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Autore: LoveAndHappiness    07/08/2014    2 recensioni
Emma è una normale ragazza di sedici anni con un migliore amico a cui vuole un mondo di bene, una cotta segreta per il ragazzo più popolare della scuola e davanti a sé un'estate da passare con suo padre, sempre in viaggio per lavoro.
I suoi programmi vengono però stravolti fin dall'inizio e la sua vita diventa improvvisamente qualcosa di completamente anomalo. Infatti, proprio l'ultimo giorno di scuola, viene rapita.
Durante i suoi giorni di prigionia sarà costretta a combattere, non contro i suoi rapitori, ma contro se stessa, il suo passato e i suoi sentimenti.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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 -Tu mi piaci.- urlò a squarciagola Mike dietro di me. Mi bloccai di colpo nel bel mezzo del cortile della scuola, per fortuna piuttosto vuoto, certa e speranzosa di aver capito male. Mike era il mio migliore amico fin dai tempi dell'asilo, e fino a quel momento l'avevo sempre creduto gay. Forse per il fatto che non gli era mai piaciuta alcuna ragazza o per il suo modo di fare, sempre comprensivo, sensibile e troppo buono nei miei confronti.
-Tu mi piaci.- Ripeté lui, allora mi voltai di scatto, guardandolo con espressione sbalordita, dubbiosa. I suoi occhi, di un castano talmente scuro da perdercisi dentro, erano decisi e in essi brillava un barlume di speranza. Mi dispiaceva così tanto doverlo spegnere, ma per me Mike non poteva essere niente di più che il mio migliore amico. Feci un respiro profondo e cercai le parole per esprimere i miei sentimenti in modo più delicato e meno doloroso possibile.
-Mike, senti, io ti voglio molto bene ma...- non mi lasciò finire la frase, gli occhi ormai velati di lacrime.
-Ti prego, Emma, non venirtene fuori con la solita storia del “ti voglio bene ma solo come amico”!- esclamò, infilando una mano nei ricci capelli color miele, lunghi appena pochi centimetri. In quel momento mi chiesi se da qualche parte dentro di me, anche nella più piccola e nascosta, ricambiavo i suoi sentimenti e cercai quasi disperatamente di farli affiorare. Non potevo infatti rovinare così anni di bellissimi momenti assieme, di fiducia reciproca e di amicizia.
Alla fine mi arresi però al fatto che quei sentimenti non esistevano e sbuffai esasperata
-E cosa dovrei dirti se non la verità?- risposi. Lui scosse la testa e si asciugò una lacrima solitaria con la manica della felpa
-Niente.- disse semplicemente, poi mi guardò con sconforto e delusione e, dopo essersi girato, se ne andò nei corridoi della scuola. Lo rincorsi, ma ormai l'avevo perso di vista fra la moltitudine di studenti che cercavano la loro aula e con amara consapevolezza mi resi conto che ormai era quello che Mike era diventato: un ragazzo come gli altri. Sentii le lacrime scorrere lente lungo le mie guance ma non feci niente per nasconderle mentre i miei compagni di scuola mi fissavano incuriositi, senza però fermarsi. Rimasi immobile a lungo, perfino dopo lo squillare della campanella, sentendo improvvisamente che il mio mondo stava crollando pezzo dopo pezzo.
Fu così che l'ultimo giorno di scuola, all'età di 16 anni, persi il mio migliore amico, l'unica cosa concreta che abbia mai avuto.

Feci scorrere l'acqua del rubinetto fra le mie mani e me la gettai in faccia. Mi ritrassi di colpo, schizzandone un po' sul pavimento: era gelata. Mi asciugai velocemente il viso e poi mi guardai allo specchio cercando segni di pianto superstiti. Il rossore che prima incorniciava le mie iridi color hazel dei miei occhi era finalmente sparito e con esso pure i puntini rossi che misteriosamente comparivano quando piangevo. Mi ritrovai però a fissare altri particolari del mio viso, come ad esempio le sopracciglia scure e ben definite, le ciglia piuttosto lunghe ma dalle punte chiare che le facevano sembrare più corte, il naso leggermente all'insù con una spruzzata di lentiggini e la bocca piccola e piuttosto carnosa.
Scossi la testa; ero andata al bagno per calmarmi, non per studiare i tratti del mio viso e inoltre ero pure in ritardo a lezione di un buon quarto d'ora quindi avrei fatto meglio a sbrigarmi.
