. Sinceramente, non è che mi interessi granché, il nome di ‘ste cose.
Sono semplici stupidaggini. Semplici parole di senso opposto.
Ma lei è intelligente – lei, sempre lei, sempre e unicamente Kagome. La ragazzina giunta dal futuro e decisa a restare in questo mondo. Kagome.
Si è stretta in una coperta, i capelli sciolti e gli occhi puntati al cielo – siamo usciti perché lei voleva vedere le stelle. Voleva toccare il prato umido e guardare la falce di luna che, questa sera, illumina il cielo.
Nessuno si è permesso di rifiutarle questo piccolo svago, per quanto io abbia seriamente pensato di strillarle qualcosa contro e andare via. Insomma, ho pur sempre un orgoglio da difendere, io.

Ma lei è stata lontana tre anni, tre fastidiosissimi anni del cavolo.
Qualcosa dovevamo pur concederglielo, no?
Ogni tanto alza una mano ed indica qualcosa, sussurrandomi poi il suo significato, e sorridendomi. È davvero allegra, mentre commenta il nome di una stella o il colore del cielo.
E se una piccolezza come questa riesce a farla sorridere così, vorrà dire che dovrò farlo più spesso - ma non esageriamo. L’ho già detto, ho un orgoglio, io, e per quanto sia seccante non ho intenzione di perderlo facendo le fusa ad una ragazzina irritante.
Credo.

«InuYasha?».
Mi giro verso di lei: ha scostato la coperta, riponendola di lato, e si è leggermente alzata, i capelli che le ricadono scomposti sul volto, quasi nascondendo alla mia vista una delle sue iridi – la sinistra. Per tenersi su, ha poggiato un palmo sull'albero accanto a noi, mentre l'altra mano strofina l'occhio ancora visibile.
«Cosa c'è?», borbotto, preso in contropiede dal suo richiamo. Sango e Miroku si sono addormentati, sfiniti: dopotutto, hanno badato per tutto il giorno ai loro pargoli. È quasi logica l'opprimente stanchezza che li ha battuti.
«InuYasha, ho una domanda sciocca».
«Se è sciocca allora non porgermela».
Mi guarda bieca, prima di incrociare le braccia al petto e puntare lo sguardo al cielo «Se ritieni, ecco, inutile sentire i miei quesiti – si badi bene, la mia era una domanda sciocca, non inutile –, non li condividerò con te».
È  sempre stata bravissima a rigirare le frittata.
È  sempre stata bravissima a farmi sentire colpevole, anche quando di colpe non ne avevo. E anche ora.
È  stata lei a dirmi che la sua era una domanda scema! Io ho solo logicamente detto di non voler sentire i suoi stupidi dubbi! Insomma, con tutte le cose che si possono fare, di notte, lei voleva pormi quesiti idioti.

Come se avessi tempo fa perdere, io.
Bah.
«Va beh, vorrà dire che andrò da Koga. Lui almeno mi ascolta», sbotta, facendo per alzarsi. D’istinto, allungo una mano, e afferro una manica del kimono rosa che ha indosso. Si volta, lanciando saette. «Cosa vuoi?», sibila, puntando i piedi per terra, come un bambino capriccioso a cui hanno appena strappato il giocattolo preferito.
Inarco un sopracciglio, facendole cenno di sedersi nuovamente. «Baka, non osare andare da Koga».
«Io vado dove voglio, e tu non puoi opporti!».
«Non posso oppormi?».
«Esatto!».
Incrocio le braccia al petto. Dannata mocciosa. Dannatissima mocciosa del cavolo.

Dannata, che tu sia dannata e ancora dannata, Kagome!
«Invece sì. E ti dico che non devi andare da Koga».
«A cuccia».
Mi ritrovo schiantato al suolo, disteso su un dannato brandello di stoffa multicolore. Come sempre, mi si arrossa il naso per la botta, e i palmi delle mani si riempiono di taglietti superficiali. «Kagome...», ringhio, sforzandomi di tirarmi su.

Lei non fa una grinza. Sospira, e si rigira verso di me.
«Scusa, mi sono lasciata prendere la mano», biascica imbarazzata, «non volevo farti del male. Perdonami».
Dannata.
Annuisco, per farle intendere che ho capito, e mi stendo per bene, le mani sotto al capo a mo' di cuscino. «Cosa volevi chiedermi?».
Si zittisce di colpo, le gote rosse e le labbra serrate. «Nulla. Nulla, davvero».
«E per un nulla ti arrabbi così?», chiedo, un evidente punta d'irritazione che trapela dalle mie parole. In effetti proprio non la capisco: mi spiega perché è così arrabbiata?

