Ehy!
Salve a tutti! Sono Ila e questa è la mia prima ff!
Spero
vi piaccia.. lasciate dei commenti, se vi va! Gli leggerò molto
volentieri!
Disclaimer:
i Tokio Hotel non mi appartengono, quindi spero di non offendere nessuno con
questo mio scritto.
Le
tre dell’Ave Maria (ovvero le protagoniste! n.d.r.), invece, mi appartengono
eccome, e di conseguenza, di loro ne faccio quello che voglio! Muahahaha! *me
sadica!*
Ora
bando alle ciance!
Vi
lascio alla lettura del primo capitolo!
Commentate,
eh?!
Ciao!
Ila
Dove vi porto,
signorine?
Capitolo
1.
“Ma
è il nostro?!”.
“E
lo chiedi a me, Bitta?! Ce li hai tu i biglietti!!! Controlla il numero del
volo.” dico, in preda all’isterismo, sbattendo il caffè sul
tavolino.
Bitta
afferra i biglietti dalla borsa e se li picchia sotto il
naso.
Che
intelligenza: ha lasciato gli occhiali da vista dentro la valigia. Andiamo
bene.
Deglutisce,
il che non è affatto un buon segno.
“Merda”.
Ha gli occhi fissi sul biglietto che ha in mano.
“ALLORA?!”
sbraita Veru, che fino a questo momento è stata zitta, impegnata a gustarsi il
suo ‘squisito’ cappuccino.
“Muoversi!!!” urla l’altra, prendendo la
borsa e alzandosi dalla sedia con la grazia che la contraddistingue: notare che
il suo, di cappuccino, è volato per terra.
In
un battito di ciglia ecco che mi ritrovo a correre in mezzo alla gente che ci
squadra come se fossimo delle matte.
Non
hanno tutti i torti.
Però,
cavolo! Non è giusto!
Qua
ce l’hanno con me, sicuro.
Abbiamo
passato due ore – e dico due ore – su quelle ‘comodissime’ poltroncine
sgualcite davanti al gate 3 che hanno trasformato il mio sedere in una sedia a
sua volta, e proprio quando ci allontaniamo cinque miseri minuti per mandare giù
qualcosa di apparentemente commestibile (ergo: caffè colore vomito e due
cappuccini gelati) una voce gracchiante di una signora avanti con gli anni
annuncia in un italiano alquanto incomprensibile che il volo 6598 diretto a
Berlino sta per partire.
Cazzo!
Non
è possibile.
Cominciamo
bene la vacanza!
In
meno di due minuti percorriamo il tragitto a una velocità supersonica e ci
ritroviamo davanti al gate 3.
Fortunatamente
c’è ancora qualcuno che si deve imbarcare, così ci mettiamo in fila anche
noi.
Nessuno
delle tre fiata.
Per forza! Abbiamo
fatto due rampe di scale a trecento all’ora!
Non
mi sento più le gambe. Ho il fiatone.
Avrei
voglia di quelle bombolette che usano gli asmatici, per riprendermi un
po’.
Anche
se io non soffro d’asma.
Va
bè, dettagli.
La
fila prosegue, facciamo vedere il nostro biglietto alla hostess e attraversiamo
il portone, insieme agli altri passeggeri.
“Bè,
dai, almeno ce l’abbiamo fatta, no?!” dice poi Bitta, abbozzando un
sorriso.
La
fulmino con lo sguardo.
Ci mancava solo che
non riuscivamo a partire, guarda!
Scendiamo delle scale e ci
troviamo all’aperto.
Fa
caldo. Un caldo afoso. Un caldo da Luglio in una città come Milano. 40 gradi
all’ombra.
Guardo
le mie due compagne di viaggio: Bitta sta spegnendo il suo cellulare, un
ricciolo le cade sulla spalla scoperta; Veru, invece, ha in mano un piccolo
libricino e intanto parla da sola, a bassa voce.
Un
piccolo libretto, con la copertina colorata.
Mi
avvicino, curiosa.
E te
pareva!
Il
dizionario di Tedesco.
“Veru!!! E basta con quel
coso, dai!!!” le dico, sbuffando, mentre Bitta si mette a
ridere.
“Ila,
stiamo andando a Berlino, noi, e si dà il caso che non sappiamo manco mezza
parola di tedesco! Come credi che ci faremo capire?!” mi risponde, seria, con
fare da saputella.
“Ma
sì!!! In qualche modo ci facciamo capire… un po’ in Inglese, un po’ a gesti,
dai… ce la caviamo!” dico, a voce più alta, “E poi qualche parola la sappiamo di
Tedesco!” aggiungo, mettendomi le mani sui fianchi.
