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Autore: Sam Lackheart    04/08/2014    2 recensioni
Nella sua improbabile convivenza semiforzata con l' americano, Ivan aveva imparato molto, quasi mai volendolo davvero, sulle abitudini alimentari dell' altro, per quanto cercasse di regolare i pasti in modo da non farli coincidere con i suoi - vederlo masticare gli toglieva l' appetito. Le abitudini che aveva notato dunque esulavano dai pasti, e lo lasciavano quantomeno perplesso.
[il ritorno meno desiderato della storia dopo quello dell' ebola]
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Russia/Ivan Braginski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ci sono misteri che solo una bottiglia di latte può risolvere

Nella sua improbabile convivenza semiforzata con l' americano, Ivan aveva imparato molto, quasi mai volendolo davvero, sulle abitudini alimentari dell' altro, per quanto cercasse di regolare i pasti in modo da non farli coincidere con i suoi - vederlo masticare gli toglieva l' appetito. Le abitudini che aveva notato dunque esulavano dai pasti, e lo lasciavano quantomeno perplesso.
Alfred mangiava la mostarda solo quando giocava la sua squadra preferita di baseball - il cui nome Ivan cercava opportunamente di dimenticare, così da non lasciarsi minimamente contagiare dall' entusiasmo infantile dell' altro -, ingurgitava tonnellate di popcorn al caramello - una delle peggiori invenzioni della storia, secondo il russo - solo quando vedeva film d' azione, prendeva coppe di gelato con solo tre gusti, a costo di prenderne due perchè doveva provarli tutti, e al ristorante lo metteva sempre in imbarazzo quando chiedeva perchè non c' era la pasta come contorno - una volta aveva sentito Feliciano piangere, a quella domanda.
E poi c' era il latte.
Ne beveva sempre una tazza e mezza prima di andare a letto, perchè senza sosteneva di non poter assolutamente dormire.
Normalmente, queste abitudini non superavano la soglia di irritazione di Ivan, che si limitava a guardarlo stranito e a scrollare le spalle, con la consapevolezza di non riuscire a comprendere l' americano, neanche se l' avesse voluto davvero.
Ma quella sera, il latte era finito.
"Ivan? Ivan, dove sei?" urlò Alfred, nel silenzio della mezzanotte appena passata nell' ampio appartamento che condividevano. Un ancora inconsapevole Ivan non rispose - non lo faceva mai - continuando a leggere nella stanza che avevano - aveva - adibito a biblioteca.
"Ivan!" esclamò l' americano, spalancando la porta a vetri "Finalmente! E' un' emergenza!"
Il russo finì di leggere il periodo, poggiò il libro sul tavolo con un tagliacarte come segnalibro e alzò il suo sguardo di sufficienza e derisione sull' altro, che ormai aveva imparato ad interpretare i suoi occhi violetti, quasi mai veramente arrabbiati con lui, o almeno così gli piaceva pensare.
"Cosa vuoi, Amerika?"
"Non c'è più latte"
Ivan alzò le sopracciglia, rimpiangendo di aver lasciato il suo piccone nel ripostiglio - stonava decisamente con l' arredamento della biblioteca.
"Mi hai davvero interrotto per dirmi questo?" chiese, gelido. Chiunque si sarebbe quantomeno lasciato intimidire - se non proprio terrorizzare a morte - dal tono del russo, ma non Alfred. Forse, era per quello che nonostante tutto vivevano assieme. "Sei sicuro che non ce ne sia più?" chiese poi conciliante, notando con malcelato dispiacere che tutti i suoi mezzi per cambiare l' americano erano sempre falliti. Era rimasto lo stesso bambino irritante che Inghilterra portava in giro per l' Europa.
"Sì, ho controllato ovunque!"
Ivan sapeva che quell' ovunque equivaleva ad un "mi sono dato un' occhiata intorno, ho anche provato ad aprire il frigo, ma che senso ha, visto che fai tu la spesa?". Decise dunque di alzarsi, lanciando un' occhiata malinconica al Puskin che stava leggendo. Sentiva che non l' avrebbe rivisto tanto presto.

