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Autore: Vicious Vixen    06/08/2014    1 recensioni
STORIA FERMA, POTETE TROVARLA RISCRITTA QUI: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3060710
«Comunque, se lo dicessi ad Ash la mollerebbe subito Vanessa»
«Victoria» lo corressi.
«Sì, va beh, quella»
«Non ho niente da dirgli, comunque. Com’è che stiamo avendo una conversazione normale? Non succedeva da quando-»
«Da quando cagavamo insieme nel vasino, già. Boh, sei particolarmente mansueta oggi, non mi va di prenderti per il culo se poi non ti incazzi»
«Logico» lo guardai male.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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1.Your Bestfriend Is Not Your Boyfriend

https://www.youtube.com/watch?v=qUMv1kKWmww )


Entrai in casa con Amber alle spalle e poggiai a terra la scatola dove avevo messo tutto quello che normalmente lasciavo stipato nell’armadietto sgangherato della mia scuola.
Era estate, finalmente: non fraintendetemi, detestavo il mare e sopportavo poco il caldo, che comunque mi toccava sopportare spesso durante l'anno, ma la scuola la sopportavo ancora meno, quindi qualsiasi vacanza mi venisse concessa, la accettavo di buon grado.
E sì, ero la tipica australiana atipica: pelle piuttosto chiara e serie difficoltà ad abbronzarmi, capelli — originariamente — scuri, non surfavo, non ero decisamente sportiva, ed ero insofferente al caldo.
In generale, non ero molto alta, pur essendo comunque abbastanza slanciata vista la magrezza (per cui ringraziavo ogni giorno il cielo) non esagerata: non spigolosa ma nemmeno tutta curve, erano dove dovevano esserci; i miei capelli castani scuri fin troppo comuni, erano diventati fucsia da un paio di mesi, facendo contrasto con la mia pelle non pallida ma per nulla abbronzata, al contrario di chiunque nella mia cerchia di conoscenze. Per concludere, avevo un caratteraccio e mancavo di finezza, come mi veniva spesso fatto notare dopo rutti o mentre mi ingozzavo con tutto ciò che trovavo a portata di mano.
Oltre a quello, aggiungete una buona dose di timidezza nei confronti degli estranei ed otterrete me: una sedicenne con seri problemi di autostima, i cui unici rapporti umani erano quelli con i pochi amici, i genitori, il fratello e qualche conoscente di quest'ultimo.
Parliamo anche del fatto che, oltre ad essere poco incline alle nuove conoscenze, ero anche molto selettiva.
Entrai in soggiorno, seguita da Amber, e salutai mio fratello Luke e i suoi amici, con cui stava giocando alla play station.
Amber era il tipo di amica con cui passi molto tempo ma con cui non parli quasi mai di argomenti seri. Litigavamo spesso, tornando a parlarci dopo settimane, piene di rancori che ci saremmo sbattute contro alla lite successiva. Le volevo bene, ma probabilmente eravamo troppo diverse.
Alla destra di Luke, sul divano, c’era Ashton, migliore amico di entrambi, oltre che cotta di cui nessuno, e sottolineo nessuno, sapeva nulla.
Alla sinistra, invece, c’era Clifford, sempre migliore amico di Luke, che era sdraiato in modo da occupare due posti.
Io avrei potuto tranquillamente definirlo “nemesi”.
Da quel che ricordavo, ci insultavamo e litigavamo di continuo dall’alba dei tempi.
«Ciao, stronzi» li salutai, andandomi a sedere sul bracciolo di fianco ad Ash, che mi guardò e fece un sorriso veloce, per poi tornare con lo sguardo fisso sulla tv e i pollici sul joystick.
«Ehi, Ro’» mi salutò mio fratello, mentre Clifford emise solo un mugugno.
Luke era più grande di me di poco più di un anno. Ci somigliavamo abbastanza, per il colore degli occhi ed alcuni dei lineamenti, fra cui il naso, che io avevo decorato con un anellino argentato. Avevamo un rapporto piuttosto normale, coi nostri alti e bassi: litigavamo, ovviamente, ma la maggior parte del tempo convivevamo pacificamente e, avendo molti amici in comune, uscivamo anche insieme. Da quando eravamo entrambi entrati nell'adolescenza, eravamo diventati più complici fra di noi, coprendoci a vicenda con i nostri genitori o a scuola, e spalleggiandoci quando servisse.