“A
sì?!” interviene Bitta, guardandomi perplessa.
“Certo!”
esclamo. “Ja, nein, hallo, tchuss e…la mia preferita! Kartoffen!”
esclamo, scoppiando a ridere e facendo ridere anche le altre due e dei signori
che sono vicino a noi.
“Sìsì…hai
ragione, Ila! Va bè, andiamo và.” Veru prende sottobraccio me e Bitta e ci
dirigiamo verso il pulmino che ci porterà all’aereo.
“Mi
annoio!” dico, e mi lascio andare sulla mia poltroncina.
E’
da circa mezz’ora che siamo in volo, e io non so più cosa fare: ho ascoltato la
consueta tiritera delle hostess sulle uscite di sicurezza e palle varie, ho
fatto la radiografia a uno degli steward che non è nient’affatto male – si chiama
Marc, deve essere tedesco – ho guardato le nuvole fuori dal
finestrino…
Ho
fatto tutto quello che si può fare su un aereo e ora mi
annoio.
Mi
giro alla mia destra. Nella poltroncina accanto alla mia, Bitta sta serenamente
dormendo, con una espressione beata sul viso.
Chissà chi starà
sognando?!
Mi
volto allora a sinistra. Veru sta nuovamente spulciando il suo dizionarietto e
ogni tanto annuisce.
“Che
fai?” le chiedo.
“Sto
cercando di imparare qualche parola che può esserci utile.” mi risponde, senza
distogliere lo sguardo dal libro.
“Uffa!
Che palle!” sbuffo, dando un calcio alla poltroncina
davanti.
Due pensionate.
Forse due pensionate sarebbero state più di compagnia!
“Facciamo
qualcosa? Mi annoio!!!” le dico, guardandola con gli occhioni da
cerbiatto.
“In
effetti… anch’io m’annoio…” afferma, e apre la sua borsa iniziando a rovistarci
dentro.
La borsa di Mary
Poppins, eccola!
Continua
per un po’ e poi alla fine sorride, tirando fuori il suo Ipod verde
mela.
“Ascoltiamo
la musica!” esclama, sorridendo anche con gli occhi.
Ho
capito tutto.
Ti prego, no. Non
qui, non ora. Aiuto!!!
Mi
ficca un auricolare nell’orecchio e inizia a far muovere la rotellina qua e là,
con decisione.
“No!”
le urlo, quasi implorandola, ma lei non mi sente.
O fa finta di non
sentirmi!
E’
sadica.
Finalmente sembra aver
trovato quello che cercava. Sorride soddisfatta.
No!
Pietà!
Dalle cuffiette inizia a
diffondersi una melodia.
Ecco.
Appunto.
Un
giro di chitarra che ormai riconosco subito.
Una batteria decisa, carica,
si aggiunge.
Ed
eccola, la voce. La sua voce.
Nooooooooooo!!!
-We
were runnin’ through the town our senses had been drowned no place we hadn’t
been before...-
“Veru, no! Anche qua no, ti
prego!” quasi le urlo addosso ma lei non mi considera proprio.
Anzi, alza addirittura il
volume.
Eccola, è andata. Siamo a
posto.
La
sua testa si muove seguendo il ritmo della canzone, con la mano tiene il tempo
battendola contro la coscia.
Oltre alla musica che mi sta
perforando il cervello, sento qualcos’altro che mi colpisce alla stessa
maniera.
Mi
rigiro verso di lei.
Oh no!
Questo è un
incubo!
S’è messa a
cantare!
“Ready,
set, go, it’s time to run, the sky is changing, we are one, together we can make
it while the world is crashin’ down, don’t you turn around!!!” canta a pieni polmoni, non
curante che ci sono altre duecento persone su questo aereo: notare che lo fa
così soavemente che addirittura Bitta s’è svegliata, saltando letteralmente sul
suo sedile.
Tutti i passeggeri si girano
verso di noi. Le hostess ci guardano male.
Io
e Bitta diventiamo bordeaux per la vergogna. Veru, invece, continua la sua
esibizione canora come se niente fosse.
Voglio una pala,
subito.
Mi scavo una fossa e mi ci
sotterro.
Le
do uno spintone e lei, finalmente, si degna di darmi attenzione, togliendosi
l’auricolare.
“Che c’è?” mi chiede, con
aria indifesa.
“Abbassa la voce!” ringhio a
denti stretti, scandendo le parole e cercando di assumere un tono
autoritario.
Lei, di tutta risposta, mi
ride in faccia.
Ma si può, a 18 anni, essere
così sceme?!
I
misteri dell’umanità.