Effettivamente, non c' era più neanche un cartone di latte, ammise Ivan, dopo aver aperto il frigo e la dispensa.
"Hai ragione, non c'è più latte, complimenti. Posso tornare a leggere?" chiese retorico.
"Ma io ho bisogno del mio latte!"
"E cosa vuoi che faccia?" un' altra domanda retorica, delle peggiori. Vedeva gli occhi dell' altro trasformarsi lentamente in suppliche alle quali difficilmente riusciva a resistere.
"Ti prego!" esclamò, alzando il tono della voce di un' ottava, sapendo che l' altro aveva capito "Altrimenti resterò sveglio tutta la notte!"
Ivan si bloccò a riflettere un attimo: in altre occasioni, una mente più perversa della sua - l' immagine di un ragazzo alto, magro e albino fece capolino nella sua mente - dicevamo, una mente più perversa della sua avrebbe approfittato della cosa. Non avevano mai ... "concluso" - termine poco lusinghiero, ma Ivan non era abituato a parlare di queste cose, quindi aveva preso in prestito il variopinto e metaforico glossario del suddetto albino, al quale iniziarono a fischiare le orecchie. Non sapeva neanche se stavano effettivamente assieme, o se convivessero perchè non avevano scelta. A volte aveva voglia di chiederglielo, ma ne provava un indicibile imbarazzo, si confondeva e taceva. Ma perchè all' altro sembrava andare tutto  bene?
Si riscosse quando sentì un tintinnio e qualcosa di freddo nelle mani, seguito da qualcosa di estremamente caldo.
Alfred gli aveva fatto prendere le chiavi di casa, e lo trascinava verso la porta, già misteriosamente aperta.
"Ricordati, intero!" sussurrò, facendogli l' occhiolino.
Ivan si ritrovò frastornato, confuso e lievemente irritato - come sempre, quando l' americano era nei paraggi - sul pianerottolo semibuio di casa.

"Non posso davvero star facendo una cosa del genere. Dove dovrei trovare del latte?" pensò per la duecentotrentesima volta Ivan, stringendosi nel cappotto e facendo vagare lo sguardo nella desolata e senza negozi aperti via residenziale moscovita, dove avevano deciso di passare l' inverno. Bella mossa, direte giustamente voi. Era più una questione di principio che altro, per Ivan, stanco di passare l' estate in quel forno a microonde che era la Florida, ogni anno.
Prendere la macchina era escluso: fortunatamente non nevicava, ma ci avrebbe messo ore solo a scaldare il motore e sbrinare i vetri. Tanto valeva camminare. E poi, era poco segretamente innamorato della sua città, nella migliore espressione del silenzio notturno. In fondo alla strada c' era un piccolo negozio, ma ovviamente Ivan lo trovò chiuso: era pur sempre l' una di notte.
"Amerika, questa me la paghi" pensò, lasciandosi sedurre da immagini di candide vendette. Non lo chiamava mai con il suo vero nome, mentre l' altro sembrava divertirsi a storpiare il suo.
Continuò a camminare, osservando il firmamento. Era da tanto che non guardava il cielo per il semplice gusto di farlo. Era pur sempre una persona impegnata, e ultimamente la situazione mondiale si stava facendo quantomeno difficile da sopportare. Per questo era segretamente grato di quegli attimi tra follia e vita quotidiana che l' americano inconsapevolmente gli offriva. 
Perchè era in giro all' una di notte a cercare un cartone di latte, comunque? Questa domanda riaffiorò nella sua mente, e questa volta esigeva una vera risposta. Ma Ivan non lo sapeva. Perchè lui e l' americano vivevano assieme? Perchè ancora non aveva cercato di soffocarlo nel sonno, nonostante ci pensasse, anche più di un paio di volte al giorno? Perchè lui ancora non era andato via?
Oh.