Raccolsi frettolosamente i miei lunghi e lisci capelli color castano scuro in una coda di cavallo, in modo da sembrare più ordinata, e uscii nel corridoio.
Mi diressi subito vero la mia aula e fui piacevolmente sorpresa nel trovare la classe senza un docente a sorvegliarla.
Colsi allora l'occasione e mi affrettai al mio comodo posto in seconda fila. Appena mi scorse, May, la mia compagna di banco, si sbracciò indicandomi il posto vuoto accanto a lei. A metà strada, venni però bloccata da un improvviso ostacolo. Lui mi sorrise, scoprendo i denti bianchissimi, e mi afferrò per le spalle, obbligandomi a guardarlo dritto negli... smeraldi che aveva incastonati al posto degli occhi. Come per magia, sentii il tempo rallentare e i rumori attorno a noi attutirsi, come se l'intero universo aspettasse qualcosa.
-Ciao, Emma.- disse, senza distogliere lo sguardo da me.
-Ciao Thomas.- risposi io, senza riuscire a spiaccicare qualche parola in più. Scommetto che ogni ragazza qualunque avrebbe avuto la stessa reazione davanti a Thomas Clark capitano della squadra di rugby della scuola, miglior studente dell'anno per tre anni consecutivi, figlio d'importanti chirurghi nonché ragazzo più gentile, popolare e bello della scuola.
La mia reazione lo fece ridere, poi però mi guardò con dolcezza
-Tutto bene oggi? In corridoio prima sembravi molto scossa.- disse, stringendo la presa sulle mie spalle ma non abbastanza da far male.
Io annuii con quasi troppa forza -Oh, sì, certo... ho avuto solo una piccola... discussione con un amico, niente di così importante.- dissi, cercando invano di sembrare disinvolta e rilassata. Non ero ancora pronta inoltre a raccontare ciò che era accaduto fra me e Mike, e soprattutto al ragazzo che facevo persino fatica a salutare. Thomas evidentemente capì quello che pensavo e con un ultimo cenno del capo fece scivolare le mani lungo le mie braccia.
-Bene, allora spero che il tuo piccolo problema si risolva presto.- disse, poi mi salutò con un gesto della mano e tornò dai suoi amici che subito lo accolsero con pacche sulla schiena, spinte e arruffamenti dei suoi capelli castani tagliati a spazzola.
Allora il tempo ricominciò a scorrere veloce e io mi diressi, leggermente barcollante per tutte le emozioni appena provate, al mio banco e quando ci arrivai mi lasciai cadere di peso sulla sedia. May subito mi assalì.
-Emma, ora mi spieghi cos'è successo!- esclamò la mia amica, ormai l'unica rimasta. May era una ragazza molto graziosa, sembrava infatti una bambolina di porcellana: aveva un grazioso viso a cuore incorniciato da una moltitudine di capelli ricci, lunghi fino alle spalle e color biondo cenere, i suoi occhi grandi e azzurri le davano un'aria dolce e innocente, assieme al naso piccolo, alla bocca a forma di rosa e alla carnagione perfetta e pallida. Il carattere però era qualcosa di totalmente diverso se tenevi conto che May era una ragazza mascolina e aggressiva, che passava i pomeriggi a giocare ai videogiochi online, collezionava album di figurine di calcio e praticava il karate da quando aveva 5 anni.
Non feci in tempo ad aprire bocca che Mrs. Morrison entrò in classe sbattendo la porta.
-Buongiorno ragazzi!- esclamò, pronunciando la parola “ragazzi” come se fosse “feccia”, “plebei” oppure semplicemente “idioti”.
Mrs. Morrison insegnava storia e geografia, cosa che a quanto pare odiava, ed era un'anziana signora che avrà avuto all'incirca 70 anni, con i capelli ormai bianchi sempre raccolti in una stretta crocchia nella parte bassa della testa, gli occhiali quadrati e abiti che parevano di un altro secolo. Tutti gli studenti la odiavano, forse per il suo atteggiamento di perenne superiorità o forse per le impossibili verifiche a sorpresa che faceva fin troppo spesso.
L'insegnante si sedete al proprio posto e ci squadrò tutti da dietro ai suoi orrendi occhiali, come in cerca della vittima da interrogare. Il mio cuore batteva perfino più forte di prima, quando Thomas mi aveva sfiorata. Infatti non avevo studiato nulla... beh chi studierebbe l'ultimo giorno di scuola?!
