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Autore: ArashiStorm    04/08/2014    0 recensioni
[SPOILER per la fine di ACIII]
...Lo aveva perso, anzi lo aveva ucciso lui stesso, poco più di un mese fa. Le sue mani potevano dirsi ancora bagnate del suo sangue, anche se non solo del suo, perché insieme a quello di Haytham Kenway, dalla lama celata che teneva al braccio, colava anche il sangue, ben più odiato, di Charles Lee. E se non provava nessun pentimento per quell'ultimo omicidio, lo stesso non poteva dirsi del macigno che sentiva nel cuore per l'uccisione del padre. Soprattutto ora che, dopo la lettura del suo diario, era riuscito, forse, a capirlo anche se ancora non sapeva se sarebbe riuscito a perdonarlo...
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aveline de Grandpré, Connor Kenway, Haytham Kenway, Kaniehtì:io (Ziio)
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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8. Memories


Quando il dottore arrivò nella stanza Haytham quasi non lo vide. Il suo sguardo caddè subito su Connor che seguiva il medico a qualche passo di distanza. Al vecchio templare non sfuggì l'alone arrossato che circondava gli occhi del figlio e per qualche strana ragione fu sollevato nel sapere che Connor fosse, in fondo, ancora in grado di piangere. Non gli importava che quella per alcuni potesse essere una debolezza, ai suoi occhi era solo una prova di quanto suo figlio fosse ancora un essere umano e non una macchina per uccidere come troppo spesso i suoi fratelli templari gli avevano fatto notare.

Era perso in questi pensieri mentre il dottore lo visitava e gli cambiava le fasciature sulle ferite. Lo aveva riconosciuto quasi subito. Era Lyle White. A Boston il suo nome non era certo portatore di buon augurio, ma Haytham ora capì che quelle dovevano essere solo dicerie. Il dottore sapeva fare il suo mestiere, questo era certo visto che lo aveva salvato da ciò che credeva essere stato un viaggio di solo andata per l'inferno.

«Come vi siete ferito?» domandò l'uomo mentre fissava l'ultimo bendaggio.

«Un orso...non avevo armi e lui aveva denti e artigli non indifferenti»

«Siete sopravvisuto all'attaco di un orso senza armi con voi? Non solo avete la stessa pellaccia dura di vostro figlio, ma anche la sua stessa avventatezza a quanto pare. Ho perso il conto di tutte le volte che ho dovuto ricucire Connor come sto facendo ora con voi»

«Vi ringrazio per le vostre cure» commentò l'uomo.

«Non dovete ringraziare me. Non avrei curato un Gran Maestro Templare se non fosse stato per vostro figlio»
  
«Infatti, vi ringrazio per le cure prestate a mio figlio, non per le mie...»

Lyle si alzò e riprese i suoi arnesi. «Per quello non servono ringraziamenti. Qui tutti noi siamo in debito con Connor...In ogni caso ora siete un mio paziente e, fossi dannato per aver curato un templare di Boston, vi rimetterò in sesto, quindi riguardatevi. Non alzatevi dal letto se non strettamente necessario e mangiate qualcosa al più presto. Siete stato in uno stato di semi incoscenza per quasi una settimana. Avete bisogno di nutrimento per riprendervi.»

Haytham annuì  e poco prima che Lyle uscisse dalla stanza lo chiamò «Mr White?»

L'uomo si voltò incuriosito e un po' stupito nel sentire il suo nome pronunciato da una persona a cui non si era presentato.

«Le voci sul vostro conto non sono altro che fandonie. Siete un ottimo medico, Vi ringrazio.»

Il dottor White sbuffò e chiuse la porta con un piccolo accenno di ringraziamento che non sfuggì a Connor.

Quando il dottore uscì l'Assassino rimase un momento a guardare la porta chiusa, non sapendo bene cosa dire. Si diresse verso la finestra. Fuori l'inverno cominciava a dare i primi segni. La brina quella mattina era più visibile del solito. Gli alberi sembrano tenersi strette quelle ultime foglie sui lunghi rami e il cielo era coperto di nuvole di ogni sfumatura di grigio.

«Un orso eh.» disse il ragazzo ad un certo punto voltandosi verso il padre sul letto «Cosa Vi è saltato in mente di aggirarvi nella frontiera senza armi? E di notte oltretutto...»

«Se non ricordo male il mio equipaggiamento mi è stato sotratto»

Connor sbuffò, roteando gli occhi in aria. «Volete farmi credere che non avreste potuto rubare una qualsiasi spada al primo soldato che vi sarebbe potuto presentare a tiro?»

«Connor...» fece Haytham stupefetto, mescolando al suo tono una buona dose di ironia «non mi starai forse incitando al furto. E' esecrabile...»

«Non prendetemi in giro. Sapete cosa intendevo...»

L'uomo lo fermò alzando un mano intimandolo a fare silenzio.

«Si, lo so. Diciamo che non lo reputavo così importante...avere un arma per difendermi intendo. Probabilmente non volevo nemmeno difendermi quando ho deciso di salire su quel cavallo, non avevo nemmeno idea di dove andare. Senza contare che volevo passare il più inosservato possibile, non potevo rischiare che un soldato mi riconoscesse. Sai tuo padre è piuttosto conosciuto a New York...»

«Anche vostro figlio se è per questo...»

«Oh si, per certi versi hai ragione.» commentò con un mezzo sorriso.