Lui non era ancora andato via. Lui era lì. Ecco la chiave di volta di tutto il suo castello di ragionamenti. Aveva tentato per tanto tempo di avere una famiglia, e credeva di avercela fatta, ma questa era sparita, o forse non era neanche mai esistita. Si era convinto lentamente che seguendo una dolce politica di persuasione avrebbe trovato il modo di radunare altre persone pronte ad abitare nel suo meraviglioso maniero, con lui, ma non aveva mai funzionato.
Non c' era stato bisogno di persuadere Alfred. Non riusciva mai a ricordare come fosse successo, che dalla Guerra Fredda che si stavano facendo erano arrivati a quello. Ricordò vagamente un paffuto e ingenuo uomo che gli ordinava paternalmente di conoscere meglio l' americano, sicuro che la loro economia pianificata avrebbe sicuramente trionfato su quella follia in miniatura che era il capitalismo. Altri ricordi affiorarono alla sua mente quasi assonnata, incontri, discussioni, liti, esposizioni.
Scosse la testa: non rammentava mai tutto con chiarezza, sapeva solo che nella libertà di poter scegliere, aveva seguito la necessità.
Con Alfred, aveva una famiglia. Non erano perfetti, non era esattamente affetto quello che li univa, non andavano sempre d' amore e d' accordo, anzi, questo non accadeva mai, ma era la sua famiglia. Ma allora stavano assieme? 
Passò una mano sul viso. Era vagamente sollevato dall' aver risolto almeno in parte il nodo che lo opprimeva, ma dove trovare del latte?
Trovò un piccolo locale aperto e vi entrò, tanto per scaldarsi.

Sorrise lievemente al ragazzo che gli versò un bicchierino di vodka, e bevve d' un fiato. La sensazione di calore immediata gli fece inavvertitamente allargare il sorriso.
Di colpo si sentì tirare il colletto del cappotto. Si girò, alzandosi immediatamente, con uno sguardo glaciale. Odiava essere interrotto da ... un bambino? Ivan sbatté le palpebre, cercando di capire, e quando le riaprì vide il volto paonazzo e lievemente terrorizzato di una ragazza, che teneva il suddetto bambino in braccio.
"S-scusami, è un terremoto. Andrej! Guarda cosa hai fatto!"
Nonostante non fosse un tenerone, Ivan si addolcì alla vista di quel visino stupito, che sembrava discolparsi da ogni accusa.
"Spero non ti abbia sporcato ... Santo cielo, non si può neanche uscire per un bicchiere con un' amica che devi sempre combinare disastri, eh?" chiese scherzosa al bambino, sfregando il naso con la sua guancia paffuta.
"No, non preoccuparti. Ero solo sovrappensiero" disse calmo Ivan, osservando meglio la ragazza e il bambino. Non doveva avere più di un anno.
"Oh, bene! Sai, ho appena finito di dargli il latte ..."
Ivan spalancò gli occhi, capendo perchè non si era irritato troppo alla vista del bambino.
"Come ti chiami?"
"Uh? Ah, Sonja, piacere. Tu sei ..?"
"Ivan. Posso chiederti un favore?"
"Certo, dimmi" rispose, quasi senza pensarci, la ragazza.
"Sono ... è un' emergenza. Avresti un pò di latte?"
Sonja si imbarazzò, stralunando gli occhi.
"Come, prego?"
"Sono padre" mentì, cercando di inventare qualcosa di verisimile "E il mio Aleksej senza latte non riesce a dormire. La madre è fuori città e io ho dimenticato di comprarlo ..."
"Oh, capisco. Posso ... penso di averne una bottiglia, è tutto il giorno che siamo fuori. Puoi tenerlo un attimo?"
Ivan si ritrovò con la piccola peste tra le mani, che sembrò felice di quel repentino cambio di prospettiva e agitava frenetico le braccia. Si ritrovò a sorridere pensando che non si era scostato poi così tanto dalla realtà: Alfred richiedeva cure anche maggiori di quelle che normalmente si dedicavano ad un bambino. Sapeva quello che voleva e cielo, era viziato. Incontrollabile. Esigente. Forse anche per colpa sua, pensò sconsolato il russo, ma non poteva farne a meno. Quindi stavano assieme? Quella stupida, adolescente domanda gli stava perforando il cervello coma un' incessante cascata di piccole gocce d' acqua. Sarebbe impazzito.