Alla fine l'anziana donna sbuffò e fece una smorfia disgustata
-Dato che oggi è l'ultimo giorno di scuola e non servono più voti per le vostre pagelle non interrogherò nessuno di voi.- disse, sputando le parole come fossero veleno.
Eravamo tutti così contenti e sollevati che potevamo tranquillamente battere le mani con tanto di urla e fischi in onore della nostra insegnante, ma dato che la conoscevamo fin troppo bene decidemmo di lasciar perdere e annuire in silenzio.
Mrs. Morrison però non era soddisfatta, prese quindi il libro di storia e ce lo mostrò
-Oggi passeremo la lezione a ripassare tutto il programma di storia. Aprite il vostro libro e leggetelo tutto, senza saltare una sola parola.- fece una breve pausa, in modo da constatare che tutti avessero capito bene -Adesso!- urlò poi. Mi affrettai a prendere il mio libro dalla borsa e iniziai a leggere la prima pagina. Avremmo dovuto aspettarcelo; Mrs. Morrison era troppo sadica per lasciarci riposare l'ultimo giorno di scuola!

La lezione finì più in fretta di quanto mi aspettassi, Mrs. Morrison ci lasciò uscire con il compito di studiare l'intero programma per l'anno dopo ed io ero intenzionata a sapere tutto a memoria, certa che il primo giorno ci saremmo ritrovati davanti una verifica lunga dieci pagine.
Appena uscii dall'aula, May mi afferrò per un braccio
-Adesso però mi dici cos'è successo con Thomas Clark!- esclamò e io le spiegai tutto: dal litigio con Mike alla conversazione con Thomas. Alla fine la mia amica mi guardò con occhi pieni di compassione
-Emma, mi dispiace così tanto!- esclamò, ma io scossi la testa
-Non ti preoccupare, va tutto bene, sto bene.- dissi, cercando di essere il più convincente possibile. Non volevo la pietà di nessuno, e in special modo non la sua. Per fortuna, la campanella venne in mio aiuto e io e May ci separammo per dirigerci alle nostre aule. Mentre camminavo per i corridoi il mio cellulare squillò. Lo estrassi dalla tasca posteriore dei jeans, il suo posto abituale, e guardai la schermata. Era l'ultimo iPhone, regalatomi da papà pochi mesi prima, e nel bel mezzo dello schermo ecco un messaggio del mio unico genitore. Mia mamma era scappata di casa poco dopo il compimento del mio nono compleanno, il matrimonio dei miei genitori era stato difficile e pieno di litigi ma nessuno si aspettava ciò che lei aveva fatto. Da quel giorno mi era rimasto soltanto papà e Rose, la tata che lui aveva assunto per badare a me mentre lui era via. Infatti era un importante uomo d'affari, sempre in viaggio per lavoro, ed era raro che restasse a Londra per più di qualche giorno. Fu per quel motivo che il messaggio sul display mi scosse tanto:
“Ciao tesoro,
sono papà e volevo solo farti sapere che sono all'aereoporto di Londra, appena arrivato da New York. Questa volta mi sono preso qualche settimana di ferie... giusto un mese per stare con la mia bambina! Io ti aspetto a casa, impaziente di passare le vacanze con te!
Baci”
Continuai a camminare, mantenendo lo sguardo fisso sul telefono. Finii così contro qualcosa di duro e caldo e per l'impatto sia la mia borsa, per fortuna chiusa, sia il mio cellulare caddero a terra. Colta di sorpresa, alzai lo sguardo e mi resi conto di aver sbattutto non contro qualcosa, bensì contro qualcuno. Quel qualcuno era un arrabbiato Shane Anderson, con una manica della giacca di pelle nera macchiata di caffé bollente. Lui se la tolse in tutta fretta ma nella foga la fece cadere a terra. In quel lasso di tempo, riuscii a scorgere un tatuaggio a forma di stella.
-Ma stai attenta a dove cammini, razza d'idiota!- esclamò, chinandosi a raccoglierla. Io feci lo stesso
-Senti chi parla.- borbottai, prendendo la borsa. Poi feci per prendere il cellulare ma lui fu più veloce e fece in tempo a leggere pure il messaggio prima che io glielo strappassi dalle mani.