«Ehi» salutò Amber, ricevendo anche il saluto di Michael.
«Hai già portato tutto?» le chiese distrattamente Luke.
«No, passo più tardi» rispose lei, sedendosi sulla poltrona accanto al divano.
Mio fratello si riferiva all’occorrente per restare da noi.
Ogni estate da un paio d'anni, i miei partivano per un mese intero, lasciandoci soli a gestire la casa, e i nostri amici rimanevano da noi stabilmente.
Normalmente rimanevano Amber, Ash, Clifford, Calum, altro migliore amico di mio fratello, ma quell'anno avevo la sensazione che le cose sarebbero andate diversamente. All’ingresso avevo visto solo la borsa di Clifford.
«Anche tu?» chiesi piano ad Ash.
«No, Ronnie… quest’anno passerò solo ogni tanto, sai, anche i genitori di Vic sono fuori città» Victoria era la sua ragazza da qualche mese.
Sentii un distinto crack nella mia testa.
«Ah» dissi monocorde. Non avevo problemi con Victoria, sapevo che non avrei mai potuto avere il suo stesso posto nella vita di Ash e lo avevo accettato, ma rimaneva comunque il mio migliore amico e mi faceva male, mi sentivo messa da parte da quando c’era lei.
«Verrò spesso, dai» provò a tirarmi su sorridendo leggermente, capendo che me l’ero presa.
«Tranquillo, lo capisco» finsi posandogli una mano sulla spalla, lui annuì poco convinto. Mi conosceva da sempre, mi capiva perfettamente anche quando cercavo di nascondergli le cose, le poche volte che lo facevo.
«Stasera c’è una festa a casa di Sanders» buttò lì Amber, ed Ash mi guardò preoccupato, percependo la tensione che si sarebbe creata di lì a poco.
«Forte, ci sto» accettò mio fratello.
«Io non posso» disse invece Ash, grattandosi la nuca.
Odiavo le feste e mi annoiavo ogni volta, o stavo comunque a disagio con tutta quella gente sconosciuta che magari cercava di approcciarmi conoscendo magari Luke. Di solito c’era sempre Ash che mi teneva compagnia e cercava di non farmi stare mai a disagio, visto che oltretutto era il guidatore designato e non poteva esagerare con gli altri. Ma stavolta no.
«Cazzo, chi guida allora?» storse la bocca la mia amica.
«Io» disse atono Michael, fissando il suo personaggio sullo schermo.
Ci voltammo tutti a guardarlo sconvolti, tranne Ash che probabilmente sapeva già che lo avrebbe fatto.
«Che cazzo guardate?» chiese con lo stesso tono.
«Niente» svagò Luke, capendo che probabilmente non era il momento di scoprirlo, ma sapevo che avrebbe indagato.
Avrei potuto guidare io, ma non avevo ancora preso la patente.
Sbuffai e uscii nella veranda sul retro. Non solo Amber se ne fregava, come sempre, del fatto che detestassi le feste e che così mi obbligasse ad andare perché sapeva che non sarei mai rimasta a casa ad annoiarmi, ma sarei anche stata sola visto che Ash aveva sicuramente da fare con Victoria.
Tirai fuori le sigarette dalla tasca e me ne accesi una, soffiando in fuori una grande boccata di fumo mentre mi lasciavo cadere sul dondolo alle mie spalle.
«Me ne dai una?» chiese Michael dopo qualche minuto, sporgendo la testa ricoperta di ciuffi verdastri sparati in aria fuori dalla porta.
Gli porsi il pacchetto bianco e rosso, non essendo in vena di litigate, e lasciai che prendesse una sigaretta.
Si sedette di fianco a me, facendo dondolare l’altalena.
«Triste perché la tua cotta ti ha dato buca?» chiese con un sorrisetto.
«Non mi piace Ashton. Sono solo incazzata»
«Prendi per il culo qualcun altro, si vede che ti piace. Penso di averlo capito prima io di te»
«Come ti pare»
«Non prendertela con Amber» disse dopo qualche secondo di silenzio.