Immerso nei suoi pensieri, non si accorse che all' odore di talco e zucchero - non sapeva come altro definire l' odore classico dei bambini - se n' era sostituito un altro, più acre, acido, sembrava quasi ...
"Andrusa!" urlò la ragazza, facendo voltare un paio di persone al bancone, che tentarono di non scoppiare a ridere. Ivan si riscosse, notando una macchia biancastra all' altezza del cuore. Impiegò un tempo imbarazzantemente lungo per capire quello che era successo, e quando realizzò Sonja aveva già tolto il piccolo dalle sue braccia e si adoperava con una salvietta umidificata.
"M-mi dispiace, scusami, davvero! Io ... avrei dovuto saperlo, aveva appena finito ... mi dispiace tantissimo!" continuava a farfugliare, spaventata dalla mancanza di reazioni di Ivan.
"Questo è il latte?" chiese il russo, prendendo una bottiglia di plastica che la ragazza aveva poggiato sullo sgabello. Incrinò lievemente la plastica, e la ragazza ebbe un sussulto. Ringraziò il cielo di essere in un luogo pubblico, anche se si stava svuotando. Almeno ci sarebbero stati testimoni ... Ma no, cosa andava pensando? Andava tutto bene. Era padre, queste cose potevano succedere. Ma cavolo, se era inquietante. 
"S-sì ..." rispose titubante la ragazza. Si chiese per un attimo che razza di padre potesse mai essere uno come lui. Forse le aveva mentito, era un maniaco latte-dipendente e lei le stava fornendo l' ennesima dose.
Stava delirando, completamente nel panico, se ne rendeva conto.
Ivan sorrise, cercando di essere gentile, ma il ghigno che aveva sul volto lievemente disgustato non fece che aumentare il terrore della ragazza.
"Grazie, matuska" disse, lasciando nelle mani tremanti della ragazza tutti gli spicci che aveva nella tasca.
Uscì, sollevato dall' essere finalmente riuscito nella sua impresa. Che cosa poteva mai importare una macchia di rigurgito infantile al confronto? Avrebbe ottenuto quello che voleva, minacciando Alfred di gettare tutto il latte nel lavandino. Aveva l' americano in pugno, e questo gli donava una sensazione di onnipotenza che poche altre cose potevano suscitare.
Sonja lo guardò uscire, pensando che in fondo, magari era un buon padre. Solo, a modo suo.

Ivan non ricordò molto di come arrivò, lievemente accaldato, alla porta del suo appartamento. Aprì velocemente la porta, senza preoccuparsi di far rumore, gettò il cappotto in un angolo imprecisato dell' ingresso e chiamò Alfred un paio di volte. Nessuna risposta.
Corrugò la fronte, tenendo salda la bottiglia, quasi avesse paura che qualcuno - qualche americano con la voglia di fare scherzi - uscisse di soppiatto e gli togliesse il suo vantaggio.
"Amerika!" urlò per la terza volta. Andò in camera sua - non stavano assieme, quindi perchè dormire nella stessa stanza? E poi un matrimoniale non sarebbe mai stato sufficiente per entrambi - e lo trovò placidamente addormentato, rannicchiato su un lato, con gli occhiali scomposti sul volto.
Ivan sentì le ginocchia tremare per la rabbia, ma fu solo un attimo. Poi, il sollievo.
Non c' erano dubbi.
Era così ovvio!
Osservando la figura dell' americano beatamente addormentata, sentendo il gelo delle dita che ancora stringevano la bottiglia di latte ormai inutile, con ancora il sentore di rigurgito infantile nelle narici, Ivan capì. Stavano insieme, oh, se ci stavano. E la cosa lo infastidiva, annoiava e inquietava, ma in quel momento l' unica cosa che fece fu spogliarsi in fretta, sdraiarsi piano accanto all' americano e guardarlo dormire, fino a quando Morfeo non prese anche lui.
Prima di crollare, un confortante pensiero: per la vendetta c' era tempo. Lui non se ne sarebbe andato
  
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