Per un nulla non puoi mandare il tuo compagno a cuccia, è escluso. Quindi doveva esserci una qualche ragione nascosta, magari vergognosa e un po’ stupida. Ma ora io volevo sapere.
«…sono?».
«Eh?».
Arrossisce fino a livelli spaventosi, per poi sospirare. «Quante sono le stelle?».
Sbatto più volte le palpebre, prima di riuscire a concepire la domanda.
…mi ha appena chiesto: «Quante sono le stelle?», o sono ammattito?
«Non ne ho idea», rispondo. «Non ci ho mai – ma che razza di dubbi ti vengono, in piena notte? Insomma, che, tsk, razza di domanda è? Non ne ho la minima idea».
Poggia il capo sul tronco dell’albero, socchiudendo gli occhi e lasciando libere le mani – l’indice della mano destra vaga sull’erba rada, disegnando cerchi immaginari. «Grazie comunque», ridacchia.
Forse non ha mai sperato in una mia risposta. Mi ha chiesto questo solo per chiederlo, probabilmente. Per togliersi un dubbio a cui non sapeva rispondere.
Lascio scivolare una mano sul prato, finché non incappo nella sua. La stringo piano tra le dita – è piccola. Fragile.
Calda.
Ne carezzo il dorso con le dita, e poi la sollevo verso il cielo, costringendola a puntare una stella.
«Uno», proferisco solenne. Poi ne indico una nuova, mentre lei si stende contro di me, senza però strappare la sua mano dalla mia.
«Due», dice, sorridendo quasi per schernirmi. Come se volesse dirmi: «L'ho detto prima di te!».
«…e tre», ribatto – improvvisamente mi rendo conto di star sorridendo anch’io. E di dover essere impazzito, perché non c’è nulla di cui essere felici, nel cercare di scoprire l’esatto numero delle stelle.
«Quattro».
«Non dimenticare cinque».
Scoppiamo a ridere, abbracciandoci. «Un giorno le conteremo», mi confida in un orecchio – questo si muove ritmicamente, seguendo le sue parole.

Poi mi stringe le braccia intorno al petto, forte, alla ricerca di calore. Perché ovviamente ora ha freddo, la scema.
«Già», le rispondo stringendola più forte contro di me. «Chissà, magari scopriremo che sono pochissime e che ci siamo illusi».

«Potrebbero anche essere tantissime, InuYasha. E in quel caso scopriremmo di aver fatto la cosa giusta, contandole, non trovi?».
Un giorno le conteremo, Kagome.
Un giorno conteremo tutto ciò che tu vuoi, senza mai fermarci. Conteremo le stelle, e le piante, e i fili d'erba. Anche le gocce d'acqua del mare. Tutto ciò che tu vuoi, purché tu sia felice e la smetta di prendermi in giro.
«InuYasha?», strascica, ormai allo stremo delle forze. Le parole le escono a fatica, difficili da comprendere. «Ehi, InuYaaasha?».

Ha sonno, ovvio. E ho sonno anch’io.
Presto entrambi faremo compagnia a Sango e Miroku – dormono della grossa. Neppure i rumori di prima li hanno destati, ed essere mandato a cuccia fa rumore, lo posso assicurare.
Fa tanto, tanto rumore.
«Sì?».
«Ti amo, lo sai?».
Sospiro. Scema. «Io – argh, Kagome, non farmi dire cose imbarazzanti, per favore. Ora dormi, ti prego, o la vecchia Kaede finirà con l’uccidermi».
«Devo proprio?». Mi guarda con gli occhi lucidi, il labbro tremulo e le mani strette contro la mia veste. «Non è che domani scomparirai? Non è che ci divideremo un’altra volta? Io non voglio perderti di nuovo, non voooglio! Non voglio essere separata ancora una volta da te, no».

Okay. Dev’essere ubriaca.
«Non succederà», mormoro roco, carezzandole i capelli corvini, «non mi allontanerò più, te lo giuro. Non sparirò con il sorgere del sole».
«Non… sparirai? Non ti dissolverai al sole?».
«Eh? Kagome, che diavolo significa?».
Ma cosa le succede? Prima mi tratta male, mi schianta al suolo, e poi… E poi diventa dolce come uno zuccherino, la dannata. Bah. Non riesco proprio a capirle, le donne.
«Io non voooglio che tu scompaia», risponde. «Nella mia epoca, in alcuni libri si parla di vampiri, e i vampiri scompaiono col sole, e io non voooglio che tu – non scomparirai, vero? Non sei un vampiro».

«Vampiri?». Inarco un sopracciglio, interdetto: che roba è un vampiro?
«Un vampiro è un uomo che beve il sangue umano».
La guardo, cercando di capirci qualcosa. «Un demone, allora».
Lei fa cenno di no con il capo, prima di ridere – ecco, è definitivamente andata. «Non importa, non importa. Ti ho paragonato ad un vampiro solo perché i vampiri spariscono con la luce solare, tutto qui. Se mi prometti di non sparire domattina, non mi importa null’altro».
«Non sparirò mai – ti ho già chiesto di non farmi dire cose imbarazzanti, no? E ora dormi».
Sospira, sistemandosi meglio sul mio petto. «Buonanotte».
«’Notte».

 
 
 

 
 
 
Nota finale: ho corretto gli errori di grammatica – e c’erano, eccome se c’erano – e inserito qua e là qualche parola, ma niente di eccezionale, lo ammetto.
Ah, sì. Ho tolto il grassetto. Odio il grassetto nelle fic.
E il maiuscolo, stessa cosa.
U_____U Alla prossima, e perdonate lo sclero OOC.
   
 
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