«Non dovrei? Mettiti nei miei panni»
«Non lo fa con cattiveria, pensa di aiutarti» spiegò guardando dritto oltre la staccionata bianca.
«Aiutarmi a fare cosa? Non è che la timidezza sia una malattia. Clifford, non dirmi cazzate, lo so che se ne sbatte di come mi sento»
«Non è vero, fidati. Ti vuole bene, non lo fa apposta, è davvero convinta di poterti sbloccare in questo modo»
«Magari non voglio essere sbloccata, non ho mai detto di voler combattere questa "introversione" o come volete chiamarla. Non devo essere per forza socievole. Di amici ne ho già quanti mi bastano, non mi serve altro» borbottai calpestando il mozzicone con un anfibio.
«Ma non dire cazzate, lo sappiamo tutti che non è così, anche io che non ho idea di cosa tu abbia in testa»
«Senti, sarà anche così, ma non ho bisogno di essere aiutata per una stronzata simile, soprattutto non così»
«Come vuoi, Tomboy»
«Non chiamarmi in quel modo – dissi meccanicamente. Quando ero piccola avevo la fissa di voler essere un maschio, e continuavo comunque a non indossare vestiti troppo femminili abitualmente, visto che vestivo praticamente come mio fratello, spesso rubandogli le magliette. Da allora per Clifford ero rimasta Tomboy, maschiaccio – piuttosto, com’è che guidi tu stasera?»
«Non credo siano cazzi tuoi» sbottò guardandomi negli occhi.
«Beh, lo sono visto che devi riportare a casa anche me» ribattei.
«Non ho voglia di sbronzarmi, stop. Comunque, se lo dicessi ad Ash la mollerebbe subito Vanessa»
«Victoria» lo corressi.
«Sì, va beh, quella»
«Non ho niente da dirgli, comunque. Com’è che stiamo avendo una conversazione normale? Non succedeva da quando-»
«Da quando cagavamo insieme nel vasino, già. Boh, sei particolarmente mansueta oggi, non mi va di prenderti per il culo se poi non ti incazzi»
«Logico» lo guardai male.
«Comunque parla ad Ashton, seriamente» disse prima di andarsene.
«Non so cosa dovrei dirgli» risposi seguendolo dentro.
C’erano solo Luke ed Ashton, Amber doveva essere passata da casa. Meglio, in quel momento avrei potuto ucciderla.
«Io vado, ci vediamo domani – disse il riccio, alzandosi dal divano e lanciandoci sopra il joystick – vieni un secondo?» mi chiese indicando la porta di casa mia.
Annuii, guardando male Clifford che mimava un pompino con la bocca ed il pugno chiuso.
«Dimmi» gli sorrisi, sperando di essere credibile.
Mi abbracciò, stringendo molto come al solito, e io gli avvolsi le braccia intorno alla vita, sollevandomi leggermente sulle punte per poggiare la testa sulla sua spalla, mentre mi lasciavo ad un sorriso triste che non poteva vedere.
«Mi dispiace che passiamo meno tempo insieme, solo che è la prima volta che faccio le cose seriamente e devo capire come gestire il tempo con voi e con lei. Ti prometto che verrò ogni volta che posso» sussurrò al mio orecchio.
«Lo capisco Ash, non preoccuparti – risposi soltanto, abbracciandolo più stretto per un altro po’ – dai, vai, ti starà aspettando» feci sistemandogli qualche ricciolo nella solita bandana rossa che portava fra i capelli.
«Ti voglio bene, Ro’» mi fece uno dei suoi grandi sorrisi, uscendo.
«Anche io Ash» feci lo stesso e aspettai che attraversasse tutto il giardino, poi socchiusi la porta vedendo Amber girare l’angolo per tornare, un borsone in spalla e Calum accanto a lei.

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«Amber, muoviti che cazzo!» urlò mio fratello dal sedile del passeggero.
«Arrivo, calmati» disse uscendo di casa e chiudendo la porta. Corse velocemente fino alla macchina e si sedette vicino a me e Calum nei posti dietro.
Aveva una gonna nera a tubino, di quelle a vita alta, sopra una maglietta aderente di un fucsia sgargiante che le lasciava scoperte alcune delle costole e una giacca di pelle larga.
In poco tempo Michael arrivò davanti casa di Sanders e li fece scendere.