«Siete stato fortunato ad uscirne vivo contro un orso»

«Mi ha solo preso di striscio con una zampata. Tuo padre è ancora abbastanza agile da salire su un albero fuori dalla portata di un orso poco volenteroso di salire a sua volta.»

Il ragazzo lo guardò incredulo. «Voi? Su un albero?»

«Beh? Che significa quell'espressione?» domandò l'altro alzando un sopracciglio leggermente irritato.

«Mia madre mi ha raccontato di come voi eravate in grado di saltare da grandi altezze e di arrampicarvi sui qualsiasi edificio, ma al tempo stesso non riuscivate a scalare un albero.»

«Ah...grazie tante Ziio. Sono migliorato rispetto a quel tempo. Ne devo dedurre che tua madre ti abbia raccontato solo delle mie mancanze dunque...»

Il giovane nascose un sorriso abbassandosi il cappuccio e tornando a guardare fuori dalla finestra.

«No. Mi ha anche raccontato di quanto voi eravate forte e di quanto le davate sicurezza quando era con Voi.»

Haytham rimase in silenzio, ascoltava senza commentare, perso anche lui come il figlio in ricordi dolci e amari allo stesso tempo.

Ricordava gli anni in cui soleva passare più tempo tra le selvagge terre della frontiera rispetto ai brevi periodi negli agi della città. Era strano ma non una sola volta in quei momenti aveva rimpianto un materasso morbido o delle mura solide, quelle mancanze non erano un problema perchè erano colmate da una presenza ben più importante. Ricordava Haytham, ricordava il corpo di Ziio abbracciato al suo, le goccie di sudore che imperlavano la sua pelle scura e forte. I lunghi capelli neri che vedeva sciolti solo in quelle occasioni e che le ricadevano sulla schiena come la folta criniera di un cavallo, elegante e selvaggia come quella di uno stallone indomabile. E indomabile fu proprio come Ziio rimase fino alla fine. Nemmeno quello che Haytham era arrivato a considerare amore era bastato a domare quella donna tanto bella quanto ostinata e irremovibile. Era stata lei a lasciarlo, ad ordinargli di andarsene per essere più precisi.

«Vattene! Vattene da questo luogo e non tornare mai più. Perchè, se lo farai, ti strapperò il cuore con le mie stesse mani e lo darò in pasto ai lupi»

Gli avevano fatto male quelle parole, più di quanto potesse ammettere. Aveva tentato di spiegarle, ma non c'era stato verso. «Tra noi è finita» gli aveva urlato in faccia prima di voltargli le spalle per sempre. Quella fu l'ultima volta che la vide. Con il cuore in gola se n'era andato, per non tornare come lei aveva chiesto, ignaro che nel ventre di Ziio una vita si stesse formando. Una vita a cui lui aveva dato una parte di sè, la stessa vita che ora gli stava davanti, forte, risoluta e testarda come la madre che lo aveva messo alla luce. Haytham si rattristò nel rendersi conto di non poter avere nessun ricordo di suo figlio da bambino, i suoi primi passi, le sue prime parole, che sicuramente  non avrebbe compreso. Tutte tappe a cui ogni padre dovrebbe poter assistere, ma non lui, non la sua famiglia. Poteva poi quella chiamarsi famiglia? si domandò. Probabilmente no, ma Haytham era certo che non avrebbe cambiato Ziio o Connor con nessun altro al mondo. Avrebbe tanto voluto domandare a suo figlio di raccontargli qualcosa della sua infanzia, di farlo partecipe anche se in ritardo. Forse anche Connor sarebbe stato curioso di sapere di più di Ziio, come fosse stata la sua vita prima di diventare madre. Chissà forse un giorno anche loro due avrebbero trovato il coraggio di scambiarsi i ricordi che tenevano nei loro cuori. E quando Connor riprese la parola, Haytham si domandò, se in quel momento di silenzio, anche suo figlio si fosse perso in penseri simili ai suoi.

«Quando ero solo un bambino e l'occhio dell'aquila si risvegliò in me - continuò il ragazzo - Ista mi spiegò che quello strano modo di vedere era una capacità straordinaria che avevo ereditato da mio padre. E che ne sarei dovuto essere orgoglioso, anche se non avrei mai dovuto parlarne con nessuno.»

«Ne stai parlando con me...»

«Penso che voi sappiate anche più di quanto ne sappia io su Assassini e Templari e sulla loro storia, dico bene?»

Haytham sospirò. «In effetti, non penso che Achilles abbia avuto molto tempo per raccontarti migliaia di anni di storia, sotterfugi, tradimenti e sangue.»

«Mi ha raccontato quanto basta.» sottolineò il ragazzo con una punta di acidità nella voce.

«Ma non sei curioso?» chiese l'uomo, noncurante del tono poco amichevole del figlio «Posso raccontarti, se vuoi...» propose.

«La storia degli Assassini dalla bocca di un Templare... posso solo immaginare come ne possiamo venir dipinti...»

«Ti assicuro che sarò oggettivo. Mi limiterò ai fatti senza aggiungere commenti. Poi forse ti stupirai nel sapere che per un certo periodo la vostra visione del mondo era molto più vicina alla mia...»

Connor lo guardò a lungo, poi si avvicinò, prese una sedia e vi si sedette appongiandosi allo schienale.

«D'accordo. Forza, Vi ascolto...»
  
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