-Uuuhh, paparino torna a casa, eh!- esclamò con un sorrisetto divertito e diabolico. Infilai velocemente il piccolo oggetto nella tasca dei jeans
-Fatti gli affari tuoi, Anderson, che è meglio!- esclamai, poi me ne andai velocemente in modo da non dargli alcuna opportunità di rispondermi.
Shane Anderson aveva la mia età, ma come tutti i miei compagni era più grande di me dato che il mio compleanno è il 31 dicembre, ed era un tipo poco raccomandabile sempre vestito con jeans larghi a vita bassa, magliette scure con stampati teschi o rockband, giacche di pelle e anfibi. Portava sempre spettinati i suoi capelli corvini e ondulati piuttosto lunghi e i suoi occhi blu risaltavano sulla pelle olivastra. Poteva tranquillamente essere il tipo che ruba i lecca-lecca ai bambini o che prende a bastonate i cuccioli e, secondo le voci, aveva una moto che guidava grazie ad una carta d'identità falsa.
Scossi la testa, Shane era un ragazzo da evitare.

Frequentai una lezione dopo l'altra, passando le pause assieme a May. A volte cercavo Mike con lo sguardo, senza però scorgerlo da nessuna parte. Alla fine ci radunammo tutti in palestra, dove la preside Chapman tenne il discorso di fine anno: cioé lo stesso degli anni precedenti. Ricordo che un anno May l'aveva registrato e io, lei e Mike ci eravamo messi ad ascoltarlo con le cuffiette durante il discorso dell'anno dopo, confermando così il fatto che la preside ripeteva sempre le stesse identiche parole anno dopo anno.
Un'ora dopo la scuola finì definitivamente, e io potei finalmente uscire da quell'edificio grigio e triste per incamminarmi verso casa. Di solito prendevo l'autobus oppure mi facevo venire a prendere da Rose, ma quel giorno avevo voglia di camminare. Iniziai a passeggiare tranquillamente fra le strade di Londra, addentrandomi man mano in vicoli sempre più bui, quasi senza accorgermene. Stavo infatti pensando a quell'ultimo giorno di scuola, a tutto ciò che era successo, a tutte le mie domande senza risposta e al vuoto che Mike aveva lasciato nel mio cuore. Me lo immaginavo come un grande puzzle rosso al quale mancava uno dei pezzi centrali: quello del “migliore amico”. Persa nei miei pensieri, non mi accorsi quasi dell'imponente auto nera che mi aveva seguito per un buon lasso di tempo. Quando la vidi, mi fermai un attimo, poi vidi delle persone vestite di nero, con tanto di passamontagna, scendere da essa e sentii la paura entrare in me quasi fisicamente, come un milione di spilli conficcati nella pelle. Dopo un attimo di choc, mi voltai di nuovo verso la strada davanti a me ed iniziai a correre più veloce che potevo. Non ero mai stata brava in educazione fisica, ma dovevo tornare a casa perché quello sarebbe stato un posto sicuro. Sentii i passi sempre più vicini a me, mentre mi sembrava che i polmoni sarebbero scoppiati da un momento all'altro. Non sapevo cosa volessero quelle persone da me; cosa avevo fatto di tanto male?! Lacrime calde iniziarono a scendere dai miei occhi ma non feci in tempo ad asciugarle che qualcuno mi bloccò da dietro, poi mi mise una mano sulla bocca per non farmi urlare e con l'altra mi tenne ferme le mani. Nel compiere tutti quei movimenti, il mio amato cellulare cadde dalla tasca e, cadendo a terra, si frantumò. Ormai, anche con la bocca tappata dal mio inseguitore misterioso, stavo singhiozzando come una bambina. Arrivò anche il suo complice, e dai movimenti delicati con cui mi mise una benda sugli occhi, capii che doveva trattarsi di una donna. Mi legarono pure le mani con una corda e poi mi spinsero in avanti dandomi costanti pacche sulla schiena. Poco dopo uno dei due mi afferrò per la vita e io cercai di urlare, ma mi risultò impossibile per via della mano che copriva la mia bocca. Venni scaraventata in quello che doveva essere il sedile posteriore dell'auto e, dopo che gli altri furono saliti, il motore si accese con un rombo e partimmo.
Mi appoggiai al finestrino continuando a piangere, ora in silenzio, finché non ebbi più lacrime. Allora chiusi gli occhi e, per sfuggire alla realtà, mi addormentai.

   
 
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