«Che facciamo? Scendiamo anche noi?» mi chiese.
«Io resto in macchina, tu fa come vuoi» risposi scavalcando il freno a mano e spostandomi sul sedile del passeggero, poggiando i piedi sul cruscotto, mentre lui parcheggiava l’auto dietro la casa.
«Leva quegli anfibi da lì» mi riprese annoiato.
«Scordatelo. Che ti frega, è un catorcio»
«Si da il caso che sia l’unico catorcio che posso avere e che non ho voglia di lavarlo un giorno sì e l’altro pure per colpa delle tue scarpe del cazzo» disse guardandomi male e prendendomi le sigarette dalla tasca dei jeans aderenti e consumati sulle ginocchia.
«Prego, fai pure» dissi ironicamente allargando le braccia, mentre lui mi tirò giù le gambe con un braccio.
«Allora, Tomboy, come va la tua pienissima vita sentimentale?»
«Fottiti, Clifford» lo detestavo quando mi prendeva per il culo per quel motivo. Non avevo mai avuto un ragazzo, mai baciato qualcuno, figurarsi altro.
Non che non volessi, sia chiaro, avevo pur sempre sedici anni, ma come ho detto prima, avevo difficoltà a relazionarmi con gli altri, quindi non conoscevo mai nessuno di nuovo. Oltre che aspettavo – per quanto inutilmente – Ashton.
«Dai, seriamente! Ancora nulla?» chiese con un sorrisetto sadico, mandandomi il fumo negli occhi.
«Clifford, praticamente vivi a casa mia, se ci fosse un qualsiasi sviluppo lo sapresti già, quindi smettila con le bastardate» feci alzando gli occhi al cielo, mentre mi accendevo anche io una sigaretta.
«Io ti ho detto come fare con Irwin, sei tu che non mi dai retta»
«Non ti do retta perché non sono innamorata di Ashton»
«Ehi, chi ha parlato di amore? Ti sei fottuta da sola»
«Era un modo come un altro per dire che non mi piace in quel senso, okay?» mi difesi cercando di mantenermi calma. Se lo avessi ammesso glielo sarebbe andato a dire e non volevo mandare a puttane l’unica amicizia vera e duratura che avevo.
«Andiamo, Ronnie! Lo so che ti piace, perché non lo ammetti?»
«Io lo ammetterò quando tu mi dirai perché oggi guidi tu. Non me la bevo la scusa del “non mi va di sbronzarmi”» dissi fiera di me stessa, sapendo che non avrebbe mai risposto.
«E va bene! – disse alzando gradualmente la voce – perché devo smettere di bere, contenta? Perché mi hanno detto che il mio fegato è troppo a puttane per l'età che ho e sono sulla buona strada per diventare un alcolizzato di merda»
Rimasi senza parole per un attimo. Cazzo.
Aprii la bocca senza dire nulla per un paio di volte, per poi riuscire a trovare qualcosa da dire.
«Penso di amare Ashton» dissi soltanto, mantenendo la mia parola.
«Alleluia!» disse nervosamente, guardando fuori dal suo finestrino.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, gli unici rumori provenivano dalla casa.
«Mi… mi dispiace. Se smetti di bere torna come prima, però, vero?» chiesi piano, dopo aver pensato a come chiederglielo e decidendo semplicemente di essere diretta, visto che non era il tipo da farsi problemi del genere.
Lo detestavo e tutto quello che volete, ma eravamo comunque cresciuti insieme ed ero legata a lui in qualche strano modo.
«Non del tutto, ma si rigenera e tutte quelle stronzate» disse guardando il cielo.
«Ce la farai. A smettere, dico. Cioè, ti conosco abbastanza da sapere che sei forte, quindi…»
«Non sono forte, Ronnie»
«Ma che cazzo dici?» sbottai.
«Non sai niente, non puoi dirlo»
«Cosa non so? Penso di sapere abbastanza della tua vita, cazzo, sei in casa nostra almeno dodici ore al giorno –  scosse la testa e distolse di nuovo lo sguardo dal mio, tenendolo basso – Michael, cosa non so?» chiesi ancora, prendendogli il mento in mano e facendogli sollevare lo sguardo.
«Lascia stare, Tom, non voglio parlarne» rispose evasivo, e a quel punto iniziarono a venirmi dei sospetti.
Gli presi un polso con forza e ne spostai alcuni dei numerosi braccialetti dei concerti, quasi tutti uguali ai miei, scoprendo lividi scuri.
Lasciai che il braccio gli cadesse sulla gamba, guardandolo negli occhi.
«È stato di nuovo lui?»
«Che cazzo te ne frega?»
«Che tu lo voglia o no, ti considero parte della mia famiglia, ecco che cazzo me ne frega!» gli urlai addosso.
«Dopo che te lo dico che cazzo ne ricavi, Veronica? Non sei nella posizione di aiutarmi» rispose con un tono più alto del mio.
«So chi è il pezzo di merda che ti fa questo! E solo perché ho dei problemi anche io, non significa che non possa almeno provare ad aiutarti, porca puttana! Che cazzo ti dice il cervello, Michael? Vaffanculo!» aprii lo sportello e feci per scendere dall’auto, ma mi tirò indietro per un polso e finii malamente addosso a lui, che mi baciò con rabbia, lasciandomi prima confusa per qualche momento, poi nel panico.
Mi mordeva le labbra e muoveva freneticamente le sue, mentre io stavo ferma, non avendo idea di come dovermi muovere né di cosa cazzo stesse succedendo.
Quando iniziò a muoversi in modo un po’ più tranquillo, tentai di imitarlo. Eravamo entrambi poco lucidi, ma probabilmente non lo allontanai perché capivo che ne avesse bisogno.
Mi spostai meglio sulle sue gambe, mugolando quando mi strinse con forza le braccia, che poi mollò capendo di farmi male.
Schiusi la bocca quando sentii la sua lingua premere contro le mie labbra, lasciandola entrare e cercando di muovermi insieme.
Era… strano, ma piacevole. Mi sentivo bene, anche se non era Ashton, per una volta mi sentivo coccolata.
Si staccò dopo un po’, guardandomi perplesso quanto me.
«Baci come una lumaca» disse per sdrammatizzare.
«Davvero carino da parte tua, dopo avermi fatto dare il mio primo bacio senza sapere se fossi d’accordo o no. Oltre che deduco dalla tua affermazione che tu abbia baciato una lumaca in precedenza»
«Non mi sembra che tu ti sia lamentata» mi sorrise.
«Che significa?» chiesi riferendomi al bacio.
«Che io ho bisogno di sfogarmi e tu di stare calma, suppongo»
«Mi stai dando dell’isterica?» chiesi con un sopracciglio sollevato.
«Forse fra le righe, Tomboy»
«Fanculo, Clifford»
«E questa è la prova che ho ragione» disse con un sorrisetto bastardo, per poi baciarmi il collo e farmi rabbrividire di piacere.
«Cazzo» dissi sperando che non se ne fosse accorto, o mi avrebbe presa per il culo a vita.
«Verginella» ecco, appunto.
«E’ stupido prendermi in giro per qualcosa che non ho scelto io, sai?» dissi fra i denti, mentre lui continuava.
Ridacchiò, staccandosi e sorridendomi.
«Se tuo fratello vede quella roba mi stacca le palle» disse fissandomi il collo.
Mi sollevai allarmata, voltandomi verso lo specchietto retrovisore.
«Porca di quella puttana, Clifford! – dissi osservando la macchia rossastra che si espandeva sul lato del mio collo – Che cazzo ti dice il cervello?!»
«Questo me l’hai già chiesto» sorrise roteando gli occhi.
Sbuffai, tornando a sedermi sul sedile del passeggero, coi piedi sul cruscotto.
«E non pensare che non sia incazzata, Clifford. Possiamo parlare come persone civili e mi spieghi perché hai smesso di parlarcene? Pensavo avesse smesso»
«Non voglio coinvolgervi nella mia merda» sospirò.
«Per favore?»
«No, Tom» disse serio.
«Ti prego, Michael»
«Non so che dirti... Aveva smesso, sembrava che stesse tornando tutto a posto, poi la settimana scorsa è tornato di nuovo ubriaco e ha deciso di sfogare qualsiasi cosa gli passasse per la testa su di me» mi spiegò, toccandosi distrattamente il bracciale che avevo spostato.
«Sei al sicuro, starai da noi un sacco di tempo, pure quando tornano i miei, se serve»
«Così farà il culo anche a voi – ridacchiò tristemente – Tomboy, mi spieghi perché ti importa così tanto?»
«Te l’ho detto, anche se mi fai incazzare ti considero parte della mia famiglia. Quindi, anche se spesso ti ucciderei volentieri, preferirei che i colori strani si limitassero ai capelli e stessero lontani dalla pelle, no?»
«Beh, grazie» rispose grattandosi la nuca imbarazzato, con lo sguardo oltre il parabrezza.
Rimasi a rimuginare per un attimo, isolandomi.
Clifford aveva sempre avuto problemi di vario tipo e non aveva avuto una vita facile. Eravamo riusciti a convincerlo a denunciare suo padre, che era stato in riabilitazione nei mesi precedenti ed era tornato da poco. Beveva spesso anche Michael, era capitato più volte che tornasse a casa nostra ubriaco, anche ad orari assurdi, ma pensavo che fosse normale. Sapevo che le sbronze erano all’ordine del giorno fra di noi, perciò avevo dato per scontato che le cose stessero nella norma.
Era anche per questo che mi ero stupita quando aveva detto che era ridotto male… non pensavo che la cosa fosse così seria. Era l’ennesimo problema che gli si presentava e che non meritava.
Era fastidioso, certo, forse anche un po’ immaturo, ma era buono, non avrebbe mai fatto del male ad una mosca e in cambio aveva ottenuto solo sofferenza.
Il padre se n’era andato, lasciando soli lui e sua madre dopo averli trattati come pezze. Poco dopo lei aveva scoperto di essere incinta ed era nato suo fratello. Si erano trasferiti a Sydney da suo nonno, e ci eravamo conosciuti alle elementari.
Avevano diagnosticato un cancro alla madre poco prima che iniziasse il liceo e tempo qualche mese morì, così lui e il fratello vennero affidati al padre.
Clifford aveva sempre pensato che fosse colpa sua se suo padre li aveva abbandonati, e crescendo e capendo più cose, il senso di colpa era diventato rabbia e probabilmente si era buttato sull’alcol per quello.
«Stai bene?» mi chiese dopo un po’, riportandomi alla realtà.
«Io... sì, credo. Posso abbracciarti?»
«Ronnie, davvero, ti senti bene? Sei in sovraccarico per il bacio?» rise.
«Fanculo» gli tirai un pugno sulla spalla e tornai a guardare dritto di fronte a me, ma poco dopo sentii la sua mano sulla mia spalla e mi voltai verso di lui, per poi abbracciarlo.
«Andrà tutto bene, prima o poi» sussurrai, sperando di convincere sia lui che me stessa.






Hi there c:
(più o meno) prima storia, spero non faccia troppa pena!
Qualche spiegazione: se qualcosa non fila, è perché è un riadattamento di una storia che avevo scritto tempo fa, con diversi personaggi e diverse problematiche, ma spero di essere riuscita a sistemare tutto; l'avvertimento "AU" è perché, in primis i ragazzi non sono ancora famosi, anche se è ambientata in quest'anno e perché, come si sarà intuito, Mike subisce violenze e ha perso la madre, cosa del tutto inventata da me; per ultimo, alcuni dei ragazzi potrebbero sembrare "superficiali" in questo primo capitolo, ma cercherò di caratterizzarli tutti e renderli presenti poco a poco.
Il titolo della storia è preso dall'omonima canzone dei Blink-182, il mio gruppo preferito, e quello del capitolo è una frase della canzone It Hurts degli ava,leggermente modificata, e il link lo trovate sotto al titolo. Penso di mettere una canzone per ogni capitolo, se ne trovo una che mi ispiri ogni volta.
Detto ciò, spero prima di tutto che piaccia (sarebbe fantastico se me lo faceste sapere, anche con due paroline, e anche se la trovate orribile), poi che non ci siano errori. Non pretendo che sia chissà quanto originale, è abbastanza difficile che lo sia, ma spero che la mia idea piaccia e incuriosisca, insomma.
Per ora ho un paio di capitoli pronti, penso di pubblicare se ricevo qualche recensione, altrimenti mi sento stupida lol
Grazie per essere arrivate fino a qui, davvero.
S.

   
 
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